Il concerto sarà meraviglioso: La storia del pianoforte di Andeby
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Protagonista di questo viaggio nel mondo dell’“irreale” è un pianoforte particolare, assolutamente inutilizzabile dalle dita di molti, ribelle a qualsiasi tentativo di accordatura, ma capace di regalare melodie celestiali se a sfiorarlo è un’anima illuminata da affinità elettiva. Proprio come quella del pianista della storia qui raccontata.
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Anteprima del libro
Il concerto sarà meraviglioso - Augusto M. Funari
I
«Entro domani sera? No… guardi, non ci pensi proprio, è impossibile!»
Chiuse la telefonata con una certa amarezza, ancora una volta aveva alzato i toni con il suo impresario. Ultimamente accadeva spesso, eppure, per una sorta di cocciutaggine tutta sua, seguitava ad appoggiarsi a lui. Da quando aveva intrapreso la carriera di concertista, gli si era affidato pur considerandolo insopportabile. Lo trovava arrogante, indelicato, cinico, caratterialmente scostante, ma un istinto indefinito lo portava ad averne completa fiducia, una condizione ambigua che gli aveva fatto accettare per anni un rapporto teso e conflittuale. Che poi si fosse inconsciamente rivolto proprio a lui per lasciarsi guidare in scelte che, da solo, non avrebbe avuto il coraggio di affrontare è un’ipotesi su cui non aveva riflettuto prima, ma che iniziava a farsi strada nelle sue notti insonni. Del resto, da anni aveva imparato ad apprezzarne le capacità imprenditoriali. Gli riconosceva di essere sempre convincente, mai indeciso, padrone di qualsiasi situazione, consapevole dei limiti dei suoi artisti e in grado di ottenere scritture nei posti più prestigiosi per una preziosa inclinazione all’intrallazzo. Con lui non aveva raggiunto un autentico abbandono intellettuale perché sapeva che, dietro il sorriso liquido e accattivante, quel tale nutriva un’antipatia implacabile per la sua intransigenza formale.
Già, perché era stata proprio la sua predisposizione alla disciplina e al rigore a indurlo a scegliere la musica come motivo di vita. Mai aveva creduto nell’intuito, mai si era abbandonato all’inventiva, alla fantasia e tantomeno all’improvvisazione, tutto doveva essere aritmeticamente strutturato, concreto e razionale. Suonare in pubblico era il preciso obbligo di ogni artista: educare alla bellezza con un linguaggio universalmente comprensibile. Ora, però, compiuti da poco i quarant’anni, sentiva che qualcosa in lui stava cambiando. Da tempo avvertiva un indefinito senso di incompletezza e, senza averne ancora cognizione, iniziava a soffrire la mancanza di una visione più introspettiva della musica. Da sempre l’aveva sfuggita per il timore inconscio di non saper gestire la propria emotività, eppure affidarsi alla sola ragione iniziava a non apparirgli più il giusto metodo per imboccare la seconda metà della vita. Del resto, arriva sempre un’età in cui le passioni perse o trascurate presentano un conto emotivo difficile da tacitare. Iniziava a sentirsi come se avesse, fino ad allora, inseguito un demone incompleto e questo disagio interiore gli riproponeva fastidiosamente un paradosso sempre respinto: l’essere umano, per affrontare la realtà, ha bisogno talvolta di affidarsi anche all’irrazionale, cioè di credere nell’incredibile. Fa parte delle sue debolezze.
«E se fosse proprio questa la svolta della mia vita? Forse sono stato impulsivo nel rifiutare.»
La telefonata aveva pungolato il classico tarlo che, di tanto in tanto, si rianima per rosicare le menti più insicure. Preparare il secondo concerto per pianoforte di Rachmaninov in tre giorni e suonarlo con un’orchestra sconosciuta alla presenza addirittura della Regina di Svezia, a Stoccolma, questa era la proposta. Qualcosa di rischiosamente intrigante gli impediva di rifiutare all’istante come avrebbe fatto solo poco tempo prima.
«E se ci riuscissi?»
Sapeva che l’incertezza gli sarebbe costata ore di meditazioni perché se è vero che il dubbio metodico è una pratica che ci permette di vivere con tranquillità, è anche vero che rimandare le decisioni per paura dell’ignoto genera rimpianti che il tempo può rendere intollerabili.
Al telefono la solita, insopportabile voce nasale gli aveva concesso un’ultima occasione.
«Me lo confermi entro domani sera.»
Domani sera? Non avrebbe trovato una risposta in tempo e prevedeva, con il solito fastidio, di trascorrere la notte avvitandosi nella sua indecisione alla ricerca di una certezza indiscutibile per accettare o rifiutare, visto che una risposta, alla fine, bisognava darla.
Si trattava di un rimpiazzo imprevisto. Avrebbe dovuto sostituire un altro pianista che aveva rinunciato. La tipica condizione fortuita che a tanti artisti ha spianato la strada della celebrità e, poiché abbiamo tutti l’abitudine di appellarci al destino solo quando sentiamo di non essere padroni degli eventi, iniziava a chiedersi se tutto questo non fosse un segno di quella predestinazione in cui non aveva mai creduto. Curiosamente veniva richiesto proprio il secondo concerto per pianoforte di Rachmaninov, un concerto che amava profondamente con un trasporto antico, ma che mai aveva osato interpretare. Per quale motivo poi lui, tanto manierista e formale, ammirasse visceralmente un inquieto come Rachmaninov era un altro interrogativo che evitava di affrontare per non dover forse riconoscere una sua inconfessata e sopita inclinazione decadentista.
In ogni caso il progetto appariva davvero impraticabile. Mancava il tempo per prepararsi adeguatamente e mai avrebbe accettato la minima ipotesi d’improvvisazione. Il pubblico svedese poi, già deluso dal trovarsi di fronte a un altro pianista, sarebbe stato oltremodo esigente e distaccato. Cosa avrebbe potuto comunicare a un uditorio tanto diffidente con un concerto mai suonato prima e così distante dal suo habitus artistico? E l’orchestra? Solo un giorno per provare? Pur ammettendo che il viaggio venisse bene organizzato, i giorni a disposizione sarebbero risultati anche meno di due, non tre. Avrebbe dovuto provare di giorno e di notte. E se, di fronte alla regina, l’ansia di non esser pronto gli avesse paralizzato le dita? Se avesse avuto uno di quei vuoti mentali che sono il terrore di tutti i concertisti? Rischiare di perdere la reputazione in quel modo sarebbe stato inaccettabile. E il direttore? Mai suonato con lui, anzi, a dire il vero, mai sentito nominare prima. E il pianoforte? Già, il pianoforte… ecco il vero nocciolo della situazione. Impossibile, per mancanza di tempo, trasportare il suo… e che strumento avrebbe trovato in Svezia? Preparato da chi e come? Sarebbe stato adatto per quel concerto? Avrebbe potuto scegliere o ne avrebbe avuto a disposizione uno solo? Gli sarebbero bastati due giorni per acquisirne la necessaria padronanza? No, no di certo.
Alla fine decise di non andare. Non si poteva fare, troppe incognite, troppo rischio e poca preparazione, dunque decisione presa… o quasi. Sì quasi, perché c’era tempo per ripensarci fino alla sera del giorno dopo. La scadenza non era così incombente e la notte gli avrebbe offerto un altro ritaglio di