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Per una libera educazione
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E-book123 pagine1 ora

Per una libera educazione

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Info su questo ebook

Erasmo, grande umanista del Cinquecento, ricordato e celebrato per l'ironico e godibilissimo Elogio della follia, scrive questo testo nel 1529, che per profondità d'indagine e l'attualità dei principi esposti costituisce un testo di pedagogia di straordinario interesse anche per il lettore contemporaneo.
L’educazione allo studio va iniziata in tenerissima età, quando la memoria è più robusta e l'apprendimento più rapido. Non a caso, sostiene l'umanista olandese, i grandi ingegni sono quasi sempre il prodotto di maestri eminenti e di un'educazione precoce.
I genitori devono molto ai figli, che contribuiscono alla loro immortalità; perciò devono aver cura della loro educazione.
 L’intelletto, poi, è la qualità che avvicina l'uomo a Dio e per questo motivo ragione e intelligenza vanno coltivate sin dai primi anni.
 Un’eccellente educazione tiene alla larga le passioni distruttive: l'ambizione, la cupidigia, l'ira, l'invidia, l'amore per il lusso e la lussuria. Soprattutto vince l’ignoranza e la malvagità, le vere cause della morte dell'anima.
La sapienza priva di morale non vale granché. Anche dal punto di vista pratico, insegna più in un anno lo studio dell’etica che in trenta l'esperienza diretta del mondo. 
Man mano che crescerà, il bambino dovrà progressivamente imparare ad amare i genitori, rispettare gli anziani, emendarsi dai capricci e dalla petulanza.
Importante sarà procurarsi un eccellente precettore, che saprà rendere l'apprendimento giocoso, graduale e confacente alle naturali inclinazioni del bambino. 
Soprattutto chi si occupa di insegnare al bambino dovrà ricorrere alla dolcezza e non alla ferocia. Alla larga i maestri prepotenti, burberi, incapaci di far amare lo studio ai propri allievi.
 Soltanto i tiranni terrorizzano i cittadini, mentre mantenere l'ordine con la benevolenza, la moderazione e la prudenza è opera divina.
Il volume contiene, oltre al testo di Erasmo, due saggi molto importanti: uno studio di Jean-Claude Margolin, forse lo studioso europeo che meglio conosce il pensiero di Erasmo; e un testo del nostro grande filosofo Norberto Bobbio che, all’Università di Torino, ha tenuto un mirabile discorso di commemorazione di Erasmo, che in quell’università si fermò a studiare per alcuni mesi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ago 2013
ISBN9788898473045
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    Anteprima del libro

    Per una libera educazione - Erasmo da Rotterdam

    Questo Trattato di Erasmo da Rotterdam è la prova che i bambini devono essere educati fin dalla nascita alla virtù e alle lettere in maniera libera

    ARGOMENTO

    Se vuoi dar retta a me (o piuttosto a Crisippo, quel geniale filosofo), subito farai dare al tuo bambino un’istruzione letteraria, quando l’intelligenza è ancora libera da vizi e preoccupazioni, l’età tenera e malleabile, l’animo versatile e che viene dietro in tutto, conservando intanto tenacissimamente quanto ha appreso. Di nulla, infatti, ci ricordiamo così bene da vecchi come di ciò che abbiamo assimilato in quegli anni non ancora formati.

    Non farti poi impressionare dallo strepito di chi va dicendo che i primissimi anni non sono in grado di acquisire nozioni né di sopportare la fatica dello studio. Infatti lo stadio elementare in ogni materia è soprattutto di memoria, che nei bambini è particolarmente robusta. ln secondo luogo, poiché la natura ci ha generate per conoscere, non può essere prematuro impegnarsi in qualcosa di cui la stessa Madre delle cose ha posto in noi i semi. Aggiungi che certe cose, che anche agli adulti serve sapere, per una particolare inclinazione natural vengono capite dai bambini più in fretta e più facilmente che dalle persone mature, per esempio l’alfabeto, la pratica delle lingue, gli apologhi e le favolette poetiche. Infine perché un’età già idonea per l’istruzione morale non dovrebbe esserlo per quella intellettuale? E cos’altro, poi, faranno mai bambini che già sanno parlare, visto che qualcosa devono pur fare? Quant‘è più utile che giochino con le lettere anziché con sciocchezze?

