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Leonardo e Geltrude - primo volume
Leonardo e Geltrude - primo volume
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Leonardo e Geltrude - primo volume

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L'educazione del popolo
Leonardo e Geltrude è, probabilmente, l’opera maggiormente conosciuta di Pestalozzi ed è uno dei grandi romanzi pedagogici del romanticismo. Per i suoi contenuti e la sua forza morale, è paragonato ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni così come al Wilhem Meister di Goethe. Pestalozzi si propone di elevare, per mezzo dell’educazione, le classi disagiate e derelitte alla coscienza della propria umanità, acquistando dignità grazie all’istruzione e al lavoro.
Protagonisti sono Leonardo, un muratore, e la sua coraggiosa moglie Geltrude, simbolo della dimensione familiare e materna. Geltrude, ispirata, comprende subito che per la soluzione dei problemi sociali che affliggono il villaggio di Bonnal, è necessaria la collaborazione di tutti.
Rivolgendosi al feudatario, denunciando i soprusi del podestà, chiedendo la collaborazione del pastore, Geltrude coinvolge l’intero villaggio in un cammino di redenzione, miglioramento e salvezza.
Con il supporto di Leonardo, che per primo incarna la “redenzione” auspicata da Geltrude, rinunciando agli ozi e ai vizi dell’osteria, e il sostegno di alcune figure chiave del villaggio, Geltrude contribuisce a riportare nel villaggio un clima sereno e collaborativo, primo passo per una crescita morale delle persone. In questo primo volume, infatti, le vicende del villaggio di Bonnal sono predominanti: la cacciata del podestà, la lotta alle superstizioni, l’aiuto reciproco a favore dei più bisognosi, sono alcuni dei temi che vengono sviluppati da Pestalozzi. Senza dimenticare l’influenza di Rousseau e degli ideali illuministi, l’educazione dei più piccoli, la crescita morale degli adulti. Si incomincia anche a notare il tratto distintivo della pedagogia di Pestalozzi che si tradurrà in una vera e propria “educazione popolare”, che troverà moltissimi seguaci negli anni a seguire.

L’autore
Pedagogista svizzero (1746-1727), nato a Zurigo da una famiglia di origine italiana, è stato uno dei più importanti pedagogisti, educatori e riformatori del sistema scolastico dell’epoca illuministico-romantica. P. intende l’educazione come libera e spontanea formazione della personalità del bambino, che lo deve guidare alla luce di una coscienza morale e religiosa verso la società e la vita. Secondo il suo metodo, i bambini devono essere istruiti con attività concrete e con le realtà oggettive e devono essere lasciati liberi di perseguire i propri interessi e di ricavare le proprie conclusioni dai concetti che gli vengono presentati. Fonda e dirige numerose scuole convinto che la didattica è l’arte di agevolare l’apprendimento, operando sulla mente del fanciullo con elementi presi dalla realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2017
ISBN9788833260099
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    Leonardo e Geltrude - primo volume - Johan Heinrich Pestalozzi

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    Johan Heinrich Pestalozzi

    LEONARDO E GELTRUDE

    primo volume

    I grandi dell’educazione

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Titolo originale: Lienhard und Gertrud, 1781.

    Traduzione dal tedesco di Stefania Quadri aggiornando quella di Giovanni Sanna del 1928.

    In copertina: dipinto raffigurante Pestalozzi nella scuola di Stans

    Prima edizione digitale: 2017

    ISBN 9788833260099

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    Table Of Contents

    PROEMIO

    CAPITOLO I

    Un uomo buono di cuore, che però rende molto infelici la moglie e i figli

    CAPITOLO II

    Una donna che sa prendere risoluzioni e porle in atto e trova un signore che ha cuore di padre

    CAPITOLO III

    Compare un mostro

    CAPITOLO IV

    Egli si trova con pari suoi; e in quest’occasione si fa conoscenza di certi mariuoli

