Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'ottavo giorno: la debellazione
L'ottavo giorno: la debellazione
L'ottavo giorno: la debellazione
E-book318 pagine4 ore

L'ottavo giorno: la debellazione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sei persone di specchiata moralità vengono uccise a Napoli con modalità che paiono seguire una sorta di tragico e sanguinario rituale. Alle vittime viene strappato il cuore e ciò fa pensare all'opera di una setta o al risultato di un profondo e mortale squilibrio mentale.
Non è facile il lavoro della squadra mobile perché le pressioni sono davvero tante di fronte a una tale furia omicida e con esse anche le insidie che emergono prepotentemente da un’indagine in cui si legano vecchi e nuovi episodi di cronaca.
Ma Maria Cota, la nuova dirigente dell'ufficio, non è certo una persona che si lascia demoralizzare facilmente. Lo dimostra il suo curriculum oltre che l'ultima vicenda che l'ha vista protagonista in Calabria prima del suo approdo all’ombra del Vesuvio. Inoltre, può sempre contare sulla sua compagna, la pm Carla De Paolis come lei appena arrivata nel capoluogo campano come procuratore aggiunto.
Le loro strade si incrociano con quella del cronista salentino Saru Santacroce. Anche lui vive a Napoli, innamorato di una città capace di dare armonia al proprio disordine e di sorridere nonostante paia andare a braccetto con i guai. La vita, che sa essere molto spesso imprevedibile, riserva a Saru e alle due donne un colpo di scena. E il loro legame di amicizia subisce inaspettate evoluzioni.

LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2023
ISBN9798215224779
L'ottavo giorno: la debellazione
Autore

Cesario Picca

Cesario Picca (1972), salentino di origine, vive a Bologna. Per 25 anni ha lavorato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria, ora si occupa dei suoi gialli e del protagonista Rosario Saru Santacroce ed è relatore e moderatore in numerosi dibattiti e convegni. Ha pubblicato (2005) il saggio giuridico Senza bavaglio – L’evoluzione del concetto di libertà di stampa.Il suo amore per i gialli è sbocciato con Tremiti di paura dove il cronista salentino Rosario (Saru) Santacroce segue le indagini per scoprire l'autore di un cruento femminicidio. Questo è il primo giallo della serie dei gialli del cronista salentino Saru Santacroce. Al momento vi fanno parte Gioco mortale - delitto nel mondo della trasgressione, Il dio danzante - delitto nel Salento, Vite spezzate ambientato a Londra e dedicato alle vittime di abusi, L'intrigo - guanti puri e senza macchia, Il filo rosso - delitto sui colli.C’è molto di Cesario Picca in Saru Santacroce. Stessa età, stesse origini, stesso modo di vivere vita e lavoro. Laureato in Economia all’Università di Lecce, Cesario Picca si è trasferito a Bologna per lavoro. Si è occupato per molti anni di cronaca nera e giudiziaria lavorando per il quotidiano L’Informazione-Il Domani e collaborando con l’agenzia Adn Kronos.Nel 2002 è stato insignito del premio 'Cronista dell’anno Piero Passetti' grazie a un’inchiesta giornalistica.Cesario Picca was born and bred in Salento, in South Italy. For 25 years he worked as a crime and judicial reporter so it was very simple start writing thrillers. In his books, like Broken Lives and Murder in the Tremiti Isles, there are many real stories crossed with fantasy.He has already published (2005) the juridical essay Senza bavaglio – l’evoluzione del concetto di libertà di stampa (Ungagged - the developing concept of freedom of the press).His love for thrillers blossomed with Murder in the Tremiti Isles where the main character, the reporter from Salento, Rosario Saru Santacroce, is involved in a femicide. But you can find Saru Santacroce in thrillers Gioco mortale - delitto nel mondo della trasgressione, Il dio danzante - delitto nel Salento, Broken Lives, a psychological thriller set in London, dedicated to victims of abuse and inspired by Criminal Minds, Il filo rosso - delitto sui colli, the esoteric L'intrigo - guanti puri e senza macchia.The main character of his thrillers is a rough and rational man, talkative, charismatic, ready to savor every moment of life as if it was the last. Nicknamed Saru (the nickname that is given in Salento to those named like him), the reporter Rosario Santacroce covers the city's crime beat. As often happens, occasionally work also follows him on holidays because a real reporter is destined (almost) never to unplug. And that is probably why he gets entangled in murders.Maybe, between Saru Santacroce and Cesario Picca there are many points in common; they love life and they think life is a gift. They love footing and untill now they have run lots of marathons. A good way, in their opinion, to relax and feel good.In 2002 Cesario Picca was awarded the Piero Passetti prize for 'Reporter of the year'. He is a speaker or moderator at numerous conferences and participates in many radio and television broadcasts.