    Ma, mi dirai, i risultati di quei primissimi anni contano ben poco. Perché si disprezza come piccolezza ciò che è necessario alla cosa più importante di tutte, l’istruzione? E poi perché si trascura a bella posta il guadagno che si può trarre dai primi anni? Per piccolo che sia, sempre è un guadagno. A forza di aggiungere poco al poco viene fuori un mucchio rispettabile. Pondera poi anche che, se da bambino impara le nozioni più elementari, potrà apprenderne di più complesse da adolescente negli stessi anni in cui avrebbe dovuto imparare i rudimenti. Infine, il bambino impegnato in questa attività sarà quanto meno tenuto lontano dai vizi di cui vediamo quell’età quasi sempre infetta. Nient’altro, infatti, occupa meglio dello studio l’animo intero dell’uomo. Almeno questo guadagno non va disprezzato. Anche ammettendo che con queste fatiche vada persa un po’ della robustezza fisica, mi sembra che questo svantaggio sia largamente compensato dal guadagno per la mente. Infatti le fatiche, purché moderate, rinvigoriscono l’animo. Se ciò porta con sé qualche rischio, possiamo evitarlo facendoci attenzione. Al bambino va posto accanto un maestro capace di attrarre con un comportamento dolce, non di respingere con la ferocia. Non mancano poi cose divertenti da sapere e per così dire imparentate con la mente infantile: impararle è gioco più che fatica. Del resto la costituzione infantile non è così debole. Essa, anzi, è particolarmente adatta a sopportare la fatica per il solo fatto di non accorgesene. Se poi pensi quanto poco sia uomo l’incolto, quanto fugga in fretta la vita, quanto tenda al male la giovinezza, quanto sia occupata la maturità, quanto isterilita la vecchiaia, infine, quanto pochi dei mortali ci arrivino, non permetterai che resti trascurata alcuna parte della vita del tuo bambino (in cui sopravviverai come se fossi nato una seconda volta), da cui si possa ricavare qualcosa che per tutta la vita arrechi un gran bene o tenga lontani i mali.

    LO STESSO ARGOMENTO SVILUPPATO CON AMPIEZZA

    Dopo aver temuto a lungo che tua moglie fosse sterile, vengo a sapere che sei diventato padre e per di più di un maschio, che fa presagire un’indole ammirevole, vale a dire, proprio quella dei genitori. Se solo sì può congetturare alcunché da questi segni e indizi, sembra promettere una virtù perfetta. Perciò ti riproponi di far istruire nelle arti liberali questo bambino di così belle speranze, appena cresciuto un pò, ed educarlo e ammaestrarlo con i precetti saluberrimi della filosofia. Certo, tu vuoi essere padre in tutto e desideri che lui sia veramente tuo figlio e riproduca non solo i tuoi lineamenti e la tua persona fisica, ma anche le doti della tua mente. Io, certo, congratulandomi di cuore per la felicità di un amico eccellente, apprezzo molto la prudenza del tuo proposito.

    C’è un solo ammonimento che vorrei rivolgerti, con franchezza, ma in amicizia: non lasciar trascorrere i primi anni del tuo caro bambino senza alcun raccolto educativo, seguendo il gudizio e l’esempio del volgo. Non aspettare, per condurlo a imparare i primi rudimenti, che l’età sia ormai meno malleabile, l’ingegno più incline ai vizi e forse invaso dai rovi di vizi tenacissimi. Comincia invece già adesso a guardarti attomo per mettere in grembo il tuo bambinetto a un uomo di carattere buono e integro e cultura non volgare, un nutritore, per così dire, della sua tenera intelligenza, perché beva col latte il nettare del sapere; dividi fra le nutrici e il precettore in parti uguali la cura del figliolo, in modo che la nutrice infonda vigore al corpicino con il miglior alimento possibile, il maestro riempia l’animo di insegnamenti onesti e salutari.

    Secondo me, infatti, non è proprio il caso che tu, uomo di eccezionale cultura e lucidità di giudizio, stia a sentire queste donnette o questi uomini che, barba a parte, assomigliano moltissimo alle donnette. Costoro, con crudele pietà e ostile indulgenza, pensano che i bambini vadano tenuti fino alla pubertà fra i baci delle mammette, le carezze delle nutrici, gli scherzi e le spiritosaggini poco pulite di serve e domestici, allontanandoli dalla cultura come fosse veleno; e van dicendo che bambini di quell’età sono troppo immaturi per imparare nozioni e troppo delicati per essere adatti alle fatiche dello studio. Infine, ciò che si può ricavare da quell’età è troppo poco importante perché valga la pena di spendere o di tormentare i deboli bambini.

