Tre piccole bottiglie di birra
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Si ripeteva con costanza nel tempo.
Ogni volta diverso da quello precedente. Ma le bare bianche c'erano sempre. Non mancavano mai".
Una città.
Vite diverse apparentemente senza niente in comune, ma unite in una spirale elicoidale che le fa convergere verso un crudele destino. Ed un inconsueto commissario di Polizia che cerca disperatamente di districarsi in questo tetro DNA.
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Anteprima del libro
Tre piccole bottiglie di birra - Giuseppe Faedda
TRE PICCOLE BOTTIGLIE DI BIRRA
di Giuseppe Faedda
OMBRE
Le vedi?
Le senti?
No…
Non le puoi sentire.
Non le puoi vedere.
Sono furbe.
Astute.
Si nascondono bene.
E attendono pazienti.
Ti aspettano al varco.
Sono come neri rapaci.
Chiazze di tenebra in un cielo azzurro.
Macchie di sporco nell’anima tersa.
Sono le Ombre.
E sono lì.
Nella tua testa...
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1
In estate, il momento più bello della giornata è quello in cui la luce cede lentamente il passo all’oscurità della sera e l’afosa calura estiva addolcisce la sua morsa, ormai stremata dalle tante ore di lavoro diurno.
Il vento, che in questa stagione soffia prevalentemente da sud, incendiato dalle sabbie del deserto Africano, anch’esso si ferma. Dopo aver agitato per tutto il giorno le calde acque del Golfo del Poetto, improvvisamente cala d’intensità per poi sparire del tutto… L’aria diventa immobile.
Né giorno né notte.
Il tempo sembra fermarsi. La linea dell'orizzonte perde pian piano di definizione fino a dissolversi nel nulla. Lo stress, la frenesia della quotidianità, il trillo della sveglia, la suoneria del cellulare, le rate del mutuo...
Tutto svanisce come d'incanto.
La calma interiore può finalmente riaffacciarsi e portare gradita un po’ di serenità.
Quando aveva la fortuna di poterlo fare senza trascurare i soliti impegni quotidiani, passeggiare sulla spiaggia era il suo momento preferito.
Quel giorno in ufficio era stata una giornata di lavoro abbastanza tranquilla. Come ogni mattina aveva timbrato il cartellino alle otto ed alle otto e cinque precise era già seduto sulla sua scrivania con la prima pratica da analizzare tra le mani: richiesta di rimborso spese mediche euro 800. In allegato documentazione comprovante bla bla bla bla...
Faceva lo scribacchino, chiamarlo lavoro d’ufficio sarebbe stato troppo altisonante.
Si era laureato con 110 e lode in Economia e Commercio, con la speranza di riuscire un giorno a diventare docente universitario. Aveva dedicato anima e corpo allo studio concedendo i cinque anni successivi ai suoi diciotto unicamente al dovere. Era sicuro che tutto quel sacrificio sarebbe stato ripagato. Nelle afose sere d’estate in cui i suoi colleghi di appartamento se ne andavano al Poetto per cercare gnocca
, come dicevano loro, lui rimaneva rintanato in casa con il culo appoggiato alla sedia e lo sguardo incollato sui libri.
Amore per la sapienza… questo è il significato della parola filosofia…
La cosa che lo rattristava di più, era che i suoi amici, alla fine la gnocca la trovavano veramente…
Tornavano a casa la notte tardi, o mattina presto a seconda dei punti di vista. Completamente strafatti o ubriachi, ed ogni volta lo svegliavano prendendolo per i fondelli.
Sei proprio un coglione, Nando! Non sai cosa ti sei perso stasera!
e per dare maggiore enfasi a quella solita frase, molte volte gli passavano le dita sotto il naso dicendo: Lo senti l’odore? Odore di gnocca, Nando! Sveglia!
e dopo puntualmente se andavano tutti in cucina a farsi l’ultimo spinello prima di andare a dormire.
C’erano momenti in cui li invidiava davvero, momenti in cui gli sarebbe venuta voglia di prendere quei maledetti libri e farli volare dalla finestra, mettersi quei jeans strafighi mezzo stracciati, che usava la maggior parte dei ragazzi, ed andare a fare baldoria come faceva… la maggior parte dei ragazzi... appunto.
Ma lui non era la maggior parte dei ragazzi
… Figlio di un povero operaio e di una donna delle pulizie, era stato cresciuto col giusto credo del sacrificio: Se vuoi ottenere qualcosa dalla vita
- diceva sempre suo padre - devi lavorare sodo e spaccarti la schiena tutti i giorni, ma alla fine il buon Dio ti ripagherà per quello che meriti e per tutti i sacrifici che hai fatto!
.
