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L'inesistenza dei mezzi toni
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L'inesistenza dei mezzi toni
E-book173 pagine2 ore

L'inesistenza dei mezzi toni

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Info su questo ebook

Quante volte ci siamo chiesti : è tutta colpa mia ? Oppure al contrario : è tutto merito mio ? E quale

è la risposta che ci siamo dati ? Questo è il dilemma che Raffaele affronta nella scrittura di questo libro che è la sua biografia . Quanta parte

di determinismo e di liberta' c'è nella vita di ciascuno di noi tali da renderci realmente responsabili di tutto quello che ci accade nel bene

e nel male ?

La narrazione di questi avvenimenti si snoda

nello scenario di una citta' : Taranto che gia'

da sola rappresenta un emblema di inquietante realta'. Raffaele non fornisce alcuna risposta a tutto cio'

ma demandera' al lettore la soluzione del quesito alla conclusione di questo libro.Coloro che lo hanno letto hanno voluto definirlo una guida alla vita, quella vita contro la quale Raffaele ha dovuto combattere a mani nude
LinguaItaliano
Data di uscita14 set 2023
ISBN9791220395564
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    Anteprima del libro

    L'inesistenza dei mezzi toni - Raffaele Boccia

    I CAPITOLO

    Nel libero arbitrio non esiste né la libertà di volere, né la non libertà di volere: per l'uomo la distinzione è invece tra libertà forti e libertà deboli, perciò il libero arbitrio è solo un’illusione umana

    (NIETCSCHE, Al di là del Bene e del Male)

    R. era un bambino che non amava tanto l'asilo, anzi non lo amava affatto per una congerie di ragioni. A questa sorte era stato destinato a causa della sua capacità e propensione prematura per la lettura e l'uso della parola, infatti il suo papà ripeteva spesso scherzando che da grande, ne avrebbe fatto un bravo avvocato. Ma andare all'asilo a R. non piaceva per nulla, in primo luogo perché esso era gestito da suore, che a un bambino di poco più di quattro anni, apparivano troppo severe e taciturne. Altra ragione per cui R. lo detestava era che, pur essendo sito in un bell'edificio posto nel centro della città, esso apparisse troppo grande ai suoi occhi: grandi corridoi, grandi aule, grandi porte ed infine, la cosa più detestabile consisteva nel fatto che all'interno di questo immenso Istituto, aleggiasse un odore, anzi un cattivo odore, causato dai cancellini per lavagne misto al disinfettante usato per lavare i pavimenti. Questo olezzo accompagnava R. per tutto il giorno. Infine il motivo più importante per cui il bambino non condividesse l'entusiasmo dei suoi genitori per questa scelta, era quello di non considerare la frequentazione di quel posto come un valore inclusivo, bensì come un disvalore divisivo. Infatti pur essendo in aula con altri suoi coetanei, cosa che avrebbe dovuto stimolare il piacere della compagnia, R. aveva molta nostalgia della sua mamma, dalla quale inevitabilmente doveva dividersi tutte le mattine, cosa che non amava fare e che gli procurava un grande dispiacere. Lei si chiamava Jolanda, nome di origine tedesca che significa guerriera. Il padre Antonio, di origine croata, le aveva dato questo nome, tra l'altro pochissimo diffuso in Puglia, regione dove la famiglia risiedeva, forse per infonderle la fierezza e la forza di carattere che egli stesso possedeva naturalmente e che sperava sua figlia, secondogenita di quattro sorelle, potesse ereditare da lui. Le altre tre figlie: Caterina, Giovanna e Clara, erano tutte bellissime ragazze, bellezza che si originava da quella del padre, polesano di origine: Antonio era bello come un dio, alto, slanciato, capelli neri corvini e due occhi di un azzurro abbagliante. Le sue figlie raccontavano sorridendo, che quando lui si arrabbiava, cosa che capitava spesso, i suoi occhi diventassero bianchi per l'intensità della luce emanata.

    La bellezza delle ragazze derivava anche da quella della madre Antonia. Lei era nata a Massafra, paesino della Puglia, ed aveva tutti i tratti fisici che caratterizzano la tipica donna del sud: bruna, occhi neri e un manto di capelli nerissimi. Di primo acchitto Antonietta, così chiamata in casa, sembrava una spagnola, di quelle che nei films si ammirano mentre ballano il flamenco.

    Jolanda, al contrario delle sue tre sorelle, era la più piccolina ed aveva due grandi occhi verdi. Si diceva che la sua statura minuta dipendesse dal fatto che fosse stata frutto di un parto prematuro. Jolanda purtroppo, ai tempi del secondo conflitto mondiale, quando era appena poco più di un'adolescente, era stata oggetto di un terribile incidente. Mentre la famiglia viaggiava in treno, per trasferirsi da un paese ad un altro, cosa che in tempi di guerra si faceva di frequente,sperando così di sfuggire alla morsa degli eventi bellici, un'incursione aerea nemica, prese di mira quel treno che correva in aperta campagna.

