Il mio primo lavoro come psicologa
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Info su questo ebook
Maria Cristina Foglia Manzillo: laureata in Psicologia Clinica e di Comunità nel 1996 alla “Sapienza” di Roma e specializzata in Psicoterapia Cognitivo-comportamentale nel 2000 presso l’Istituto Skinner di Roma. Nel 2017 si è laureata in Medicina e Chirurgia all’Università dell’Insubria (Varese-Como). Lavora come psicoterapeuta, libero-professionista. Responsabile del Centro Studi Panta Rei, studio privato di psicoterapia e di formazione professionale per psicologi-psicoterapeuti. Il Centro, fondato insieme al marito, Nunzio Nasti, psicologo-psicoterapeuta, organizza un Master in Counselling Clinico, un Master in Tecniche di rilassamento, un breve percorso sugli Psicofarmaci. Tutti riservati a colleghi psicologi-psicoterapeuti.
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Anteprima del libro
Il mio primo lavoro come psicologa - Maria Cristina Foglia Manzillo
Maria Cristina Foglia Manzillo
Il mio primo lavoro come psicologa
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
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Indice dei contenuti
PREMESSA
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE E GLI ESORDI
UN INATTESO COLPO DI FORTUNA
PRIMA PARTE: LA SCUOLA
UNA SECONDA CLASSE DELLE SCUOLE ELEMENTARI
PARENTESI
PERCHE’ SCELSI DI SEGUIRE DANIELE
ALTRI COLLOQUI NELLA SCUOLA ELEMENTARE
L’INTERVENTO IN CLASSE SU DANIELE
E PER CONCLUDERE…
SECONDA PARTE: IL LAVORO AL CENTRO SOCIALE
LE ADOLESCENTI DEL QUARTIERE
IL PRIMO INCONTRO DEL GRUPPO DELLE ADOLESCENTI
IL POMERIGGIO DELL’ULTIMO INCONTRO DEL GRUPPO ADOLESCENTI
EPILOGO
QUESTO SCRITTO PARLA DI UNA STORIA VERA. SONO STATI MODIFICATI ALCUNI DATI PER NON PERMETTERE IL RICONOSCIMENTO DELLE PERSONE COINVOLTE. INOLTRE, IN ALCUNI CASI SONO STATE TACIUTE, VOLONTARIAMENTE ED ESPLICITAMENTE, INFORMAZIONI EQUIPARABILI A DATI SENSIBILI
.
Un caldo e sincero ringraziamento va alla cara amica Anna, che per prima ha letto e valutato il manoscritto, e alla professoressa e cara amica Vanna De Perini, che lo ha rielaborato restituendolo impreziosito delle correzioni e delle sfumature concettuali che ha saputo virtuosamente introdurre
PREMESSA
Questo scritto vuole essere un reportage, un ricordo di vita vissuta, un bagaglio di esperienze da condividere con i colleghi - soprattutto giovani colleghi o studenti di psicologia - ma adatto anche ai tanti lettori interessati alle storie umane di vita vera, come me. Adoro le storie di vita e non è certo un caso se lavoro come psicoterapeuta e se sto anche per laurearmi in medicina.
A dire il vero, per anni ho pensato e sono stata convinta del fatto che non desideravo scrivere nulla, che non volevo aggiungere la mia voce al caos di scritti che circolano nel mondo. Provavo forti resistenze a mettere giù qualcosa al computer. Poi mio marito, che ha molta stima di me, ha iniziato a farmi notare in termini critici che non era bello che, durante una serata con amici, io lasciassi a tutti la possibilità di esprimersi ma io personalmente non mi esprimessi. Mi diceva: Hai cose interessanti da dire. E’ bello ascoltarti ed invece tu lasci spazio agli altri e ci privi della possibilità di affrontare una discussione costruttiva con te! Eppure, hai tanto da raccontare
. Oppure mi diceva: Stasera hai lasciato spazio a persone che non avevano alcuno spessore intellettuale e che non hanno fatto altro che tediarci! Avresti potuto intervenire e dare il tuo contributo ed invece sei rimasta in silenzio, come al solito!
. A volte era proprio arrabbiato con me; una volta mi ha anche apostrofato davanti agli altri in termini piuttosto duri!
Durante una serata con amici (e con amici di amici o addirittura con amici di amici di amici) lasciavo spazio agli altri non per passività, ma perché, come lui ha sempre riconosciuto, trovo interessante osservare gli altri anche quando sono immaturi, aggressivi o, secondo lui, noiosi! Mi ha sempre detto: Riesci ad imparare da chiunque, anche quando le persone che hai di fronte non hanno proprio nulla di interessante agli occhi altrui.
