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Dipingere il Cielo (Italian Edition)
Dipingere il Cielo (Italian Edition)
Dipingere il Cielo (Italian Edition)
E-book258 pagine3 ore

Dipingere il Cielo (Italian Edition)

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Info su questo ebook

L’amore per l’arte...
La passione comune per le arti crea un forte legame tra due timidi studenti universitari. Ben è affascinato dai dipinti nei quali Vinnie ritrae il palazzo dell’Università e, notando questo interesse, Vinnie invita Ben a una mostra d’arte dove saranno esposti i suoi lavori. Grazie a una famiglia benestante alle spalle, Ben acquista alcuni quadri di Vinnie e chiede all’artista un aiuto per la disposizione nel suo appartamento.
Un cielo stellato notturno...
Come scusa per avere più tempo da passare con lui, Ben chiede a Vinnie di fargli un ritratto. Ma la sera in cui avrebbe dovuto iniziare a dipingerlo, Vinnie disegna invece un cielo stellato direttamente sul torace di Ben. Un bacio, e tra due inizia una relazione sotto quel cielo stellato.
Ma ogni relazione ha i suoi alti e bassi, e quando la gelosia di Ben si insinua tra loro, a causa di un collega di Vinnie, quest’ultimo prende una decisione che cambierà il corso delle loro vite.
Ben e Vinnie si ritrovano così ad attraversare l’inferno, lontani l’uno dall’altro. Ma l’amore, quello vero, nato sotto un cielo stellato è sempre lì e aspetta solo che i due ragazzi abbiano fiducia l’uno nell’altro. Solo così potranno far diventare realtà i loro sogni d’amore.

LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2017
ISBN9781370242016
Dipingere il Cielo (Italian Edition)
Autore

Lily. G. Blunt

Lily G. Blunt enjoys writing contemporary gay romance and paranormal stories. She loves to explore the relationship between two or more men and the intensity of their physical and emotional attraction. Angst often features in her stories as she feels this demonstrates the depth of feelings between them. Lily is often inspired by the lyrics to songs and is forever writing imaginary scenes and plots in her head. Only a few of these ever make their way to the page.Lily reviews for several blogs and has recently launched Gay Book Promotions, an online book promotion service for authors of LGBT+ romance and fiction. She loves to hear from readers and other authors. You can find her contact information and social media links at https://lilygblunt.wordpress.com and http://gaybookpromotions.wordpress.com

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    Anteprima del libro

    Dipingere il Cielo (Italian Edition) - Lily. G. Blunt

    ~PROLOGO DI BEN~

    La stella più luminosa

    Di

    Benjamin Penrose

    C’erano una volta, in Inghilterra, due ragazzi che, dopo essersi incontrati, si innamorarono. Discutevano, si separavano per un po’, ma alla fine facevano pace e vivevano per sempre felici e contenti. Fine.

    Cosa? Questo non è nient’altro che il riassunto di uno qualsiasi dei romanzi gay che leggo!

    Beh, eccovi una storia vera. La mia storia… la nostra storia.

    Lasciatemi però cominciare dall’inizio…

    ~PROLOGO DI VINNIE~

    Ciao Theo,

    Buon venticinquesimo compleanno! Te lo auguro.

    Spero che ti piaccia questo biglietto di auguri che ho dipinto per te. È un mio autoritratto, nel caso non te ne fossi accorto.

    Picasso style.

    Non vedo l’ora di rivederti, la prossima settimana, visto che è passato un po’ di tempo.

    Sei già riuscito a persuadere Finn ad accompagnarti? Mi ci voleva proprio il supporto di entrambi i miei fratelli, anche perché adesso sono un po’ nervoso! Tutti gli altri studenti avranno i loro amici e le loro famiglie accanto, durante l’esibizione. Non ho più rivisto Finn dalla festa di fidanzamento di Jade e Marc. Digli che dobbiamo bere un paio di drink insieme per il tuo compleanno e per festeggiare la mia laurea. Questo dovrebbe invogliarlo a venire.

