Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia: Seconda edizione del Premio internazionale «Giuseppe Torre»
Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia: Seconda edizione del Premio internazionale «Giuseppe Torre»
Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia: Seconda edizione del Premio internazionale «Giuseppe Torre»
E-book309 pagine3 ore

Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia: Seconda edizione del Premio internazionale «Giuseppe Torre»

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nel 2021 si è tenuta la seconda edizione del Premio «Giuseppe Torre» promosso dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. La giuria ha scelto i vincitori del concorso per i migliori saggi critici pervenuti sul Tribunale Internazionale dell’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia. Il Premio gratifica autori di testi su un argomento considerato generalmente intoccabile, la cui critica assurge a vera eresia contro il pensiero unico dominante.
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2022
ISBN9791222447582
Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia: Seconda edizione del Premio internazionale «Giuseppe Torre»

Correlato a Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Diritto per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Lo strano caso del Tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia - George Szamuely

    1.png

    { orientamenti }

    La conoscenza della realtà jugoslava e balcanica nel nostro paese è meno che scarsa. Nonostante la prossimità geografica, le vicende comuni e gli inevitabili scambi culturali avuti nei secoli, la visione che permane egemone nella pubblica opinione è sintetizzabile con la ben nota locuzione: hic sunt leones. Se attorno al mondo slavo in genere prevalgono vuoi esotismo e intellettualismo vuoi pregiudizio e ostilità, sullo specifico jugoslavo dopo la crisi drammatica di fine Novecento è stata ulteriormente incoraggiata la propensione a rimuo- vere tutto quanto riguarda i caratteri al contempo unitari e multiformi di quello spazio cul- turale e storico-politico.

    Perciò il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus si è dato come obiettivo costituente quello di rendere possibile una maggiore integrazione delle conoscenze in materia, e a questo scopo «pubblicare libri, opuscoli, materiali audiovisivi» oltre che diffondere e rendere sempre disponibili informazioni con i moderni strumenti telematici e promuovere specifiche iniziative culturali e informative.

    In linea con questo intendimento viene promossa la collana {orientamenti}, la quale, intervenendo in territori della Conoscenza attualmente popolati poco e male, necessariamente si prefigge di fornire innanzitutto gli strumenti basilari – ripubblicando classici o traducendo testi importanti mai giunti prima in Italia, fornendo strumenti sintetici e divulgativi su temi diversi, rispondendo alle richieste di chi è veramente interessato a sapere e capire.

    Altre informazioni al sito: www.cnj.it

    Contenuti della collana:

    Arte e cultura slava e balcanica / Storia contemporanea / Movimento di Liberazione /

    Politica internazionale / Mondo slavo / Biografie / Movimento operaio e antifascista /

    Internazionalismo partigiano / Teoria politica / Linguistica / Nazionalità e identità / Amicizia tra i popoli / Macroeconomia / Materiali per la Associazione

    © Luglio 2023 Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus Ente del Terzo Settore,

    tutti i diritti riservati

    Editors: Ivana Kerečki, Andrea Martocchia, Jean Toschi Marazzani Visconti.

    Traduzione dall'inglese: Cristiano Screm

    Grafica e impaginazione: 11est

    Progetto di copertina: Gianni Puri

    Immagine: Palazzo del Tribunale dell'Aia

    Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus Ente del Terzo Settore

    C.P. 252 Bologna Centro, I-40124 Bologna (BO) - Italia

    www.cnj.it jugocoord@tiscali.it

    Lo strano caso del Tribunale dell’Aia

    per l’ex Jugoslavia

    Il Tribunale internazionale per i crimini

    nell’ex Jugoslavia: origini e attività

    Saggi inviati alla seconda edizione

    del Premio internazionale «Giuseppe Torre»

