Il diario di un “onesto” lavoratore
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Anteprima del libro
Il diario di un “onesto” lavoratore - Umberto Damiano Boccia
L’AUTORE
DIARIO DI
UN ONESTO
LAVORATORE
Di Umberto Damiano boccia
** PREFAZIONE **
E’ la mia follia espressa ai massimi livelli o una semplice, pura e spontanea narrazione di fatti realmente accaduti?
Tutto ciò che mi accade ogni giorno é vero o continuo a dormire senza rendermi conto di non riuscire mai a fuggire da un incubo chiamato lavoro?
Questo libro-diario che vi accingete a leggere vi darà l’impressione di trattare di uno scorcio più o meno lungo della mia vita e altresì vi permetterà di capire che anche l’impossibile può accadervi mentre siete al vostro posto di lavoro o magari proprio mentre ci state andando.
I confini della realtà e dell’immaginazione si incontreranno in un concatenarsi di episodi, avvenimenti, incontri e scontri davvero incredibili che, credo, vi lasceranno a bocca aperta per quanto inverosimili e, spero, vi stamperanno un grosso sorriso sulle labbra per la loro comicità e simpatia.
Ovviamente ogni riferimento a persone realmente vissute su questa terra e a fatti realmente avvenuti é puramente casuale.
E prima di iniziare la lettura, vi domando gentilmente di raccogliervi assieme a me per almeno una trentina di secondi, non uno di più, per recitare una breve preghiera:
"Grazie a Te, ovunque Tu sia…Tu che hai inventato il lavoro…Grazie! Fossi qui di fronte a me ti darei tutta una mia mano per stringere la tua in segno di ringraziamento…con l’altra, beh mi basterebbe soltanto il dito medio!!! ".
** INDICE **
Indice → sostantivo maschile
In anatomia, il secondo dito della mano, tra il pollice e il medio (anche come aggettivo: il dito indice): portare l'indice alle labbra, per significare di far silenzio o di mantenere un segreto.
Es.: Puntare l'indice contro qualcuno, vedi puntare.
Elenco, compilato con criteri descrittivi o analitici, degli elementi utili alla consultazione diretta di un'opera
DIARIO DI UN ONESTO
LAVORATORE
Il Raccomandato
Terminati i sei mesi di contratto presso un noto call center della mia sorridente e soleggiata città (Torino…) non mi sentivo assolutamente perso, chiunque nella mia condizione si sarebbe sentito scoraggiato: cavolo, dovevo cambiare lavoro, stile di vita, abitudini e giro di colleghi ma soprattutto dovevo conoscere il mio nuovo capo! Si chiudeva una porta…si stava per aprire un portone. Basta agenzie interinali, basta contratti a termine, si inizia a fare sul serio ora.
Ma se é vero che non tutto il male viene per nuocere, visione del bicchiere mezzo pieno, é anche altrettanto veritiero che al peggio non c’é mai fine, visione del bicchiere tutto vuoto dopo che mi sono bevuto l’altra metà che prima era piena.
Grazie alla preziosa intercessione di una facoltosa zia di mia madre avevo ottenuto non un colloquio ma molto di più un udienza
per farmi conoscere meglio da quello che da lì a poco sarebbe diventato il mio datore di lavoro.
Parlo di udienza e non di semplice colloquio conoscitivo in quanto il mio boss non é un semplice capo é di più.
E’ come un diamante dalle innumerevoli sfaccettature: può essere amico così come può essere severo, può essere fraterno così come intransigente, é imprenditore affermato ma é un burlone, é un tipo irrefrenabile quanto despota é arrogante nell’ordinarti di fare delle cose che a lui arrecano noia, é sportivo, é uomo di cultura, é affascinante, é carismatico. Potrei continuare questa lista all’infinito con il solo rischio di potervi annoiare, ma una cosa non la immaginerete mai: il mio capo é un prete!
E’, perdonatemi la ripetizione del termine ma ci sta, non é uno scherzo da prete!
Ma di lui avremo modo di parlare sicuramente in modo più approfondito e dettagliato più avanti…
Ritorniamo però a dove ci eravamo fermati; vi stavo appunto parlando del mio primo impatto con questa nuova realtà lavorativa e del mio primo giorno ricordo soprattutto il freddo.