Con tutto il bene che aveva voluto a suo padre, ora buonanima, c’erano momenti in cui desiderava ancora averlo di fronte per prenderlo a calci nel sedere per la rabbia e per la frustrazione che la sua vita di merda gli aveva concesso dopo anni ed anni di sacrifici...
Ma tant’è…
Perso nei pensieri e dolcemente cullato dalla leggera brezza marina che pian piano si stava sollevando, non si accorse che aveva fatto tardi e che aveva superato il punto di non ritorno
già da un po’.
Era proprio una magnifica serata, la sabbia gli massaggiava dolcemente i piedi ed era finalmente riuscito a staccare la spina. La sua passeggiata sulla spiaggia prevedeva arrivo in macchina, parcheggio a Marina Piccola, partenza della prima fermata e punto di non ritorno
all’altezza del vecchio Ospedale Marino. Gli piaceva quel termine. Dava un tocco di non so che alla sua piatta esistenza, un tocco di fantascientifico, fantasmagorico… cose così, insomma. Era il titolo di un vecchio film di fantascienza che a lui era piaciuto molto. Aveva deciso di introdurre quel termine nella sua vita ordinaria e monotona. Così il vecchio Ospedale Marino era diventato la boa superata la quale, automaticamente sarebbe arrivato in ritardo a casa per cenare con suo figlio Giuseppe.
Il suo adorato figlio. L’unica gioia che gli aveva concesso la vita e l’unico bel ricordo lasciatogli dalla ex moglie Maria.
Era stato concepito in una calda notte di agosto, nel medesimo letto matrimoniale in cui lui stesso era stato concepito e che il padre aveva voluto dargli in regalo il giorno del suo matrimonio. Ormai ci dormiva da solo da anni. Il profumo alla vaniglia che era solita usare la sua ex consorte e che aveva impregnato il materasso, era svanito ormai da tempo immemore, insieme al sogno di un amore eterno e di una vecchiaia a due.
Giuseppe aveva ormai raggiunto la maggiore età e la cena era il quotidiano momento di riunione familiare previsto per le venti e trenta circa, minuto più minuto meno. Era abbastanza elastico negli orari, se elasticità poteva essere intesa una tolleranza di due minuti in anticipo o in posticipo…
L’elasticità è la dote che porta in dono il debole!
diceva sempre la sempre buonanima di suo padre.
Comunque, padre o non padre, punto di non ritorno o no, stasera avrebbe continuato a godersi quel magnifico massaggio senza pensare al ritardo. Una serata come quella non capitava così spesso.
Sulla strada del ritorno già si incominciavano ad intravedere le stelle, la prima da che mondo è mondo era sempre lei: la stella polare. Lo guardava con quel suo unico grosso occhio luminoso e con aria interrogativa sembrava quasi gli chiedesse: Nando… ma chi cazzo te lo ha fatto fare? Ma cosa ne hai guadagnato da tutti i sacrifici fatti?
.
Bella domanda, pensò tra sé e sé. Se ne fosse valsa la pena, si sarebbe inchinato a cercare un bel sasso, liscio e levigato dalla instancabile forza del mare, e glielo avrebbe anche lanciato addosso, probabilmente...
Guardando per terra alla ricerca della pietra da scagliare lo sguardo, come ogni santo giorno, gli cadde su quella orribile sporgenza che tanto tempo prima era stata un ventre piatto e muscoloso. Allora sì che aveva un bel fisico atletico. Non che ci fosse qualcosa di cui vantarsi effettivamente: chi a quella giovane età non possiede un fisico atletico?
Quando si è giovani è facile essere belli!
diceva sempre il suo amato Papà.
Ora, a cinquantatre anni suonati, si ritrovava con pochi capelli sulla testa ed una pancia ben più che prominente. Era così grande da sembrare un'enorme anguria matura. Considerando che aveva anche le gambe sottili, poteva ormai dirsi afflitto dalla merlite
. Patologia ampiamente descritta da una nota comica televisiva che a lui piaceva tanto, e che vede la persona che ne è colpita avere il corpo grosso e le gambe sottili: appunto come un merlo…
La pancia.
La pancia è l’incubo di ogni uomo così come il sedere è l’incubo di ogni donna.
È davvero una gran bastarda: riesce a crescerti proprio sotto gli occhi, senza farsi scoprire.
Senza nemmeno avere il pudore di farlo di nascosto…
Dopo quell’excursus fisiologico tornò a pensare alla domanda che un attimo prima gli aveva rivolto l’astro luminoso che ormai, vista l’ora, era già affiancato da tutte le altre stelle del firmamento.
Bella domanda!
ripeté a se stesso.
Subito dopo la laurea era cominciato il periodo più bello della sua vita.