    CAPITOLO V

    Egli trova il suo maestro

    CAPITOLO VI

    Discorsi da veri contadini

    CAPITOLO VII

    Il podestà comincia il suo lavoro

    CAPITOLO VIII

    Quando si ungono le ruote, il carro va

    CAPITOLO IX

    I diritti del paese

    CAPITOLO X

    Il cane del barbiere lecca acqua fuori tempo, e guasta le uova nel paniere al signor podestà

    CAPITOLO XI

    Piani furfanteschi ben architettati

    CAPITOLO XII

    Serene gioie domestiche

    CAPITOLO XIII

    Prova che Geltrude era cara al marito

    CAPITOLO XIV

    Basso egoismo

    CAPITOLO XV

    L’oca astuta scopre un uovo; o una sciocchezza, che costa un bicchiere di vino

    CAPITOLO XVI

    Giù il cappello, ragazzi! Siamo al letto d’un morente

    CAPITOLO XVII

    L’ammalata si comporta ottimamente

    CAPITOLO XVIII

    Un povero fanciullo chiede perdono d’aver rubato le patate, e l’ammalata muore

    CAPITOLO XIX

    La giovialità conforta, rallegra e aiuta; il malumore non fa che tormentare

    CAPITOLO XX

    Curiosità sciocca fa perdere tempo e conduce all’ozio

    CAPITOLO XXI

    Ingratitudine e invidia

    CAPITOLO XXII

    I rimorsi della coscienza non si possono soffocar con cavilli

    CAPITOLO XXIII

    Un ipocrita e una donna che soffre

    CAPITOLO XXIV

    Un cuore puro, lieto e grato

    CAPITOLO XXV

    Come i bricconi discorrono tra loro

    CAPITOLO XXVI

    La presunzione nella miseria conduce ad azioni contro natura e abominevoli

     CAPITOLO XXVII

    Diligenza e laboriosità senza cuore grato e pietoso

    CAPITOLO XXVIII

    La sera prima del giorno di festa in casa di un podestà, che tiene bettola

    CAPITOLO XXIX

    Continuazione, come parlano tra loro e agiscono furfanti.

    CAPITOLO XXX

    Ancora come parlano tra loro e agiscono i furfanti, in altra maniera

    CAPITOLO XXXI

    Vigilia di festa in casa d’una buona madre

    CAPITOLO XXXII

    Le gioie della preghiera

    CAPITOLO XXXIII

    La serietà della preghiera

    CAPITOLO XXXIV

    Quest’insegnamento è capito e va al cuore, ma è una madre che lo da

    CAPITOLO XXXV

    Preghiera del Sabato

    CAPITOLO XXXVI

    Ancora insegnamenti materni. Pensieri puri ed elevazione dell’anima a Dio

    CAPITOLO XXXVII

    Portano ad un pover’uomo una zuppa di piselli

    CAPITOLO XXXVIII

    Pura e serena grandezza di cuori benefici

    CAPITOLO XXXIX

    Una predica

    CAPITOLO XL

    Prova che la predica era stata buona. Item intorno al sapere e all’errore, e di ciò che significa opprimere i poveri.

    CAPITOLO XLI

    Il sorvegliante avvisa il parroco che c’è qualcosa che non va

    CAPITOLO XLII

    Seguito della predica del mattino

    CAPITOLO XLIII

    I contadini della bettola non sono tranquilli

    CAPITOLO XLIV

    Storia d’un cuore umano durante la comunione

    CAPITOLO XLV

    La moglie dice al marito grandi verità, ma alcuni anni troppo tardi

    CAPITOLO XLVI

    Soliloquoio di un uomo, che disgraziatamente va lontano con le sue meditazioni

    CAPITOLO XLVII

    Gioie domestiche domenicali

    CAPITOLO XLVIII

    Qualche parola attorno al peccato

    CAPITOLO XLIX

    Caratteri e ammaestramenti infantili

    CAPITOLO L

    Il mal garbo e le cattive abitudini rovinano all’uomo anche le ore migliori, in cui egli fa del bene