Era infatti il 30 febbraio 2002 quando mi presentai per la prima volta presso gli uffici della Stella Cadente S.p.A. Enterprise Associated With somebody and CO., una prestigiosa ditta di servizi da tè piemontese per parlare di me e delle mie precedenti esperienze lavorative con Don Salvario.
Da bravo ragazzo ascoltai i consigli di mia madre che per paura di fare brutta figura con questa parente (la famigerata zia Clotilde che tutti nella mia famiglia conoscono per via delle sue favolose crostate di prugne e per il suo enorme foruncolo rugoso sulla punta del naso) aveva iniziato quasi un mese prima del colloquio a dirmi che quel fatidico giorno non avrei dovuto in alcuna maniera fare tardi.
Tant’é che per presentarmi alle nove del mattino in ufficio fui letteralmente buttato giù dal letto alle sei.
Ora proviamo a fare insieme qualche esercizio di matematica:
Se Umberto al mattino dedica per la cura della sua persona,per vestirsi e per fare colazione mezz’ora scarsa;
Se per prendere i due pullman che da Torino lo porteranno ad Arteria nella prima cintura torinese (e già il nome del paese é tutto un programma…mi viene da tagliarmi le vene!) gli occorre un’oretta circa;
quanto tempo é stato ad aspettare Umberto fuori dagli uffici? La risposta ve la do io (anche se ci sarete arrivati facilmente) che non ho ancora rimosso dalla mia memoria quei semi-tragici momenti: un’ora e mezza!
Ma la cosa carina di quel tempo interminabile fu che, con mio grande piacere, scoprii subito che quella zona era completamente isolata dal resto del mondo conosciuto.
L’inebriante odore dei prati concimati a letame caldo e fumante e la tangenziale delimitavano lo stabile del mio futuro ufficio e nemmeno la traccia di un bar nel raggio di 4 Kilometri quadrati.
Imbarazzato non avevo il coraggio di suonare il campanello per chiedere di salire perché non avrei mai saputo giustificare un così largo anticipo (mica potevo dire che era da un mese che venivo minacciato se solo avessi sgarrato di un minuto sull’orario dell’incontro), pertanto onde evitare di perdermi in una zona di periferia che non conoscevo, preferii attendere seduto sul marciapiede dato che non c’era e non c’é tutt’ora neanche una panchina.
Avevo indossato la camicia delle belle occasioni abbinata ad un pantalone nero molto stiloso. L’unico neo era che quei due capi di abbigliamento andavano per così dire d’accordo solo con un giubbetto del mio guardaroba. La scelta fu quindi obbligata e dovetti indossare per forza di cose la giacchetta primaverile.
Quel 30 febbraio 2002 fu una giornata rubata al dicembre appena trascorso! Meno 5 gradi sotto lo zero, cielo nuvoloso che minacciava pioggia da un momento all’altro. Il sole sembrava essere andato in pre-pensionamento!
Passai quell’attesa interminabile tra sguardi indiscreti delle persone che si addentravano nell’edificio tra i quali quello quasi schifato di una bella signora. Ripassavo il copione del mio curriculum vitae da recitare da lì a poco
Ma venne la mia ora: salii a piedi fino al secondo piano, dato che l’ascensore era fuori servizio, e quando si aprì la porta mi trovai di fronte con grande sorpresa, ma soprattutto sua, la bella signora.
Subito mi presentai: lei era completamente all’oscuro di chi fossi e del perché fossi lì. Penso addirittura che in quei momenti avrà supposto persino che fossi un ex-tossico che chiedeva l’elemosina.
Ella annunciò il mio arrivo a Don Salvario, il quale mi fece accomodare nel suo studiolo. Gli interni erano curatissimi: un mix di stile antico, tutto in legno e che con aggeggi sparsi qua e là di alta tecnologia.
Uno schermo piatto di ultima generazione mostrava le immagini delle telecamere di sorveglianza. Il telefono d’oro e una grossa scatola di sigari anch’essa dorata erano sul tavolo: ma dove sono nell’ufficio di Scarface?
Il Don invitò la bella signora a partecipare al colloquio.
Più che un colloquio fu un dialogo aperto, ma notai che le due persone che avevo di fronte mi trovarono infreddolito e stanco, tant’é che mi chiesero se volevo una tazza di tè caldo per riscaldarmi un poco: avevo stimolato in loro il sentimento della compassione e della carità tanto ero tremolante.
