Leonardo e Geltrude - primo volume
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Leonardo e Geltrude è, probabilmente, l’opera maggiormente conosciuta di Pestalozzi ed è uno dei grandi romanzi pedagogici del romanticismo. Per i suoi contenuti e la sua forza morale, è paragonato ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni così come al Wilhem Meister di Goethe. Pestalozzi si propone di elevare, per mezzo dell’educazione, le classi disagiate e derelitte alla coscienza della propria umanità, acquistando dignità grazie all’istruzione e al lavoro.
Protagonisti sono Leonardo, un muratore, e la sua coraggiosa moglie Geltrude, simbolo della dimensione familiare e materna. Geltrude, ispirata, comprende subito che per la soluzione dei problemi sociali che affliggono il villaggio di Bonnal, è necessaria la collaborazione di tutti.
Rivolgendosi al feudatario, denunciando i soprusi del podestà, chiedendo la collaborazione del pastore, Geltrude coinvolge l’intero villaggio in un cammino di redenzione, miglioramento e salvezza.
Con il supporto di Leonardo, che per primo incarna la “redenzione” auspicata da Geltrude, rinunciando agli ozi e ai vizi dell’osteria, e il sostegno di alcune figure chiave del villaggio, Geltrude contribuisce a riportare nel villaggio un clima sereno e collaborativo, primo passo per una crescita morale delle persone. In questo primo volume, infatti, le vicende del villaggio di Bonnal sono predominanti: la cacciata del podestà, la lotta alle superstizioni, l’aiuto reciproco a favore dei più bisognosi, sono alcuni dei temi che vengono sviluppati da Pestalozzi. Senza dimenticare l’influenza di Rousseau e degli ideali illuministi, l’educazione dei più piccoli, la crescita morale degli adulti. Si incomincia anche a notare il tratto distintivo della pedagogia di Pestalozzi che si tradurrà in una vera e propria “educazione popolare”, che troverà moltissimi seguaci negli anni a seguire.
L’autore
Pedagogista svizzero (1746-1727), nato a Zurigo da una famiglia di origine italiana, è stato uno dei più importanti pedagogisti, educatori e riformatori del sistema scolastico dell’epoca illuministico-romantica. P. intende l’educazione come libera e spontanea formazione della personalità del bambino, che lo deve guidare alla luce di una coscienza morale e religiosa verso la società e la vita. Secondo il suo metodo, i bambini devono essere istruiti con attività concrete e con le realtà oggettive e devono essere lasciati liberi di perseguire i propri interessi e di ricavare le proprie conclusioni dai concetti che gli vengono presentati. Fonda e dirige numerose scuole convinto che la didattica è l’arte di agevolare l’apprendimento, operando sulla mente del fanciullo con elementi presi dalla realtà.
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Anteprima del libro
Leonardo e Geltrude - primo volume - Johan Heinrich Pestalozzi
Johan Heinrich Pestalozzi
LEONARDO E GELTRUDE
primo volume
I grandi dell’educazione
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Titolo originale: Lienhard und Gertrud, 1781.
Traduzione dal tedesco di Stefania Quadri aggiornando quella di Giovanni Sanna del 1928.
In copertina: dipinto raffigurante Pestalozzi nella scuola di Stans
Prima edizione digitale: 2017
ISBN 9788833260099
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Table Of Contents
PROEMIO
CAPITOLO I
Un uomo buono di cuore, che però rende molto infelici la moglie e i figli
CAPITOLO II
Una donna che sa prendere risoluzioni e porle in atto e trova un signore che ha cuore di padre
CAPITOLO III
Compare un mostro
CAPITOLO IV
Egli si trova con pari suoi; e in quest’occasione si fa conoscenza di certi mariuoli
CAPITOLO V
Egli trova il suo maestro
CAPITOLO VI
Discorsi da veri contadini
CAPITOLO VII
Il podestà comincia il suo lavoro
CAPITOLO VIII
Quando si ungono le ruote, il carro va
CAPITOLO IX
I diritti del paese
CAPITOLO X
Il cane del barbiere lecca acqua fuori tempo, e guasta le uova nel paniere al signor podestà
CAPITOLO XI
Piani furfanteschi ben architettati
CAPITOLO XII
Serene gioie domestiche
CAPITOLO XIII
Prova che Geltrude era cara al marito
CAPITOLO XIV
Basso egoismo
CAPITOLO XV
L’oca astuta scopre un uovo; o una sciocchezza, che costa un bicchiere di vino
CAPITOLO XVI
Giù il cappello, ragazzi! Siamo al letto d’un morente
CAPITOLO XVII
L’ammalata si comporta ottimamente
CAPITOLO XVIII
Un povero fanciullo chiede perdono d’aver rubato le patate, e l’ammalata muore
CAPITOLO XIX
La giovialità conforta, rallegra e aiuta; il malumore non fa che tormentare
CAPITOLO XX
Curiosità sciocca fa perdere tempo e conduce all’ozio
CAPITOLO XXI
Ingratitudine e invidia
CAPITOLO XXII
I rimorsi della coscienza non si possono soffocar con cavilli
CAPITOLO XXIII
Un ipocrita e una donna che soffre
CAPITOLO XXIV
Un cuore puro, lieto e grato
CAPITOLO XXV
Come i bricconi discorrono tra loro
CAPITOLO XXVI
La presunzione nella miseria conduce ad azioni contro natura e abominevoli
CAPITOLO XXVII
Diligenza e laboriosità senza cuore grato e pietoso
CAPITOLO XXVIII
La sera prima del giorno di festa in casa di un podestà, che tiene bettola
CAPITOLO XXIX
Continuazione, come parlano tra loro e agiscono furfanti.
