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La battaglia più sofferta di Josip Broz Tito
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E-book306 pagine4 ore

La battaglia più sofferta di Josip Broz Tito

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Info su questo ebook

La storia è incorruttibile e spesso impietosa, sistema ogni cosa realisticamente al suo posto e, facendolo, non perdona a nessuno errori e illusioni. E nemmeno a Tito. Ma non è neppure possibile cancellare dalla memoria storica ciò che Tito ha significato per la Jugoslavia e per il mondo e rimuovere tutto ciò che ha fatto di positivo.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2023
ISBN9791222477183
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    Anteprima del libro

    La battaglia più sofferta di Josip Broz Tito - Zvonko Štaubringer

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    { orientamenti }

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    La conoscenza della realtà jugoslava e balcanica nel nostro paese è meno che scarsa. Nonostante la prossimità geografica, le vicende comuni e gli inevitabili scambi culturali avuti nei secoli, la visione che permane egemone nella pubblica opinione è sintetizzabile con la ben nota locuzione: hic sunt leones. Se attorno al mondo slavo in genere prevalgono vuoi esotismo e intellettualismo vuoi pregiudizio e ostilità, sullo specifico jugoslavo dopo la crisi drammatica di fine Novecento è stata ulteriormente incoraggiata la propensione a rimuo- vere tutto quanto riguarda i caratteri al contempo unitari e multiformi di quello spazio cul- turale e storico-politico.

    Perciò il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus si è dato come obiettivo costituente quello di rendere possibile una maggiore integrazione delle conoscenze in materia, e a questo scopo «pubblicare libri, opuscoli, materiali audiovisivi» oltre che diffondere e rendere sempre disponibili informazioni con i moderni strumenti telematici e promuovere specifiche iniziative culturali e informative.

    In linea con questo intendimento viene promossa la collana {orientamenti}, la quale, intervenendo in territori della Conoscenza attualmente popolati poco e male, necessariamente si prefigge di fornire innanzitutto gli strumenti basilari – ripubblicando classici o traducendo testi importanti mai giunti prima in Italia, fornendo strumenti sintetici e divulgativi su temi diversi, rispondendo alle richieste di chi è veramente interessato a sapere e capire.

    Altre informazioni al sito: www.cnj.it

    Contenuti della collana:

    Arte e cultura slava e balcanica / Storia contemporanea / Movimento di Liberazione /

    Politica internazionale / Mondo slavo / Biografie / Movimento operaio e antifascista /

    Internazionalismo partigiano / Teoria politica / Linguistica / Nazionalità e identità / Amicizia

    tra i popoli / Macroeconomia / Materiali per la Associazione

    © 2023 Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus ETS, all rights reserved