    Naturalmente tutti i passeggeri, in cerca di scampo scesero dal treno, oramai fermo. Anche Jolanda, insieme ai suoi genitori fece altrettanto, ma una volta a terra non riuscì a correre come gli altri, e rimase impietrita dalla paura senza poter allontanarsi da quel luogo. Antonio suo padre, non vedendola più insieme a lui, si voltò indietro e la scorse immobile con il viso stravolto. A questo punto, vincendo la resistenza psicologica causata dagli scoppi delle bombe che cadevano intorno, l'uomo tornò sui suoi passi, prese in braccio la figlia e solo dopo i due poterono trarsi in salvo. Questa terribile esperienza segnò fortemente la psiche ed il carattere di Jolanda e causò in lei un trauma con il quale la ragazza dovette fare i conti per il resto della sua vita. Terminata la guerra, mentre il paese si apprestava alla ricostruzione, la giovane ormai diciannovenne, trovò lavoro presso gli Uffici Annonari del Comune di appartenenza. Questi uffici all'epoca avevano il compito di distribuire alla popolazione, in maniera equa e predeterminata, gli alimenti disponibili e poi anche del vestiario. Il lavoro serviva a Jolanda per guadagnare quel poco che le abbisognava e ad aiutare la famiglia per quanto possibile. La città dove tutto questo avveniva era Taranto, la città dei due mari.

    Intanto la sua vita si svolgeva in modo regolare: casa, lavoro e l'amorevole compagnia delle tre sorelle, con le quali Jolanda era molto affiatata. Soprattutto Caterina, la primogenita di 3 anni più grande di Jolanda, era la sorella preferita di quest'ultima. Bella come la mamma, Caterina aveva i tratti somatici della genitrice ed era dotata di un carattere molto spigliato e ribelle, che mal si conciliava col temperamento severo ed intransigente di suo padre Antonio. Tutto questo la rendeva molto ambita ai suoi coetanei di sesso maschile. Appena diciassettenne Caterina conobbe appunto uno di questi. Il nome di questo giovane era Rocco, di origini lucano-americane. Infatti era nato in America a Jersey City da genitori lucani, emigrati negli USA per fare fortuna, cosa che avevano perfettamente realizzato. Il giovane si trovava in Italia per studiare, e soggiornava in una camera presa in affitto nella abitazione dove Caterina viveva. Infatti papà Antonio aveva deciso di affittare una stanza della sua grande casa, sita nel centro della città, al fine di arrotondare il proprio stipendio. Galeotta fu la stanza che permise a Rocco e Caterina di incontrarsi e di piacersi. La cosa non fu gradita dal padre di questa, in quanto il giovane, ricco di famiglia, aveva già a vent'anni, i suoi piccoli vizi: bere e giocare d'azzardo. Però Antonio, con argomenti molto convincenti, costrinse Rocco a rinunciare alle sue cattive abitudini. E fu così persuasivo, usando mezzi piuttosto coercitivi, che il giovane per il suo stesso bene, gli consegnò il suo piccolo patrimonio personale, di cui già disponeva. In questo modo papà Antonio poté controllare le spese del suo futuro genero. Così dopo poco tempo i due giovani convolarono a nozze ma ciò purtroppo avvenne durante il periodo del secondo conflitto mondiale.

    Quest'ultimo terribile avvenimento bellico causò, ben presto, l'allontanamento di Rocco dall'Italia. Infatti Lo Zio SAM, così come fu apostrofato all'epoca il Governo Americano, lo richiamò dal paese nel quale si trovava temporaneamente, per arruolarlo nell'esercito, e la povera Caterina rimase da sola in Italia, in attesa di poter seguire il suo amato marito in un momento successivo, appena ciò si fosse reso possibile.

    Per questo Caterina, tutti i giorni, cercando di uscire anche dalla solitudine causata dalla mancanza del suo sposo, si allontanava da casa e si recava in centro città, a rilevare sua sorella Jolanda dall'ufficio di quest'ultima per poi accompagnarsi con lei verso la loro abitazione, passeggiando piacevolmente nelle vie centrali, piene di bei negozi e cose da ammirare. Un giorno, durante una delle loro passeggiate, le due ragazze, mentre chiacchieravano tra di loro, notarono un uomo in divisa che le seguiva a breve di stanza. Era un giovane ufficialetto di Marina, figura che era frequente incontrare in una città di mare come Taranto, ma questo aveva colpito particolarmente le due ragazze, a causa dei suoi occhi e capelli neri che contrastavano con il colore candido della sua divisa. La cosa parve finire così, però il giorno dopo il militare era lì dove lo avevano incontrato precedentemente, quasi che le stesse aspettando. A quel punto si avvicinò, e ammirando i profondi occhi verdi di di Jolanda disse con dolcezza e semplicità:

    Io mi chiamo Piero e vorrei tanto conoscerti e sapere il tuo nome. Jolanda rimase stupita da quella presentazione inaspettata del giovane, e quasi imbambolata istintivamente rispose con un filo di voce:

    Io mi chiamo Jolanda, ma a casa tutti mi chiamano Jole.