Le domande non furono inerenti al lavoro o alle mie competenze, si parlò di come va il mondo, dei giovani, della droga, di calcio, di tutto…tranne che di lavoro appunto.
…Come da telefonata ricevuta nel pomeriggio stesso, seppi che andò bene ed il giorno seguente iniziai come da accordi i miei dieci giorni di prova.
Alla prima pausa caffé mi fu subito fatto capire che chiunque sapeva che la facoltosa zia di mia madre mi aveva indicato a Don Salvario che stava ricercando un ragioniere da affiancare in contabilità alla bella signora.
Dovete anche sapere che Don Salvario é un nipote alla lontana della facoltosa parente di mia madre, pertanto tutti sapevano che io ero un Raccomandato
, ma chissà chi sarà stato mai a mettere in giro questa voce? Me lo chiedo ancora oggi, e voi chi pensate che sia stato? Don Salvario?! Ma siete pazzi?!?! Come vi permettete di pensare solamente un cosa del genere.
Lui é un uomo di Chiesa, non una malelingua, eh…
La sveglia
E’ doveroso dedicare dello spazio alla mia sveglia quotidiana.
Per la maggioranza delle persone il momento più bello della giornata é proprio quello del risveglio: l’inizio di nuovo giorno, l’immagine del sole che sorge, l’aspettativa di quello che sarà e che accadrà nelle ore successive al riposo. Ci si stiracchia, gli occhi si stropicciano e un piede dopo l’altro si scende dal letto per andare al bagno e poi a fare una ricca colazione rilassante per partire con grinta per affrontare un altro dì, nuovo, migliore di quello appena andatosene con la fosca notte trascorsa.
Altre persone, incluso il sottoscritto, considerano il suono della sveglia al mattino simile ai rintocchi delle campane quando suonano a morte: BONG!!! BONG!!! BONG!!!
Bisogna alzarsi, bisogna andare a lavorare…bisogna, si deve: per forza!
Non ci sono alternative, la scuola per me é ormai finita, rimane solo un ricordo lontano e non si può più dire alla mammina che si ha il mal di gola o il mal di pancia pur di rimanere o tagliare (termine esclusivamente torinese, sinonimo di marinare o bigiare) la scuola.
Il lavoro é lavoro e bisogna andarci.
Ma per me in particolar modo il risveglio é sempre a dire poco traumatico.
Come ho già avuto modo di raccontarvi il mio ufficio non si trova dietro l’angolo di casa, ma bensì dall’altra parte della città, esattamente a quattordici Kilometri di distanza da casa mia.
A onore di cronaca vi devo anche mettere a conoscenza del fatto che io non sono in possesso di un’autovettura (ad ogni modo anche se ce l’avessi non la prenderei mai per andare a lavorare, c’é troppo caos al mattino, figuriamoci la sera!) e che per recarmi al posto di lavoro devo necessariamente servirmi dei mezzi pubblici o del mio scooter modello cinquantino da battaglia.
Ed é proprio qui che inizia il dramma.
Inesorabile alle ore sei e trenta del mattino suona il cellulare impostato la sera precedente e io, che fino a pochi istanti prima stavo tranquillamente tra le braccia di Morfeo sognando magari spiagge soleggiate o belle bionde che accarezzavano e lucidavano la mia liscia pelata, mi devo tirare su dal letto e ancora con gli occhi socchiusi e la bavetta alla bocca vado sul balcone per vedere se piove.
A questo punto vi domanderete giustamente: ma che ca**o te ne frega di sapere se piove!?!
La risposta é data dal fatto che se la giornata é piovosa non posso utilizzare il mio scooter, ma devo ricorrere necessariamente ai mezzi pubblici. Pertanto nel giro di mezz’ora devo essere sbarbato, lavato e vestito perché alle ore sette parte dal capolinea il pullman che mi permetterà di essere alle otto meno dieci alla fermata del secondo bus per prendere la coincidenza che mi farà arrivare in ufficio puntuale alle otto A.m.!
Nel caso in cui non piova ho il tempo necessario per reimpostare nuovamente la sveglia per le sette e farmi un’altra pennichella di mezz’ora. In quei trenta minuti Morfeo che prima mi aveva dolcemente lasciato andare, si re-impossessa