CAPITOLO XXX
Ancora come parlano tra loro e agiscono i furfanti, in altra maniera
CAPITOLO XXXI
Vigilia di festa in casa d’una buona madre
CAPITOLO XXXII
Le gioie della preghiera
CAPITOLO XXXIII
La serietà della preghiera
CAPITOLO XXXIV
Quest’insegnamento è capito e va al cuore, ma è una madre che lo da
CAPITOLO XXXV
Preghiera del Sabato
CAPITOLO XXXVI
Ancora insegnamenti materni. Pensieri puri ed elevazione dell’anima a Dio
CAPITOLO XXXVII
Portano ad un pover’uomo una zuppa di piselli
CAPITOLO XXXVIII
Pura e serena grandezza di cuori benefici
CAPITOLO XXXIX
Una predica
CAPITOLO XL
Prova che la predica era stata buona. Item intorno al sapere e all’errore, e di ciò che significa opprimere i poveri.
CAPITOLO XLI
Il sorvegliante avvisa il parroco che c’è qualcosa che non va
CAPITOLO XLII
Seguito della predica del mattino
CAPITOLO XLIII
I contadini della bettola non sono tranquilli
CAPITOLO XLIV
Storia d’un cuore umano durante la comunione
CAPITOLO XLV
La moglie dice al marito grandi verità, ma alcuni anni troppo tardi
CAPITOLO XLVI
Soliloquoio di un uomo, che disgraziatamente va lontano con le sue meditazioni
CAPITOLO XLVII
Gioie domestiche domenicali
CAPITOLO XLVIII
Qualche parola attorno al peccato
CAPITOLO XLIX
Caratteri e ammaestramenti infantili
CAPITOLO L
Il mal garbo e le cattive abitudini rovinano all’uomo anche le ore migliori, in cui egli fa del bene
CAPITOLO LI
Non si può credere, quali effetti può avere anche la più piccola buona azione
CAPITOLO LII
La mattina, anche molto presto, è già troppo tardi per quello che si doveva far la sera avanti
CAPITOLO LIII
Quanto uno più è colpevole, tanto più spudoratamente rimprovera gli altri, che si trovano pure in colpa
CAPITOLO LIV
Fatica inutile di poveri diavoli
CAPITOLO LV
Un ipocrita si fa amico un briccone
CAPITOLO LVI
È sul serio che il podestà non può esser più oste
CAPITOLO LVII
L’amico è in grande agitazione
CAPITOLO LVIII
Chi gli era accanto
CAPITOLO LIX
Risoluzione di un dubbio
CAPITOLO LX
Digressione
CAPITOLO LXI
Un vecchio alleggerisce il cuore
CAPITOLO LXII
Il terrore della coscienza inquieta
CAPITOLO LXIII
Con l’amore e la compassione si possono alleviare tutte le ansie di un uomo conturbato
CAPITOLO LXIV
Un parroco che tratta un caso di coscienza
CAPITOLO LXV
Anche nel più umile popolo talvolta vi è delicatezza nel ricevere i benefici invocati
CAPITOLO LXVI
Una guardia forestale che non crede ai fantasmi
CAPITOLO LXVII
Un uomo, che sente il prurito di rovesciare una pietra di confine, vorrebbe volentieri credere agli spiriti, ma non può
CAPITOLO LXVIII
Il sole al tramonto e un povero sciocco avviato alla perdizione
CAPITOLO LXIX
Come si deve fare allorché si vuol ottenere qualche cosa dalla gente
CAPITOLO LXX
Un uomo che é briccone e ladro agisce nobilmente; e la moglie del muratore é saggia
CAPITOLO LXXI
S’avvicina il momento decisivo
CAPITOLO LXXII
Il podestà perde l’ultima speranza
CAPITOLO LXXIII
Si reca alla pietra di confine
CAPITOLO LXXIV
La notte specialmente inganna gli ubriachi e i furfanti che sono turbati
CAPITOLO LXXV
Il villaggio in subbuglio
CAPITOLO LXXVI
Il parroco va all’osteria
CAPITOLO LXXV
Cura d’anime
CAPITOLO LXXVIII