Leggi altro di Cesario Picca

Correlato a L'ottavo giorno

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su L'ottavo giorno

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'ottavo giorno - Cesario Picca

    Capitolo 1 – Senza cuore

    «Voglio che scopriate tutto su quest’uomo. Passate al setaccio la sua vita, spulciate nel suo passato, indagate sul suo presente, passate ai raggi X qualunque anfratto della sua esistenza. Nessun aspetto deve restare sconosciuto, neppure le cose che potrebbero sembrare più insignificanti» ordinò ai suoi con tono perentorio il capo della squadra mobile di Napoli, Maria Cota. Era giunta all’ombra del Vesuvio da circa due mesi e l’impatto con la nuova realtà non era stato affatto traumatico. Nonostante fosse tendenzialmente caotica, non c’erano stati casi di rilievo di cui occuparsi e la città le piaceva parecchio. Adorava quel suo fascino smagliante, era incuriosita dai suoi innumerevoli segreti, si lasciava spesso incantare dai suoi riti, amava nutrirsi della sua aristocratica ricchezza, adorava il suo mare e apprezzava il clima, affabile e gentile come quello della sua Calabria. Ma ciò che l’aveva colpita e affascinata maggiormente era la generosità dei napoletani, la loro insuperabile teatralità e, soprattutto, la loro contagiosa euforia che li spingeva sempre a sorridere nonostante dessero l’impressione di andare a braccetto con i guai. A cominciare dall’autista che era andato a prenderla all’aeroporto. Tutto avrebbe potuto fare nella sua vita, Gennaro o’ Quattrocchi, meno che il poliziotto. Quella divisa pareva una camicia di forza, addosso a lui, e con le armi non aveva alcuna dimestichezza. Era più bravo a usare la pistola come paletta per rigirare la pizza fritta nell’olio bollente che per sparare. Ma qualche qualità ce l’aveva, per carità. Di certo era un asso al volante, sapeva i fatti di tutti ed era sempre allegro. E grazie a quelle doti giustificava lo stipendio che lo Stato gli elargiva e con il quale sfamava le sei creature che la moglie gli cresceva con sapienza e abilità. «I song figli’ unicu e c’avevo voglia de ’na squadra ’e pallone» ripeteva sempre con quel suo caratteristico accento napoletano a chi si meravigliava di tanta solerzia procreatrice, non giustificata dai tempi e dalle possibilità.

    Le prime settimane erano servite a Maria Cota per ambientarsi nella nuova città e per rendersi conto di quanto Napoli fosse una terra difficile ma anche rispettosa verso chi, come lei, indossava una divisa. Se ben giocata, quell’esperienza avrebbe significato la promozione certa a questore. Ma non c’era niente di scontato per una come lei, restia ai compromessi e abituata a dire sempre ciò che pensava. Il questore era molto contento della sua presenza in città e aveva messo in fresco una bottiglia di champagne quando era venuto a sapere dell’interesse della Cota di ricoprire il posto da dirigente vacante dall’estate precedente.

    Fino a quel momento si era concentrata sulla riorganizzazione dell’ufficio, non avendo nulla di particolarmente scottante di cui occuparsi. Ma quel giorno, a ridosso delle festività natalizie, capì che qualcosa stava cambiando nella dinamica della sua vita lavorativa. Quel cadavere senza identità trovato da un runner ai piedi del gigante di Capodimonte, con un profondo squarcio nel petto dal quale era stato asportato il cuore, lasciava presagire un clima tutt’altro che festoso come pure il periodo spingeva ad assaporare.