    Sarò felice quando finalmente avrò finito l’università una volta per tutte e, non si sa mai, magari sarò in grado di vendere un quadro o due. Scusami se questo biglietto è più corto del solito, ma ci vedremo sabato. Fammi sapere se hai prenotato una camera in albergo o se vuoi dormire sul mio pavimento.

    Con affetto,

    Vinnie. X

    ~CAPITOLO UNO~

    Il palazzo dell’Università

    Uscii dall’aula d’esame della Manchester University emettendo un sospiro di sollievo e mi diressi verso la caffetteria studentesca per mangiare qualcosa, visto che era ora di pranzo. Se il vocìo eccitato che avevo intorno era sinonimo di qualcosa, anche gli altri studenti stavano pensando che l’esame fosse stato un gioco da ragazzi. Sorrisi alle loro urla e agli applausi, e in silenzio ringraziai il nostro professore per averci preparato così bene. Avevo solo un altro esame la mattina seguente e, sapendo di essere pronto per sostenerlo, decisi di rilassarmi per il resto del pomeriggio, optando per dare un’ultima ripassata più tardi quella sera.

    Essendo una bellissima giornata di sole, come succedeva di solito in Inghilterra durante la settimana degli esami, il grande prato davanti al vecchio palazzo dell’Università era gremito di studenti, intenti a rilassarsi. Alcuni erano distesi sull’erba in coppie o gruppi, altri si erano riuniti attorno ai tavoli da picnic. La febbre da fine semestre ronzava come uno sciame d’api nell’aria. Sarei stato il benvenuto se avessi voluto unirmi a molti dei gruppetti ma, come al solito, optai per starmene per conto mio. Forse era per la differenza di età, visto che avevo due anni in più della maggior parte degli altri studenti, o forse era perché non ero mai riuscito ad amalgamarmi con la gente, fin da quando avevo iniziato a studiare lì. Ero un solitario per natura. L’unico momento nel quale cercavo degli approcci significativi con qualcuno, era quando ero in cerca di un pompino, in uno dei gay club, il sabato sera. Anche in quel caso, però, di solito finiva tutto con un grazie e con me che mi allontanavo da quella che poteva diventare una potenziale relazione.

    Prima di raggiungere la caffetteria, però, mi fermai di botto quando notai la familiare figura solitaria seduta su una delle panche da picnic più lontane, con i suoi colori e tele sparsi davanti a sé. Guardai il ragazzo biondo sciacquare il pennello nel barattolo d’acqua, mentre con la lingua si accarezzava il labbro inferiore, osservando nel frattempo la costruzione in mattoni rossi.

    Non era la prima volta che posavo gli occhi su di lui. Avevo già visto quella bellezza in giro per l’università, molte volte prima di allora. Sempre da solo e, nella maggior parte dei casi, intento a disegnare la scena che aveva davanti agli occhi. Non ero mai riuscito ad attirare la sua attenzione, né tanto meno avevo avuto il coraggio di approcciarlo. Nonostante tutta la spavalderia che mostravo all’esterno, non volevo rendermi ridicolo, subendo un rifiuto. L’artista, sempre assorto in quello che stava facendo, non alzava mai lo sguardo e anche se io lo speravo, ogni volta che gli passavo accanto, non mi aveva mai notato.

    Negli ultimi tre anni, per una ragione o per l’altra, i nostri cammini non si erano mai incrociati durante la vita sociale e ormai l’ultimo anno era quasi finito. I corsi si sarebbero conclusi da lì a due settimane per via della pausa estiva ed entrambi saremo andati per strade separate. O gli parlavo subito oppure, molto probabilmente, non avrei mai più avuto un’altra occasione. Ora o mai più.

    Tralasciando la fiducia in me stesso, di solito abbondante, mi trattenni cercando di decidere il giusto approccio, in modo da non incasinare quella che sarebbe stata la mia sola e unica opportunità con lui. In piedi, all’ombra di una grande quercia, lo osservai da una sicura distanza, chiedendomi se la mia intrusione sarebbe stata bene accetta. Mi era sempre sembrato un solitario, quasi disdegnasse qualsiasi tipo di compagnia, il che mi faceva pensare che avrebbe potuto fare lo stesso con me. Provai disgusto quando realizzai che stavo descrivendo me stesso. Forse, dopotutto, avremmo avuto molte cose in comune. Dovevo solo mostragli che volevo parlare con lui.