Due lettere del parroco ad Arner
CAPITOLO LXXIX
Relazione del pollaiolo
CAPITOLO LXXX
Risposta del feudatario al Parroco
CAPITOLO LXXXI
Un buon vaccaro
CAPITOLO LXXXII
Un cocchiere che vuol bene al figlio del suo signore
CAPITOLO LXXXIII
Un nobiluomo presso i suoi lavoratori
CAPITOLO LXXXIV
Si trovano assieme un barone e un parroco che hanno entrambi un cuore
CAPITOLO LXXXV
Il cuore del barone verso il podestà colpevole
CAPITOLO LXXXVI
Il parroco mostra ancora una volta il suo buon cuore
CAPITOLO LXXXVII
Intorno al buon umore e agli spiriti
CAPITOLO LXXXVIII
Intorno agli spiriti in altro tono
CAPITOLO LXXXIX
Un giudizio
CAPITOLO XC
Discorso del sorvegliante Hartknopf
CAPITOLO XCI
Risposta del feudatario
CAPITOLO XCII
Discorso del pollaiolo all’assemblea
CAPITOLO XCIII
Nella commedia ci guadagnano i poveri
CAPITOLO XCIV
Il barone ringrazia il Parroco
CAPITOLO XCV
Il barone chiede perdono a un povero diavolo cui suo nonno aveva fatto torto
CAPITOLO XCVI
Pura bontà di cuore d’un poveretto verso il suo nemico
CAPITOLO XCVII
La sua gratitudine verso il suo nobile signore
CAPITOLO XCVIII
Cose che dovrebbero toccare il cuore
CAPITOLO XCIX
Lieta prospettiva
CAPITOLO C
Il premio del pollaiolo
PROEMIO
Lettore!
Queste pagine costituiscono il fondamento storico di un tentativo, rivolto a dire al popolo certe verità in una maniera, che dovrebbero toccargli la mente e il cuore.
Mi sono proposto, così in questa parte storica come nelle seguente precettiva, di imitare con la maggior cura possibile la natura, e di rappresentare ciò che si vede in ogni luogo.
In questo racconto, che per lo più ritrae cose viste e udite da me personalmente nel corso di una vita attiva, ho evitato accuratamente di inserire la mia opinione di ciò che io vidi e udii, che il popolo stesso sente, giudica, crede, dice e brama.
E si vedrà presto. Se le mie esperienze sono vere, e se io le presento come le ho avute, e tale è il mio scopo ultimo, esse troveranno l’approvazione di tutti coloro che hanno avuto, ogni giorno, le stesse cose che io racconto davanti agli occhi. Ma se invece sono parto della mia fantasia e divagazioni nate da mie opinioni, esse, come tante altre prediche della Domenica, svaniranno il Lunedì.
Non aggiungo altro; soltanto espongo due considerazioni, che mi sembrano atte ad illustrare le mie idee intorno all’istruzione del popolo.
La prima è tolta da un libro del nostro venerabile Lutero, la cui penna stilla ad ogni pagina umanità, conoscenza del popolo, istruzione del popolo. Essa è così concepita.
« La Sacra Scrittura ci fa tanto bene anche perchè non si limita a strombazzare soltanto le grandi azioni dei personaggi sacri, ma ce ne fa conoscere anche le più piccole parole, e così si schiude gl’intimi ripostigli del loro cuore »{1}.
L’altra osservazione è tolta da un rabbino giudeo, e secondo una traduzione latina recita così:
« Fra i popoli pagani, che abitano tutt’intorno al retaggio di Abramo, vi furono uomini pieni di saggezza che non avevano chi li uguagliasse per quanto è larga la terra. Essi dissero: fateci andare presso i re e presso i loro potenti, per insegnare loro a far felici gli uomini sulla terra.