    CAPITOLO LI

    Non si può credere, quali effetti può avere anche la più piccola buona azione

    CAPITOLO LII

    La mattina, anche molto presto, è già troppo tardi per quello che si doveva far la sera avanti

    CAPITOLO LIII

    Quanto uno più è colpevole, tanto più spudoratamente rimprovera gli altri, che si trovano pure in colpa

    CAPITOLO LIV

    Fatica inutile di poveri diavoli

    CAPITOLO LV

    Un ipocrita si fa amico un briccone

    CAPITOLO LVI

    È sul serio che il podestà non può esser più oste

    CAPITOLO LVII

    L’amico è in grande agitazione

    CAPITOLO LVIII

    Chi gli era accanto

    CAPITOLO LIX

    Risoluzione di un dubbio

    CAPITOLO LX

    Digressione

    CAPITOLO LXI

    Un vecchio alleggerisce il cuore

    CAPITOLO LXII

    Il terrore della coscienza inquieta

    CAPITOLO LXIII

    Con l’amore e la compassione si possono alleviare tutte le ansie di un uomo conturbato

    CAPITOLO LXIV

    Un parroco che tratta un caso di coscienza

    CAPITOLO LXV

    Anche nel più umile popolo talvolta vi è delicatezza nel ricevere i benefici invocati

    CAPITOLO LXVI

    Una guardia forestale che non crede ai fantasmi

    CAPITOLO LXVII

    Un uomo, che sente il prurito di rovesciare una pietra di confine, vorrebbe volentieri credere agli spiriti, ma non può

    CAPITOLO LXVIII

    Il sole al tramonto e un povero sciocco avviato alla perdizione

    CAPITOLO LXIX

    Come si deve fare allorché si vuol ottenere qualche cosa dalla gente

    CAPITOLO LXX

    Un uomo che é briccone e ladro agisce nobilmente; e la moglie del muratore é saggia

    CAPITOLO LXXI

    S’avvicina il momento decisivo

    CAPITOLO LXXII

    Il podestà perde l’ultima speranza

    CAPITOLO LXXIII

    Si reca alla pietra di confine

    CAPITOLO LXXIV

    La notte specialmente inganna gli ubriachi e i furfanti che sono turbati

    CAPITOLO LXXV

    Il villaggio in subbuglio

    CAPITOLO LXXVI

    Il parroco va all’osteria

    CAPITOLO LXXV

    Cura d’anime

    CAPITOLO LXXVIII

    Due lettere del parroco ad Arner

    CAPITOLO LXXIX

    Relazione del pollaiolo

    CAPITOLO LXXX

    Risposta del feudatario al Parroco

    CAPITOLO LXXXI

    Un buon vaccaro

    CAPITOLO LXXXII

    Un cocchiere che vuol bene al figlio del suo signore

    CAPITOLO LXXXIII

    Un nobiluomo presso i suoi lavoratori

    CAPITOLO LXXXIV

    Si trovano assieme un barone e un parroco che hanno entrambi un cuore

    CAPITOLO LXXXV

    Il cuore del barone verso il podestà colpevole

    CAPITOLO LXXXVI

    Il parroco mostra ancora una volta il suo buon cuore

    CAPITOLO LXXXVII

    Intorno al buon umore e agli spiriti

    CAPITOLO LXXXVIII

    Intorno agli spiriti in altro tono

    CAPITOLO LXXXIX

    Un giudizio

    CAPITOLO XC

    Discorso del sorvegliante Hartknopf

    CAPITOLO XCI

    Risposta del feudatario

    CAPITOLO XCII

    Discorso del pollaiolo all’assemblea

    CAPITOLO XCIII

    Nella commedia ci guadagnano i poveri

    CAPITOLO XCIV

    Il barone ringrazia il Parroco

    CAPITOLO XCV

    Il barone chiede perdono a un povero diavolo cui suo nonno aveva fatto torto

    CAPITOLO XCVI

    Pura bontà di cuore d’un poveretto verso il suo nemico

    CAPITOLO XCVII

    La sua gratitudine verso il suo nobile signore

    CAPITOLO XCVIII

    Cose che dovrebbero toccare il cuore

    CAPITOLO XCIX

    Lieta prospettiva

    CAPITOLO C

    Il premio del pollaiolo

    PROEMIO

    Lettore!

