Saluti a tutti: Un delitto di paese
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Saluti a tutti - Daniela Di Cicco
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Prefazione
Nella sonnacchiosa e tranquilla campagna ligure, una morte sospetta spezza la quotidianità dei paesani e dei villeggianti, dando l’avvio a una serie d’indagini che apriranno una nuova e sorprendente visione del borgo e dei suoi abitanti, in uno spaccato di umanità ricco di sorprese. Un giallo, ma non solo.
Un ringraziamento particolare all’amico Claudio Santucci, che ha letto e commentato e del cui gradito consiglio ho fatto tesoro.
Sono tornata in città.
Nel mio appartamento chiuso da un mese l’aria ristagna e devo spalancare le finestre.
Il frigo è vuoto.
Ma non mi va di scendere per la spesa.
Accendo la tele.
Tra poco inizia l’ennesima puntata della mia serie preferita.
Il bagaglio giace in ingresso.
Lo disferò poi.
Ordino una pizza per cena.
Finalmente a casa.
La cronaca nera la lascio al telegiornale della notte.
Prologo
È tutto pronto. Domattina partirò presto. Scosto la tenda della porta finestra.
È l’ora dolcissima del crepuscolo. La luce bassa è ancora molto chiara e le colline oltre la macchia degli alberelli giovani e delle rose già sfiorite, sono particolarmente nitide, avvolte come sono dalla freschezza dell’aria dopo tanto accecante calore. Si sentono cinguettii e fischi, richiami di merli e gazze, il frinire delle cicale a breve darà spazio al canto dei grilli e le ombre si punteggeranno di lucciole brevi. Anche a finestra chiusa mi colpisce le narici il profumo caldo dell’estate. Il sole sta scendendo e una lama rossa sciabola il cielo a ovest.
Mi ritraggo e torno in camera dove valigie scatole e borsoni si allineano in ordine di grandezza. Sono sempre stata ordinata.
Cerco la scatola dei kleenex.
Sto piangendo.
Capitolo 1 - Una nuova vita
I libri d’avventura sul tavolinetto in un angolo del terrazzino, luogo ideale per un distensivo pomeriggio di lettura poco impegnata, borderline col sonnellino traditore sempre in agguato. I libri gialli invece vanno sistemati sul comodino. Da queste parti le giornate piovose non sono rare anche d’estate ed è impagabile sentirsi addosso quel sottile brivido di piacere, quando, dopo una cena frugale consumata con il minimo d’illuminazione possibile, ti sdrai sul letto e ti tuffi nell’ennesimo mistero inestricabile.
Tutta la casa al buio, accesa solo la vecchia lampadina gialla sulla mensolina in frassino.
Mentre la pioggia ticchetta sui vetri, assapori il silenzio e la solitudine come dolci al cucchiaio, densi e appaganti. Sì, finalmente sola, magnifico.
Concluso il briefing tra me e con me sulla collocazione del materiale di lettura, una breve pausa all’inglese con tè e frollini e poi via, sistemazione della biancheria nei cassetti e nell’armadio a cui avrebbe fatto seguito il riempimento dei mobili in cucina con stoviglie e una moltitudine di accessori comprati appositamente per non essere usati.
Fantastico.
Il giardino è magnifico, solo qualche rimasuglio di terra da pulire. L’arredo quasi a posto, le tende montate, gli scatoloni sballati.
Il mio animo scalpita. Voglio tornare a respirare. Incontrare e conoscere. Non vedo l’ora di scendere in paese e vedere facce nuove.
Si comincia.
Capitolo 2 - La casa
In realtà una prima conoscenza l’ho già fatta.
In maniera un po’ rocambolesca è vero.
Ma evidentemente sembra che per me tutto inizi dagli scivoloni.
Sono in questa casa per la prima estate.
Dopo il divorzio avevo perso, come succede, il giro di amicizie che ruotavano intorno a mio marito Alberto, rampollo di una ricchissima famiglia appartenente all’alta borghesia locale.
Una buona fetta di conoscenze, saccenti e con la puzza al naso, mi aveva letteralmente scaricato.
Noblesse oblige.
