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L'aldilà e l'aldiquà
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L'aldilà e l'aldiquà
E-book171 pagine2 ore

L'aldilà e l'aldiquà

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Questo saggio narrativo che sembrerebbe parlare di “aldilà” (è un giallo per finta, non muore “davvero” nessuno), in realtà è una satira del vivere e morire “aldiquà”, in forma di ridanciana rapsodia della nostra vita, delle sue presunte certezze, delle sue magnifiche stupidità, delle sue sgangherate illusioni, ignoranze, proiezioni, giustificazioni, perversioni etiche e ostentazioni di fitness (della serie “vediamo chi ce l’ha più duro almeno in testa”). Sembra quasi rivolto alle donne in particolare, che di vita se ne intendono, come per una nostra tardiva esibizione di attributi maschili metaforici; non più temibili o sbeffeggiabili come quelli fisici, ma adottati come chiave di lettura per far loro capire la profonda natura “etero” dei nostri poveri cromosomi XY, compromessi dall’evoluzione, da eccessi di testosterone, da recente frustrazione e manie da Pigmalione. La base stoica ed esistenziale del “perché” di questo testo è l’assoluta esigenza di accontentarsi e non arrovellarsi, per vivere bene e non impazzire.

(dalla prefazione di Enzo Maolucci)
 
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita16 feb 2022
ISBN9788867522514
L'aldilà e l'aldiquà

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    L'aldilà e l'aldiquà - Luigi Brandajs

    Luigi Brandajs

    L’ALDILÀ E L’ALDIQUÀ

    Illustrazioni di Eleni Dori
    AbelBooks

    Proprietà letteraria riservata © 2022 AbelBooks

    Illustrazioni © 2021 Eleni Dori

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    ISBN 9788867522514

    Ringraziamenti.

    Questo testo non sarebbe stato possibile senza l’insostituibile conforto professionale della Dottoressa Sarah Silvera, psicologo e psicoterapeuta né messo insieme senza il prezioso concorso dell’amico Costis Vafidis, che ha pazientemente composto, formattato e impaginato le mie modeste pagine.

    Alle mie tre donne,

    Gabriella, Malvina e Fiammetta

    cui si è aggiunta l'incantevole

    e incantatrice Matilde.

    Alla sempre viva

    memoria di Roberta.

    Indice

    Prefazione

    I

    San Pietro

    II

    Risveglio

    III

    L’Identità

    IV

    La famiglia

    V

    La minaccia

    VI

    Ricostruzione

    VII

    Strategie

    VIII

    La Ragione

    Epilogo

    Prefazione

    Frequentando il mondo del pensiero in America latina e in Europa fin dagli anni ’50 del secolo scorso, Brandajs ha imparato davvero qualcosa. Ad esempio l’apertura tra fisica e metafisica (un vicolo stretto in cui pochi scrittori e troppi scienziati si sono avventurati), oppure l’inconcludenza della politica (un cinico assioma ora prediletto da insipienti e fricchettoni, ma quasi inedito tra i pensatori e gli storici navigati). In questo caso però lui non fa il molestatore intellettuale, ma solo l’intellettuale pop come il sottoscritto, anche se più istruito e con una mente non tanto ben arredata (così gli dice il suo alter ego San Pietro, che condivide la sua cattiva opinione sui filosofi). L’universo concettuale intersoggettivo, che sembrerebbe citato dalla biologia evoluzionistica, in questo libro diventa davvero uno spasso, non uno spazio di elucubrazione. E i pensieri molesti cadono in basso, mentre l’ironia e la sagacia volano brille come le menti di santi ubriachi. Danno piacere e spesso anche meraviglia, come una sorta di giocoleria cognitiva che sbeffeggia mentalismi e sentimentalismi, un funambolismo incerto e buffo tra una ragione irriverente (e imperfetta, come in un suo precedente romanzo) e una bonarietà poco credibile, inedita per un indignato cronico come questo scrittore. È un giallo per finta (non muore davvero nessuno.

    Questo saggio narrativo che sembrerebbe parlare di aldilà (è un giallo per finta, non muore davvero nessuno), in realtà è una satira del vivere e morire aldiquà, in forma di ridanciana rapsodia della nostra vita, delle sue presunte certezze, delle sue magnifiche stupidità, delle sue sgangherate illusioni, ignoranze, proiezioni, giustificazioni, perversioni etiche e ostentazioni di fitness (della serie vediamo chi ce l’ha più duro almeno in testa). Sembra quasi rivolto alle donne in particolare, che di vita se ne intendono, come per una nostra tardiva esibizione di attributi maschili metaforici; non più temibili o sbeffeggiabili come quelli fisici, ma adottati come chiave di lettura per far loro capire la profonda natura etero dei nostri poveri cromosomi XY, compromessi dall’evoluzione, da eccessi di testosterone, da recente frustrazione e manie da Pigmalione. La base stoica ed esistenziale del perché di questo testo è l’assoluta esigenza di accontentarsi e non arrovellarsi, per vivere bene e non impazzire.