    Queste pagine costituiscono il fondamento storico di un tentativo, rivolto a dire al popolo certe verità in una maniera, che dovrebbero toccargli la mente e il cuore.

    Mi sono proposto, così in questa parte storica come nelle seguente precettiva, di imitare con la maggior cura possibile la natura, e di rappresentare ciò che si vede in ogni luogo.

    In questo racconto, che per lo più ritrae cose viste e udite da me personalmente nel corso di una vita attiva, ho evitato accuratamente di inserire la mia opinione di ciò che io vidi e udii, che il popolo stesso sente, giudica, crede, dice e brama.

    E si vedrà presto. Se le mie esperienze sono vere, e se io le presento come le ho avute, e tale è il mio scopo ultimo, esse troveranno l’approvazione di tutti coloro che hanno avuto, ogni giorno, le stesse cose che io racconto davanti agli occhi. Ma se invece sono parto della mia fantasia e divagazioni nate da mie opinioni, esse, come tante altre prediche della Domenica, svaniranno il Lunedì.

    Non aggiungo altro; soltanto espongo due considerazioni, che mi sembrano atte ad illustrare le mie idee intorno all’istruzione del popolo.

    La prima è tolta da un libro del nostro venerabile Lutero, la cui penna stilla ad ogni pagina umanità, conoscenza del popolo, istruzione del popolo. Essa è così concepita.

    « La Sacra Scrittura ci fa tanto bene anche perchè non si limita a strombazzare soltanto le grandi azioni dei personaggi sacri, ma ce ne fa conoscere anche le più piccole parole, e così si schiude gl’intimi ripostigli del loro cuore »{1}.

    L’altra osservazione è tolta da un rabbino giudeo, e secondo una traduzione latina recita così:

    « Fra i popoli pagani, che abitano tutt’intorno al retaggio di Abramo, vi furono uomini pieni di saggezza che non avevano chi li uguagliasse per quanto è larga la terra. Essi dissero: fateci andare presso i re e presso i loro potenti, per insegnare loro a far felici gli uomini sulla terra.

    « E i saggi uomini andarono e imparaono la lingua del palazzo dei re e dei loro potenti e parlarono con i re e con i loro potenti nella loro lingua.

    « E i re e i loro potenti lodarono i saggi uomini, e dettero loro oro e seta e incenso, ma continuarono a opprimere i loro popoli come prima. E i saggi uomini a causa dell’oro e della seta e dell’incenso divennero ciechi, e non videro più che i re e i loro potenti agivano senza senno, né giudizio, con ogni popolo che vive sulla terra.

    « Ma un uomo del nostro popolo fu da più dei saggi pagani, dette la mano al mendicante incontrato sulla strada, condusse nella sua capanna il figlio del ladro e del peccatore e del bandito, salutò i pubblicani e i soldati e i Samaritani come fratelli della sua stessa stripe.

    « E il suo fare e la sua povertà e la sua costanza nell’amare tutti gli uomini gli guadagnò il cuore del popolo, che confidava in lui come in un suo padre, insegnò al popolo in che cosa consisteva il suo bene, e il popolo udì la sua voce, e i principi udirono la voce del popolo ».

    Al passo del rabbino io non aggiungo una parola.

    Ed ora, cari figli, prima che vi dipartiate dalla mia solitaria e tranquilla dimora per andare dove i venti imperversano e infuriano le tempeste, dove non vi è pace, ancora una parola, cari figli. Vi possa essa guardare dalle tempeste malvage!