    Benché fosse abituata a tutto, Maria Cota riusciva ancora a meravigliarsi di fronte alla cattiveria che la mente umana era in grado di partorire. E la scena che in quel momento aveva di fronte era a dir poco agghiacciante. Un brivido le percorse la schiena quando un orrendo pensiero le passò per la testa. Non ci credo, che sia davvero la maledizione dei mostri di Varese? E io che cosa c’entro con tutto questo? ragionò tra sé e sé mentre i suoi occhi continuavano a fissare la profonda frattura che qualcuno aveva praticato nel petto di quel corpo esanime sul quale stava operando il medico legale. In base a una prima analisi, la vittima era stata uccisa altrove almeno un paio di giorni prima. Di più il dottore non fu in grado di aggiungere, riservandosi di attendere l’esito dell’autopsia per redigere un referto medico molto più accurato.

    Nel frattempo, i ragazzi della Scientifica repertavano tutto ciò che veniva ritenuto utile alle indagini. Un suo uomo stava ascoltando il corridore che aveva scorto il cadavere verso le 7,30 mentre percorreva i viali semideserti del parco. Quasi certamente la sua testimonianza non avrebbe potuto aggiungere niente di più: il medico legale aveva spiegato, infatti, che in base alle impronte nel terreno umidiccio, il corpo era stato scaricato in quel punto almeno cinque ore prima del ritrovamento.

    Erano quasi le nove quando Saru Santacroce decise di indossare una delle sue tante mise sportive e fare una corsettina rigenerante. Non avrebbe corso più di un’ora e lo avrebbe fatto in surplace, per scaricare l’acido lattico che gli era rimasto nelle gambe dopo che il fine settimana precedente aveva preso parte al Passatore, la gara di 100 chilometri che da Firenze termina a Faenza dopo aver scavallato l’Appennino. Quella mattina non aveva in animo di recarsi al lavoro. Quello che aveva da fare lo avrebbe potuto tranquillamente realizzare stando a casa. Esattamente come faceva negli ultimi tempi, da quando cioè aveva cominciato a curare il marketing e la comunicazione di alcune importanti aziende napoletane. Non impazziva per quel lavoro perché sentiva ancora il richiamo della vita da strada, quella del cronista maledetto sempre a caccia di notizie. Però, aveva la capacità di adattarsi alle circostanze e tendeva sempre a guardare il lato positivo delle cose. Pertanto, al contrario di altri suoi colleghi espulsi dal sistema produttivo ormai in crisi, non aveva sviluppato alcuna forma di psicosi. Viveva i nuovi tempi come l’occasione propizia per fare ciò che in passato aveva dovuto rimandare. E utilizzava le proprie energie per assaporare il gusto pieno della vita molto più di quanto non avesse già fatto in passato. Si dedicava con profitto alla scrittura e arrotondava tenendosi in allenamento con l’attività di comunicatore che pareva tagliata su misura per lui.

    Quella mattina non faceva particolarmente freddo, ma l’umidità rendeva l’aria piuttosto fastidiosa, quindi indossò una maglia tecnica piuttosto pesante e un cappellino. Cominciò a correre nel parco come faceva spesso e non appena imboccò il viale di Mezzo non poté non notare il consistente nugolo di agenti alle prese con le indagini. Di scene come quella ne aveva viste davvero tante nella sua vita e avrebbe anche fatto a meno di fermarsi se la curiosità professionale non lo avesse spinto ad avvicinarsi per dare un’occhiata veloce prima di tornare alla sua corsettina. I cronisti non c’erano ancora e neppure i fotografi, e men che meno curiosi, pertanto non passò inosservato. Un agente si precipitò verso di lui con l’intento di tenerlo lontano, ma quando gli si avvicinò lo riconobbe.

    «Rosario Santacroce? Ma cosa ci fai da queste parti?» gli domandò il poliziotto delle volanti. E lo stesso fece il cronista, dal momento che erano entrambi lontani dal luogo in cui si erano conosciuti e visti per anni. Fu davvero una sorpresa ritrovarsi lì. Venne fuori che Saru viveva a Napoli da quasi un anno, mentre l’agente aveva ottenuto il trasferimento nella sua città per stare accanto agli anziani genitori.

    «Da quant’è che non ci vediamo?» aggiunse il poliziotto.

    «Troppo tempo» gli rispose Saru.

    «Ormai sei diventato importante con i tuoi gialli e non ti degni più di abbassarti a queste sciocchezzuole» proseguì l’uomo in divisa con tono scanzonato e la solita cadenza napoletana, che il soggiorno obbligato a Bologna non aveva affatto scalfito, dando la netta sensazione che non si trattasse di una bazzecola.