« E i saggi uomini andarono e imparaono la lingua del palazzo dei re e dei loro potenti e parlarono con i re e con i loro potenti nella loro lingua.
« E i re e i loro potenti lodarono i saggi uomini, e dettero loro oro e seta e incenso, ma continuarono a opprimere i loro popoli come prima. E i saggi uomini a causa dell’oro e della seta e dell’incenso divennero ciechi, e non videro più che i re e i loro potenti agivano senza senno, né giudizio, con ogni popolo che vive sulla terra.
« Ma un uomo del nostro popolo fu da più dei saggi pagani, dette la mano al mendicante incontrato sulla strada, condusse nella sua capanna il figlio del ladro e del peccatore e del bandito, salutò i pubblicani e i soldati e i Samaritani come fratelli della sua stessa stripe.
« E il suo fare e la sua povertà e la sua costanza nell’amare tutti gli uomini gli guadagnò il cuore del popolo, che confidava in lui come in un suo padre, insegnò al popolo in che cosa consisteva il suo bene, e il popolo udì la sua voce, e i principi udirono la voce del popolo ».
Al passo del rabbino io non aggiungo una parola.
Ed ora, cari figli, prima che vi dipartiate dalla mia solitaria e tranquilla dimora per andare dove i venti imperversano e infuriano le tempeste, dove non vi è pace, ancora una parola, cari figli. Vi possa essa guardare dalle tempeste malvage!
Io non ho partecipato alle lotte scatenate fra gli uomini dalle loro diverse opinioni; ma quando essi operano con pietà, valore, fedeltà, sincerità, quando di tutto cuore amano Dio e il prossimo, quando così portano felicità e benedizione nelle loro case; io credo che, al di fuori di ogni lotta, trovino le vie del cuore di noi tutti.
25 febbraio 1871.
L’autore.
CAPITOLO I
Un uomo buono di cuore, che però rende molto infelici la moglie e i figli
A Bonnal vive un muratore, che si chiama Leonardo, e sua moglie Geltrude. Egli ha sette figli, e guadagna bene; ma ha il difetto di lasciarsi trascinare spesso all’osteria. Quando è là, perde la testa; e nel nostro villaggio{2} non mancano gli astuti bricconi, che non hanno altra occupazione nè altro mezzo di campar la vita se non quello di far la posta alle persone oneste e semplici per cogliere ogni occasione di portare via loro il denaro di tasca. Costoro conoscevano il buon Leonardo e lo spingevano a bere e a giocare, rubandogli il frutto del suo sudore. Ma ogni volta, venuta la sera, egli si pentiva di ciò che aveva fatto la mattina, e sentiva una fitta al cuore, nel vedere Geltrude e i figli privi del necessario: allora si agitava, piangeva, abbassava gli occhi e cercava di nascondere le lacrime.
Geltrude è la più brava donna del villaggio; ma ella e i fiorenti figliuoli correvano pericolo di rimaner privi del capo di casa e della loro casetta, d’esser dispersi e malmenati, di cadere nella miseria estrema, perchè Leonardo non sapeva rinunciare al vino. Geltrude vedeva avvicinarsi il pericolo, e ne era affranta nel più intimo del suo cuore. Quando ella coglieva l’erba dal suo prato, quando prendeva fieno dalla catasta, quando raccoglieva il latte nel terso recipiente - ohimè! In tutto, in tutto la angosciava il pensiero che il suo prato, il suo finenile, la sua casetta ben presto le sarebbero tolti; e quando i figliuoli le si facevano attorno, stringendosi al suo seno, la sua ambascia diventava maggiore, e ogni volta le lacrime scorrevano in copia sulle sue guance. Tuttavia finora essa aveva potuto celare ai figli il suo pianto silenzioso, ma il Mercoledì precedente all’ultima Pasqua, siccome il marito si tratteneva anche più a lungo del solito fuori di casa, il suo dolore fu troppo forte, e i ragazzi s’accorsero che la mamma piangeva.