Fuori quindi dalle uscite in barca con la Pucci, la Cicci e il colonnello (e non specifico il motivo del soprannome) e dalle feste ad alta gradazione alcolica e catatoniche che avevano ritmato le mie estati fino ad allora, mi ritrovai completamente isolata.
Il primo anno mi trascinai da una sdraio a un lettino prendisole di tutte le spiagge della riviera, con la sola compagnia del gatto siamese, maschio come se non bastasse, che mi era rimasto nella spartizione dei beni e che detestava il mare e saltava sulla sabbia calda come un pupazzo caricato a molla.
Uno strazio.
Mai più...
Mentre ero dalla parrucchiera, in attesa che prendesse la tinta, trovai e lessi un articoletto su una rivista che decantava la tranquillità e le bellezze di un piccolo centro dell’entroterra.
M’incuriosii.
Avevo bisogno di cambiare aria.
Volevo un posto solo mio.
La località mi piacque.
Fu amore a prima vista.
E quando, dopo non poche e infruttuose ricerche, giri a vuoto e appuntamenti saltati, riuscii finalmente ad acquistare quella che sembrava la casetta di Biancaneve, linda e perfetta, fui al settimo cielo.
Stavo pensando a me.
Dopo anni di sballottamento e confusione, partenze, rientri, vuoti e attese, stavo infine cominciando a chiarire gli orizzonti, i miei.
Ero viva.
Di nuovo.
Era una bellissima villetta, nuova di costruzione.
Soleggiata e circondata da un magnifico terreno, in parte a prato e in parte piantumato con alberi ornamentali.
L’irrigazione doveva essere costante e abbondante.
L’impianto era perfetto.
Tutto sincronizzato, come il miglior esercizio al trapezio.
Tutto a posto, come le migliori costruzioni fatte con il Lego.
Timer e tubi.
Guarnizioni e serbatoi.
Muretti di contenimento.
Tutto, tranne un pozzetto.
Forse non ci doveva essere.
Forse ci doveva essere ma non era stato chiuso.
Forse era stato chiuso e poi riaperto.
Forse non dovevo passare di lì in quel momento.
Fatto sta che, girando intorno al perimetro per cercare una collocazione adatta a un grosso vaso di ortensie che tenevo in braccio, non vidi il vuoto.
Caddi come una pera cotta.
Io e con me il vaso di ortensie.
Paolo, giardiniere accorso alle mie urla di dolore, impallidì alla vista del sangue che sgorgava copioso da una ferita alla fronte.
Prima che perdessi i sensi riuscii ad afferrare un mozzicone di frase. Era la telefonata all’unico numero in suo possesso, quello della farmacia.
«Dottore, presto, è caduta nel pozzetto. Ecco l’indirizzo...»
Lo lasciai al mondo dei coscienti, ma so, attraverso pettegolezzi successivi che il giardiniere mi seguì quasi subito.
Il farmacista allertò il medico.
Quando il Carlo, questo il nome del condotto, arrivò, in scooter, trovò due corpi stesi.
Il mio, confuso ma vigile, e quello del giardiniere privo di sensi.
Paolo reggeva molto bene l’alcol, qualunque fosse la sua gradazione e natura, ma di fronte al sangue non ce la poteva proprio fare.
Fu così che iniziò il mio ingresso trionfale in quel di Campo di Vetro.
L’ambulanza che mi portò in ospedale attraversò l’intero paese, da cima e fondo.
Il Carlo mi fece la prima sommaria medicazione e salì in ambulanza con me. Sarà sicuramente stato l’effetto del dolore e della nausea che provavo, ma avevo la sensazione che l’interno dell’ambulanza fosse rivestito di doghe di legno, come una baita. Come molte case della zona. Quasi a sottolineare il sapore rustico di tutta la situazione, al limite del naif. Mi sembrava, addirittura, di sentirne l’odore. Mancavano, solo i gerani ai finestrini.
«Piacere, Marianna. Marianna Fiorato.»
Non sentii la risposta.
Svenni una seconda volta.
Capitolo 3 - Il diario di Marianna
Domenica 6 agosto
Esco e m’incammino a piedi verso il borgo.
La giornata è ancora fresca e una passeggiata gioverà alle mie