    Io non ho partecipato alle lotte scatenate fra gli uomini dalle loro diverse opinioni; ma quando essi operano con pietà, valore, fedeltà, sincerità, quando di tutto cuore amano Dio e il prossimo, quando così portano felicità e benedizione nelle loro case; io credo che, al di fuori di ogni lotta, trovino le vie del cuore di noi tutti.

    25 febbraio 1871.

    L’autore.

    CAPITOLO I

    Un uomo buono di cuore, che però rende molto infelici la moglie e i figli

    A Bonnal vive un muratore, che si chiama Leonardo, e sua moglie Geltrude. Egli ha sette figli, e guadagna bene; ma ha il difetto di lasciarsi trascinare spesso all’osteria. Quando è là, perde la testa; e nel nostro villaggio{2} non mancano gli astuti bricconi, che non hanno altra occupazione nè altro mezzo di campar la vita se non quello di far la posta alle persone oneste e semplici per cogliere ogni occasione di portare via loro il denaro di tasca. Costoro conoscevano il buon Leonardo e lo spingevano a bere e a giocare, rubandogli il frutto del suo sudore. Ma ogni volta, venuta la sera, egli si pentiva di ciò che aveva fatto la mattina, e sentiva una fitta al cuore, nel vedere Geltrude e i figli privi del necessario: allora si agitava, piangeva, abbassava gli occhi e cercava di nascondere le lacrime.

    Geltrude è la più brava donna del villaggio; ma ella e i fiorenti figliuoli correvano pericolo di rimaner privi del capo di casa e della loro casetta, d’esser dispersi e malmenati, di cadere nella miseria estrema, perchè Leonardo non sapeva rinunciare al vino. Geltrude vedeva avvicinarsi il pericolo, e ne era affranta nel più intimo del suo cuore. Quando ella coglieva l’erba dal suo prato, quando prendeva fieno dalla catasta, quando raccoglieva il latte nel terso recipiente - ohimè! In tutto, in tutto la angosciava il pensiero che il suo prato, il suo finenile, la sua casetta ben presto le sarebbero tolti; e quando i figliuoli le si facevano attorno, stringendosi al suo seno, la sua ambascia diventava maggiore, e ogni volta le lacrime scorrevano in copia sulle sue guance. Tuttavia finora essa aveva potuto celare ai figli il suo pianto silenzioso, ma il Mercoledì precedente all’ultima Pasqua, siccome il marito si tratteneva anche più a lungo del solito fuori di casa, il suo dolore fu troppo forte, e i ragazzi s’accorsero che la mamma piangeva.

    Mamma! — gridarono essi ad una voce — tu piangi! e si strinsero più forte a lei. In tutti quei cari volti appariva l’ansia e la preoccupazione; la madre li vide attorno a sè scossi da piccoli singhiozzi d’angoscia, costernati, rigati di tacite lacrime; perfino il poppante ch’ella teneva in braccio mostrava una tristezza insolita. Egli mostrava i primi segni d’affanno e di dolore, sbarrando verso la madre gli occhi, per la prima volta privi di sorriso, e tenendoli ansiosamente fissi verso di lei, e tutto ciò spezzava il cuore alla povera donna. I suoi lamenti proruppero allora in alte grida; i ragazzi e il piccino piansero con la madre; ed era un doloroso spettacolo, quello che s’offrì a Leonardo, il quale proprio in quel momento apriva la porta.

    Geltrude giaceva col viso sul letto, e non udì l’aprirsi della porta e l’accostarsi del babbo. Neppure i fanciulli s’erano accorti di lui; essi vedevano soltanto la madre addolorata, e le si attaccavano alle braccia, al collo, alle vesti. Così li trovò Leonardo.

    Dio nel cielo vede le lacrime dei miseri e mette un termine alle loro sofferenze.

