Via dalle Impronte
Di Elena Amauri
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Anteprima del libro
Via dalle Impronte - Elena Amauri
Uno
Maria
Seduta davanti alla finestra, i capelli fini raccolti in un alto chignon, la postura elevata un po’ da ballerina, la signora spostava lo sguardo lontano, verso il cielo azzurro abbagliato dal sole e una fila di larici che si stendevano rigogliosi e ordinati, da sinistra a destra, nella campagna. Chissà a quale ricordo potevano rimandare... il più vicino al cuore, anche se non in ordine di tempo, era forse una lunga passeggiata mano nella mano con suo marito, quando c’era ancora, Claudio. Claudio, quanto le mancava…
«Autre beacoup de te, Madame?», «no, no, merci, Julian; mm... vou les vouz parler un petite italien?». «Bien sure Madame! Mi dica...». «Sai, caro Julian, ormai ci conosciamo da molto tempo io e te, quasi quarant’anni credo... La prima volta, mi ricordo bene, ci siamo incontrati a casa di quegli amici miei e di Claudio, in Versilia, vero?», continuava a fissare la finestra. «Si, proprio così Madame, anch’io ricordo davvero con piacere quell’incontro», lui accennò un sorriso, ripensando all’evento. Lei si girò all’improvviso, come aveva fatto tante volte sul palcoscenico, in uno dei balletti più famosi in cui era la protagonista: «Julian, ci avevi subito colpito, per la tua attenzione, per la tua educazione e per quel piglio singolare, quella vivacità che ha distinto il tuo carattere da quello di chi cerca, diciamo, solo un lavoro, per sistemarsi... Tu cercavi anche un luogo dove stare, dove trovarti bene e condividere quello che avresti portato alle persone a cui ti rivolgevi». «Credo che per lavorare bene ci debbano essere le premesse giuste e le condizioni migliori per entrambi. Voi mi avete accolto da subito come una persona di famiglia, di casa, lei e il signor Claudio...». «Claudio aveva confermato la mia intuizione ed entrambi non potevamo fare scelta migliore», la signora preparò uno dei suoi sorrisi così particolari e sinceri, l’unico dettaglio che si poteva in qualche modo intuire prima, a differenza degli altri comportamenti, di solito non prevedibili. «Sai, Julian, sai che Claudio e io non ti abbiamo mai visto solo come un nostro aiutante... ma davvero una persona di famiglia. Ti abbiamo sempre chiesto tanti consigli, ci hai accompagnato in moltissimi episodi importanti in questi anni. Non da ultimo, sei stato un punto di riferimento fondamentale anche per i nostri figli. In questa vicenda così strana, poi, se non ci fossi stato tu... Sei stato proprio speciale, con la tua discrezione e vicinanza. Altro che ‘signore’, ‘signora’, come ancora si usa dire in questi ambienti affettati, apparentemente per bene! Non mi è mai piaciuto, lo sai», improvvisamente abbassò lo sguardo, seria. «Grazie, davvero, Madame», replicò lui: «così mi sono sentito e mi sento oggi: parte della vostra famiglia, oltre alla mia originaria. Lo sa che su di me può contare sempre quando ha bisogno, adesso ancor più di prima...». Adesso, da quando il signor Claudio non c’era più, sottinteso, per fare in modo di non riaprire la ferita.
«Sono tanto, tanto contenta si sia sistemata la situazione, così almeno sembra, speriamo, Julian... a questo proposito, ti chiedo di continuare a tenere occhi e orecchi bene aperti, insieme a me, grazie ancora caro. Vado di là adesso», sospirando si alzò. Altra decisione non calcolabile prima, era così lei, non ordinaria. Uno degli aspetti che avevano colpito il suo Claudio al cuore.
La marchesa Maria, anche se non amava essere chiamata così, era una signora magra e alta e conservava ancora bene la sua figura, nonostante l’età che avanzava. I fini capelli grigi, abbandonato ormai il colore castano intenso che aveva portato per tanto tempo in gioventù, erano sempre sistemati cercando di creare una piccola acconciatura che non fosse un banale riconoscimento che la collocava tra le persone non più attive nella società; non perché la signora non volesse invecchiare o fosse meno attiva di prima, anzi, si era sempre preparata ad accogliere le varie tappe che la vita le aveva generosamente riservato. Piuttosto perché ‘banalità’ era la parola che inconsciamente aveva cercato di non inserire mai nel suo vocabolario personale. D’altronde, pur avendo ereditato il titolo dalla famiglia materna francese, quel ‘marchesa’ non le era mai piaciuto per niente, né da ragazza apprezzava che altre donne prima di lei se lo fossero cucite addosso; quello che realmente le interessava delle persone era qualcosa di non comune o superficiale, anzi originale: carpirne l’essenza interiore, arrivare al ‘cuore’ e con esso, da lì, comunicare. Parlare e interagire allo stesso modo con altri eventuali marchesi, con Julian, con la vicina di casa, con tutti coloro che in qualche modo incrociavano il suo cammino. Da lì si capiva davvero il suo essere signora, Madame. Forse il nome che le avevano dato da bambina aveva contribuito a sviluppare questa caratteristica: una donna limpida e affidabile.