    Titolo originale: NAJTEŽA BITKA JOSIPA BROZA TITA

    A cura di Luca Alteri

    Traduzione dal serbocroato di Ivan Pavičevac

    Grafica e impaginazione: 11est

    Progetto di copertina: Gianni Puri

    Immagine: Josip Broz Tito

    Prima edizione: NOVI PEČAT, Belgrado, 1992

    Editore: Savez komunista – pokret za Jugoslaviju u Hrvatskoj

    Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus Ente del Terzo Settore

    C.P. 252 Bologna Centro, I-40124 Bologna (BO) - Italia

    www.cnj.it jugocoord@tiscali.it

    La battaglia più sofferta

    di Josip Broz Tito

    1892-1992

    Zvonko Štaubringer

    A cura di Luca Alteri

    Traduzione di Ivan Pavičevac

    Sommario

    Nota editoriale — 7

    Presentazione — 9

    Introduzione — 15

    1. Un uomo del suo tempo — 19

    2. Lotta per l’unità della Jugoslavia — 27

    3. Un contemporaneo del turbolento XX secolo — 49

    4. L’indelebile sentiero della pace e dell’amicizia — 67

    5. Sapeva adattarsi al ritmo della storia — 87

    6. Il nostro volto pulito di fronte alla storia dell’umanità — 99

    7. Preghiere per un ateo — 119

    8. Emozioni, convinzioni, giuramenti dei successori — 127

    9. Richieste per una valutazione critica del ruolo storico — 143

    10. Non è nemmeno possibile cancellare Tito dalla memoria storica — 165

    11. Omaggi e messaggi nella «Casa dei fiori» — 175

    1. L’ultimo saluto del partigiano — 175

    12. Note biografiche — 193

    1. Nato il 7 maggio 1892 — 193

    2. Soldato della monarchia asburgica — 194

    3. Prigioniero russo — 195

    4. La famiglia — 196

    5. Alla guida del PCJ — 198

    6. Pseudonimo Tito — 199

    7. Comandante Supremo — 200

    8. Maresciallo della Jugoslavia — 201

    9. Nella Belgrado liberata — 203

    10. Eroe nazionale — 204

    11. Idea guida – fratellanza e unità — 206

    12. Il mostro fascista è distrutto — 207

    13. Nella natia Kumrovec — 209

    14. Le frontiere dell’unione — 211

    15. Risposta alla lettera pastorale — 212

    16. Più di 90% di voti per Tito — 214

    17. La decisione più difficile — 215

    18. Io sono Jugoslavo — 216

    19. Perché non dorme — 218

    20. Soltanto Zelengora è rimasta dov’è sempre stata — 219

    13. Postfazione — 221

    Nota editoriale

    L’edizione originale di questo libro fu data alle stampe nel centenario della nascita di Tito, mentre il paese da lui a lungo guidato sprofondava nella guerra fratricida: militanti del Savez Komunista – Pokret za Jugoslaviju (Lega dei Comunisti – Movimento per la Jugoslavia) della Croazia ne avevano promosso la pubblicazione in modesta tiratura, ritenendolo un omaggio al leader ma anche un monito per i popoli jugoslavi scaraventati in un inferno ben pianificato da potenze straniere con la collusione di traditori locali.

    Venimmo a conoscenza del libro in occasione di incontri avuti all’inizio degli anni Novanta con esponenti del Savez Komunista – Pokret za Jugoslaviju quali Mirijana Jakelić e il generale Stevan Mirković. Li avevamo infatti invitati a Roma per iniziative pubbliche, specialmente nel 1993 in occasione del Meeting per la Pace e la Solidarietà tra i popoli che si teneva all’ex Mattatoio di Testaccio. Già allora, nelle fasi più acute e drammatiche della distruzione del nostro paese, il problema delle diffamazioni contro la figura di Tito era enorme, e promettemmo allora a Mirković che avremmo lavorato alla traduzione del libro in lingua italiana.

    Negli anni successivi siamo tutti entrati in un vortice drammatico ed anche il lavoro di pubblicazione del libro in italiano ne ha risentito. La traduzione – cui abbiamo lavorato in varie persone, con diverse revisioni – è terminata alcuni anni fa, dopodiché la pandemia e altri problemi personali dei nostri compagni ci hanno costretto ad attendere ancora, anche se ci rendevamo conto che la gravità degli eventi in corso avrebbe richiesto che il libro uscisse prima possibile.

    Finalmente, dapprima abbiamo pubblicato la nuova edizione del libro in lingua originale per la stessa collana orientamenti di Jugocoord,¹ e ora vede la luce questa edizione italiana. Essa arriva sicuramente tardi rispetto al precipitare degli eventi ma giusto in tempo per aiutarci a celebrare l’80.mo anniversario della Fondazione della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia (Jajce, Bosnia-Erzegovina, 29 novembre 1943).

    In una delle sue ultime interviste Tito affermò che la battaglia più difficile della sua vita era stata quella per far valere le ragioni della Jugoslavia presso il Cominform: una delle poche, tra le tante epiche battaglie da lui combattute, ad avere avuto esito negativo.

    Potremmo dire che tutte le vittorie di Tito oggi sono state tramutate in sconfitte, ma la Storia continua e un bilancio onesto di ciò che è stato e di ciò che è adesso sarà fatto tra molti decenni.

    In questo libro, a parlare di Tito dopo la sua scomparsa è per lo più chi lo ha conosciuto direttamente o almeno ne ha apprezzato il ruolo storico. Nonostante comprenda molti dati storici e biografici, il libro contiene soprattutto testimonianze dirette di un tempo passato, oggi sottoposto a critiche aspre ma spesso ingenerose e non disinteressate.

