Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso
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Anteprima del libro
Fondamentalismo - Marco Giglioli
INDICE
Premessa
Introduzione
Capitolo primo
Il fondamentalismo protestante originario
I. Il background
II. Da corrente teologica a movimento organizzato
III. Apice e declino
IV. Il processo Scopes
V.Conclusione
Capitolo secondo
Dal fondamentalismo ai ‘fondamentalismi’
I. L’evoluzione americana
II. La rivoluzione iraniana e i suoi effetti
III. Nuovi significati
IV. Oltre la modernità
Capitolo terzo
Tipo ideale o movimento?
I. Un’ ‘invenzione’ occidentale
II. L’Io e l’Altro: logiche manichee
III. Identità in frantumi
Conclusione
BIBLIOGRAFIA
MARCO GIGLIOLI
Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Fondamentalismo: contributo alla storia di un termine controverso
Autore | Marco Giglioli
ISBN | 9788892613454
Prima edizione digitale: 2016
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
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«Finisce che si dipende
dalle creature fatte da noi»
Goethe, Faust
Premessa
L’obiettivo di questo lavoro non è tanto esaminare e descrivere nel dettaglio i numerosi movimenti che al giorno d’oggi, da più voci, vengono definiti fondamentalisti, quanto, come espressamente dichiarato nel titolo, ricostruire nei tratti e nei momenti più significativi le tappe della storia di un termine dalle alterne vicende e dai risvolti semantici non sempre chiari. Non si tratta di compilare un elenco sostanzialmente descrittivo, ma di offrire una traccia cronologicamente certa degli usi e degli abusi che tale termine ha subito nel corso degli anni.
Nel primo capitolo, pertanto, cercherò di spiegarne l’origine, facendo attenzione a dipingere con la maggior precisione possibile il contesto che l’ha partorito, e cioè l’America protestante di fine ‘800 inizio ‘900.
Ne seguirò poi (nel secondo capitolo) la decadenza e il lento riaffiorare a partire dagli anni ’80 del ‘900 (quando alcuni eventi sconfessarono la certezza del declino inesorabile della religione), fino alla fama acquistata con l’età contemporanea, soprattutto in seguito agli attentati di matrice islamica, dando spazio ad un confronto tra il fondamentalismo ‘primordiale’ ed uno più vicino alla nostra sensibilità, che faccia risaltare le differenze e il mutamento di paradigma occorso.
Il terzo capitolo, infine, sarà dedicato ad una più approfondita analisi (con occhio critico) della sua appropriazione, e significativa rielaborazione, operata in particolar modo dagli specialisti dei vari settori (sociologi, storici, etc.) che ravvisando, come essi stessi dicono, la comparsa sulla scena mondiale di un fenomeno nuovo, hanno avvertito il bisogno di trovargli un nome appropriato.
È questa una tripartizione che, nella sua andatura decostruzionista (tesa cioè a smontare il tradizionale rapporto tra oggetto del conoscere e soggetto), si avvarrà di un eterogeneo materiale bibliografico che, al fianco di studi prettamente storici, comprende anche lavori ed articoli di carattere filosofico, sociologico ed antropologico. Basilari saranno ovviamente quelle monografie specificatamente interessate a presentare una panoramica generale del Fondamentalismo nelle sue singole manifestazioni (dal Fundamentalism Project, monumentale opera in cinque volumi, ai contributi di, per citarne solo alcuni, Caplan, Kepel e Lawrence o, in lingua italiana, di Pace e Guolo, Allievi o Giammanco); ad ogni modo, fonti altrettanto importanti saranno costituiti dagli studi di settore (come quelli, ad esempio, di Marsden sul fondamentalismo protestante) e dai saggi che gettano luce sugli scenari in cui si articolano le diverse proposte ‘fondamentaliste’ (si pensi a Campanini e Donini per il Medio Oriente, Ahlstrom per la storia religiosa dell’America, etc.). D’altro canto, per quanto riguarda il metodo d’indagine, che si inquadra nella prospettiva storico- e socio-religiosa, presterò attenzione ai più recenti sviluppi della riflessione sul soggetto e sulle dinamiche della contemporaneità (Derrida, Amselle, Bauman e altri ancora), che, in un’ottica postmoderna, pongono in questione il tradizionale approccio ‘eurocentrico’ all’oggetto di studio, all’alterità.
Allo scopo di evitare di incorrere in conclusioni nichilistiche, che mettano in dubbio la stessa possibilità di conoscere, rendere maggiormente conoscibile l’oggetto del lavoro e i fenomeni di sfondo, tenterò, per quanto possibile, di evidenziare sempre la dimensione storica e fondante dei problemi di volta in volta affrontati, facendo leva, ed è questo il piano costruttivo del lavoro, sulle differenze, che aiutino a capire meglio le realtà affrontate e a trovarvi, se mai ci fossero, elementi in comune.
Per la dichiarata struttura circoscritta alla storia del termine (dalla sua comparsa alla sua reinvenzione), questo lavoro non approfondirà fino in fondo l’efficacia di quello che rimane uno spunto interpretativo, un’ipotesi metodologica. Il suo fine è smontare le pretese di un concetto categorizzante a mio avviso arbitrario e cacofonico; altri, se vorranno, potranno adoperarsi, in varia misura e sulla base di simili indicazioni, a ricomporne di nuovi. Qui non è in gioco la storicità di un termine, ma l’impiego sfrontato e sregolato che se ne è fatto a prescindere da essa, anche sull’onda delle smentite alle teorie classiche della secolarizzazione: un modo improprio e scientificamente insostenibile di stravolgerne il significato e di ingrandirne i confini semantici fino a farne una definizione-ombrello di efficacia e funzionalità minime o addirittura nulle.