    «Da come la racconti, ho l’impressione che ci sia qualcosa di grosso, parla un po’ e non fare u scemu cufiu come al solito» lo invitò, mischiando un po’ di napoletano e un po’ di salentino, il cronista che il fiuto per la notizia lo conservava ancora.

    «Niente di che, abbiamo solo trovato un tizio al quale hanno strappato il cuore» ribatté il poliziotto con l’espressione di chi stava consapevolmente stuzzicando il proprio interlocutore.

    «Minchia, gli hanno strappato il cuore?» ripeté Saru, con un tono che rendeva bene la sincrasi tra l’incredulo e il sorpreso.

    «Scusa, devo andare; mi stanno chiamando» tentò di congedarsi l’agente.

    Mentre chiacchieravano, Saru cercava di mettere a fuoco la scena, ma la distanza non lo aiutava e non riusciva a capire cosa stesse accadendo, né gli era d’aiuto la confusione di quei momenti concitati. Qualcosa, però, colpì la sua vista.

    «Chi è la donna con la maglia bianca e la giacca scura?» chiese Saru prima che l’amico si allontanasse.

    «È la nuova dirigente della squadra mobile…».

    «Sbaglio o è Maria Cota?» lo interruppe Saru.

    «Sang, come fai a conoscerla? È appena arrivata e sai già chi è?» gli chiese sorpreso l’agente.

    «Una storia lunga» disse sibillino il cronista prima di lasciarlo alle sue incombenze.

    Attese qualche istante prima di rimettersi a correre. Doveva fare in fretta perché quello stop inaspettato gli stava facendo raffreddare il sudore addosso e rischiava un malanno. La sua attenzione, però, venne nuovamente colpita e lo costrinse ad attardarsi qualche minuto in più: da un sentiero nei paraggi, infatti, spuntò un’altra donna che gli parve una figura piuttosto familiare. Ma quella è la De Paolis! Cosa sta succedendo? Sto sognando o il Regno delle due Sicilie si è capovolto? disse tra sé e sé il cronista. Aveva lasciato quelle due donne sotto il sole della Calabria e ora se le ritrovava nella capitale del Regno borbonico. Più tardi, con calma, avrebbe fatto le sue telefonate per capirci qualcosa.

