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La tecnica e la “terra senza il male”
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La tecnica e la “terra senza il male”
E-book72 pagine57 minuti

La tecnica e la “terra senza il male”

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Società e scienze sociali - saggio (54 pagine) - La scienza deve tornare a essere pensiero unificante, ma rinunciando alla sua aura redentrice, trascendente. Deve tornare a farsi modello di ragionamento, non modello di perfezione.


Questo secondo saggio di Maurizio Chatel nasce dalla “matrice” di problemi posti nella sua precedente riflessione (L’opinione pubblica tra filosofia e social network¸ TechnoVisions n. 34, Delos Digital, 2021) sulla dicotomia tra opinione e scienza. Oggi si pensa alla filosofia come a qualcosa di alternativo alla scienza e soprattutto alla tecnica, ma occorre tenere presenti due fatti: 1) la scienza attualmente più avanzata e specialistica, la fisica delle particelle, è ancora espressione di quella ricerca dell’Unità del Tutto che è all’origine del pensiero filosofico occidentale 2) la ricerca filosofica dell’Unità – Henosis – non solo è comune a tutte le visioni speculative espresse dall’umanità, ma ha segnato tutta la nostra storia allacciando per millenni il comune destino di metafisica e scienza, certamente da Platone fino a Leibniz. Occorre allora chiarire, in modo non specialistico ma con un linguaggio “comune”, di cosa si parla quando si parla di metafisica. Il compito di un “pensare filosofico” che si faccia di nuovo teoria – metafisica – e non solo pratica può essere quello di capovolgere l’idea corrente di scienza, intesa come strumento di Salvezza (in senso escatologico), come una sorta di esercizio di perfezionamento (ascesi) che può farci trascendere i nostri limiti. La scienza deve tornare a essere pensiero unificante, ma rinunciando alla sua aura redentrice, trascendente. Deve tornare a farsi modello di ragionamento, non modello di perfezione.


Professore di storia e filosofia in pensione, Maurizio Chatel esercita l’attività di consulente filosofico – in privato e per le istituzioni pubbliche – e pubblicista. Ha diretto una casa editrice digitale di testi scolastici, BBN-Giunti scuola e pubblicato saggi di storia e filosofia per le scuole superiori. Negli anni Ottanta e Novanta ha collaborato col Ministero della pubblica istruzione nel campo della formazione docenti, con stage e pubblicazioni. Scrive per Gazzetta filosofica e SoloTablet.

LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2021
ISBN9788825416817
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    La tecnica e la “terra senza il male” - Maurizio Chatel

    La filosofia in un’equazione

    «La natura ama nascondersi», scrisse un celebre sapiente ellenico duemilacinquecento e cinquant’anni fa. Oggi, un fisico italiano pubblica un saggio dal titolo «La realtà non è come ci appare».¹ La differenza è notevole: Eraclito (l’autore dell’antico aforisma) era un pensatore solitario, un individuo speciale anche per i suoi tempi, un genio (forse) colpito da un’intuizione inspiegabile. Rovelli no: è uno delle migliaia di scienziati che oggi popolano gli istituti di ricerca più avanzati, uno che scrive (bene) esattamente ciò che tutti i suoi colleghi pensano e affermano ogni giorno. È così che l’intuizione di Eraclito è stata assunta a dato di fatto. Ma per chi?