Mi si potrà forse obiettare che un esame particolareggiato dei singoli casi ‘accusati’ di fondamentalismo avrebbe permesso una più accurata valutazione ed un giudizio più sereno. Questo è vero, come è vero che un compito di questo genere richiederebbe lo sforzo congiunto di esperti dei vari ambiti storico-religiosi; e del resto, per mia parte, ne avrebbe perso l’impianto in primo luogo storico e, in secondo luogo, logico, del progetto che ho inteso realizzare, con il rischio di scivolare ad ogni passo in una compilazione didascalica, per giunta non specialistica. Certamente non tutti gli aspetti e le implicazioni, conseguenti all’accostamento ad un tema come il Fondamentalismo, hanno avuto la stessa risonanza o ricevuto l’attenzione che meritavano, ma si è reso necessario, vista la labirintica vastità dell’argomento e dei rimandi che presenta, rispettare a maggior ragione un principio di coerenza piuttosto che di completezza. Con ciò, tuttavia, non pretendo di essere esente da eventuali lacune, più o meno volontarie, riscontrabili nel corso di queste pagine. Mi scuso, inoltre, sin da adesso, per gli errori commessi o per le possibili inesattezze a proposito della trascrizione grafica delle parole e delle locuzioni arabe e persiane, nonché delle imprecisioni cronologiche o terminologiche che i lettori più attenti riusciranno a scovare. Spero, parafrasando M. Berengo¹, che essi sappiano comunque e soprattutto cogliere gli interessi che mi hanno animato e i propositi da cui sono stato mosso (nello specifico, la smisurata diffusione di un termine e la volontà di sottoporne al vaglio critico la validità), e insieme i limiti che mi sono fissato, che sono quelli di una ricostruzione storica ben circoscritta, e, aggiungerei, i risultati che sono eventualmente riuscito ad ottenere.
¹ M. Berengo, 1999: L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna, Einaudi, Torino, p. xi.
Introduzione
Le generalizzazioni sono, nella maggior parte dei casi, antipatiche, quando non proprio pericolose. Esse tendono ad accostare, con una buona dose di arbitrio, elementi obiettivamente distanti o quanto meno distinti fra loro. Il tutto, solitamente, allo scopo di dimostrare un’ipotesi formulata a priori.
Questo procedimento, che va dall’uno ai molti per fare ritorno all’uno, pur aspirando a presentarsi come puro modello induttivo, poggia su piedi di argilla: innanzitutto perché prende le mosse da un assunto che si ritene universale già prima di averlo verificato, condizionando in tal modo gli sviluppi successivi del discorso; quindi perché quei molti che raccoglie sono in realtà scelti al fine di confermare quello stesso assunto. H. G. Gadamer, a proposito della «struttura circolare dell’interpretazione», sosteneva che «la comprensione del testo è permanentemente determinata dal movimento anticipante della precomprensione»²; l’abilità dell’interpretans risiederebbe dunque nel mettere alla prova i propri ‘pregiudizi’ alla luce dell’interpretandum. Quando ciò non avviene, quando cioè l’idea di partenza non è sottoposta al vaglio critico dei dati empirici, è facile cadere nella trappola della generalizzazione, che col tempo rischia di trasformarsi in stereotipo. In sintesi, potremmo dire, prendendo a prestito le parole di J.L. Amselle, che la definizione di un oggetto dipende dal «posto occupato dall’osservatore e dunque dalloscopo che si vuole raggiungere»³. Ma chi è che detiene questo potere di definizione?
Nel mondo contemporaneo, sempre più interessato da quella che Bassam Tibi chiama ‘globalizzazione strutturale’⁴, i mass media sembrano rappresentare in qualche modo la corsia preferenziale per la diffusione della cultura. Non mi spingerei a sottoscrivere l’affermazione per cui «il regime corporativo dei media costituisce il pilastro ideologico più importante della società moderna», non condividendone l’ansia da ‘cospirazione’ che vi traspare, ma ritengo verosimile che «la conoscenza, o percezione, che le masse hanno dell’Altro avviene attraverso i media»⁵. È inutile dire che l’impressione che si ricava da un ‘prodotto’, dedotta almeno inizialmente dalla sua ‘confezione’, condiziona inesorabilmente il giudizio.
L’ Altroche a noi qui interessa, per arrivare così a definire l’oggetto di questo lavoro, ha la forma e l’aspetto di quel ‘fenomeno’ che prende il nome di ‘fondamentalismo’. Presentato al vasto pubblico all’indomani della rivoluzione iraniana del 1979 e dei successi della Destra religiosa negli Usa sotto la presidenza Reagan, esso ha subito, sin dall’inizio, una categorizzazione concettuale, con un conseguente e graduale slittamento di senso. Attraverso un uso che ne ha quasi ignorato o stravolto l’origine e il contesto storico-religioso e sociale di nascita, esso è servito sempre più ad indicare (per l’appunto come nuova categoria del pensiero), da un lato, l’atteggiamento oltranzista proprio di certo Islām, spesso e volentieri in relazione al terrorismo, dall’altro qualsiasi ideologia ritenuta fanatica o in contrasto con la società dominante⁶. L’impiego che se ne è fatto ha prodotto una straboccante serie di aggettivazioni, una grave corruzione del significato contestuale ma soprattutto, nell’opinione pubblica (in special modo a seguito degli attentati dell’11 settembre), la convinzione che i musulmani siano tutti ‘fondamentalisti’⁷: che questa convinzione sia stata propagandata allo scopo di sostenere l’idea di un celebre quanto fantomatico scontro di civiltà
, o semplicemente per esigenza di sintesi, non è poi così importante; necessario è bensì tentare di raddrizzare (consapevoli della profondità delle sue radici) tale