    Una lezione che ancora stento a imparare: Quello che non ho è quel che non mi manca lo ha scritto De Andrè, non io, ed è un motto del survival poetico e minimalista, non di quello pragmatico e vitalista che invece mi onoro di rappresentare. Questa lezione la sento dal 1967, il mio primo anno di Università, quando ho avuto modo di conoscere Brandajs tramite amici comuni del movimento nei famosi anni cantati. Eravamo entrambi ai margini dell’accettabilità sessantottina, ma utili come supporter tattici dei compagnucci, perciò abbiamo solidarizzato subito. Lui argomentava in un italiano ineccepibile e forbito, esprimendo pensieri critici evoluti e non alternati dai soliti al limite, cioè … dico, cazzo …; io cantavo invece molti brani Rock e poche canzoni di lotta, o meglio, di criptica protesta, insieme alle mie prime acerbe composizioni. Ci siamo sopportati e supportati a vicenda in parabole eccentriche che pochi hanno capito e rimpianto. Poi siamo stati complici per decenni di progetti innovativi di sublime insuccesso, in ogni campo che non fosse il nostro specifico (il suo l’architettura, il mio la canzone): una escursione nella Fondazione Agnelli che si occupò anche di musica, una prima radio alternativa, un primo parco antropologico e altre velleità culturali in economia d’avventura, tutte pioniere e sepolte con onore. Non fummo mai niente fino in fondo, neppure soldati (cercate su internet chi lo ha scritto).

    Lui è sempre stato il mio mentore e io, talvolta, l’antidoto alla sua compiaciuta pigrizia tropicale. Siamo entrambi esponenti del Pensiero Crudo, cioè di un movimento radicale comunquista che non si presenterà mai alle elezioni per carenza di adepti e di ambizioni in merito. Il nostro libero pensiero l’abbiamo sempre pagato e mai venduto; è come l’Africa, un luogo che ci interessa da tempo perché non ha domande, mentre lì tutte le risposte arrivano comunque da sole.

    Il Dio Creatore in questo libro perde la sua vaghezza teologica e appare come uno spirito inquieto e bizzarro in perenne ambiguità e indeterminazione, che gioca a nascondino con l’universo e soprattutto con noi, forse per evitare che possiamo un giorno imitarlo, rassomigliargli troppo e farne di cotte e di crude come lui. Anche se può sembrare scontato che qualunque ateo o agnostico impenitente possa perdere un po’ di assertività dopo i 70 anni, bisogna dire che Brandajs non se ne compiace né si dimostra pentito; solo esplora con curiosità il senso inutile delle eterne tre domande (chi sono, da dove vengo, dove andrò). E qui le risposte non arrivano da sole, ma in buona compagnia letteraria, filosofica, storica e scientifica, senza però l’ingombro dell’erudizione molesta e con la leggerezza della sua finta modestia che mi ha sempre fatto ridere, un vezzo che lui ritiene simpatico e io invece stucchevole, ma che alleggerisce ulteriormente questa trattazione meta-filosofica-romanzogiallesca spassosa e disinvolta, eppure mai frivola.

    Supponendo che la maggioranza dei suoi potenziali lettori siano Credenti (statisticamente penso sia così) Brandajs cerca di fare con costoro una operazione che gli anglofoni definirebbero di appeasement e cioè, la ricerca di un terreno di dialogo privo di prevaricazioni e senza azzannamenti.

    Brandajs e io siamo da tempo entrati, senza accorgercene, in quella fase di assestamento ormonale e disincanto che i giovani (Dio continui a maledirli) chiamano vecchiaia. Dopo 55 anni di classica amicizia con ininterrotta frequentazione e data la mia collocazione anagrafica solo un po’ meno indecente della sua, mi ritengo dunque autorizzato a dire che questo suo libro è il migliore (spero non l’ultimo), ma a me suona come una chiamata telefonica a mezzanotte. Non mi ha disturbato ma allarmato e, come tutte le brutte notizie e i capolavori , lo scritto subito non mi è piaciuto affatto, quindi per statistica esclusione piacerà ai più, relegandomi come al solito in quella augusta minoranza a cui sono anche stufo di appartenere. Poi, come si sarà capito leggendo questa prefazione, mi sono ravveduto. Cosa facciamo ancora oggi? Facciamo finta di niente e frequentiamo a oltranza il limbo del pensiero divergente.

    Enzo Maolucci

    I

    San Pietro

    Sono inopinatamente in piedi davanti a San Pietro. Come so che è San Pietro? Beh, intanto e seduto sopra una nuvola e poi assomiglia a quello della pubblicità del caffè. Ma, mi chiedo, com’è che sono qui davanti a San Pietro? Sono morto e non me ne sono accorto?