    Non appena il tavolo da picnic accanto al pittore divenne disponibile, mi precipitai per rivendicarlo. Anche se non ci ero mai riuscito finora, speravo di catturare la sua attenzione facendo deliberatamente molto rumore, mentre mi sedevo e gettavo il mio zaino sulla panca. Il ragazzo, a malapena guardò nella mia direzione. I nostri occhi si agganciarono per un paio di secondi, prima che lui li voltasse di nuovo sul suo dipinto. Mi chinai e iniziai a frugare nello zaino in cerca della bottiglietta d’acqua, in modo da placare la mia sete improvvisa dovuta dall’ansia.

    Non ero mai stato rifiutato in un nightclub, nemmeno una volta da che mi ricordassi, ma questa volta era una situazione del tutto diversa, e avrebbe potuto diventare benissimo il mio primo rifiuto. Tergiversai ancora un po’ giocherellando nervosamente con la cerniera dello zaino e bevendo sorsate inutili del liquido ormai tiepido. E se quel ragazzo fosse stato etero o fidanzato? E se non fosse interessato a me?

    Dalla mia posizione riuscivo a vedere bene non solo lui, ma anche ciò che stava dipingendo. Aveva certamente del talento, perché gli acquerelli miscelati sulla sua tavolozza venivano usati con cognizione di causa. Anche se quel quadro mi stava affascinando, il suo creatore catturava molto di più il mio interesse. Quando inclinò la testa di lato, i suoi capelli colore del grano gli scivolarono su una guancia, e il riflesso del sole li fece sembrare onde di seta; fu in quel preciso istante che iniziai a scrivere le prime righe di questa nuova storia nella mia testa. Aveva il labbro superiore pizzicato delicatamente in mezzo ai denti per la concentrazione, ed era così assorto che sembrava del tutto ignaro di ciò che lo circondava, me compreso.

    Negli ultimi mesi avevo fatto qualche domanda in giro agli altri studenti della mia classe e, a parte scoprire che era un pittore solitario, non ero riuscito a sapere niente altro. Anche quando lo avevo indicato direttamente, nessuno era stato in grado di dirmi il suo nome o da dove venisse. Nessuno di loro frequentava le sue stesse classi, mentre altri mi avevano detto di averlo visto con un paio di ragazzi in qualche occasione, ma nulla più.

    Era più basso di me, ma aveva un bel fisico costruito. Fissai le sue cosce muscolose che riempivano i jeans, il tessuto teso per via della posizione. Indossava una maglietta grigia sbiadita, con delle scritte indecifrabili e un qualcosa di artistico, Picasso o forse Dalì. Peli biondi gli ricoprivano le braccia abbronzate, conseguenza dello stare seduto al sole di mezzogiorno per ore, almeno così credevo. Il suo mento arrotondato aveva una barbetta bionda e mi chiesi quale sensazione avrei provato nel sentire la sua barba sulla mia pelle, nel caso ci fossimo baciati, o mentre le sue labbra scendevano lungo il mio torace. Rabbrividii arrapato e per poco non gemetti.

    Un altro movimento della testa mi segnalò che l’artista aveva spostato la sua attenzione sul palazzo. Decisi di non allontanarmi da lui, ingoiai la mia ansia e mi passai nervosamente le mani nei capelli. Finalmente i nostri occhi si incontrarono e nessuno dei due provò a distogliere lo sguardo. Grandi occhi grigio blu si fissarono su di me e la tristezza che emanavano mi fece quasi sussultare. Mi chiesi se fosse troppo solo. Lentamente, le mie labbra formarono un sorriso gentile, e ne ricevetti anch’io uno in cambio. Per un istante i suoi occhi si illuminarono, trasmettendomi un brivido benaccetto sulla mia pelle bollente. Spostammo entrambi lo sguardo sul suo quadro, ma poi lo riportammo ognuno sull’altro.