Poi, c’era stato Claudio, l’amore della sua vita; lui meritava un capitolo a parte. Maria ballava e aveva compiuto studi umanistici, le piacevano molto le lingue e culture straniere, avrebbe voluto viaggiare, mentre un giorno fuori da una chiesa di Bergamo e fuori dai suoi piani aveva incontrato lui. Era stato forse Qualcuno a favorire l’incontro? In qualunque modo fosse successo, gli sguardi si erano trovati, prima un istante, poi si erano ricercati e ritrovati, chiedendo l’uno dell’altra a conoscenze in comune. Mantenendo quel riservo e quel rituale del corteggiamento tipico di chi è nato a inizio Novecento. E che è anche sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale.
Famiglia borghese benestante lei, vissuta parte del tempo in Francia, dedita alla cultura e a certi modi di fare e amicizie tipici di quell’ambiente; provenienza più semplice, genuina e meno costruita lui, ma con alle spalle il rientro dal conflitto e una spiccata intelligenza e sensibilità.
Quando erano insieme la spontaneità di entrambi fioriva, senza filtri. Sguardo dopo sguardo, in modo parallelo, avevano entrambi preso informazioni una dell’altro prima con riservatezza, per poi giungere a un primo incontro. Incontro, non appuntamento, come si intende negli anni Duemila, dove si sono pure inventati il ‘mestiere’ di spiegare passo passo come dovrebbe avvenire un primo approccio: detto tra le righe, dimenticare a casa se stessi e recitare un ruolo. A quei tempi tutto ciò per fortuna non era ancora arrivato, c’erano le buone maniere, tante magari, ruoli predefiniti, ma che in qualche modo lasciavano all’uomo la possibilità e il piacere di mostrare alcune qualità, apprezzate dalla donna che si sentiva tale anche senza dover arrivare a chiedere troppe attenzioni e civetterie. Dopo il primo incontro, che si era concretizzato in una passeggiata e in un gelato, rigorosamente prima che calasse il sole, ne erano seguiti altri, senza poter mai nascondere troppo alle rispettive famiglie, perché a quell’epoca iniziare a conoscere una persona significava niente di eccessivamente frivolo... Allo stesso tempo, il potenziale compagno veniva analizzato da testa a piedi dalla famiglia della compagna. Claudio lo sapeva bene. In quel caso però Maria e Claudio furono precursori di nuovi modi di fare: si erano scelti, da soli, incontro dopo incontro, forse già al primo incrociarsi. Insomma, si erano allontanati dalle impronte e dagli usi precedenti. Non era stato necessario un vero e proprio ‘scontro’ del destino. Però, c’era memoria di sensazioni antiche? Claudio usciva dal trauma della guerra... Alpino, era stato mandato al fronte, a vent’anni, ma non sapeva che sarebbe poi tornato con le sue gambe e un compagno sulle spalle, e che quell’episodio della vita gli avrebbe lasciato cicatrici interiori, oltre che fisiche, per sempre. Però era animato dalla fede, un credo semplice, sapeva che sopra di lui agiva in qualche modo una forza invisibile che conduceva l’uomo attraverso varie esperienze, che probabilmente dopo tanto dolore l’aveva fatto approdare… fino a Maria. Lei, impegnata nella danza e nell’insegnamento, allo stesso modo e anche di più, era molto devota in particolare alla figura della fede cristiana che portava il suo nome; come Claudio aveva vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra, ma aveva cercato di affidarsi a chi aveva voluto la sua nascita in quel tempo e in quel luogo. Entrambi erano nati a Bergamo, portavano il gusto di quelle origini solide e legate ai valori della vita. A circa vent’anni, dopo la guerra, si sarebbero incontrati e innamorati.
Portando dentro di sé tutti i bei ricordi e l’immagine del paesaggio che aveva appena scorto dalla finestra, una giornata serena e limpida incorniciata in mezzo ad alberi e alla natura, Maria associava un pensiero che a volte la coglieva, soprattutto negli ultimi tempi: come quando era con il suo Claudio, credeva che in momenti così pacifici sarebbe stato giusto e buono congedarsi dalla vita... Non era un pensiero negativo, come poteva sembrare, anzi si vergognava semmai di pensarlo solo perché significava non mostrare tutta la fede che era solita provare, non affidarsi al disegno più grande che dava inizio e fine, ma per lei era quasi una sensazione romantica e di devozione credere che si potesse giungere verso altri mondi concludendo bene, con un’impronta di serenità, la propria esistenza. Invece, suo marito l’aveva abbandonata improvvisamente qualche anno prima, troppi ormai... ma non era quello il momento di lasciarsi andare ai ricordi. Tornò subito sulle orme di quello che doveva fare e pensare, tutto molto più pratico. C’era una questione urgente da affrontare. Camminava a brevi passi lungo il corridoio dal pavimento liscio e lucente, la marchesa Maria, fino alla porta socchiusa in fondo, la camera verso il terrazzino. Entrò sbirciando piano piano, per vedere cosa stava succedendo.