    Ancora con i corti capelli leggermente umidicci dalla doccia, si sedette davanti al pc. Sulla scrivania, una marea di fogli scritti a mano pareva in procinto di sommergerlo. Più ne eliminava e più ne comparivano, a furia di prendere appunti e mettere nero su bianco le idee che gli venivano spesso e all’improvviso. Tentava in tutti i modi di essere ordinato, ma non era facile con la sua postazione da lavoro, al contrario della casa che pareva una bomboniera. Un lampo di luce tentò a fatica di penetrare dalla finestra, ma si capiva che non era la giornata ideale per godere della compagnia del sole. Fece uno sforzo e si alzò per portare nel cucinotto il mug con il quale aveva bevuto del latte caldo con del miele. Si sarebbe dovuto fermare per lavare le stoviglie usate la sera prima per la cenetta a base di friarielli. Quelle cime di rapa nfucate secondo la tradizione culinaria salentina, con cui aveva condito la pasta e arricchito un morbido e saporito polpettone, avevano deliziato la sua ospite. In quel momento, però, non aveva voglia e decise di rimandare il tutto a dopo pranzo. In giro per casa c’era ancora l’inebriante essenza di Chanel numero 5. Insieme ai piatti sporchi, era tutto ciò che restava di quell’incontro. Laura era andata via che non erano ancora le otto. E lo aveva salutato nel modo a lui più congeniale. Amava parecchio essere svegliato con le generose e stuzzicanti attenzioni che quella donna maliziosa e provocante non gli faceva mai mancare quando stavano insieme. E sapeva essere davvero deliziosa. La relazione con quella stupenda donna napoletana era cominciata da circa un anno e mezzo e dunque si stava ancora godendo l’annebbiante effervescenza della novità. Si erano conosciuti durante le vacanze nel Salento e si erano piaciuti praticamente subito. Uscivano entrambi da una relazione controversa e non avevano alcuna voglia di rinunciare alla loro riconquistata libertà. Ma il destino, che sa essere spesso birichino, aveva fatto incrociare quelle parallele che tendevano a essere parecchio perpendicolari, sconvolgendo i loro piani. In realtà, più che il fato, era stato il cugino di lui a farli incontrare. L’uomo, che lavorava come chef in un villaggio turistico esclusivo della zona, aveva insistito affinché Saru prendesse parte a una festa nella prestigiosa struttura. E nel corso della serata gli aveva presentato quella splendida donna facendo tornare un raggio di luce nelle loro esistenze un po’ ammaccate dall’amore. Dopo alcuni mesi di frequentazione, che li aveva costretti a fare su e giù tra Napoli e Bologna, lei aveva insistito affinché lui si trasferisse sul golfo. Un invito che Saru aveva accolto con entusiasmo. Il cronista salentino, infatti, amava molto Napoli e la contagiosa allegria con la quale la gente rendeva armonico il suo disordine. Ma, soprattutto, tornava a vivere in una città di mare dopo i tanti anni trascorsi nella nebbia della Val Padana. Laura gestiva l’impero economico di famiglia e aveva bisogno di uno bravo nella comunicazione e nel marketing come lui. Pertanto, gli aveva presentato una proposta che non aveva potuto rifiutare. Oltre a un sostanzioso emolumento, il contratto prevedeva un bell’appartamento dalle parti dell’Orto botanico, nel quartiere di San Carlo all’Arena, e un’auto aziendale. Per impedire che la mancanza di libertà potesse soffocare il loro scoppiettante rapporto, avevano deciso di abitare ognuno a casa propria, anche se poi si vedevano con regolarità, lasciando all’istinto e all’occasione la scelta della location. Il pensiero di quella notte praticamente insonne e dell’appagante risveglio stava facendo defluire pericolosamente il sangue verso il basso. Decise, perciò, di concentrarsi su quanto aveva da fare. Le incombenze, infatti, mal si conciliavano con la piega che stava prendendo la situazione perché necessitavano che a essere bene ossigenato fosse il cervello.

    Per prima cosa diede un’occhiata ai giornali per vedere se la notizia del ritrovamento del cadavere fosse già online. Non c’era ancora, e pensò a quanto la vita certe volte sa essere davvero beffarda, se non proprio stronza. Quando era un cronista in prima linea, a caccia di notizie e in perenne lotta contro il tempo per dare un buco alle agenzie concorrenti, non gli era mai capitata un’occasione così ghiotta. Quel giorno, invece, sarebbe stato il primo a dare la news se non fosse che non aveva più niente a che fare con quella vita che ormai non gli mancava neppure più. Quasi certamente il suo babbo avrebbe spiegato quella situazione con il classico proverbio secondo il quale il Signore dà il pane a chi non ha i denti. Certo, però, che trovare un cadavere senza cuore non è proprio una bella storia si disse, fermandosi a riflettere un momento prima di redigere il comunicato stampa che avrebbe inviato ai clienti di una delle aziende di Laura. Decise, comunque, di utilizzare quell’episodio di cronaca nel nuovo giallo sul quale stava meditando da qualche mese.

    Maria Cota era appena rientrata in ufficio dopo aver accompagnato la pm De Paolis in Procura. Quel giorno la sua compagna era di turno e quindi titolare del caso. Lungo il tragitto si erano confrontate sull’accaduto. Parevano abbastanza colpite da ciò che avevano visto nonostante lo spesso strato di pelo che era cresciuto loro sullo stomaco nel corso del tempo. Non potevano escludere nessuna pista, ma le spaventava l’idea di aver a che fare con qualcosa di folle, come gli indizi spingevano a supporre.

    «Pensi che si possa trattare di commercio di organi?» chiese la De Paolis alla sua compagna.

    «Tutto può essere. Mi chiedo, però, che senso abbia commerciare gli organi di una persona adulta. Solitamente, per questo tipo di oscenità, si scelgono i bambini. E ciò non avviene nei Paesi cosiddetti civilizzati, ma in quelli poveri e arretrati… Anche se i concetti di civilizzato, povero e arretrato ormai sono sempre meno definiti» ragionò il capo della squadra mobile.

    «Cosa potrebbe essere, allora?» domandò ancora la pm.

    «Temo che sia qualcosa di ancora più terribile» sospirò la Cota.