    Sommario

    1. Introduzione — 9

    2. Il diritto internazionale subalterno alla politica — 15

    3. Concorso «Giuseppe Torre» – Seconda edizione. Il bando. — 18

    1. Premessa — 18

    2. Oggetto — 18

    3. Premi — 19

    4. Modalità di partecipazione — 19

    5. Giuria e premiazione — 20

    4. I vincitori del Concorso «G. Torre» edizione 2020 — 22

    5. Assicurarsi l’esito desiderato: la missione politica del TPIJ — 24

    Abstract — 24

    1. Introduzione — 25

    2. La necessità di un tribunale — 26

    3. Far decollare il TPIJ — 28

    4. «Azione penale rapida» — 32

    5. La giustizia delle vittime — 34

    6. Fuori dal mandato del TPIJ: i crimini contro

    la pace — 36

    7. Un TIPJ irresponsabile — 38

    8. Il nesso NATO-TPIJ — 39

    9. Ignorare lo statuto — 45

    10. Proteggere i testimoni — 48

    11. Negare i diritti degli imputati — 52

    12. Ampliare la responsabilità penale — 53

    13. «Joint Criminal Enterprise» — 56

    14. Il TPIJ e le pene — 59

    15. Dare una mano all’accusa — 61

    16. Nessuna indagine esterna — 64

    17. Conclusioni — 65

    6. Verità e giustizia alla maniera americana.

    Come il TPIJ ha distorto la storia e stravolto la giustizia — 67

    1. Il contesto — 69

    1.1. Il nazionalismo — 69

    1.2. Il riconoscimento internazionale — 72

    1.3. I confini — 73

    2. La JNA — 74

    3. Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ) — 77

    3.1. Il principio cardine — 77

    3.2. La creazione del TPIJ — 78

    4. Il contesto politico — 80

    4.1. Cambio di priorità — ٨٢

    4.2. Il TPIJ: i primi anni — 83

    4.3. I principali difetti — 83

    4.4. Legittimità — ٨٤

    4.5. L’appello Tadić — ٨٧

    4.6. Propaganda — 90

    4.7. Una parzialità manifesta — 93

    4.8. Forzare le regole — 94

    4.9. Giusto processo — 95

    5. Breve rassegna degli abusi del TPIJ — 98

    6. La raccolta delle prove — 103

    6.1. Le prove del DNA — 105

    6.2. Patteggiamenti — 107

    6.3. Innovare la legge — 108

    6.4. Il diritto all’autodifesa — 109

    6.5. Un tribunale ad hoc — 109

    6.6. Una truffa colossale — 110

    6.7. L’eredità — 112

    7. Uno sguardo critico sul TPIJ –

    Le origini e la condotta del Tribunale — 114

    Abstract — 114

    1. Un tribunale illegale — 114

    2. Un tribunale politicizzato — 115

    3. Un tribunale anti-serbo — 119

    4. I misteriosi decessi di serbi importanti sotto la custodia del TPIJ — 132

    5. Un Tribunale distruttivo — 136

    8. Il Tribunale dell’Aia (TPIJ) –

    Supremo strumento di propaganda e politica estera — 138

    Abstract — 138

    1. Il Tribunale penale internazionale

    per l’ex Jugoslavia — 139

    2. Il contesto del dibattito — 146

    3. La contestualizzazione mediatica e la politica estera USA

    nell’ex Jugoslavia — 150

    4. Metodologia e dati — 153

    4.1. Analisi tematica — 154

    4.2. Codifica — 154

    5. Dati — 155

    5.1. Conferenze «Bridging the Gap Series» — 155

    5.2. Sommari delle attività del programma Outreach — 155

    5.3. Articoli pubblicati dal programma Outreach su giornali e bollettini — 155

    5.4. Discussione — 156

    6. I serbi come autori di crimini — 156

    7. Ignorare/minimizzare i crimini del gruppo privilegiato — 158

    8. I temi dell’equità e dell’imparzialità — 160

    9. Conclusioni — 163

    10. Bibliografia citata — 173

    1. Introduzione

    Jean Toschi Marazzani Visconti

    Nel 2021 si è tenuta la Seconda edizione del Premio «Giuseppe Torre» promosso dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. La giuria ha scelto i vincitori del Concorso per i migliori saggi sul Tribunale Internazionale dell’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia. Il Premio gratifica autori di testi su un argomento considerato generalmente intoccabile, se non vera eresia contro il pensiero unico dominante. Per capire l’importanza reale di questo coraggioso Premio e raccontare il contesto della sua nascita, bisogna ritornare alla storia più recente: alla fine della guerra fredda.

    L’8 dicembre 1987, il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, e il presidente dell’Unione Sovietica, Michail Gorbačëv, firmavano il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) sul reciproco controllo delle armi nucleari. Questo avvenimento sembrava sancire la fine della guerra fredda. Soffiava un vento nuovo nel mondo occidentale. Finiva la paura dello scontro nucleare, si aprivano le frontiere dei paesi d’oltre cortina in seguito alla caduta del muro di Berlino, allo scioglimento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. L’entusiasmo generale celebrava il ritorno alla pace, a una normalità sperata fin dall’inizio della guerra fredda nel 1947. Era un inganno!