Certo, osservare
non vuol dire automaticamente non intervenire
. Il fatto è che osservando certe persone, spesso ne traevo anche la conclusione che non erano interessate agli altri, per cui tenevo le mie considerazioni per me in attesa di un ambiente più fertile, fatto di soli amici scelti secondo determinati criteri; amici con cui sono disposta a condividere il mio mondo perché hanno voglia di capire come la penso anche quando non siamo d’accordo. Non pretendo che il mio comportamento sia giusto in assoluto, non dico questo. Certamente avevo le mie ragioni per adottarlo, giuste o sbagliate che fossero. Comunque sia, mio marito allo stesso modo criticava la mia determinazione che io non mettessi nulla per iscritto.
Oltre al suo pungolo, è stata poi la vita a mettermi su questa strada. E, a dire il vero, contemporaneamente ho permesso che mi ci mettesse. Prima è stata la necessità di rendere vivo il nostro sito web , poi sono sopraggiunte le malattie da cui mi sentivo sempre più defraudata. Sentivo che mi toglievano il terreno da sotto i piedi e che avrei potuto finire con il morire senza aver avuto nessuna possibilità di essere utile
, uno dei punti fondamentali del mio modo di concepire la vita.
Questo scritto è ispirato alla realtà e risale a tanti ma tanti anni fa, quando i cellulari ancora non esistevano o, quanto meno, non erano di uso comune. Sono stati cambiati i nomi dei protagonisti ed alcune caratteristiche che avrebbero potuto portare ad un riconoscimento.
Come è facilmente immaginabile, trattandosi di una storia di vita vissuta, non è pensabile che sia stata connotata unicamente in termini edificanti e positivi e non sarebbe corretto descrivere solo quelli.
Desidero premettere che io, interessata a comprendere ed a studiare la vita umana, non ho di solito atteggiamenti di rabbia o di rivalsa: dopo aver preso atto dell’ambiente che mi circonda, mi limito a fare il mio esame di realtà
ed a capire come posso sopravvivere e con quali strategie.
Al di là di tutto, è mia intenzione descrivere i fatti come li ho vissuti ed alcuni avvenimenti così come sono accaduti. Ecco, dunque, una breve descrizione dell’esperienza intensa che fu il mio primo e fugace lavoro come psicologa.
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE E GLI ESORDI
Il primo lavoro come psicologa mi vide impegnata tanti anni fa. Ero giovane ma, per certi aspetti, mi sentivo più capace di oggi. Sicuramente più forte, più sana, più fresca di studi ed anche di iniziative, di idee, di pratica. Ero anche meno provata dalla crisi economica, dalle malattie e dalle difficoltà lavorative che avrei poi incontrato nella vita. Può sembrare strano per una professionista alla prime armi, ma allora io avevo le idee molto chiare e venivo da una preparazione che avevo meticolosamente curato perché fosse anche pratica e non soltanto teorica.
Nelle nostre facoltà italiane non è cambiato molto da allora. Si usciva ESPERTI IN TEORIA PSICOLOGICA
, esperti
più o meno buoni a seconda della qualità dello studio che avevamo sostenuto, ed anche oggi gli allievi che seguiamo escono ESPERTI IN TEORIA PSICOLOGICA
: non è cambiato nulla in venti anni! A parte il numero delle Facoltà di Psicologia: all’epoca tre in tutta Italia ed oggi inutilmente più di tre nella sola Lombardia. Ho scritto inutilmente
perché le facoltà sfornano un numero sproporzionato di psicologi che saranno in massima parte futuri disoccupati, oltre che essere poco preparati. Come se non bastasse, al termine degli studi, nella maggior parte dei casi, gli psicologi sentiranno di avere bisogno di ulteriori anni di formazione professionale, notevolmente dispendiosa, per provare a completare la loro preparazione che, negli anni a venire, non darà necessariamente loro l’atteso guadagno per un così ingente investimento. Inoltre, un numero così elevato di laureati, che aumentano a dismisura negli anni, non fa che frazionare il mercato in modo che rimangono solo briciole come utili ricavabili per la maggior parte dei professionisti.
Sono figlia di genitori non ricchi. All’epoca abitavamo in provincia di Napoli ed ero molto rispettosa dei soldi che avevano deciso, con sacrificio, di investire sulla mia formazione permettendomi per qualche anno anche di rimanere a studiare a Roma, dove era la mia Facoltà, in una stanza in affitto lontano da casa. Nonostante avessi solo diciotto anni, all’epoca ero fermamente convinta che non potevo, per rispetto sia verso me stessa sia verso di loro, permettermi di uscire dalla Facoltà di Psicologia solamente come esperta in teoria psicologica
e quindi programmai:
1) di disertare le lezioni che, inizialmente seguite, mi erano sembrate piuttosto sterili nel complesso, ad eccezione di poche materie e di pochi docenti davvero interessanti come si dimostrò il professor Vezio Ruggeri, di cui ricordo ancora alcune lezioni e con cui mi sarei poi laureata;
2) di seguire, invece, tutte le attività pratiche che la Facoltà di Psicologia avrebbe potuto offrirmi. All’epoca, infatti, per conseguire la laurea, era obbligatorio