    Eraclito era soprannominato L’oscuro: il dicitore di un pensiero criptico e oracolare, inciso in enunciati stringati e sfuggenti, il cui significato poteva irradiarsi in ogni direzione senza indicare nulla di concreto, di afferrabile. Ma ora prendiamo in considerazione questo enunciato:

    Rab – gab = Tab

    che, leggo Rovelli, esprime la qualità della materia in relazione alla curvatura dello spazio (il che, detto in poche parole, significa: la formula che esprime l’essenza geometrica dell’Universo). Potremmo affermare, nel confronto, che l’oscurità della filosofia è un sole di immensa luminosità di fronte alla chiarezza della scienza. Che la formula citata da Rovelli sia un dato di fatto è convinzione di alcuni (molti) specialisti, a cui noi, gente comune, ci affidiamo fiduciosamente, assumendo che il linguaggio della fisica esprima la più coerente delle visioni del mondo possibili. Un dato di fatto che si appoggia nient’altro che su una convenzione. Questo atteggiamento di abbandono nelle braccia del sapere di pochi non è una novità; ai tempi di Dante, affermare che sulla faccia della Luna vi sono delle macchie era assai pericoloso, e la loro consistenza era derubricata (dai teologi aristotelici, i fisici del Duecento) a congenita malformazione dell’occhio umano. Sapere di pochi, fiducia di tutti. Così va il mondo.

    Perché tutto questo discorso? Non è certo mia intenzione seminare sfiducia nei confronti della scienza; al contrario, è mio intendimento ricostruire un rapporto di fiducia tra scienza e filosofia, che, non solo per la ragione sopra riportata, hanno importanti punti in comune. La natura elitaria del loro linguaggio è una questione di poco conto: basta studiare ed applicarsi e né l’una né l’altra avranno più segreti. Il punto è un altro, ben più rilevante: la fisica contemporanea riassume in sé quello spirito di ricerca che caratterizzò la nascita del pensiero greco, una ricerca volta alla comprensione dell’essenza fondamentale dell’Universo, che è poi come dire della vita. La ricerca della particella elementare, da un lato, e della teoria che unifichi la Relatività e la Meccanica quantistica, dall’altro, sono le due facce di una stessa medaglia: l’anelito (come chiamarlo, altrimenti) del pensiero all’Unità del sapere, ad una visione coerente e inconfutabile del Tutto, espressa attraverso un metodo razionale. Da Parmenide (contemporaneo di Eraclito) dire l’Essere in una formula – l’essere è, il non essere non è – è considerata l’espressione più alta dell’intelligenza umana; da Einstein a noi, questo sogno lo realizzano le formule matematiche, questa possibilità è nello stesso tempo data ma sfuggente.

    L’unità primordiale – Henosis in greco – è ciò di cui si occuparono i primi pensatori dell’Occidente ma non è certamente estranea alle culture orientali; ma che cosa rappresenta, nel mondo dei significati? Martin Heidegger sosteneva che non è possibile cercare qualcosa di cui non si sappia l’esistenza: si cerca un tesoro a partire da una mappa, si è cercato, e trovato, il bosone di Higgs a partire da una formula. Ma l’Unità è un’idea, di essa non c’è traccia nella realtà, che appare ad ogni piè sospinto come un caos da ricomporre. La scienza ci appare, nella sua sostanza, come la cosa più concreta tra tutte, la più legata ai fatti, o fenomeni, e la meno speculativa tra le dottrine umane; eppure da più di un secolo proprio la più dura tra le discipline scientifiche, la fisica, è alla caccia di un’idea, si arrovella con accanimento su un principio che è quanto di più lontano dai sensi si possa pensare. Tutto ciò che la fisica quantistica ha finora scoperto nel mondo della materia appare solo come un gradino in più, dietro il quale si aprono nuovi interrogativi e nuove ricerche, la cui direzione è però ostinatamente marcata: il mattone dell’universo o la Teoria del Tutto. Ma che cos’è il Tutto? È il multiverso o il nulla senza senso? Possiamo ancora chiamare scienza questa ricerca? O non è filosofia?

    Il principio di unità è talmente pervasivo nella nostra mentalità che ad esso volgiamo ogni nostro sforzo. Già il pensiero mitico ne era perfettamente consapevole, a cominciare dal mito della Torre di Babele. La sua narrazione procede in senso inverso, dall’unità della lingua alla sua deflagrazione, ma il senso è lo stesso: c’era

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