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Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso
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Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso
E-book154 pagine2 ore

Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso

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Info su questo ebook

Nel linguaggio quotidiano il fondamentalista è il fanatico (soprattutto musulmano) che si fa esplodere in mezzo alla folla, o l’intransigente uomo di religione che mira ad asservire lo Stato alle leggi divine. In realtà questa accezione generica e scientificamente inesatta ha poco o niente a che vedere con il significato originario. Il fondamentalismo è nato nell’America protestante di fine ‘800 – inizio ‘900, ed il termine è servito ad autodefinire una corrente teologica interdenominazionale strutturatasi in risposta all’incedere della teologia liberal. È a partire grosso modo dagli anni ’80 del ‘900 che il termine ha assunto il senso a noi più familiare, e cioè nel momento in cui è stato utilizzato da alcuni studiosi e giornalisti per indicare il fenomeno della reviviscenza della religione. Fondamentalismo è diventato così una categoria concettuale, una sorta di definizione ombrello sotto cui raccogliere i più disparati movimenti. Questo Fondamentalismo idealtipico, spesso contrapposto alla Modernità, non è che un’invenzione del pensiero occidentale, ed è dalla precisa volontà di sottoporre ad un serio esame critico la validità di simile accezione che nasce tale lavoro.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2016
ISBN9788892613454
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    Anteprima del libro

    Fondamentalismo - Marco Giglioli

    INDICE

    Premessa

    Introduzione

    Capitolo primo

    Il fondamentalismo protestante originario

    I. Il background

    II. Da corrente teologica a movimento organizzato

    III. Apice e declino

    IV. Il processo Scopes

    V.Conclusione

    Capitolo secondo

    Dal fondamentalismo ai ‘fondamentalismi’

    I. L’evoluzione americana

    II. La rivoluzione iraniana e i suoi effetti

    III. Nuovi significati

    IV. Oltre la modernità

    Capitolo terzo

    Tipo ideale o movimento?

    I. Un’ ‘invenzione’ occidentale

    II. L’Io e l’Altro: logiche manichee

    III. Identità in frantumi

    Conclusione

    BIBLIOGRAFIA

    MARCO GIGLIOLI

    Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso

    Autore | Marco Giglioli

    ISBN | 9788892613454

    Prima edizione digitale: 2016

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    «Finisce che si dipende

    dalle creature fatte da noi»

    Goethe, Faust

    Premessa

    L’obiettivo di questo lavoro non è tanto esaminare e descrivere nel dettaglio i numerosi movimenti che al giorno d’oggi, da più voci, vengono definiti fondamentalisti, quanto, come espressamente dichiarato nel titolo, ricostruire nei tratti e nei momenti più significativi le tappe della storia di un termine dalle alterne vicende e dai risvolti semantici non sempre chiari. Non si tratta di compilare un elenco sostanzialmente descrittivo, ma di offrire una traccia cronologicamente certa degli usi e degli abusi che tale termine ha subito nel corso degli anni.

    Nel primo capitolo, pertanto, cercherò di spiegarne l’origine, facendo attenzione a dipingere con la maggior precisione possibile il contesto che l’ha partorito, e cioè l’America protestante di fine ‘800 inizio ‘900.

    Ne seguirò poi (nel secondo capitolo) la decadenza e il lento riaffiorare a partire dagli anni ’80 del ‘900 (quando alcuni eventi sconfessarono la certezza del declino inesorabile della religione), fino alla fama acquistata con l’età contemporanea, soprattutto in seguito agli attentati di matrice islamica, dando spazio ad un confronto tra il fondamentalismo ‘primordiale’ ed uno più vicino alla nostra sensibilità, che faccia risaltare le differenze e il mutamento di paradigma occorso.

    Il terzo capitolo, infine, sarà dedicato ad una più approfondita analisi (con occhio critico) della sua appropriazione, e significativa rielaborazione, operata in particolar modo dagli specialisti dei vari settori (sociologi, storici, etc.) che ravvisando, come essi stessi dicono, la comparsa sulla scena mondiale di un fenomeno nuovo, hanno avvertito il bisogno di trovargli un nome appropriato.

