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This Baby met (incontrò) Habibi
This Baby met (incontrò) Habibi
This Baby met (incontrò) Habibi
E-book164 pagine2 ore

This Baby met (incontrò) Habibi

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Info su questo ebook

Baby è una ragazza italiana che sposa Habibi, un giovane immigrato marocchino. Il loro matrimonio interculturale li porta ad affrontare sfide e pregiudizi, ma anche a conoscere nuove prospettive. Baby si avvicina gradualmente all'Islam, incuriosita dalla fede del marito. La loro storia d'amore attraversa momenti difficili, tra incomprensioni e differenze culturali, ma alla fine trionfa l'unione profonda di due anime. In un percorso di crescita interiore, Baby abbraccia l'Islam, trovando risposte che cercava a lungo. Una storia di amore, fede e rinascita personale, tra l'Italia e il Marocco.
LinguaItaliano
Data di uscita16 ago 2023
ISBN9791221488609
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    Anteprima del libro

    This Baby met (incontrò) Habibi - Anastasia Hanane Sufi

    INTRODUZIONE

    Questo libro racchiude i fatti reali della mia vita.

    Mi sono lanciata a scriverlo da un momento all'altro, dopo avere commentato un post in un gruppo di Facebook che frequento abitualmente.

    A qualcuno è piaciuto sia il mio stile di scrittura che i contenuti che ho da raccontare. Non serviva altro per mettermi all'opera.

    Ringrazio di cuore tutti i miei amici.

    Gli eventi principali del libro si svolgono tra il 1994 e il 2003 e riguardano il fenomeno delle cosiddette coppie miste, che a fine millennio in Italia non furono tanto diffuse quanto nei dieci o quindici anni a seguire. I protagonisti Baby e Habibi¹, chiamato Ben, sperimentano in solitaria l'unione fra due culture e due religioni.

    La loro vicenda è preceduta da un capitolo che spiega il contesto in cui fu inserita Baby, le sue origini, la formazione, i rapporti con le persone.

    Era da tanto che avevo avuto in mente di condividere una storia del tutto particolare con te.

    La particolarità di questa storia è direttamente correlata al destino che ci porta a muovere i nostri passi, quei passi che noi potremmo anche non fare. Potremmo rifiutarci, farne altri o scegliere un'altra direzione. Dipende dalle priorità. A chi o che cosa diamo più importanza?

    Dalla risposta risulteranno, nei fatti, le nostre storie.

    Colgo quest'occasione per chiedere scusa ai miei genitori.

    Come spesso accade, c'è chi rimane avvantaggiato e chi rimane svantaggiato dalle scelte fatte dagli altri. Ecco, le mie azioni sono state a volte discutibili e non hanno tenuto conto di persone che avrei dovuto onorare di più. Dubito però che avrei potuto fare di meglio.

    Spero che dalle mie parole si comprenda la sincerità che le caratterizza, la stessa che ha accompagnato le mie scelte.

    Non c'è finzione neppure nel libro e non c'è invenzione, se non qualche imprecisione dovuta al venire meno della memoria. Tendo a rimuovere dalla mente ciò che provoca ansia o stress: è un'abitudine che ho acquisito fin da ragazzina, per evitare di soffrire rimuginando sul passato.

    Ti auguro di rivivere questa storia con me, di ridere, piangere, divertirti, contestare, approvare e imparare cose nuove.

    La vita è qui.

    Un abbraccio e buona lettura.

    CINQUE ANNI MOLTO LUNGHI

    Avevo un'amica che amavo.

    La chiamerò Margherita, come il fiore che disse di preferire.

    Margherita era lineare, naturale, senza pretese insolite, proprio l'archetipo di un fiore.

    Era più alta e più bella di me. Aveva denti perfetti mentre i miei non erano né troppo bianchi né diritti, e il suo naso era diritto, mentre il mio spiccava ricurvo sul viso magro.

    Cercavo di imitare la sua camminata, alta e lenta, che è rimasta a oggi ineguagliata. Eravamo entrambe magre, ma lei lo era molto di più, le gambe infilate nei quotidiani jeans, completati da un maglioncino o da una maglietta abbastanza lunghi da coprire completamente la parte di dietro, come si usava vestire alla fine degli anni Ottanta.

    Margherita sapeva fare cose che io non sapevo fare, come ballare e stare tra la gente. Fumava con aria adulta e abbagliava col suo sorriso. Era consapevole di non passare inosservata. Ma non si imbellettava e non gradiva finzioni o cose artificiali. Più di tutto era libera, di una libertà che mi ardeva dentro e che nemmeno avrei potuto sognare di possedere.