    Ivan Pavičevac

    Andrea Martocchia

    Presentazione

    Esistono, potenzialmente, tanti modi per ricordare il Maresciallo Tito, ma nessuno – temo – riuscirebbe da solo a restituire la complessità della sua figura e, contemporaneamente, l’estrema numerosità delle variabili che hanno contraddistinto l’epoca storica in cui ha vissuto e di cui è stato grande protagonista. Tra le tante possibili presentazioni, ci piace sottolineare quella di Josip Broz come «uomo di pace», così da segnalare anche l’estrema attualità del suo operato e l’atemporalità delle istanze a cui ha cercato di dare ascolto (saranno gli storici e gli intellettuali, ma soprattutto i militanti politici, i lavoratori e le lavoratrici, insieme ai lettori di questo saggio, a decidere se ci sia riuscito o meno). Sono pochi i momenti in cui la grandezza di un personaggio diventa misurabile secondo criteri che si avvicinano all’oggettività, senza subire le insidie delle stagioni, delle mode politiche, delle convenienze di parte: il momento dei suoi funerali, pur nella solennità dell’inevitabile retorica, è uno di questi. Ebbene, le esequie del Maresciallo Tito, celebrate l’8 maggio 1980, sono ricordate – non solo dalle pagine che seguono – come uno degli eventi più partecipati e commoventi del XX secolo, in evidente coerenza con una vita passata a unire i popoli, non a fomentarne le divisioni. Sia sufficiente citare le emblematiche parole di Felipe González, forse l’ultimo leader socialista spagnolo capace di un consenso duraturo:

    «Il funerale di Tito è stato una cosa mai vista prima e, direi, irripetibile. Tutta l’élite politica mondiale è stata a Belgrado. Tutti gli occhi del mondo erano indirizzati verso la Jugoslavia... il mondo turbolento e litigioso, malgrado il clima sfavorevole, è venuto ad accommiatarsi da questo grande uomo e a dare supporto alle sue idee, al suo eterno appello per la pace e la coesistenza» (infra).

    Si badi bene, però: una tale unanimità di giudizio rispetto al ruolo internazionale di Tito non è stata costruita intorno ai «buoni propositi» di quest’ultimo, né illanguidisce la sua precisa identità, rendendolo un «boy-scout» della politica estera: Tito non è stato «volenteroso», è stato «efficace» e, nell’esserlo, ha individuato con precisione – mettendo a valore la «scuola di partito» appresa a Mosca – le cause impedenti la pace: il fascismo, l’imperialismo, il nazionalismo sciovinista, il frazionismo. Non si è fermato, ovviamente, all’analisi (ché, altrimenti, il suo ricordo vivrebbe in qualche dipartimento universitario, non nella memoria collettiva), ma l’ha implementata attraverso scelte coraggiose, per quanto – probabilmente – intimamente coerenti con le risultanze dei suoi ragionamenti: la rottura con Stalin – argomento fin troppo complesso e contrastato da dibattere in queste poche pagine –, la promozione della jugoslavità contro i micronazionalismi (utili, invece, a ottenere facili consensi), il modello economico e politico dell’autogestione socialista, il perseguimento dell’autonomia nell’ambito delle relazioni internazionali. Quest’ultimo punto merita una particolare attenzione: lungi dall’essere una sorta di «terzismo» sullo scenario globale, il Movimento dei non allineati era volto a lanciare un preciso messaggio, quasi «metapolitico»: in ambito internazionale è possibile il protagonismo anche di piccoli paesi – non solo degli storici «imperi» – a patto che siano in possesso di grandi ideali. Si tratta, evidentemente, di un’altra intuizione caratterizzata da estrema attualità, rispetto a un mondo – quello odierno – che pare aver confinato agli Stati possessori di grandi ricchezze naturali o di sterminate disponibilità economiche il diritto a esprimere una piena sovranità: agli altri, invece, resta il destino da «colonia» o «semi-colonia», a detrimento della dignità e delle condizioni di vita della loro popolazione.