    È questa una tripartizione che, nella sua andatura decostruzionista (tesa cioè a smontare il tradizionale rapporto tra oggetto del conoscere e soggetto), si avvarrà di un eterogeneo materiale bibliografico che, al fianco di studi prettamente storici, comprende anche lavori ed articoli di carattere filosofico, sociologico ed antropologico. Basilari saranno ovviamente quelle monografie specificatamente interessate a presentare una panoramica generale del Fondamentalismo nelle sue singole manifestazioni (dal Fundamentalism Project, monumentale opera in cinque volumi, ai contributi di, per citarne solo alcuni, Caplan, Kepel e Lawrence o, in lingua italiana, di Pace e Guolo, Allievi o Giammanco); ad ogni modo, fonti altrettanto importanti saranno costituiti dagli studi di settore (come quelli, ad esempio, di Marsden sul fondamentalismo protestante) e dai saggi che gettano luce sugli scenari in cui si articolano le diverse proposte ‘fondamentaliste’ (si pensi a Campanini e Donini per il Medio Oriente, Ahlstrom per la storia religiosa dell’America, etc.). D’altro canto, per quanto riguarda il metodo d’indagine, che si inquadra nella prospettiva storico- e socio-religiosa, presterò attenzione ai più recenti sviluppi della riflessione sul soggetto e sulle dinamiche della contemporaneità (Derrida, Amselle, Bauman e altri ancora), che, in un’ottica postmoderna, pongono in questione il tradizionale approccio ‘eurocentrico’ all’oggetto di studio, all’alterità.

    Allo scopo di evitare di incorrere in conclusioni nichilistiche, che mettano in dubbio la stessa possibilità di conoscere, rendere maggiormente conoscibile l’oggetto del lavoro e i fenomeni di sfondo, tenterò, per quanto possibile, di evidenziare sempre la dimensione storica e fondante dei problemi di volta in volta affrontati, facendo leva, ed è questo il piano costruttivo del lavoro, sulle differenze, che aiutino a capire meglio le realtà affrontate e a trovarvi, se mai ci fossero, elementi in comune.

    Per la dichiarata struttura circoscritta alla storia del termine (dalla sua comparsa alla sua reinvenzione), questo lavoro non approfondirà fino in fondo l’efficacia di quello che rimane uno spunto interpretativo, un’ipotesi metodologica. Il suo fine è smontare le pretese di un concetto categorizzante a mio avviso arbitrario e cacofonico; altri, se vorranno, potranno adoperarsi, in varia misura e sulla base di simili indicazioni, a ricomporne di nuovi. Qui non è in gioco la storicità di un termine, ma l’impiego sfrontato e sregolato che se ne è fatto a prescindere da essa, anche sull’onda delle smentite alle teorie classiche della secolarizzazione: un modo improprio e scientificamente insostenibile di stravolgerne il significato e di ingrandirne i confini semantici fino a farne una definizione-ombrello di efficacia e funzionalità minime o addirittura nulle.

    Mi si potrà forse obiettare che un esame particolareggiato dei singoli casi ‘accusati’ di fondamentalismo avrebbe permesso una più accurata valutazione ed un giudizio più sereno. Questo è vero, come è vero che un compito di questo genere richiederebbe lo sforzo congiunto di esperti dei vari ambiti storico-religiosi; e del resto, per mia parte, ne avrebbe perso l’impianto in primo luogo storico e, in secondo luogo, logico, del progetto che ho inteso realizzare, con il rischio di scivolare ad ogni passo in una compilazione didascalica, per giunta non specialistica. Certamente non tutti gli aspetti e le implicazioni, conseguenti all’accostamento ad un tema come il Fondamentalismo, hanno avuto la stessa risonanza o ricevuto l’attenzione che meritavano, ma si è reso necessario, vista la labirintica vastità dell’argomento e dei rimandi che presenta, rispettare a maggior ragione un principio di coerenza piuttosto che di completezza. Con ciò, tuttavia, non pretendo di essere esente da eventuali lacune, più o meno volontarie, riscontrabili nel corso di queste pagine. Mi scuso, inoltre, sin da adesso, per gli errori commessi o per le possibili inesattezze a proposito della trascrizione grafica delle parole e delle locuzioni arabe e persiane, nonché delle imprecisioni cronologiche o terminologiche che i lettori più attenti riusciranno a scovare. Spero, parafrasando M. Berengo¹, che essi sappiano comunque e soprattutto cogliere gli interessi che mi hanno animato e i propositi da cui sono stato mosso (nello specifico, la smisurata diffusione di un termine e la volontà di sottoporne al vaglio critico la validità), e insieme i limiti che mi sono fissato, che sono quelli di una ricostruzione storica ben circoscritta, e, aggiungerei, i risultati che sono eventualmente riuscito ad ottenere.