    Lei andava in discoteca e si ritirava a casa a mezzanotte passata, dove trovava la mamma che l’attendeva sull'uscio, nonostante gli occhi stanchi di sonno.

    Usciva e beveva con i gruppi di amici. Ne aveva tanti in varie località d'Italia, perché il lavoro del padre aveva portato la famiglia ad avere case in diverse città.

    Andava sulla neve in Trentino, in vacanza in Puglia, al mare in Campania.

    In Trentino si ruppe un osso, esercitandosi col deltaplano.

    Ma dalle sue parti chi cade si rialza e nessuno ne fa un dramma.

    Suo padre fu un uomo a suo dire severo ma giusto; l'unica volta in cui lo vidi, ispirò in me un sacrosanto rispetto.

    Non impediva ai figli di vivere, preferiva raddrizzarli dopo.

    Raggiunta l'età, Margy fece la patente, guidò la macchina, prese lezioni di patente nautica e, last but not least², di surf, e fu derisa da qualche ragazza invidiosa o gelosa della nostra classe che l'aveva vista cimentarsi nell'impresa, d'estate, non lontano dalle coste della nostra città.

    Ma non io, non l'avrei mai derisa.

    Però non feci nulla di ciò che fece lei, e non ebbi nulla di ciò che ebbe lei.

    Dividevo la stanzetta con mia nonna e ci coricavamo alle dieci di sera, tutte le sere. Non uscivo mai, la mia famiglia aveva paura che il mondo là fuori avrebbe fatto presto a trasformarmi in una cattiva ragazza. Quando qualcuno mi invitava a una festa, i miei genitori rispondevano praticamente sempre di no.

    D'estate le mie compagne andavano al mare; io invece zappavo nell’orto di mio padre o imbottigliavo pomodori insieme alla famiglia.

    Loro si facevano una vacanza lazy³ in un villaggio turistico o visitavano una città all'estero, mentre io pulivo la polvere vecchia di un anno dentro la casa del paese di mio padre. Al massimo loro potevano sudare sulle spiagge, a differenza mia che, immersa nei vapori della cottura delle marmellate e della frutta sciroppata, mi scioglievo di sudore nella cucina di mia madre.

    Tra i sedici e i diciassette anni presi l'abitudine di contare le volte in cui mio padre ci portava a trascorrere una giornata al mare, per vedere se avremmo superato la fatidica soglia dei dieci giorni su novanta giorni di vacanze estive.

    Continuammo a sfiorarla a malapena.

    A settembre del quinto anno, al rientro in classe, feci in modo che Margherita e io diventassimo compagne di banco.

    Eravamo tutte e due brave a scuola, ma io lo ero un po' di più.

    Di mattina passavo da casa sua a prenderla e poi percorrevamo l'ultimo tratto di strada insieme.

    Frequentavamo un istituto superiore a pagamento, gestito da suore, perché era il miglior Liceo Linguistico della nostra città.

    Fui una ragazza abbastanza religiosa e la coinvolsi a pregare con me le Lodi mattutine nella cappella della scuola, prima dell'inizio delle lezioni. A parte questo, la nostra scuola non aveva ritmi religiosi, ma ha lasciato in molti dei ragazzi che la frequentarono una forte impronta educativa e trasmise a tutti noi una splendida formazione umanistica.

    Durante le gite scolastiche mi affezionai ancora di più a Margherita. Era abituata a camminare, proprio come me.

    Senza la presenza del suo sguardo azzurro non avrei provato lo stesso intenso piacere di osservare il mondo circostante.

    Qualsiasi cosa prendesse in considerazione, Margy non giudicava e non emetteva sentenze: era una delle persone più aperte che avessi mai conosciuto. Sentivo un'affinità speciale con lei, a causa delle varie lingue che parlavamo e dei frequenti viaggi che avevano accomunato la sua infanzia e la mia.

    Indubbiamente, Margherita era due passi avanti a tutti, e un passo avanti a me.

    Un giorno, Margy mi confidò di essersi messa insieme con un ragazzo, forse era successo a sedici o diciassette anni, non me lo disse mai di preciso.

    A quei tempi, tra la metà e la fine degli anni Ottanta, le ragazze non parlavano apertamente di sesso. Se qualcuna lo faceva ugualmente, era considerata un po' volgare e si ritrovava con pochissime amiche, perché le altre ragazze evitavano di starle troppo vicino.

    Margherita trattò la questione come un fatto della vita, come chi ce l'ha e chi no. Non sembrò particolarmente appassionata, semmai appariva affezionata o amichevole col suo ragazzo.

    Conoscevamo tutti chi fosse, perché le aveva portato una rosa rossa fuori dalla scuola, e veniva spesso ad aspettarla per accompagnarla a casa o a fare una passeggiata. Era innamoratissimo di lei. Di lui dicevano: È un pezzo di pane.