    Nelle sue lacrime Geltrude incontrò la pietà divina; e la pietà di Dio condusse Leonardo proprio in quest’istante, gli toccò l’anima e gli agitò d’un tremito le membra. Un’angoscia mortale gli si dipinse in viso, ed egli potè appena dire, con voce rotta ed affannata: — Signore Gesù, che cosa succede? — Soltanto allora lo vide la madre, soltanto allora lo videro i figli, e cessò il suono dei lamenti. Mamma, ecco il babbo! gridarono i fanciulli ad alta voce: e perfino il poppante cessò di piangere.

    Come si sgonfia un torrente montano o si spegne una fiammata devastatrice, così scompare l’ansietà terribile e diviene cura silenziosa e preoccupata.

    Geltrude amava Leonardo, e la presenza di lui bastava a ridarle tranquillità anche nell’amarezza più profonda; e anche a Leonardo passò il primo doloroso stupore.

    Che significa, Geltrude — le disse egli — questo pauroso lamento, nel quale sono capitato?

    Mio caro, rispose Geltrude, mi passano mille idee nere per la mente; e quando tu sei lontano, soffro ancora di più.

    Geltrude, replicò Leonardo, so perchè piangi...povera infelice!

    Allora Geltrude allontanò i ragazzi, Leonardo nascose il viso nel seno della sua donna, e non potè più dir parola. Anche Geltrude per qualche momento stette in silenzio, volgendosi commossa al marito, che sempre più piangeva e singhiozzava e si affliggeva, abbandonato sul seno di lei.

    Frattanto Geltrude si fece animo e disse sommessamente al marito che egli non doveva più esporre i suoi figliuoli a tanta infelicità e miseria. Ella era pia e credeva in Dio; prima di parlare pregò tacitamente per il marito e i figli, e si sentì subito rasserenata. Allora disse: — Leonardo, abbi fiducia nella bontà divina, e fatti animo di operare rettamente! O Geltrude, Geltrude! — disse Leonardo; e piangeva, e le sue lacrime scorrevano a torrenti.

    Mio caro, fatti coraggio, disse Geltrude, credi nel tuo Padre celeste, e tutto andrà meglio! Vedendo che ti faccio piangere, mi si spezza il cuore. Mio caro, io vorrei evitarti ogni dispiacere. Tu sai che al tuo fianco a me basta un po’ di pane e dell’acqua, e che le ore del riposo, dopo la mezzanotte, io le passo spesso e lietamente lavorando per te e per i ragazzi. Ma mio caro, se io ti celassi la mia preoccupazione di dovermi un giorno separare da te e da questi cari piccoli, non sarei buona madre dei miei figli, non sarei buona sposa per te. Amico mio, i nostri figli sono ancora pieni di gratitudine e di amore verso noi; ma, Leonardo mio, se noi non ci comportiamo da buoni genitori, il loro amore e il loro tenero affetto, sul quale ripongo tutte le mie speranze, si dilegueranno di certo. Pensa allora, mio caro, pensa come farai, se un giorno il tuo Niclas non avrà più casa e dovrà fare il servitore altrui, lui, che già parla così volentieri di libertà e di avere un proprio focolare! Leonardo, se lui e gli altri cari dovessero diventare poveri a causa dei nostri errori e un giorno, invece di sentire gratitudine verso noi, dovessero piangere per colpa nostra, per colpa dei loro genitori! Come potresti vivere, Leonardo, vedendo il tuo Niclas, il tuo Jonas, la tua Liseli, la tua Anneli{3}, o Dio! cacciati di luogo in luogo e costretti a mendicare il pane alla tavola di estranei? Io morirei se dovessi vedere una cosa simile.

    Così disse Geltrude e dalle sue guance scorrevano le lacrime.

    E Leonardo piangeva come lei. Che debbo fare, me infelice? Che cosa posso fare? Io sono ancor più disgraziato di quel che t’immagini. — Geltrude, Geltrude! — quindi tacque, si torse le mani, e pianse forte e disperatamente.

    O caro, non disperare della pietà di Dio! O amato, checché possa essere, parla, perchè possiamo cercare di aiutarci e di provvedere!