    «Mo sorbole, e che c’è di peggio del traffico di organi?» la incalzò l’altra.

    «Magari un rito sacrificale…» rispose la poliziotta che dopo aver pronunciato quelle parole avvertì un nodo alla gola che le fece mancare il respiro.

    «Oh Signur! Ci mancano solo i sacrifici umani e poi abbiamo fatto tombola» esclamò il magistrato tentando di alleggerire la situazione nonostante dal suo volto trasparisse preoccupazione.

    Durante tutto il tragitto, Gennaro o’ Quattrocchi ascoltò e non disse una parola. Tra le qualità che gli erano riconosciute c’era anche quella di parlare solo quando gli veniva chiesto. Ma, nella sua testa, un affollamento di pensieri cominciava già a fare capolino. E per un momento gli venne pure da ridere dato che solo da poche settimane erano nuovamente permessi gli assembramenti dopo mesi di distanziamento sociale dovuto all’emergenza del Coronavirus che aveva colpito il mondo. Dopo aver accompagnato la Cota in Questura si sarebbe dato da fare per fare domande in giro e per sentire i suoi innumerevoli informatori per cercare di capire cosa stesse succedendo.

    «Spero di sbagliarmi. Ci vediamo dopo» le disse poco convinta Maria Cota non appena l’auto di servizio si fermò davanti al palazzo di via Grimaldi per far scendere la pm. Il suo istinto le diceva che, se si fosse davvero trattato di un rito sacrificale, con molta probabilità quello non sarebbe stato l’unico cadavere. E, anzi, c’era da temere che sarebbe stata solo questione di tempo prima che cominciassero a spuntare altri corpi di persone ammazzate.

    Appena arrivata sotto l’ufficio venne circondata da una decina di giornalisti a caccia di notizie. Non era abituata a parlare con i cronisti, Maria Cota, ed era fermamente decisa a non cambiare le sue abitudini. Non si fidava di nessuno e men che meno di coloro che in quel frangente la stavano tartassando con le loro domande. Sulle edizioni online dei giornali e nelle agenzie si parlava già del ritrovamento del cadavere e cominciavano a comparire le prime ipotesi sul delitto, con accostamenti anche a inchieste del passato su presunti riti satanici avvenuti in città. Quel corpo senza vita e soprattutto senza il cuore era, però, decisamente molto più inquietante.

    La dirigente convocò i più anziani per un consulto, ma la riunione non cominciò prima di aver informato il questore che era fortemente allarmato dopo aver letto i primi resoconti giornalistici. Inoltre, il presidente di una delle più importanti associazioni di commercianti della città gli aveva già telefonato per manifestargli la propria preoccupazione per gli effetti devastanti che una notizia del genere avrebbe potuto avere sul commercio. Già il periodo post pandemia era quello che era, ci mancava solo l’idea del mostro per tenere lontani i turisti nel periodo più importante dell’anno, mettendo definitivamente in ginocchio le attività commerciali. A dire il vero, l’idea di rivedere via Toledo deserta e i negozi vuoti faceva davvero paura a molti. Erano quasi le due del pomeriggio, e alcuni investigatori si stavano accingendo a raggiungere una trattoria o una friggitoria per mettere qualcosa tra i denti e non furono affatto contenti dell’improvviso cambio di programma. Maronna mia, questa donna non si ferma mai ragionò in silenzio il vice della Mobile che in quel frangente avrebbe fatto volentieri a meno di quella riunione essendo proiettato su una fumante pizza fritta. 

    Capitolo 2 - Un missionario laico

    «Abbiamo qualcosa sulla vittima?» chiese la Cota ai suoi.

    «Si chiamava Ciro Moscati, era un medico napoletano di settantatré anni in pensione…».

    «Precedenti?» lo interruppe la donna che voleva andare al sodo.

    «Nessuno» le rispose il responsabile della sezione omicidi, apportando un’ulteriore conferma al suo teorema investigativo.

    «Era un nome conosciuto?» insistette la dirigente.

    «I ragazzi sono andati a parlare con familiari e conoscenti per capire chi era, a noi non dice niente».

    «Dove abitava?» insistette la donna.

    «In piazza Medaglie d’oro, all’Arenella» riferì il funzionario.

    «Ed è finito quasi dall’altra parte della città. C’è per caso una denuncia di scomparsa?» si informò ancora il primo dirigente.