    Raccolsi tutto il mio coraggio e, non avendo più paura di essere rifiutato, visto quel luccichio magico nei suoi occhi, mi alzai e mi incamminai verso di lui, mantenendo lo sguardo sulla tela. Mi concessi il tempo sufficiente per ammirare il suo lavoro prima di dire qualsiasi cosa.

    «Hai catturato il colore della pietra in modo egregio.» Sperai che fosse un commento abbastanza intelligente e che non desse l’impressione di essere ostentato. «Mi piace anche molto il modo in cui hai sfumato i bordi di quelle nuvole.» Guardai il cielo e il disegno per poter fare una comparazione, aspettando una risposta o almeno un segno che aveva capito.

    Il ragazzo annuì pensieroso e, scrutando il suo lavoro, sembrò valutarlo anche lui.

    «Grazie.» La sua voce era timida e gentile. «Non l’ho ancora finito.»

    «Ti dispiace se ti guardo dipingere ancora per un po’?»

    «No, fai pure.» Le sue guance arrossirono.

    Camminai attorno al tavolo da picnic e mi sedetti accanto a lui. «Sono Benjamin, ma preferisco Ben.»

    «Vinnie.» Un sorriso illuminò ancora il suo viso, e mi colpì la consapevolezza di quanto fosse bello quando sorrideva. Dopo aver risciacquato il pennello nell’acqua sporca, lo intinse nel verde per dipingere quella che era l’erba davanti al palazzo. «O Vincent, se proprio vuoi.»

    «Come Vincent Van Gogh?» risi compiaciuto, perché non solo ero riuscito a sapere il suo nome, ma gli avevo anche mostrato che conoscevo qualcosa del mondo dell’arte.

    «Sì, ci hai preso. I miei genitori amavano il suo lavoro tanto che avevano appeso delle sue stampe sulle pareti di casa nostra e anche loro amavano dipingere seguendo il suo stile.» Picchiettò poi una sfumatura di verde più scuro in primo piano con un pennello più sottile, per dare un po’ più di consistenza. Il suo sorriso svanì e mi chiesi se la tristezza che percepivo in lui era per via dei suoi genitori.

    Volevo mantenere la conversazione attiva, così aggiunsi: «Studi Arte? O è solo un hobby?»

    «Mi sono laureato in Arte e ormai ho quasi finito. Domani pomeriggio avrò la valutazione finale del mio portfolio, poi la sera ci sarà la mostra per le famiglie e gli amici che durerà fino a sabato e poi qui avrò chiuso per sempre. Tre anni fatti e finiti, se Dio vuole.»

    All’inizio la sua voce aveva trasudato entusiasmo, per poi diventare trepidante. Mi chiesi se fosse preoccupato per la mostra, oppure se stava per intraprendere una nuova fase della sua vita. In quel caso potevo capirlo.

    Indicai il lavoro davanti a lui. «Questo allora non farà parte della mostra?»

    Scosse il capo. «No, ho già dipinto questo scenario molte volte prima d’ora. Quello che verrà esposto è fatto con i colori acrilici sullo stile degli ultimi lavori di Van Gogh.» Annuii come se avessi capito ciò a cui alludeva.

    Osservai Vinnie applicare altro colore per completare i dettagli più piccoli del suo quadro. Era veramente bello. Anche se il palazzo aveva una valenza storica, il soggetto di per sé non era di particolare ispirazione, almeno per me. Evidentemente, però, doveva essere stato attratto da qualche particolare, visto che lo aveva dipinto altre volte prima di allora. O forse era solo un posto comodo e piacevole per sedersi e dipingere.

    «La bravura sta nel sapere quando smettere, soprattutto quando si usano gli acquerelli. Se non altro, con i colori a olio puoi sempre farli asciugare e poi aggiungercene un altro po’, se si vuole cambiare o migliorare qualcosa.» Risciacquò il barattolo e i pennelli con dell’acqua pulita e li asciugò con della carta assorbente.

    Quando realizzai che stava mettendo via le sue cose, mi feci venire in mente qualcosa per poterlo trattenere ancora un po’. «Cosa pensi di fare adesso che hai finito l’università?»