    Ti prego di dedicarmi qualche attenzione per un po’ di tempo mentre confuto questi argomenti, uno per uno; pensa (è la verità) che l’autore ti è attaccatissimo e l’argomento ti riguarda in sommo grado.

    Cosa si può avere più caro di un figlio, per di più unico, in cui se potessimo vorremmo riversare tutta la nostra vita, nonché il patrimonio? Chi non si accorgerebbe poi del com portamento assurdo di quelli che coltivando campi, costruendo case, allevando cavalli si impegnano a fondo e chiedono consiglio a uomini prudenti e resi accorti dalla lunga esperienza, mentre tanto poco si danno cura dell’educazione e formazione dei figli (per i quali si fa tutto il resto) che neppure interrogano il proprio animo né ricercano l’avviso di persone sensate, ma, come se fosse una cosa da ridere, prestano orecchio a sciocche donnette e al primo venuto della plebe? Questo comportamento sarebbe così fuori luogo come se uno pensando molto alla scarpa scordasse il piede o facesse gran caso di avere in ordine il vestito senza preoccuparsi della salute.

    Non ti tratterrò qui, carissimo, con i soliti discorsi: quanto devono i genitori ai figli per volere della natura, della religione, della legge divina, dei decreti umani; i figli che, per quanto è possibile, ci fanno sfuggire alla condizione mortale e ci rendono immortali. A certuni, però, sembra che per assolvere il dovere di un padre basti e avanzi aver generato: ma questa è solo una piccolissima parte dell’affetto richiesto dal nome di padre. Per essere davvero padre devi occuparti del figlio tutto intero e la cura prima e principale è dovuta a quella parte che lo fa superiore alle bestie e lo avvicina a un dio. Quanto si preoccupano per lopiù le madri che il bambino non sia strabico o abbia le guance cascanti, la testa pendente, le scapole sporgenti, le gambe ad arco, i piedi storti, la persona sbilenca! E per evitare questi difetti si servono fra l’altro anche di fasce di stoffa e di cuffiette con cui tengono ferme le guance. Ci si dà pensiero del latte, dei cibi, dei bagni, del moto, con cui si può procurare ai bambini la buona salute come hanno insegnato i medici, Galeno in particolare, in voluminosi trattati. E non aspettano i sette o dieci anni del bambino per dar prova di questa diligenza, ma appena uscito dal chiuso dell’utero lo sottopongono a queste cure. E fanno bene, perché spesso un’infanzia trascurata dà gli uomini in preda a una vecchiaia penosa e malaticcia, se pur ci arrivano. Anzi, ancor prima che il feto sia dato alla luce si desta questa cura delle madri: non mangiano ogni tipo di cibo quando sono incinte ed evitano movimenti dannosi; e se sulla faccia è apparsa qualche eruzione, subito la strappano e la applicano a una parte nascosta del corpo. Con questo rimedio si riesce a nascondere in una parte coperta (e lo dimostrano molte esperienze) una bruttura che sarebbe apparsa altrimenti su una parte in vista.

    Nessuno considera prematura questa cura riservata alla parte peggiore dell’uomo: perché allora si trascura per tanti anni quella parte a cui si riferisce propriamente il nostro nome di uomini? Non sarebbe assurdo ornare un copricapo trascurando la testa irsuta e piena di forfora? Molto più assurdo, però, è curarsi, com’è giusto, del corpo mortale, ma trascurare del tutto l’immortalità dell’anima. Se a qualcuno fosse nato un puledro o un cagnolino che dia segni di un’indole particolarmente nobile, non comincerebbe forse subito ad ammaestrarlo, poiché tanto più riesce a realizzare le sue intenzioni quanto più la tenera età del cucciolo asseconda la volontà di chi lo ammaestra? Si comincia presto a insegnare a parlare a un pappagallo, ben sapendo che quanto più invecchia meno può imparare; e ce lo ricorda il proverbio popolare:

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