    «Al momento non ci risulta, ma faremo ulteriori accertamenti» la rassicurò l’uomo.

    «D’accordo, andate pure a pranzo, ma entro sera voglio che sulla mia scrivania ci sia la storia completa di quest’uomo» ordinò la Cota. Quando l’ufficio si svuotò, restò sola con i suoi pensieri per alcuni lunghi istanti. Distese la schiena sulla poltrona e chiuse gli occhi facendosi cullare dal silenzio surreale che regnava in quel momento. Vista l’ora, in giro per i corridoi del palazzo di via Medina non c’era quasi più nessuno e dalla finestra penetravano le prime ombre di una fresca e umida serata prenatalizia, l’ovvio coronamento di una giornata cominciata male e con molta probabilità destinata a non offrire niente di buono per farsi accettare.

    Gli ultimi a uscire dall’ufficio si erano portati dietro un po’ di mugugni per via dell’ora a cui erano stati costretti a fare pausa, prima di tornare al lavoro per quella che si annunciava come una potenziale notte in bianco. Quando uscirono dal portone vennero letteralmente aggrediti dai giornalisti che bivaccavano sotto la Questura in attesa di novità; altri si erano recati all’Arenella per le interviste del caso. Gli agenti non furono particolarmente cortesi con i cronisti e il reciproco scambio di battute poco felici fu la logica conseguenza di un momento di caos dovuto in parte allo stress da fame, in parte alle pressioni dei vertici per impedire fughe di notizie e in parte alle poche informazioni, visto che non era ancora emerso quasi nulla sulla vita della vittima. Ci furono dei momenti di tensione quando un cronista invitò uno degli agenti a essere educato, altrimenti avrebbe risposto direttamente all’inquilino dei piani alti. Prendendo quelle parole come una minaccia, il poliziotto lo affrontò a muso duro e ne seguì un accenno di rumoroso parapiglia verbale che finì per attirare l’attenzione della stessa Cota e del questore che si affacciarono alla finestra per capire cosa stesse succedendo. Era proprio quella l’altra preoccupazione della super poliziotta: leggendo i primi resoconti del ritrovamento, si era resa conto del clamore mediatico che quella notizia stava causando e delle conseguenze che ciò avrebbe avuto sull’opinione pubblica e, quindi, sulle indagini. Non amava lavorare sotto i riflettori ed era certa che i cronisti fossero deleteri per inchieste complesse e delicate come si annunciava quella.

    «Come se non fossimo già sommersi dai guai, ci mancava solo Rosario Santacroce» esordì, tra il serio e il faceto, Carla De Paolis rispondendo al telefono dopo aver letto il nome del cronista sul display.

    «Brutto momento?» le disse Saru.

    «A dire il vero, quando chiami tu non c’è mai da stare tranquilli» ribatté la donna.

    «Mamma mia come sei acidula, quasi non ti riconosco più. Sarà mica l’aria di Napoli che ti trasforma in una tarantolata?» proseguì il salentino.

    «Come fai a sapere che sono a Napoli?» gli chiese la pm.

    «Quindi me lo stai confermando?» insistette il cronista.

    «No, no calma. Di che stiamo parlando? Perché con te non c’è mai da stare sereni» aggiunse la pm, guardinga come al solito.

    «Sbaglio o stamattina ti ho vista al parco di Capodimonte?» le chiese Saru.

    «Scusa, e cosa ci facevi tu al parco di Capodimonte?» insistette la donna.

    «Da quasi un anno vivo a Napoli» la mise al corrente il cronista.

    «A Napoli? Aspetta… fammi indovinare… c’è di mezzo una donna» proseguì il magistrato.

    «Ebbene sì. Anche se la tua presenza qui a Napoli mi fa più pensare a un segno del destino…» rilanciò Saru.

    «Ma che destino e destino. Ora che sei fidanzato pure tu, è l’ennesima dimostrazione che tra te e me non potrà mai funzionare» lo stuzzicò Carla.

    «Sempre a darmi colpi al cuore, tu» insistette Saru che da quella donna era davvero molto preso.

    «Ma va là» chiuse la discussione lei prima che potesse prendere pieghe incontrollabili.

    «E, sbaglio, o stamattina ho visto anche la tua metà?» le chiese ancora l’uomo.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1