La chanson d'Antiochie
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Weird - racconto lungo (51 pagine) - Un racconto liberamente ispirato al poema in lingua provenzale del XII secolo pubblicato nel 1848
Nel 1096, incitati dai proclami di papa Urbano II, principi e popolani lasciano castelli e campagne per andare alla conquista del Santo Sepolcro. Fra questi c'è Richard le Pellerin, un trovatore provenzale che, disgustato dalla scia di morte che si va lasciando dietro la spedizione diretta a Costantinopoli attraverso i Balcani, sceglie di percorrere da solo la penisola italiana imbarcandosi per la Terra Santa dal suo ultimo lembo. Ma giunto tra le rovine della città messapica di Veretum, in Salento, si imbatte in un vecchio pastore capace di evocare visioni straordinarie per mezzo della musica del suo flauto di canna. La storia si protrae fino all'incontro con il misterioso e feroce popolo dei Tafuri guidato da un inquietante re senza nome. All'alba, quando la musica tace e il vecchio scompare, Richard resta solo a chiedersi chi è davvero e cosa vuole dalla vita.
Luigi De Pascalis è nato in Abruzzo da padre salentino. Ha vissuto tra Abruzzo e Puglia fino al 1963, poi si è trasferito a Roma; dal 2000 vive a Tarquinia. Ha fatto studi di Medicina, Scienze Politiche e Arte e nel corso di oltre un cinquantennio ha pubblicato molti racconti di genere fantastico vincendo diversi premi (Montepulciano, Courmayeur, Tolkien, ecc.). È stato il primo scrittore italiano di narrativa fantastica a essere tradotto negli Stati Uniti in un’antologia ormai storica del genere curata da Sprague De Camp (The Fantastic Swordsmen, 1967, assieme a Howard, Lovecraft, Bloch, Lord Dunsany e lo stesso De Camp), ed è presente in moltissime antologie italiane. Ha curato antologie di racconti gialli per diversi editori. Per Del Vecchio Editore (2014, finalista al Premio Azzeccagarbugli) ha ideato e curato il giallo collettivo Verità imperfette (dieci autori, dieci racconti, una sola storia).
Tra le sue pubblicazioni più recenti i gialli storici La dodicesima sibilla (2009) e La morte nel Sacco (2011, a firma Sebastian Aguèdas) con Hobby & Work, La morte si muove nel buio (2013) per Mondadori, Il mantello di porpora (candidato al Premio Strega 2014) e Notturno bizantino (candidato al Premio Strega, segnalato per il Premio Campiello e vincitore del Premio Acqui Storia 2016) e Volgograd (2018) per Lepre edizioni. Con Newton & Compton ha pubblicato Il sigillo di Caravaggio (2019) e Il pittore maledetto (2020).
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Anteprima del libro
La chanson d'Antiochie - Luigi De Pascalis
1
Richard camminava dall'alba ed era mortalmente stanco.
I suoi abiti erano stati bagnati dalla pioggia e asciugati dal sole così tante volte da non avere più colore. Le suole dei sandali erano diventate così sottili da non riparare più le piante dei piedi dalle asperità del terreno. La bisaccia sdrucita e quasi vuota e l'informe cappello dalle larghe falde cascanti avevano un aspetto miserevole. Gli unici oggetti che non avessero un'aria troppo vecchia e consunta erano il liuto che portava a tracolla e il bastone di pero che teneva in mano, più per difesa che per camminare.
Nonostante la grande spossatezza, Richard aveva percorso troppa strada fin lì per smettere di avanzare lungo il sentiero che ora si snodava fra sassi aguzzi e lastroni di calcare parzialmente ricoperti da certi licheni che, morendo, ne avevano chiazzato di bruno la superficie grigiastra.
E l'ormai lunga consuetudine a vivere con meno dell'essenziale gli faceva apprezzare di avere ancora nella bisaccia un avanzo di farina e di lardo, di indossare abiti lisi ma asciutti e di avere ben calcato sul cranio un copricapo dalle falde così ampie da dare riparo agli occhi assediati dalla luce accecante di quelle terre prossime al mare.