    Ma non ebbi modo di conversare con lui o di conoscerlo meglio. Seppi che aveva la barca, e che lui e Margherita uscivano in barca e andavano a giocare a biliardo, insieme ad altri loro amici.

    Dopo un certo tempo chiesi a Margherita: Margy, ma tu lo ami?

    Lei, dopo avere valutato come rispondermi, mi disse che in realtà no, che si era messa con lui perché aveva provato pietà per lui.

    Ne rimasi perplessa, tanto che per anni mi chiesi se mettersi per pietà con un ragazzo potesse essere considerata una forma di amore. Alla fine decisi che no, pietà non è uguale ad amore.

    Dimostrazione ne è che Margherita lasciò quel ragazzo successivamente, durante gli anni dell'università, prima di partire per la Spagna con un Progetto Erasmus.

    In Spagna stette con un altro ragazzo, col quale ebbe un figlio.

    Intanto il liceo volgeva al termine, era l'estate del 1990, e gli esami di maturità ci portarono a studiare a stretto contatto.

    Fui dispiaciuta con tutta me stessa di doverla lasciare andare, di non poterla più vedere tutti i giorni, quando la scuola finì.

    Ci saremmo iscritte a Facoltà diverse, lei a Lingue, in linea con i nostri studi, io alla Facoltà di Economia e Commercio, in linea col volere di mio padre.

    Il giorno dell'esame orale, non so come, combinai un disastro dal punto di vista della nostra amicizia. La interruppi mentre un insegnante la stava interrogando, per restituire un vocabolario che neppure le serviva. Credo che inconsciamente io abbia voluto rompere con lei, distruggere l'amicizia prima che fosse destinata a perire agonizzante.

    Sfortunatamente per me, in maniera più che manifesta per gli altri, ebbi dei genitori cattolici molto rigidi e tradizionali. Non mi davano il permesso di uscire, per andare a fare una passeggiata con le amiche, né di giorno né mai, soprattutto, di notte, sulla scia della classica movida.

    Così sapevo di già che avrei rivisto Margy solo all’università, al massimo per dieci minuti, poche volte e di corsa, tra una facoltà e l'altra.

    Nel 1990 non c'era WhatsApp per rimanere in contatto con le persone senza incontrarle e non esistevano nemmeno ancora i primi telefonini dotati della funzione sms. Non c'era nulla all'infuori del telefono tradizionale di casa o delle cabine pubbliche, del citofono e della carta da lettere per i più disperati.

    Margherita mi perdonò la gaffe dell'esame, ma tutto andò proprio come avevo immaginato: riuscii a trascorrere un po' di tempo con lei solo un paio di volte, andando a trovarla a casa sua, mentre i miei pensavano che fossi all'università.

    A un certo punto mi invitò anche sulla neve in Trentino, ma dovetti purtroppo dirle di no.

    La tristezza si stava stringendo attorno al mio cuore, e non potei farci niente. In quel periodo non ebbi nessuno che mi potesse aiutare a riempire la chiazza del vuoto che si stava allargando dentro di me: non avevo neppure una sorella e non ero libera di frequentare le amiche di classe.

    L'iscrizione alla facoltà di Economia e Commercio fu davvero una scelta inopportuna, non realmente dettata da me.

    Io che avevo sempre avuto le idee chiare su cosa fare o non fare nella mia vita futura, mi sentii più in gabbia che mai a causa delle imposizioni subite dai miei genitori.

    La fede mi convinse a resistere, quella stessa fede che recita: Onora tuo padre e tua madre.

    Andavo tutte le domeniche a Messa, cercavo di confessarmi spesso per poter partecipare all'Eucarestia, frequentavo un gruppo di lettura biblica nella parrocchia, a cinque minuti da casa, e facevo un po' di volontariato ogni tanto, andando a trovare una signora sola e depressa che gradiva piangere davanti a qualcuno.

    Io non piangevo, ma non fui felice per niente.

    Dopo il primo anno di università mio padre si arrabbiò. Avevo superato solo due esami, pur avendo studiato per prepararne quattro o cinque, non ricordo, perché avrei voluto essere più brava e più organizzata, ma non ci ero riuscita. Matematica fu un flop, mi mancarono sia le basi che la mente matematica per superare la prova scritta.

    Persi la borsa di studio.

    Mio padre mi trattò come una buona a nulla e inveì contro la scuola di suore, sentenziando che il mio sessanta sessantesimi non fosse stato nient'altro che una messinscena.

    Prima del 1999 non esisteva ancora il centodieci e lode, altrimenti avrei preso quello.

    Disse:

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