    Vinnie si fermò. «Lavoro già part-time in un negozio che vende attrezzatura per dipingere che si trova lungo il fiume che costeggia Bridge Street. Hai presente quello che ha la galleria d’arte e il bar attigui?» Annuii, perché lo conoscevo. «Durante l’estate ci lavoro a tempo pieno e mi divido tra il negozio e le ore in cui insegno arte ai bambini.»

    Mio padre possedeva un’attività rivale dall’altra parte della città, insieme ad altri dodici negozi, sparsi nelle cittadine vicine e non era il caso di menzionargli che stava facendo di tutto per fare uscire il suo datore di lavoro dal mercato. Se solo lo avessi conosciuto prima, forse avrei potuto farlo assumere per un lavoro estivo in uno dei nostri negozi. «Non torni a casa dei tuoi genitori, allora?» Non appena quelle parole mi uscirono di bocca, rimpiansi subito la mia superficialità. Vinnie infatti abbassò subito lo sguardo e riprese a impacchettare le sue cose.

    «No, per ora rimango qui. Ho pagato l’affitto del mio monolocale per i prossimi due mesi e mio fratello vive vicino a St. Helens.» Non menzionò i suoi genitori. «E che mi dici di te?»

    Risi imbarazzato. «Mia madre insiste ancora perché facciamo le vacanze tutti insieme, nonostante io abbia ventitré anni. Così il mese prossimo andrò in Toscana con i miei genitori e mio fratello, per tre settimane. E poi mi sa che dovrò aiutare mio padre nel lavoro di famiglia. Non ne sono ancora sicuro, però.»

    «Ventitré?» domandò Vinnie. «Anche io mi sono preso due anni sabbatici prima di iniziare l’università.»

    Sorrisi, realizzando che eravamo coetanei. «In quel periodo ho lavorato per mettere da parti i soldi per pagarmi i tutor, anche perché non volevo avere un debito studentesco troppo alto, quando avessi finito.»

    Io invece non mi ero mai dovuto preoccupare di pagarmi il tutor o qualsiasi altra cosa. Mio padre provvedeva a tutto quello che mi serviva e non era la prima volta che mi sentivo in colpa per questo. «Ho viaggiato per diciotto mesi in giro per l'Europa, prima di decidere cosa volessi fare, e poi ho aiutato mio padre nel suo lavoro finché non ho iniziato a frequentare questa Università.»

    Vinnie aggrottò la fronte. Aveva sistemato tutte le sue cose nello zaino ed era pronto ad andare, ma rimase seduto, il che era un buon segno. La tela si trovava sul tavolo da picnic e si stava asciugando al sole. «Allora qual è il tuo corso di laurea?» Sembrava che fosse seriamente interessato.

    «Letteratura inglese e musica.»

    Vinnie annuì, increspando le labbra mentre pensava alla domanda successiva. «Quale strumento suoni?»

    Sorrisi felice, vedendo che voleva scoprire qualcosa di più su di me, mostrando il suo interesse nel conoscermi. «Pianoforte, violino, chitarra… E i cucchiai.» Provai a scherzare sperando di ricevere un altro sorriso da parte sua.

    Vinnie aggrottò le sopracciglia per un attimo ma poi si mise a ridere insieme a me, battendo a ritmo le mani sulle cosce come se stesse suonando dei cucchiai invisibili, poi mi chiese: «E quale carriera ti piacerebbe davvero seguire?»

    Alzai le spalle. «A essere onesto, non ne sono ancora sicuro. Mio padre vorrebbe che seguissi le sue orme, ma a me piace scrivere. Credo che potrei fare entrambe le cose.»

    «Tu scrivi?»

    «Sì, narrativa, romanzi gay e fantasy quando ho del tempo libero. O almeno ci provo.» Mi piacque il fatto che Vinnie non sbiancasse alla parola gay e in effetti i suoi occhi si illuminarono, quando pronunciai quella parola. «Ne ho moltissimi scritti solo per metà, e devo trovare il tempo per editarli e finirli, almeno i migliori. Non che poi qualcuno sia interessato a leggere quello che scrivo.»