    La lezione di Tito non finisce qui: sempre secondo la cornice teorica del «vessillo dell’idea kantiana di Pace Mondiale» (per citare l’impegnativa, ma non stucchevole definizione di Miroslav Krleža, infra), coinvolge anche il progetto europeo che indubbiamente si è giovato, nella costruzione delle sue fondamenta, del lavorio jugoslavo in favore dell’allentamento delle tensioni tra Est e Ovest, con il conseguente attenuarsi della Guerra Fredda. Possiamo, quindi, immaginare la delusione, la rabbia e lo sconcerto della popolazione serba nel momento in cui i bombardamenti della Nato contro obiettivi militari e civili, nel 1999, abbiano avuto come base di lancio siti militari situati in Europa. Proprio quella repellente commistione di ingratitudine verso Belgrado e di servilismo nei confronti di Washington ha segnato l’evidenza di come non solo «l’era di Tito», ma anche «l’era dell’Europa occidentale» come attore di pace e di dialogo sia definitivamente tramontata. Dobbiamo quindi pensare che invano il Maresciallo Josip Broz abbia passato sveglio molte notti e che quella straordinaria capacità di «cogliere l’occasione» (cioè la coincidenza di una grande personalità che viva in un’epoca di frontiera) e di costruire qualcosa di «storicamente nuovo» si sia persa per sempre? L’attuale contesto dell’area jugoslava suggerirebbe proprio questo, finendo – peraltro – per tessere ulteriori e involontarie lodi alla capacità predittiva dello stesso Tito: come i lettori si renderanno conto, già in vita il Maresciallo aveva individuato nell’esacerbazione del nazionalismo tra gli Stati della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia l’acceleratore della possibile dissoluzione di quest’ultima. Tale consapevolezza, evidentemente, non è bastata, né l’opera in vita di Tito è stata sufficiente per garantire il futuro unitario e socialista della Jugoslavia. Forse è vero che l’unica sostituzione possibile del Maresciallo – dopo la sua dipartita – avrebbe dovuto essere «collettiva», non affidata a una singola personalità, che avrebbe inevitabilmente perso il confronto carismatico con il predecessore. Alcuni risultati raggiunti dallo statista di Kumrovec, del resto, erano irripetibili: far amare e rispettare la jugoslavità; creare una linea di dialogo e di ascolto (costruita sempre in maniera dialettica, mai artificiosamente elogiativa) tanto con i gruppi di intellettuali, quanto con la classe operaia; modellare intorno alla tragica e insieme magnifica esperienza della Resistenza al nazismo – variabile su cui la Jugoslavia ha primeggiato a livello mondiale – la costituzione di una cornice istituzionale e simbolica che fungesse da collante per le diverse etnie; riformare l’economia pianificata di stampo socialista secondo le linee dell’«autogestione democratica»; elevare la Jugoslavia a modello per quegli Stati che, non appartenendo al novero delle grandi potenze per motivi strutturali (oppure per la mancata volontà di farne parte), desideravano comunque mantenere la propria autonomia in campo internazionale. Si trattava, evidentemente, di conquiste «culturali», prima ancora che politiche o economiche, possibili solamente se il suo fautore – o quantomeno l’enzima – fosse stato capace di «costruire il suo tempo», utilizzando situazioni e variabili, appunto, sostanzialmente irripetibili. Qui si situa, forse, il motivo principale per cui la Jugoslavia unita non è sopravvissuta alla morte di Tito: dopo che «l’albero gigantesco è caduto» (per citare le parole, scarne e toccanti, di Kenneth Kaunda, eroe dell’indipendenza e primo presidente dello Zambia, grande amico del Maresciallo), l’idea jugoslavista si è sciolta, lasciando spazio all’odio, alla rappresaglia, al conflitto etnico. È da allora che il termine «balcanizzazione» ha iniziato a indicare «l’estrema frantumazione» di un contesto geopolitico e la sua probabile irrecuperabilità rispetto alla precedente dimensione unitaria.

    È stato detto – e anche questa espressione è rintracciabile nel presente volume – che Tito sia paragonabile al «Martin Lutero del movimento comunista», come a indicare «il riformatore più noto», ma – mentre lo scisma protestante ha prodotto risultati ancora oggi evidenti – la «riforma titina» è stata poi soffocata da guerre di religioni – nello specifico della competizione tra imperialismi (quello «storico», cioè statunitense, versus quello «rampante», cioè dell’Unione Europea) – finendo per ridimensionare il ricordo di chi l’aveva teorizzata e messa in pratica a semplice eretico, alla stregua del persiano Mani o dell’alessandrino Ario.