    Da quel giorno i due si incontrarono tutti i giorni e impararono a conoscersi meglio. Piero raccontò di essere andato via a soli 18 anni dal suo piccolo paese dell'entroterra napoletano e di essersi imbarcato. Infatti era di stanza a Taranto sull'incrociatore Vittorio Veneto. All'epoca di questi fatti Piero aveva 32 anni, tredici in più di Jolanda, ma nonostante la sua lunga esperienza di vita marinara, conservava il candore e l'aspetto di un ragazzino.

    Egli raccontò molte cose di sé; Aveva perso a soli 14 anni sua madre, deceduta per un grave male, ed era stato cresciuto dal padre Raffaele che lo aveva inserito nel mondo lavorativo; Infatti Piero era stato predestinato alla conduzione del piccolo negozio di calzature, di proprietà paterna. Proprio a causa di ciò, che non era in linea col suo volere, Piero scelse di allontanarsi dal suo paese e di imbarcarsi volontariamente al più presto, arruolandosi in Marina. Egli raccontava sempre che durante l'ultimo conflitto, era sempre stato fortunato nel farla franca, perché pur essendo imbarcato su un incrociatore, non aveva mai subito incidenti bellici, difatti soleva dire che la guerra lo aveva sempre inseguito senza mai raggiungerlo. Soprattutto un episodio era testimone di questa sua fortuna, infatti qualche tempo addietro, sbarcati a Genova, mentre la loro nave fu attraccata al porto una parte dell'equipaggio scese a terra in libera uscita. Piero e un suo commilitone pensarono di affittare una camera nelle vicinanze del porto, al fine di trascorrervi la notte. Giunti nella stanza i due, dismisero le proprie divise e una volta vestiti gli abiti borghesi, si accinsero a raggiungere il centro città, per concedersi una serata di svago. A questo punto l'amico, rivoltosi a Piero, disse:

    Sai Piero, credo proprio che tu dovrai andare da solo, perché io mi sento molto stanco, anzi direi un vero e proprio straccio. Meglio se mi metto a letto a fare una bella dormita. Il mare turbolento che abbiamo trovato ha messo a dura prova la mia resistenza. Vai e divertiti anche per me.

    Piero quindi uscì da solo e trascorse qualche ora in città. Al suo rientro nell'appartamentino, si accorse che una bomba nemica aveva attraversato da parte a parte la stanzetta e che purtroppo il suo amico era rimasto vittima del bombardamento. Fine che sarebbe toccata anche a lui se avesse deciso di non uscire.

    Questo avvenimento lo convinse ancora di più di non essere una vittima predestinata della guerra. I due giovani passavano abbastanza tempo insieme, compatibilmente con i reciproci impegni di lavoro. Piero si innamorò delle qualità morali di Jolanda: della sua purezza, della sua ingenuità e della luce emanata dai suoi grandi occhi verdi. Di contro la ragazza scopriva in lui tutte quelle qualità che lei apprezzava e cercava in un uomo: la maturità, la pacatezza ed anche la solidità e determinazione nell'affrontare gli eventi della vita. Così i due decisero di convolare presto a nozze.

    Ma prima che questo fosse stato possibile, Piero avrebbe dovuto affrontare il giudizio del padre di Jolanda Questi infatti aveva sempre preteso di conoscere per primo i suoi eventuali futuri generi, attraverso un vero e proprio colloquio che servisse quasi da test all'ammissione nella sua famiglia. Il giovane non ebbe alcuna remora nell'incontrare Antonio. Quando la conoscenza tra i due fu fatta, il giudizio paterno, stringato ma eloquente fu:

    Va bene, se ha il cuore come ha il viso, è perfetto per Jolanda. Così i due giovani si unirono in matrimonio, e trascorsero qualche giorno nel paesino campano dove Piero era nato, e dove Jolanda ebbe l'occasione di conoscere Raffaele, il padre del suo sposo ed anche le sorelle di Piero: Carmela e Maria. Ma ad onor del vero Jolanda non amava tanto stare lontana dalla sua città e dalla sua amata mamma Antonietta, così i due giovani rientrarono presto a Taranto e si stabilirono temporaneamente presso la casa della famiglia di Jolanda. Intanto Piero poco tempo prima del matrimonio, aveva acquistato un appartamentino in uno stabile nel centro popolare della città. Questa abitazione, ottenuta grazie ai risparmi accumulati durante gli anni di imbarco, era in via di costruzione, perciò occorreva del tempo affinché divenisse abitabile. Proprio durante questo soggiorno in casa dei suoceri, Piero e Jolanda misero in cantiere, si fa per dire, il loro primogenito: R. Nella grande casa, insieme a Piero e Jolanda, soggiornavano anche Caterina, sorella prediletta di questa e Rocco, tornato dall'America. I due infatti aspettavano il permesso di espatrio negli Stati Uniti. Per

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