    «Dovresti inviarli a una casa editrice, non si sa mai.» Aveva davvero gli occhi più belli che avessi mai visto. Blu, anche se non blu del tutto, perché avevano una sfumatura di grigio scuro.

    «Di quale colore diresti che siano i tuoi occhi?» Rabbrividii quando mi resi conto che gli avevo davvero fatto quella domanda.

    Arrossì, distogliendo lo sguardo da me e iniziò a frugare nello zaino in cerca della scatola dei colori. Le sue dita esili tirarono fuori un tubetto, il cui cappuccio era di un colore simile a quello dei suoi occhi.

    «Azzurro mare, penso. Un mix di blu pallido e grigio,» suggerì, mostrandomi il nome sull'etichetta.

    Presi il tubetto e osservai il colore. Guardai i suoi occhi e sorrisi, prima di ridarglielo. «Sì, sembrano proprio loro.»

    Rimise a posto il colore, e tirò fuori una busta, poi si alzò. «Parlando di scrivere, devo imbucare questa lettera per mio fratello in modo che gli arrivi entro domani. È il suo compleanno.»

    «Non hai mai sentito parlare del telefono o dell'e-mail?»

    «Non ho né un cellulare né un computer.» Arrossì. «Tutti i miei soldi vanno nell'attrezzatura per dipingere, per l'affitto e per il cibo. Non ho mai voluto avere debiti o dover restituire dei soldi a qualcuno.»

    Alzai un sopracciglio sorpreso. Non riuscivo a immaginare la mia vita senza il cellulare, il Mac o nessuno di tutti i lussi che mi aveva concesso mio padre negli ultimi tre anni. La maggior parte degli studenti che conoscevo aveva più o meno degli strumenti moderni, e cavolo, a quel punto non avrei nemmeno potuto chiedergli il numero di telefono per rimanere in contatto.

    «E poi a me piace scrivere. Alcune volte gli allego anche un disegno fatto apposta per lui.»

    Si mise lo zaino sulle spalle.

    «Buona fortuna per la valutazione e per la mostra della prossima settimana.»

    «Grazie.»

    Fece per andarsene, ma poi si fermò. «Potresti sempre passare alla mostra sabato sera, se volessi vedere qualcosa di più dei miei lavori,» si offrì Vinnie, anche se il dubbio era chiaro nel suo timbro di voce. «Mi piace contare su tutto il supporto che posso avere. La mostra si terrà nel dipartimento di arte. Ci sono poster sparsi ovunque in Università con tutti i dettagli.»

    Anche se dentro di me stavo esultando, cercai di mantenere uno sguardo serio. «Potrei anche venire.»

    «L'ingresso è gratuito,» aggiunse sorridendo.

    Come se quella cosa avesse potuto fare differenza per me. «Allora spero di vederti là,» gli sorrisi di rimando.

    «Ci vediamo,» disse prima di andarsene.

    Rimasi seduto lì e lo guardai andare via finché scomparve dalla mia vista, apprezzando in modo lussurioso il suo lato B. I jeans gli aderivano ai fianchi stretti e il mio uccello si contrasse al solo pensiero di vedere quel culo nudo.

    Mi trattenni per un’altra decina di minuti, crogiolandomi al sole del tardo pomeriggio. Avrei voluto tirare un pugno in aria, perché alla fine ero riuscito a parlare con lui. Sabato sera non sarebbe mai arrivato tanto presto e, anche se non si trattava di un appuntamento nel senso stretto del termine, speravo che avrebbe potuto condurre a uno vero.

    Qualcosa che non avevo più avuto da lungo tempo. L'idea di portare Vinnie in vacanza in Italia con noi mi passò per la testa e avrei potuto anche convincere facilmente i miei. Risi di me stesso, perché prima di tutto avrei dovuto concentrarmi sul riuscire a ottenere un appuntamento. L'idea di dividere la mia camera d’albergo con lui per tre settimane mi stava facendo sorridere da un orecchio all'altro, finché non mi ricordai che lui

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