    Questo volume non intende indagare le cause della dissoluzione della Jugoslavia, poco dopo la morte di Tito, ma si prefigge uno scopo solo in apparenza più limitato: spiegare come sia stato possibile che un operaio originario della regione di Zagorje sia diventato un grande comandante popolare e un abile statista internazionale, fino ad assumere una dimensione «sovraumana», come quando – al tempo della Resistenza – i nazisti pensavano che «Tito» neanche fosse un uomo in carne e ossa, ma la sigla di un’organizzazione politica, di un gruppo armato, di un soggetto comunque collettivo! Proprio la cifra del suo successo, del resto, fornisce la spiegazione della veloce rimozione di cui è stato fatto oggetto post mortem, con l’evidente obiettivo di cancellare, prima ancora che il ricordo di un uomo, i risultati ottenuti dal suo progetto politico. Ma di questo si parlerà altrove: qui interessa ricordare – a chi ha vissuto quella stagione – o insegnare – a chi non ha avuto l’età per farlo –chi sia stato e cosa abbia rappresentato Josip Broz: si tratta di una necessità stringente soprattutto in Italia, dove la letteratura contro il Maresciallo Tito ha raggiunto toni grotteschi, infamanti, stucchevoli, come nel caso della nota «operazione foibe».

    Per capire la figura di Josip Broz «Tito» serve, quindi, posizionarsi alla giusta distanza, di cui questo volume fornisce numerosi esempi. Ne valga uno su tutti, quello di Miroslav Šolević che, pur essendo stato uno strenuo oppositore di Tito, ne riconosceva il valore (infra):

    «Il defunto Broz è un personaggio storico eccezionale. Nel periodo in cui era forte e al potere, erano pochi quelli che osavano prendergli le misure, mentre oggi ci sputa addosso anche l’ultimo coglione, pensando che questo sia il modo più facile per ottenere punti politici nel micro e macroambiente politico. Ritengo che sia necessaria una certa distanza storica perché si possano dare un’immagine reale e completa e una valutazione. All’epoca sostenevo che lui avrebbe dovuto andarsene, mentre ora penso che non avrebbe ancora dovuto farlo, visto quali incompetenti gli sono succeduti. Credo che il defunto Broz si stia rigirando ogni giorno nella tomba, guardando quello che sta facendo la feccia politica che gli è succeduta.»

    Luca Alteri

    Introduzione

    Nel maggio 1992 sono trascorsi cento anni dalla nascita di Josip Broz, il leggendario maresciallo Tito, eccellente comandante nella lotta antifascista dei popoli jugoslavi, per molti anni presidente della Lega dei Comunisti e della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia. Cofondatore – insieme a Nehru e Nasser – del Movimento dei non allineati, Tito è stato uno statista molto impegnato nella lotta per la pace nel mondo.

    Pienamente interno alle battaglie e alle contraddizioni del«movimentato» XX secolo, già in vita Josip Broz era diventato un punto di riferimento per il popolo jugoslavo, che aveva trovato in lui il comandante supremo, un leader eccellente e un combattente coraggioso. Non solo: come ammesso anche dagli Alleati, nella II Guerra Mondiale, Tito è stata un’abile guida per l’Esercito di liberazione popolare, che già dai primi giorni dell’insurrezione inferiva, con le sue coraggiose azioni, pesanti colpi all’esercito di Hitler e agli altri occupanti fascisti.

    Nel corso dei trentacinque anni di sviluppo postbellico della Jugoslavia, Tito ha lasciato una forte impronta. Ha cercato di trovare le risposte giuste ai dilemmi e alle richieste che quel periodo poneva di fronte al movimento dei lavoratori e ai popoli jugoslavi. Riteneva che tali risposte potessero essere date con successo soltanto nel socialismo e attraverso l’autogestione, realizzando il ruolo guida della classe operaia e della sua avanguardia comunista.

