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Il mio credo pedagogico
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E-book68 pagine51 minuti

Il mio credo pedagogico

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Il Mio Credo Pedagogico è il “manifesto” delle scuole nuove. Per l’epoca fu una fucilata sparata nel mezzo di una palude pedagogica che non riusciva a riconoscere la centralità del soggetto nel processo educativo. Dewey divenne il massimo rappresentante teorico della Scuola progressiva. Con l’educazione nuova si stava verificando uno spostamento del nucleo attorno al quale ruotano le pratiche educative: dal maestro al bambino.
Il punto fondante dell’analisi pedagogica di Dewey è dato da una concezione dell’educazione come “partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie” che trova nel principio della vita democratica la sua manifestazione più alta e significativa. Se la società democratica è il prodotto dell’intelligenza degli uomini, a sua volta l’educazione dell’intelligenza costituisce un fattore decisivo per la vita democratica. La vita democratica si alimenta, insomma, mediante la coltivazione delle intelligenze. Lo stretto rapporto che intercorre tra democrazia e educazione è alla base della relazione interattiva tra scuola e società. La scuola basata sull’attività e sugli interessi degli alunni, ordinata come una comunità aperta alla realtà sociale, impegnata a non plasmarli in modo standardizzato, ma a valorizzarli secondo le loro potenzialità, viene indicata come la condizione indispensabile per il manifestarsi di una società nella quale gli esseri umani possano sperimentare in modo personale la democrazia.
Scrive ancora Dewey: “All’impostazione dall’alto si oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità; alla disciplina esterna la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; all’acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio si oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento”. Fra questi principi, quello dell’apprendere attraverso l’esperienza (Learning by doing) occupa un posto centrale nella riflessione dell’autore.
L’esperienza costituisce il punto di partenza di ogni conoscenza e di ogni pratica educativa. L’esperienza per Dewey denota tutto ciò che è sperimentato, tutto ciò che avviene nel mondo, tutto ciò che si prova e si subisce, è una realtà onniinclusiva: comprende quello che è razionale e logico come quello che è irrazionale e inconscio.
Il testo contiene la versione originale e la traduzione italiana, per dar modo al lettore di sperimentare la forza dello scritto di Dewey.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ago 2013
ISBN9788898473069
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    Il mio credo pedagogico - John Dewey

    Il mio credo pedagogico

    John Dewey

    Indice

    Il mio credo pedagogico

    Articolo 1 - Cos’è l’educazione

    Articolo 2 - Cos’è la scuola

    Articolo 3 - La materia dell’educazione

    Articolo 4 - La natura del metodo

    Articolo 5 - la scuola e il progresso sociale

    My pedagogic creed

    Article 1 - What Education Is

    Article 2 - What the School Is

    Article 3 - The Subject-Matter of Education

    Article 4 - The Nature of Method

    Article 5 - The School and Social Progress

    John Dewey - Vita e opere

    1

    Io credo che

    Articolo I – Cos’è l’educazione

    ogni educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie. Questo processo inizia inconsapevolmente quasi dalla nascita e plasma continuamente le facoltà dell’individuo, saturando la sua coscienza, formando le sue attitudini, esercitando le sue idee e risvegliando i suoi sentimenti e le sue emozioni. Mediante questa educazione inconsapevole l’individuo giunge gradualmente a condividere le risorse intellettuali e morali che l’umanità è riuscita ad accumulare. Egli diventa un erede del capitale consolidato della civiltà. L’educazione più formale e tecnica che esista al mondo non può sottrarsi senza rischio a questo processo generale. Può soltanto organizzarlo o trasformarlo in qualche direzione particolare.

    La sola vera educazione avviene mediante lo stimolo esercitato sulle facoltà del ragazzo da parte delle esigenze della situazione sociale nella quale esso si trova. Tali esigenze lo stimolano ad agire come membro di un’unità, ad uscire dalla sua originaria angustia fatta di azione e sentimento, e a pensare a se stesso dal punto di vista del benessere del gruppo del quale fa parte. Attraverso le reazioni degli altri alle sue attività esso arriva a capire che cosa queste significano in termini sociali. Il valore che esse hanno ritorna riflesso al loro interno. Ad esempio, attraverso la risposta che si fa all’istintivo balbettare del bambino, questi giunge a comprendere il signifìcato dello stesso balbettio. Esso si trasforma in linguaggio articolato e in tal modo il bambino ha accesso alle ricchezze di idee e di emozioni che sono accumulate e consolidate nel linguaggio.

    Il processo educativo ha due aspetti, l’uno psicologico e l’altro sociologico, e nessuno dei due può venire subordinato all’altro o trascurato senza che ne conseguano cattivi risultati. Di questi due aspetti quello psicologico è basilare. Gli istinti e i poteri propri del bambino forniscono il materiale e danno l’avvio a tutta l’educazione. Se gli sforzi dell’educatore non si riallacciano a qualche attività che il bambino compie di sua propria iniziativa indipendentemente dall’educatore stesso, l’educazione si riduce ad una pressione dall’esterno. Essa può dare dei risultati esterni, ma non può essere veramente chiamata educativa. Senza una penetrazione della struttura e delle attività psichiche dell’individuo il processo educativo sarà, perciò, accidentale e arbitrario. Se coincide fortuitamente con l’attività del bambino, ne verrà stimolato; altrimenti risulterà un ostacolo o un agente di disintegrazione o di arresto della natura del ragazzo.

    La conoscenza delle condizioni sociali, o dello stato attuale della civiltà, è necessaria per potere interpretare esattamente le potenzialità del bambino. Questi possiede i suoi istinti e le sue tendenze, ma noi ne ignoriamo il significato fìnché non possiamo tradurli nei loro equivalenti sociali. Dobbiamo essere capaci di riportarli ad un passato sociale e di vederli come l’eredità di precedenti attività della specie. Dobbiamo essere capaci altresì di proiettarli nel futuro per vedere quel che sarà il loro risultato e il loro fine. Riferendoci all’esempio fatto sopra, è la capacità di scorgere nel balbettìo del bambino la promessa e la potenza di una futura attività di contatti e scambi sociali che permette di tenere in giusto conto quell’istinto.

    L’aspetto psicologico e quello sociale stanno fra loro in un rapporto organico e che l’educazione non può venir considerata come un compromesso fra i due aspetti o come una sovrapposizione dell’uno sull’altro. Diciamo che la definizione psicologica dell’educazione è nuda e formale, che ci dà soltanto l’idea dello sviluppo di tutti i poteri della mente senza però darci nessuna idea del loro impiego. D’altra parte si insiste sulla definizione sociale dell’educazione intesa come adattamento alla civiltà, che ne fa un processo forzato ed esterno e conduce a subordinare la libertà dell’individuo a una situazione sociale e politica presupposta.

    Ciascuna di queste obiezioni è vera quando vengono

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