Mamma! — gridarono essi ad una voce — tu piangi! e si strinsero più forte a lei. In tutti quei cari volti appariva l’ansia e la preoccupazione; la madre li vide attorno a sè scossi da piccoli singhiozzi d’angoscia, costernati, rigati di tacite lacrime; perfino il poppante ch’ella teneva in braccio mostrava una tristezza insolita. Egli mostrava i primi segni d’affanno e di dolore, sbarrando verso la madre gli occhi, per la prima volta privi di sorriso, e tenendoli ansiosamente fissi verso di lei, e tutto ciò spezzava il cuore alla povera donna. I suoi lamenti proruppero allora in alte grida; i ragazzi e il piccino piansero con la madre; ed era un doloroso spettacolo, quello che s’offrì a Leonardo, il quale proprio in quel momento apriva la porta.
Geltrude giaceva col viso sul letto, e non udì l’aprirsi della porta e l’accostarsi del babbo. Neppure i fanciulli s’erano accorti di lui; essi vedevano soltanto la madre addolorata, e le si attaccavano alle braccia, al collo, alle vesti. Così li trovò Leonardo.
Dio nel cielo vede le lacrime dei miseri e mette un termine alle loro sofferenze.
Nelle sue lacrime Geltrude incontrò la pietà divina; e la pietà di Dio condusse Leonardo proprio in quest’istante, gli toccò l’anima e gli agitò d’un tremito le membra. Un’angoscia mortale gli si dipinse in viso, ed egli potè appena dire, con voce rotta ed affannata: — Signore Gesù, che cosa succede? — Soltanto allora lo vide la madre, soltanto allora lo videro i figli, e cessò il suono dei lamenti. Mamma, ecco il babbo! gridarono i fanciulli ad alta voce: e perfino il poppante cessò di piangere.
Come si sgonfia un torrente montano o si spegne una fiammata devastatrice, così scompare l’ansietà terribile e diviene cura silenziosa e preoccupata.
Geltrude amava Leonardo, e la presenza di lui bastava a ridarle tranquillità anche nell’amarezza più profonda; e anche a Leonardo passò il primo doloroso stupore.
Che significa, Geltrude — le disse egli — questo pauroso lamento, nel quale sono capitato?
Mio caro, rispose Geltrude, mi passano mille idee nere per la mente; e quando tu sei lontano, soffro ancora di più.
Geltrude, replicò Leonardo, so perchè piangi...povera infelice!
Allora Geltrude allontanò i ragazzi, Leonardo nascose il viso nel seno della sua donna, e non potè più dir parola. Anche Geltrude per qualche momento stette in silenzio, volgendosi commossa al marito, che sempre più piangeva e singhiozzava e si affliggeva, abbandonato sul seno di lei.
Frattanto Geltrude si fece animo e disse sommessamente al marito che egli non doveva più esporre i suoi figliuoli a tanta infelicità e miseria. Ella era pia e credeva in Dio; prima di parlare pregò tacitamente per il marito e i figli, e si sentì subito rasserenata. Allora disse: — Leonardo, abbi fiducia nella bontà divina, e fatti animo di operare rettamente! O Geltrude, Geltrude! — disse Leonardo; e piangeva, e le sue lacrime scorrevano a torrenti.
Mio caro, fatti coraggio, disse Geltrude, credi nel tuo Padre celeste, e tutto andrà meglio! Vedendo che ti faccio piangere, mi si spezza il cuore. Mio caro, io vorrei evitarti ogni dispiacere. Tu sai che al tuo fianco a me basta un po’ di pane e dell’acqua, e che le ore del riposo, dopo la mezzanotte, io le passo spesso e lietamente lavorando per te e per i ragazzi. Ma mio caro, se io ti celassi la mia preoccupazione di dovermi un giorno separare da te e da questi cari piccoli, non sarei buona madre dei miei figli, non sarei buona sposa per te. Amico mio, i nostri figli sono ancora pieni di gratitudine e di amore verso noi; ma, Leonardo mio, se noi non ci comportiamo da buoni genitori, il loro amore e il loro tenero affetto, sul quale ripongo tutte le mie speranze, si dilegueranno di certo. Pensa allora, mio caro, pensa come farai, se un giorno il tuo Niclas non avrà più casa e dovrà fare il servitore altrui, lui, che già parla così volentieri di libertà e di avere un proprio focolare! Leonardo, se lui e gli altri cari dovessero diventare poveri a causa dei nostri errori e un giorno, invece di sentire gratitudine verso noi, dovessero piangere per colpa nostra, per colpa dei loro genitori! Come potresti vivere, Leonardo, vedendo il tuo Niclas, il tuo Jonas, la tua Liseli, la tua Anneli{3}, o Dio! cacciati di luogo in luogo e costretti a mendicare il pane alla tavola di estranei? Io morirei se dovessi vedere una cosa simile.