    Profondamente permeato dall’idea jugoslavista, ha sempre combattuto con perseveranza per la sua affermazione, da quando è entrato a far parte del movimento rivoluzionario, durante e dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Si è impegnato per la realizzazione della piena uguaglianza ed emancipazione di tutte le nazionalità nel paese. A livello umano, praticamente si identificava con le idee dell’unità e della fratellanza. Nelle situazioni di stallo e di crisi, come negli anni Settanta, Tito è stato promotore di azioni risolute nella lotta contro il separatismo e il nazionalismo, mirando a stabilire legami più forti fra le repubbliche jugoslave.

    Sotto la guida di Tito la Jugoslavia ha condotto grandi battaglie con l’obiettivo di realizzare la grande idea della pace mondiale, del non allineamento, del superamento della divisione in blocchi e della costruzione di un assetto internazionale più giusto, nel quale i paesi grandi e quelli piccoli, i paesi ricchi e i poveri fossero politicamente uguali. A tal fine Tito ha visitato sessantanove Stati, ricevendo attestati di stima tanto dal Cremlino, quanto dalla Casa Bianca e da molte altre capitali del mondo. Ha avuto incontri con più di cinquecento capi di Stato, sovrani e Primi ministri. Ha costruito ponti di amicizia e di collaborazione, consentendo alla Jugoslavia di rivestire per decenni un ruolo di grande prestigio nel mondo.

    Quel tempo è, pare, per sempre dietro di noi. Non è rimasto nulla dei grandi sogni e delle idee del periodo di Tito. Si sono sciolti anche il suo partito, l’esercito e la Jugoslavia dell’AVNOJ.² Lo sviluppo sociale degli ultimi anni, del periodo post-titoista, ha condotto la storia comune dei popoli jugoslavi allo scisma e, purtroppo, alla tragica guerra interetnica. La disgregazione e la guerra hanno portato sventura a tutti i suoi popoli.

    Questi fermenti e tragedie hanno provocato anche il cambiamento della mentalità della gente e imposto una diversa sensibilità nei confronti di Tito, della sua opera e del periodo della sua generazione dei combattenti. Oggi, nessuno ci si rapporta più in modo acritico e idolatrico. Anzi, tutto è sottoposto a un’aspra critica, il che è normale, poiché anche in quell’attività ed eredità si trovano molte delle cause degli attuali tumulti nel paese. Nulla si crea in una notte. Quindi, neanche questa nostra crisi. Essa ha le sue radici anche nel sistema precedente ed è inoltre seriamente aggravata dalle tendenze separatiste e dalle proposte di nuovi progetti sociali ancora insufficientemente ragionati, come anche dalle pericolose piattaforme nazionaliste.

    La storia è incorruttibile e spesso impietosa, sistema ogni cosa realisticamente al suo posto e, facendolo, non perdona a nessuno errori e illusioni. E nemmeno a Tito. Ma non è neppure possibile cancellare dalla memoria storica ciò che Tito ha significato per la Jugoslavia e per il mondo e rimuovere tutto ciò che ha fatto di positivo. Forse in occasione di un futuro anniversario più sereno dei nuovi stimatori parleranno di Tito e lo descriveranno in un modo più criticamente solido.

    In questo libro, di Tito parlano per lo più i suoi contemporanei, del mondo e del suo paese. I loro racconti sono nati per la maggior parte nel momento della sua morte e negli anni successivi alla sua scomparsa. Non è un testo storico-scientifico, ma una testimonianza, una visione soggettiva delle persone di un tempo passato che oggi è sottoposto a un’aspra contestazione e critica. Tuttavia, anche questi sono dei frammenti che i futuri storici e scrittori non potranno eludere quando – perfino se da un altro punto di vista – verrà nuovamente valutato il ruolo di Tito. Gli editori di oggi non hanno trovato interesse a stampare questo manoscritto, di conseguenza è stato stampato in modesta tiratura, con l’aiuto dei membri della Lega dei Comunisti – Movimento per la Jugoslavia della Croazia.

    Belgrado, dicembre 1992

    L’Autore

    Un uomo del suo tempo

    Willy Brandt: «Ritengo che molto di quello che sta succedendo oggi in Europa, e spero succederà anche nel futuro in condizioni migliori, non sarebbe possibile, oppure sarebbe stato molto più difficile se non fosse stata intrapresa la non sempre facile strada che dopo la Seconda guerra mondiale ha intrapreso la Jugoslavia

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