    Gli Stati Uniti erano nel 1991 l’unica potenza mondiale senza competitori. La Russia si stava faticosamente ricomponendo e la Cina era ancora lontana dall’attuazione dei programmi che l’hanno resa l’attuale potenza. Gli Stati Uniti avevano fretta di mettere a frutto il vantaggio. Project for the New American Century (PNAC), teoria formulata negli anni ’70 da un gruppo di giovani intellettuali chiamati neocons, sarebbe stata messa in opera dai governi repubblicani e democratici indistintamente. La dichiarazione di principio del progetto era inequivocabile e giustificava qualsiasi azione contraria all’etica comune o alle leggi internazionali per il raggiungimento del risultato della leadership globale: La storia del 20° secolo ci dovrebbe aver insegnato ad abbracciare la causa della leadership americana (www.newamericancentury.org – www.moveon.org).

    Negli anni ’80, gli Stati Uniti pianificavano già lo spezzettamento della Jugoslavia e nel 1991 con alcuni partner europei (Inghilterra, Germania) davano inizio alla sua dissoluzione. La federazione jugoslava era uno Stato internazionalmente riconosciuto, ogni ingerenza esterna implicava atti contrari al diritto internazionale. Il protocollo distruttivo, testato in Jugoslavia, consiste in cinque punti dal risultato micidiale per la nazione sotto tiro: 1) annullamento di qualsiasi prestito, finanziamento e richiesta di restituzione del debito; 2) finanziamenti a gruppi estremisti perché acquistino potere e intervengano nell’equilibrio politico del paese; 3) imposizione di sanzioni commerciali, culturali e sanitarie sulla base di eventi improbabili, spesso provocati se non inventati; 4) lancio di una campagna di disinformazione martellante per convincere l’opinione pubblica che l’antagonista è il grande nemico, e la creazione di notizie o messe in scena per giustificare qualsiasi azione militare; 5) intervento armato, sempre per ragioni umanitarie.

    Il processo di distacco delle sei repubbliche jugoslave, la guerra civile in Bosnia ed Erzegovina, il bombardamento della Jugoslavia, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, storica regione serba, sarebbero stati la prova generale del protocollo impiegato negli anni in Afghanistan (2001), Iraq (2011), Ucraina (2014), Yemen (2015), Venezuela (2019), e tentato inizialmente in Siria nel 2011 senza il risultato sperato, grazie alla contrapposizione russa.

    Seguendo il primo punto del protocollo, gli Stati Uniti condannarono l’economia della federazione jugoslava, ritirando tutti i finanziamenti e prestiti e richiedendo l’immediato rientro per quelli in corso attraverso la Banca Mondiale. Contemporaneamente erogavano finanziamenti a partiti o gruppi nazionalisti. Grazie all’aiuto economico, questi gruppi irrompevano nel panorama politico. Armi e addestramento militare vennero forniti dalla Germania alla Croazia. Nel 1995 la Croazia puliva etnicamente le Krajine serbe con l’appoggio del Pentagono e l’aiuto tecnico dell’agenzia di mercenari di stato statunitensi Military Professional Resources Inc. (MPRI). La Turchia con l’appoggio della CIA aveva provveduto all’invio d’armi e alla preparazione militare dei terroristi del Kosovo, trasformati in seguito in Freedom Fighters.

    Bill Clinton autorizzava l’arrivo in Bosnia ed Erzegovina di mercenari islamici di varia provenienza in supporto ad Alija Izetbegović. Tramite la CIA filtrarono armi e aiuti dall’Iran e con loro anche i servizi segreti iraniani. Questa presenza ha grandemente influenzato la zona islamica del paese anche dopo la guerra. Da società libera e laica, la Bosnia ora è sempre più islamizzata. Molto denaro è fluito da Arabia Saudita e Iran, non per ristrutturare l’economia distrutta dalla guerra, solo per costruire moschee e scuole islamiche, dove i giovani (solo maschi, ovviamente) vengono istruiti. Sebbene la Costituzione lo proibisca, l’abitudine di avere diverse mogli e conseguentemente molti figli è tornata in auge. La Turchia considera la Bosnia suo dominio, parte della Trasversale Verde, il territorio un tempo occupato dall’Impero ottomano. Quindi, in Europa oggi esiste una zona franca dove sunniti e sciiti convivono con la benedizione della Turchia, chiamata la Grande Madre.