    Adesso glielo chiedo, ma lui anticipandomi dice, con una voce da San Pietro, certo che sei morto, cretino, i morti non ricordano particolari insignificanti, come l’inevitabile morte e le circostanze fortuite che l’hanno provocata.

    Sarò pure cretino, rifletto e dico, ma le circostanze della propria morte non sono insignificanti per il morto stesso, no?

    Guarda che non hai più l’apparato della fonazione, dice lui, adesso sei solo pensiero e quindi, è inutile che muovi labbra e il resto, ma se ti fa piacere vai avanti così, per me è indifferente ma, per farti piacere come vedi, mi adeguo.

    Va bene, grazie, dico, ma mi sarà permessa una curiosità oppure no? Capirai che non conosco le regole di qui (qui dove?).

    Ho capito, fa lui, qui è un punto imprecisato di quello che voi, ignoranti e presuntuosi, chiamate l’eternità.

    A questo punto sono punto (!), da un’altra curiosità e anche un po’ piccato, ma come? l’eternità non esiste?

    Beh, fa lui, l’eternità è un concetto metafisico che non sta nelle leggi che governano l’attuale universo.

    Ah, dunque, ribatto, allora le leggi che governano l’universo esistono.

    Si, dice, esistono, e voi ne avete scoperto qualcuna, ma non avete colto l’essenziale e cioè che tutto quello che avete capito e anche quello che non avete capito è transitorio e sostanzialmente istantaneo e, comunque, non avete idea della loro collocazione nel tempo.

    Sto zitto e poi dico, senti, come saprai, non sapevo un cavolo di fisica e non ho alcuna illuminazione, morto o non morto.

    Non importa, fa lui, come sai, io facevo il pescatore e ne so meno di te. Ma, frequentando il mondo del pensiero ho imparato qualcosa.

    Le domande mi si affollano nella testa (beh, io me la sento, la testa, comunque la penso, ergo, c’è), non so da dove cominciare ma San Pietro non pare avere fretta; mi prendo il mio tempo. Cominciamo a riprendere la faccenda dell’eternità. A lui dovrebbe importare qualcosa visto che nella weltanschauung di cui è stato portatore se ne parla continuamente.

    Scusami se insisto, e non è che dell’eternità mi importi un granché, ma mi domando se dunque esista un principio  … e una fine, interviene lui. Principio e fine fanno parte della transitorietà degli eventi e la sequenza degli eventi è certamente infinita.

    Ma allora l’eternità esiste ribatto.

    No, dice lui, esiste solo il pensiero dell’eternità, il che, contrariamente a quanto afferma il vostro Descartes, non è affatto prova della sua esistenza. L’eternità è un concetto metafisico e anche un po’ letterario. Diciamo che l’infinito invece c’è, lo spazio e il tempo, per esempio, ci sono e voi collocate la finitezza delle cose che conoscete dentro queste categorie mescolando fisica e metafisica in una approssimazione illusoria.

    Sono frastornato, cosa ci faccio io a discutere di fisica e metafisica con San Pietro, a cui non credo, mentre mi trovo in un evento che sarà pure irrilevante ma che segna la fine della mia esistenza?

    Telepatico e puntuale San Pietro mi parla. Ecco, appunto, è questo il senso di questa conversazione. E non preoccuparti di farmi perdere tempo, il mio, è infinito e in più, quello che stiamo usando è il tuo tempo. Vediamo, come giudichi tu la tua vita?

    Annaspo, cos’è questa storia? Ma dico, stai forse valutando se mandarmi all’inferno?

    img1.jpg

    le circostanze della propria morte non sono

    insignificanti per il morto stesso

    L’inferno è una vostra puerile invenzione per cercare di scongiurare le vostre malefatte. Ovviamente è stata utilizzata da molti dei peggiori malfattori. No, adesso te lo racconto il tuo inferno. Devi sapere che da morti si spegne la centrale della produzione di nuovi pensieri, la mente è fisica e chimica dunque, materiale e cioè, quello che tu ora non sei; non te ne accorgerai subito perché, specie chi, come te, ha vissuto un bel po’, è già abituato a sentirsi ripetere le stesse fesserie ma ha sempre la speranza che, Alzheimer permettendo, riuscirà ancora produrre qualche nuova pensata. Invece niente, sarai costretto a far girare i vecchi pensieri per sempre, qualunque cosa voglia dire per sempre.

    Mi pare una prospettiva terrificante, da rimpiangere i vecchi forconi fumanti. Lui è francamente divertito, mi dice, cosa ti aspettavi?

    Mah, non so, sai, la conosci la vecchia storiella del prof. Firpo che arrivato da te e mandato all’inferno si trova alloggiato in una splendida villa con tutti i comfort. Quando chiede dell’inferno di cui, pur non credente aveva nozione, è

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