Così come l’Italia aveva vissuto il boom economico del dopoguerra, così la sua vita tanto sacrificata e ristretta fino ad allora, si era affacciata verso nuove prospettive da tanto tempo anelate.
Dopo aver discusso con successo una tesi dall’imponente titolo:
CALCOLO DELLE TABELLE DI MORTALITÀ E LORO INCIDENZA SUI MARGINI DI RICAVO DELLE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE
, per non rimanere senza far niente, in attesa di riuscire a realizzare il sogno di diventare docente universitario, aveva temporaneamente accettato il lavoro presso la SERVICARE PRODUTCS & C.
Si trattava di una società che offriva pacchetti assicurativi a diverse grandi multinazionali; assicurati con noi e ti assicurerai il futuro!
così recitava quella faccia ebete e sorridente della gigantografia di un giovane ed aitante biondo ragazzone, che ogni mattina gli dava il benvenuto nell’atrio del palazzo dove la società aveva la propria sede.
Altro che assicurare il proprio futuro, pensò, con la firma del contratto di lavoro aveva venduto tutto il suo avvenire, le sue speranze, i suoi sogni e gli aveva messi in mano a quella maledetta società, in cambio di un misero stipendio da mille e duecento euro al mese e di un'oscena scrivania realizzata in finto legno di ciliegio…
Senza quasi accorgersene, perso in quel turbinio di pensieri sulla sua esistenza, si ritrovò all’ingresso del parcheggio in cui, circa due ore prima, aveva lasciato la sua macchina. Frugandosi nelle tasche per cercare le chiavi, si rese meschinamente conto che dopo suo figlio Giuseppe, la cosa a cui teneva di più era la sua Toyota Corolla 2000 turbodiesel. L’aveva acquistata circa due mesi prima dopo quasi un semestre di indecisione passato a cercare di trovare il modello di autovettura a lui più consono. Alla fine, tenendo contemporaneamente conto dei fattori estetici e delle prestazioni, il tutto rapportato alle sue condizioni economiche non di certo brillanti, aveva optato per la piccola berlina giapponese.
Infilò le chiavi nella serratura e lo sguardo, immancabilmente, gli cadde sui graffi lasciati sullo sportello da qualche miserabile drogato che nelle ultime due settimane gli aveva forzato la macchina per ben due volte.
Maledetti bastardi parassiti!
pensò, lui ogni giorno a farsi il mazzo per otto ore dietro alla scrivania, di cui almeno due andavano a coprire il costo della rata mensile dell’auto, e quei nullafacenti solo per pochi spiccioli si permettevano di rovinare il suo prezioso gioiello.
Ma aveva già in mente qualcosa per fargliela pagare…
A breve si sarebbe preso la sua rivincita e quei maledetti bastardi avrebbero fatto da capro espiatorio anche per tutte le insoddisfazioni e le frustrazioni che aveva accumulato nella sua misera esistenza.
Si sarebbe vendicato, quant'era vero che lui si chiamava Nando Marcis.
La vendetta è un piatto che va servito freddo
sussurrò l’inconfondibile voce di suo padre.
Mise in moto. Finestrini chiusi. Con in sottofondo la calda voce di Eric Clapton che cantava "...she puts on her make up... and brushes her long blonde hair..." tornò verso casa.
Aveva già deciso cosa fare a cena e in frigo lo attendevano circa mezzo chilo di vongole, al momento immerse in una bacinella di acqua dolce, ma che ben presto sarebbero finite in un fondo di olio bollente accompagnate da aglio e prezzemolo tritati, per poi finire a fare compagnia ad un'abbonfante porzione di spaghetti.
Il tutto innaffiato da un buon bianco ghiacciato…
E fanculo alla pancia!
Il mangiare, purtroppo e non per sua scelta, era rimasto il suo unico piacere corporale. L’ultima volta che aveva fatto l’amore risaliva a tanti anni prima. Effettivamente a troppi anni prima. Da quando Maria lo aveva lasciato viveva solo di ricordi.
Di ricordi e di internet…
Maria…
20 giugno 1997.
Non avrebbe mai più dimenticato quella data.
Era una serata afosa e priva di vento. L’umidità si appiccicava alla pelle formando un velo sottile ed impalpabile. Quel giorno, preso da un’improvvisa voglia di uscire dalle righe, aveva deciso di fare una sorpresa alla sua consorte ed era uscito due ore prima dal lavoro. Dopo essere passato nel negozio di fiori di fronte all’ufficio, dove aveva comprato un bellissimo ed alquanto costoso mazzo di rose rosse, era tornato di corsa a casa. Le gambe quasi gli tremavano per l'emozione.
Ricordava ancora lo sguardo della commessa: un misto di complicità e di invidia per la sconosciuta donna che di