    Le sanzioni economiche, culturali e sanitarie sono state applicate dalla fine del 1991 fino al Trattato di Dayton con gravi, a volte tragiche conseguenze sulla popolazione. Gli ospedali in Serbia e nella Republika Srpska di Bosnia e in quella di Krajina mancavano di tutto.

    La campagna di disinformazione venne messa in opera con grande abilità fin dall’inizio del processo di dissoluzione impiegando le maggiori agenzie di comunicazione. Con una tecnica martellante i media istillavano nel pubblico il concetto che i Serbi erano gli unici colpevoli di quanto succedeva in Jugoslavia, convincendo il pubblico che Belgrado voleva la Grande Serbia e che minacciava l’indipendenza delle altre repubbliche fino a poco prima membri della Federazione.

    In Bosnia, scenari sanguinosi erano stati creati allo scopo di giustificare gli interventi della NATO. Desidero ricordare la granata sui cittadini in fila per il pane nel 1992 a Sarajevo, e le due bombe lanciate sul mercato di Vase Miškina nel 1994 e nel 1995. Quest’ultimo massacro aveva scatenato i bombardamenti US/NATO su tutto il territorio serbo in Bosnia. Tutte queste carneficine vennero imputate ai serbi, rifiutando una commissione d’inchiesta e qualsiasi documentazione contraria alla verità prestabilita.

    James Harff, direttore di Ruder&Finn Global Public Affairs, aveva lavorato fra il 1991 e il 1992 per il governo croato, il governo musulmano di Bosnia e l’opposizione del Kosovo. In un’intervista con il giornalista di TeleFrance2, Jacques Merlino (Le verità jugoslave non sono tutte belle da raccontare, Albin Michel Ed., Parigi 1993) aveva spiegato la sua tecnica di prendere una notizia qualsiasi, anche non confermata, e rilanciarla sui media. Aveva afferrato al volo la foto del rifugiato musulmano scheletrico fotografato da una troupe inglese nel campo di raccolta profughi di Trnopolje. Questa notizia era stata usata da Harff per suggerire si trattasse di un campo di concentramento serbo. Vero o meno, Harff aveva sfidato il giornalista a far cambiare opinione al pubblico, ormai i serbi erano i nuovi nazisti del 1992. Dopo questa campagna sarebbe stato facile accusarli di qualsiasi crimine e intervenire militarmente con l’approvazione pubblica.

    Dopo la Pace di Dayton nel 1995, ci fu un periodo relativamente tranquillo, la popolazione sperava nella ripresa, pur faticosa, della vita normale. Era un altro inganno, anzi una tecnica di tortura psicologica, consisteva nel far sperare alle popolazioni in un ritorno alla vita e poi farli ripiombare nell’angoscia della guerra. A questo scopo fu messa in scena la fossa di Račak in Kosovo. Conseguentemente venne organizzata la conferenza di Rambouillet per ottenere il movente ufficiale per l’attacco alla Jugoslavia. Slobodan Milošević non avrebbe mai potuto accettare l’occupazione della Jugoslavia (Serbia e Montenegro) da parte della NATO. In realtà, truppe NATO erano già schierate in Macedonia in attesa del semaforo verde (Jacques Hogard, L’Europa è morta a Priština, Zambon Ed., 2016). Cosa curiosa, durante la conferenza la Segretaria di Stato Madeleine Albright dialogò soltanto con Hashim Thaci, personaggio noto alle polizie europee, e mai con Ibrahim Rugova. Quest’ultimo era il presidente del governo ombra kosovaro, eletto con il 90% dei voti durante le elezioni segrete avvenute con tacito accordo serbo, e favorevole alla non violenza. Diventava evidente che gli Stati Uniti avrebbero appoggiato un governo kosovaro formato da criminali, con terribili conseguenze per le popolazioni kosovare di etnia non albanese.

