Le discese agli inferi
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Anteprima del libro
Le discese agli inferi - Mario Bianchi
PARTE PRIMA
IL CICLO SCOLASTICO
Quando avevo all’incirca trent’anni, mia madre mi raccontò un aneddoto che con il senno di poi risulta essere molto esplicativo. Il primo giorno di asilo, più o meno a tre anni, fu per me estremamente traumatizzante. All’epoca non c’erano gli inserimenti graduali come ora, così mia madre mi affidò alle maestre e si incamminò per la via di casa. A un certo punto, fu assalita come da un sospetto e tornò indietro.
Udì che dalla struttura provenivano urla quasi non umane e si allarmò. Naturalmente a gridare e dimenarmi ero io, nonostante fossi trattenuto da tre o quattro maestre. Avevo per la prima volta assaggiato la sensazione dell’abbandono. Mi fu spiegato poi che i veri traumi, quelli che in seguito condizionano la vita adulta, derivano proprio da questa sensazione, anche se figurata. Secondo la mia personalissima esperienza, direi che si innescano meccanismi cerebrali che fanno in modo di sfuggire a questa paura.
Nel periodo dell’asilo poi, invece di giocare con gli altri bimbi me ne stavo molto tempo seduto da solo a guardare la finestra. Di questo non ho ricordi lucidi, ma sicuramente qualche immagine nella mia mente è rimasta tutt’oggi.
Durante la scuola elementare si fece strada un certo distacco dal contesto che compromise anche il rapporto con gli altri compagni. Questo distacco era visto come scarso impegno dalla maestra. Nel privato, tuttavia, leggevo molto ed ero davvero interessato ad argomenti culturali extra-scolastici.
Mantenni questo modus operandi fino alla fine della scuola media, con il distacco che aumentava sempre più invece di diminuire.
Anche i primi due anni delle superiori furono per me molto sofferti, con i compagni che mi vedevano sempre più diverso da loro; non mancarono neppure piccoli episodi di bullismo. In tutto questo, però, ho visto un risvolto positivo anni dopo: sentirsi a sedici anni come appesi a una parete rocciosa, che fa di tutto per farti scivolare giù mentre il mondo in cima ha un suo decorso, fa sì che si attivino determinate forze dentro di te che all’inizio non credevi di possedere.
Gli ultimi anni scolastici si facevano sempre più strazianti a mano a mano che scorreva il tempo.
Non erano gli argomenti a farsi ostici, bensì la mia coscienza
a scivolare giù. Ma all’epoca di tutto questo ero ancora inconsapevole. I compagni di classe nella mia testa diventavano sempre più socialmente avanzati rispetto a me, che non riuscivo a intrattenere un dialogo neanche con un bambino. Quando arrivavano le interrogazioni, poi, mi capitavano tutti i blocchi e i mutismi possibili, dovuti sia a una carenza dei processi di apprendimento della mente, sia alla pressione psicologica di voler far bene a tutti i costi che in quel momento percepivo. Riuscii miracolosamente a essere sempre promosso alla classe successiva e all’esame di maturità (il primo dopo la riforma) mi presentai estremamente carico di buoni propositi. La parte scritta andò discretamente bene, ma l’ultimo atto, l’orale, fu abbastanza traumatico. Infatti, mi presentai molto agitato davanti alla commissione d’esame, che all’epoca era metà interna e metà esterna. Sebbene la prova non fosse andata ne particolarmente bene, ne particolarmente male mi resi conto proprio in quei momenti di quanto c’era ancora da lavorare per risistemare questo mio stato di malessere.
Il sollievo finale di aver terminato il ciclo scolastico e la visione del godimento estivo, tuttavia, spostarono il problema più avanti nel tempo.
L’UNIVERSITÀ E L’INIZIO DI UNA RELAZIONE
Arrivai a fine settembre e inizio ottobre che non sapevo assolutamente come occupare il tempo e mi sembrava che mentalmente non fossi strutturato per eseguire qualsiasi tipo di lavoro. Ma soprattutto, non riuscivo proprio a capire come