    CAPITOLO II

    Una donna che sa prendere risoluzioni e porle in atto e trova un signore che ha cuore di padre

    O Geltrude, Geltrude! Mi si spezza il cuore nel confessarti la mia miseria, e aumentare le tue pene, e tuttavia debbo farlo. Debbo ancora trenta fiorini{4} a Hummel, il podestà{5}— che è un cane, e povero lui, chi gli è debitore! Oh, che io non l’avessi mai incontrato sulla mia strada! Se io non lo pago, minac eia di ricorrere alla giustiziale se lo pago, il frutto del mio sudore e della mia fatica va a finire nelle sue tasche. Ecco, Geltrude, ecco la causa della nostra mi seria.

    Mio caro, disse allora Geltrude, perchè non ricorri ad Arner, al padre del paese? Tu sai che tutte le vedove e gli orfani hanno a lodarsi di lui. Mio caro io credo che egli ti darebbe onsiglio e protezione contro quest’uomo.

    Geltrude — rispose Leonardo — non posso farlo! non oso farlo! Che potrei dire contro il podestà, che tira fuori mille ragioni, è audace e furbo, e ha cento compagni e cento modi di coprire con le grida davanti all’autorità la voce di un povero diavolo?

    Geltrude. Mio caro, io non ho mai parlato con alcuna autorità; ma se il bisogno e la miseria mi ci obbligassero, so che saprei sostener francamente la verità in faccia a chiunque. -Caro! non aver timore! pensa a me e ai tuoi figli e va.

    Geltrude, disse Leonardo, io non posso, — io non debbo — io non sono senza colpa! — Il podestà senza scomporsi chiamerà tutto il villaggio a testimoniare che io sono uno sciocco scialacquatore. Geltrude, io non son senza colpa! Che posso io dire? Nessuno oserà af frontarlo e dichiarare ch’è stato lui a trarmi al mal passo. Geltrude, se potessi, se osassi farlo, come lo farei volentieri! Ma se lo faccio, e non mi riesce, pen sa se colui vorrà vendicarsi!

    Geltrude. Ma anche se tu stai zitto egli ti rovinerà immancabilmente. Leonardo, pensa ai tuoi figli e va! Deve finire questo tormento del nostro cuore; — va, o vado io!

    Leonardo. Geltrude, non posso! Se tu puoi, Dio mio, Dio mio, Geltrude, se tu osi, va subito da Arner e digli ogni cosa!

    Si, voglio andare, disse Geltrude; e tutta la notte non chiuse occhio; ma in quella notte senza sonno pregò, — e si sentì sempre più forte e risoluta a re carsi da Arner, il signore del paese.

    Di buon mattino prese con sè il poppante, florido come una rosa, e dopo due ore di cammino giunse al castello del feudatario.

    Arner sedeva all’ombra dei suoi tigli, davanti alla porta del castello, allorché la donna gli si avvicinò. Egli la vide, il piccino nelle braccia, e la sofferenza e il dolore e le tracce di pianto mal rasciugate sul viso.

    Che vuoi, figlia mia? chi sei tu? — disse egli così amorevolmente, che Geltrude si senti incoraggiata a parlare.

    Sono Geltrude, ella disse, la moglie del muratore Leonardo di Bonnal.

    Sei una brava donna, disse Arner. Ho notato i tuoi figli tra tutti gli altri del villaggio; sono più costumati e modesti di tutti gli altri ragazzi, e sembrano meglio nutriti. E tuttavia sento che siete molto poveri. Che vuoi tu, figlia mia?

    Grazioso signore, mio marito da molto tempo deve trenta fiorini al podestà Hummei, e questi è un uomo duro. Egli lo trascina al gioco e alla crapula; e sic come mio marito io teme, non può fare a meno di frequentare la sua osteria, e quasi ogni giorno vi la scia il suo salario, e il pane dei suoi figli. Grazioso signore, sono sette teneri fanciulli; e se non abbiamo aiuto e consiglio

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