    I crimini e le violazioni che gli US e la NATO hanno commesso nei Balcani avrebbero iniziato ad essere evidenti nel tempo. Gli Stati Uniti e la NATO avevano violato scientemente una serie di trattati e accordi internazionali. In previsione di questa possibilità, già nell’agosto 1992, durante una riunione straordinaria a Ginevra della Commissione dei Diritti Umani, un rappresentante americano suggerì che l’ONU istituisse un Tribunale per i crimini commessi nei Balcani. Il 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione 827 (1993) e 808 del 22 febbraio 1994, creava ai sensi del capitolo VII della Carta dell’Onu il Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia. Il Tribunale ad hoc avrebbe rafforzato e sancito la legittimità delle azioni US e NATO nei Balcani.

    I saggi contenuti in questo volume spiegano ampiamente come questa scelta sia stata attuata sul filo dell’illegalità e come la gestione dei processi sia stata completamente al di fuori dalla procedura normale della giustizia, piegando leggi e procedimenti alla necessità del tribunale di condannare alcuni imputati e assolvere altri dalle stesse incriminazioni.

    In tutto il periodo di guerra nei Balcani, nessun giornalista aveva potuto raccontare la verità sugli avvenimenti in corso senza gravi ritorsioni. Sempre più persone, in Europa come negli Stati Uniti, si rendevano conto come la libertà di parola e opinione fosse finita, ciononostante molti si sono battuti per ristabilire la verità dei fatti. Lo scrittore austriaco Peter Handke contestava la demonizzazione dei serbi, ferocemente criticato dai media. Michel Chossudovsky scriveva i suoi articoli scomodi dal Canada… A Londra, il giornalista Misha Glenny, con il suo libro The fall of Yugoslavia, e Misha Gavrilović, con i suoi interventi ai talk-show, cercavano di spiegare il punto di vista serbo. A Parigi, Louis Dalmas pubblicava un mensile, Balkans Infos, dove le penne escluse dai media stream potevano raccontare realtà scomode. In Belgio Michel Collon tentava di risvegliare la coscienza pubblica con i suoi scritti. In Germania, Jürgen Elsässer si impegnava con i suoi articoli e libri.

    A Roma, nel 1993, la controinformazione iniziò con la trasmissione radio Voce Jugoslava su Radio Città Aperta, curata da Ivan Pavičevac e Milena Čubraković. A loro si aggiunsero nel 1994 Manuela Marianetti, Maurizio Caldarola, Pino Arancio, Franco Marenco e Andrea Martocchia, con il nome di Movimento per la verità sulle guerre jugoslave. Dopo i bombardamenti del 1999 altri si aggiunsero al gruppo, e nel 2001 a Bologna con altri attivisti da tutta Italia crearono l’attuale Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. Nel 2007 il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia diventava una associazione legalmente riconosciuta. Un simpatizzante del Coordinamento, Giuseppe Torre, morì nel 2014 e lasciò un legato al gruppo, perché lo impiegassero per rivelare i crimini contro i serbi.

    Da questo lascito, i membri del Coordinamento con il segretario Andrea Martocchia hanno lanciato il Premio «Giuseppe Torre» per i migliori saggi sul Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia. Il tema del «Tribunale ad hoc» rimane attuale ed è anzi imprescindibile per chi vuole dedicarsi alla interpretazione della crisi jugoslava contemporanea. D’altronde, questo Concorso e le nostre altre iniziative sul tema non sono solamente il frutto della nostra volontà di fare chiarezza su usi e abusi del Diritto Internazionale, spiegava Martocchia.

    Nel 2018, la giuria della prima edizione, composta da Aldo Bernardini, Chiara Vitucci e la sottoscritta, premiava ex aequo Stephen Karganovic per il suo TPIJ e Srebrenica e Jovan Milojevich per Quando la Giustizia fallisce: risollevando la questione dei pregiudizi etnici al Tribunale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia (TPIJ), una menzione speciale era conferita al saggio Povertà, ascesa e demolizione del Diritto Penale Internazionale di Tiphaine Dickson.

    I due saggi vincitori del Premio «Giuseppe Torre», edizione 2018, più due ulteriori saggi di Christopher Black, noto avvocato internazionalista, di Višeslav Simić, docente di Geopolitica in Messico, con la prefazione dell’ambasciatore canadese James Bisset e la postfazione del giornalista Peter Brock e mia, sono stati pubblicati nel volume The Hague Tribunal, Srebrenica and the Miscarriage of Justice.¹ Aldo Bernardini

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1