Attorno a lui il suolo era brullo, arido. Ma era pur sempre primavera e un po' dovunque sbucavano tra le rocce piccole piante da cui emanava un profumo intenso; e, qua e là, si vedevano maestosi cespugli di ginestra ricoperti di fiori gialli. Appena il sentiero incontrava un appezzamento di terra rossa e grassa, poi, ecco sorgere dalle zolle enormi ulivi, maestosi e solitari come roccaforti templari.
Da due giorni Richard si era lasciato alle spalle l'ultimo paese, poche case bianche e miserabili, e di notte aveva dormito all'aperto, cosa divenuta talmente usuale in quel viaggio che quando gli riusciva di riposare al coperto provava quasi un senso di soffocamento. Forse perché non sentiva i rumori abituali – grilli e cicale se d'estate, vento e pioggia se d'inverno – o forse perché non assaporava nel sonno i consueti odori della terra, ma respirava la polvere e l'aria umida dei tuguri in cui trovava ospitalità.
Di tanto in tanto, mentre camminava, sistemava meglio la bisaccia sulle spalle e si assicurava con un breve tocco che il liuto fosse ancora al proprio posto. Era tutta la sua ricchezza, quello strumento, e anche l'unica cosa che avesse portato con sé alla partenza.
Ai pochi che gli chiedevano da dove venisse e come si chiamasse rispondeva di essere un pellegrino, solo questo. Poi spiegava con un mezzo sorriso di essere uno dei tanti che avevano fatto della Palestina la meta del proprio viaggio terreno ma anche il punto di partenza per le regioni dello spirito.
Alzò gli occhi dal sentiero per seguire il volo di un corvo che si era levato dalla chioma di un olivo e vide alcune case ancora lontane, appena una manciata di cubi bianchi e silenziosi. Poi distinse tra le costruzioni alcune figure.
Pensò di accelerare il passo, ma non lo fece.
L'esperienza gli aveva insegnato a non sperare nulla dai suoi incontri.
Quando fu più vicino al minuscolo villaggio riconobbe nelle forme viste da lontano un paio di cani, qualche bambino, alcune donne.
Gli uomini dovevano essere al lavoro nei campi circostanti, pensò.
Poi sentì le risate e i richiami dei piccoli che giocavano e quelli preoccupati delle madri accortesi dell'arrivo di uno sconosciuto, e si disse che grida infantili e richiami materni erano simili a quelli uditi mille volte nel villaggio provenzale in cui era nato. Eppure la Provenza era terra ben diversa da questa che, nonostante la stagione propizia, sembrava il deserto sul quale si erano avventurati i piedi di Nostro Signore per prepararsi a redimere i peccati del mondo.
Era nato contadino, Richard, figlio di gente in servitù presso l'abazia di Saint-Blaise; ma la sua curiosità, assieme al carattere socievole e all'intelligenza, avevano spinto l'abate a farlo studiare. Così aveva imparato a leggere e a scrivere, a tradurre dal latino e a comporre musica. Ma appena aveva capito di non avere più nulla da carpire ai libri custoditi nella biblioteca del monastero, aveva ringraziato l'abate ormai vecchio, si era messo il liuto in spalla e aveva cominciato a girare la Francia guadagnandosi da vivere con poemi e ballate in onore dei potenti che potevano permettersi di compensarlo.
Ma ogni tanto tornava a Saint-Blaise dove l'abate lo rimproverava dicendo: – Dio ti ha dato l'intelligenza per pensare, la fantasia per immaginare storie, dita e voce per suonare e cantare e tu ricambi i suoi doni carezzando la vanagloria dei ricchi? Richard, tu stai vendendo la primogenitura per qualcosa di più miserabile delle lenticchie di Esaù!
E lui ascoltava a capo chino i rimproveri del vecchio, poi ne chiedeva la benedizione e ripartiva in cerca di una piccola corte o almeno di una ricca fattoria dove ci fosse qualcuno disposto a pagare per ascoltare le sue ballate. E nulla sarebbe cambiato se un giorno non avesse visto la piazza di un villaggio del Brabante gremita di gente che ascoltava un frate ossuto e gesticolante in piedi sul bordo scivoloso di una fontana.
– È vero o no che Cristo si è immolato sulla Santa Croce per riscattare i nostri peccati? – stava chiedendo il monaco alla folla.
E quella a urlare: – Sì, è vero!
– Ed è vero o no che Nostro Signore ha