Due
Luna
Estrema periferia della città, Perù, sette di mattina. Sudamerica, uno dei posti energeticamente più particolari della Terra, non solo per i monumenti eretti al cielo ancora visitabili, ma con una storia unica e con tante anime speciali. Nessuno, o quasi, per strada in quel momento. Qualche animale randagio, oltre a cani e gatti. Tutta la gente ancora assonnata e coricata dopo la notte spesa a festeggiare il carnevale in strada, ballando, bevendo e chissà cos’altro, tipico del carnevale sudamericano, tanto coreografico e intenso. Fiumi di persone e di alcool, musica, colori, risate, balli, urla, corpi che si avvicinavano, strusciavano, incontravano, insomma festeggiavano in ogni modo. Molta più vita nei sobborghi, nei ‘piani bassi’ della società, invece di quelli alti. Che quelli snob spesso avevano bisogno di altro, oltre all’alcool e al carnevale, per divertirsi, di spingersi altro che in basso, esperienze più forti, proibite, tremende, accessibili solo a loro, credevano. Luna lo sapeva bene. Era lì anche per quello. Contorsionista per passione, aveva imparato a contorcere un po’ tutto quello che le passava a tiro. E di avvenimenti contorti e intricati in quel momento ce n’erano diversi.
Già sveglia, con gli occhi neri come spilli appena aperti, cercava il cellulare allungando la mano, in una piccola stanza dall’aria viziata, assieme ad altre tre, quattro persone estranee che ancora dormivano russando. Lei riusciva si e no a fare cinque ore di sonno di fila; dopo la nottata, verso le due era crollata e a quel punto la sua sveglia interna strillava già per prepararla alla mattina. Prima che si svegliassero anche gli altri ospiti.
La sera precedente, per la festa, aveva deciso di sua iniziativa di far ‘scendere’ tante persone dell’alta borghesia, via dai loro luoghi ovattati e conosciuti, lì fino in fondo, in basso nei suoi quartieri, quelli dei sobborghi, delle favelas, dove era nata e cresciuta, pur conoscendo ormai molto bene, per via del suo lavoro, anche quelli ‘alti’, ricchi di gente miliardaria. I suoi clienti, abituati a lei, fidandosi avevano accettato, contenti di sballarsi anche quella volta, con sostanze varie e non solo, certi che lei non li avrebbe delusi, con il ventaglio di esperienze estreme che proponeva. Decisa a portarli nelle sue zone, quei soggetti sempre alla ricerca di stucchevoli e illegali adrenaline, per i loro fini perversi. Forse, mentre loro erano ignari, il fine di Luna era anche più perverso, ma per una giusta causa: quello schiodarli dalle orme dei piani alti, del benessere che schiaccia altre persone, gliel’avrebbe sbattuto in faccia un giorno, al momento giusto. Non era la prima volta che invitava chi non aveva niente a che fare con la periferia, a vedere chi non aveva niente in un altro senso, non sempre per colpa propria. Anzi, ormai era parte del suo mestiere, far conoscere quelle zone di Sudamerica, e intessere tele nebulose e cupe. Una sorta di tour organizzato? Un evento creato apposta per scopi precisi? Molto di più, più nebbioso. Una questione complessa, come intricata era lei, già a partire dai suoi capelli, folti, spessi, scuri come il carbone, molto simili agli occhi, anche se questi erano pure più neri e profondissimi. In contrasto però con l’abbigliamento, che sceglieva sempre di colori chiari, per mettere in risalto la fisicità. Come contorta era tutta la situazione a cui era abituata ad assistere ormai da un po’ di anni, i ricordi nitidi di sua mamma che l’aveva scoperta a sbirciare e non aveva più potuto nasconderle ‘quel mondo’. Per niente chiara neppure la pelle, un po’ abbronzata dal sole e un po’ per via delle due, tre al massimo docce settimanali; non era solo per la nascita povera, in realtà erano anche queste parte del ‘programma’. Tutto ormai era parte del progetto ordito, dal modo di essere e fare a quel dannatissimo lavoro che si era scelta. Era, in persona, l’attuazione del programma, uno dei ‘ponti’ tra un mondo in apparenza perfetto, ordinato, in crescita, solo di facciata senza scandali, e la parte opposta di quell’angolo di Sudamerica e del mondo, i bassifondi, dove la gente sopravviveva, un po’ schiacciata dagli altri in alto e un po’ talmente abituata a essere schiacciata, che sembrava aver ereditato nei geni la tendenza a tirare a campare, a vivere alla giornata, pur sereni, ma senza troppi sogni. Per fortuna, anche senza certi tipi di cattiveria morbosa, che provenivano molto più da chi aveva la puzza sotto il naso e mancanza di problemi reali, di come portarsi la pagnotta a casa tutti i giorni, quindi per scacciare la noia inventava grattacapi e sevizie su altri esseri viventi, non solo umani. Due impronte dello stesso Paese, e di tutto il pianeta, tanto lontane, quanto destinate a incontrarsi. Due mondi opposti forgiati da realtà diametralmente diverse, ma che in certi casi incrociavano le impronte, come la sera prima e in tante altre occasioni, anche per merito