Così disse Geltrude e dalle sue guance scorrevano le lacrime.
E Leonardo piangeva come lei. Che debbo fare, me infelice? Che cosa posso fare? Io sono ancor più disgraziato di quel che t’immagini. — Geltrude, Geltrude! — quindi tacque, si torse le mani, e pianse forte e disperatamente.
O caro, non disperare della pietà di Dio! O amato, checché possa essere, parla, perchè possiamo cercare di aiutarci e di provvedere!
CAPITOLO II
Una donna che sa prendere risoluzioni e porle in atto e trova un signore che ha cuore di padre
O Geltrude, Geltrude! Mi si spezza il cuore nel confessarti la mia miseria, e aumentare le tue pene, e tuttavia debbo farlo. Debbo ancora trenta fiorini{4} a Hummel, il podestà{5}— che è un cane, e povero lui, chi gli è debitore! Oh, che io non l’avessi mai incontrato sulla mia strada! Se io non lo pago, minac eia di ricorrere alla giustiziale se lo pago, il frutto del mio sudore e della mia fatica va a finire nelle sue tasche. Ecco, Geltrude, ecco la causa della nostra mi seria.
Mio caro, disse allora Geltrude, perchè non ricorri ad Arner, al padre del paese? Tu sai che tutte le vedove e gli orfani hanno a lodarsi di lui. Mio caro io credo che egli ti darebbe onsiglio e protezione contro quest’uomo.
Geltrude — rispose Leonardo — non posso farlo! non oso farlo! Che potrei dire contro il podestà, che tira fuori mille ragioni, è audace e furbo, e ha cento compagni e cento modi di coprire con le grida davanti all’autorità la voce di un povero diavolo?
Geltrude. Mio caro, io non ho mai parlato con alcuna autorità; ma se il bisogno e la miseria mi ci obbligassero, so che saprei sostener francamente la verità in faccia a chiunque. -Caro! non aver timore! pensa a me e ai tuoi figli e va.
Geltrude, disse Leonardo, io non posso, — io non debbo — io non sono senza colpa! — Il podestà senza scomporsi chiamerà tutto il villaggio a testimoniare che io sono uno sciocco scialacquatore. Geltrude, io non son senza colpa! Che posso io dire? Nessuno oserà af frontarlo e dichiarare ch’è stato lui a trarmi al mal passo. Geltrude, se potessi, se osassi farlo, come lo farei volentieri! Ma se lo faccio, e non mi riesce, pen sa se colui vorrà vendicarsi!
Geltrude. Ma anche se tu stai zitto egli ti rovinerà immancabilmente. Leonardo, pensa ai tuoi figli e va! Deve finire questo tormento del nostro cuore; — va, o vado io!
Leonardo. Geltrude, non posso! Se tu puoi, Dio mio, Dio mio, Geltrude, se tu osi, va subito da Arner e digli ogni cosa!
Si, voglio andare, disse Geltrude; e tutta la notte non chiuse occhio; ma in quella notte senza sonno pregò, — e si sentì sempre più forte e risoluta a re carsi da Arner, il signore del paese.
Di buon mattino prese con sè il poppante, florido come una rosa, e dopo due ore di cammino giunse al castello del feudatario.
Arner sedeva all’ombra dei suoi tigli, davanti alla porta del castello, allorché la donna gli si avvicinò. Egli la vide, il piccino nelle braccia, e la sofferenza e il dolore e le tracce di pianto mal rasciugate sul viso.
Che vuoi, figlia mia? chi sei tu? — disse egli così amorevolmente, che Geltrude si senti incoraggiata a parlare.
Sono Geltrude, ella disse, la moglie del muratore Leonardo di Bonnal.
Sei una brava donna, disse Arner. Ho notato i tuoi figli tra tutti gli altri del villaggio; sono più costumati e modesti di tutti gli altri ragazzi, e sembrano meglio nutriti. E tuttavia sento che siete molto poveri. Che vuoi tu, figlia mia?
Grazioso signore, mio marito da molto tempo deve trenta fiorini al podestà Hummei, e questi è un uomo duro. Egli lo trascina al gioco e alla crapula; e sic come mio marito io teme, non può fare a meno di frequentare la sua osteria, e quasi ogni giorno vi la scia il suo salario, e il pane dei suoi figli. Grazioso signore, sono sette teneri fanciulli; e se non abbiamo aiuto e consiglio