    ¹ M. Berengo, 1999: L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna, Einaudi, Torino, p. xi.

    Introduzione

    Le generalizzazioni sono, nella maggior parte dei casi, antipatiche, quando non proprio pericolose. Esse tendono ad accostare, con una buona dose di arbitrio, elementi obiettivamente distanti o quanto meno distinti fra loro. Il tutto, solitamente, allo scopo di dimostrare un’ipotesi formulata a priori.

    Questo procedimento, che va dall’uno ai molti per fare ritorno all’uno, pur aspirando a presentarsi come puro modello induttivo, poggia su piedi di argilla: innanzitutto perché prende le mosse da un assunto che si ritene universale già prima di averlo verificato, condizionando in tal modo gli sviluppi successivi del discorso; quindi perché quei molti che raccoglie sono in realtà scelti al fine di confermare quello stesso assunto. H. G. Gadamer, a proposito della «struttura circolare dell’interpretazione», sosteneva che «la comprensione del testo è permanentemente determinata dal movimento anticipante della precomprensione»²; l’abilità dell’interpretans risiederebbe dunque nel mettere alla prova i propri ‘pregiudizi’ alla luce dell’interpretandum. Quando ciò non avviene, quando cioè l’idea di partenza non è sottoposta al vaglio critico dei dati empirici, è facile cadere nella trappola della generalizzazione, che col tempo rischia di trasformarsi in stereotipo. In sintesi, potremmo dire, prendendo a prestito le parole di J.L. Amselle, che la definizione di un oggetto dipende dal «posto occupato dall’osservatore e dunque dalloscopo che si vuole raggiungere»³. Ma chi è che detiene questo potere di definizione?

    Nel mondo contemporaneo, sempre più interessato da quella che Bassam Tibi chiama ‘globalizzazione strutturale’⁴, i mass media sembrano rappresentare in qualche modo la corsia preferenziale per la diffusione della cultura. Non mi spingerei a sottoscrivere l’affermazione per cui «il regime corporativo dei media costituisce il pilastro ideologico più importante della società moderna», non condividendone l’ansia da ‘cospirazione’ che vi traspare, ma ritengo verosimile che «la conoscenza, o percezione, che le masse hanno dell’Altro avviene attraverso i media»⁵. È inutile dire che l’impressione che si ricava da un ‘prodotto’, dedotta almeno inizialmente dalla sua ‘confezione’, condiziona inesorabilmente il giudizio.

    L’ Altroche a noi qui interessa, per arrivare così a definire l’oggetto di questo lavoro, ha la forma e l’aspetto di quel ‘fenomeno’ che prende il nome di ‘fondamentalismo’. Presentato al vasto pubblico all’indomani della rivoluzione iraniana del 1979 e dei successi della Destra religiosa negli Usa sotto la presidenza Reagan, esso ha subito, sin dall’inizio, una categorizzazione concettuale, con un conseguente e graduale slittamento di senso. Attraverso un uso che ne ha quasi ignorato o stravolto l’origine e il contesto storico-religioso e sociale di nascita, esso è servito sempre più ad indicare (per l’appunto come nuova categoria del pensiero), da un lato, l’atteggiamento oltranzista proprio di certo Islām, spesso e volentieri in relazione al terrorismo, dall’altro qualsiasi ideologia ritenuta fanatica o in contrasto con la società dominante⁶. L’impiego che se ne è fatto ha prodotto una straboccante serie di aggettivazioni, una grave corruzione del significato contestuale ma soprattutto, nell’opinione pubblica (in special modo a seguito degli attentati dell’11 settembre), la convinzione che i musulmani siano tutti ‘fondamentalisti’⁷: che questa convinzione sia stata propagandata allo scopo di sostenere l’idea di un celebre quanto fantomatico scontro di civiltà, o semplicemente per esigenza di sintesi, non è poi così importante; necessario è bensì tentare di raddrizzare (consapevoli della profondità delle sue radici) tale

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