L'Enigma di Flamel
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Info su questo ebook
Tra le pieghe del tempo, antiche leggende e misteri moderni si intrecciano in un'avventura che sfida le leggi della realtà. Il romanzo ci porta dalla misteriosa Parigi del XV° secolo alle moderne Livorno, Pisa, Malta e Gerusalemme dove il confine tra realtà e sogno diviene sempre più sottile. Lungo il percorso, l'Amore in tutte le sue forme gioca un ruolo centrale: quello profondo dei genitori per una figlia, quello appassionato tra due amanti e l'amore inestinguibile per il sapere.
L'Enigma di Flamel è un romanzo che si legge su vari livelli: offre una lettura appassionante per chiunque sia interessato a storie avvincenti, ma offre anche livelli più profondi di interpretazione per coloro che hanno una passione per l'esoterismo e spunti di riflessione per chi sia interessato ai fenomeni della fisica quantistica.
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Anteprima del libro
L'Enigma di Flamel - Riccardo Prini
Capitolo 1
Il futuro è scritto nel passato. Solo chi sa leggere nei segreti antichi, può capire cosa ci riserva il futuro.
Parigi, gennaio 1398
Nell'umida penombra della camera, il lume delle candele proiettava ombre danzanti su muri di Pietra nuda. L'aria, impregnata del profumo di cera e di legno vecchio, era fredda. Aguzzando i sensi, Nicolas Flamel, scriba affermato, guardò la sua amata Perenelle, i cui occhi ora erano solo increspature sottili nel volto segnato dalla malattia.
Indossavano entrambi vesti di lana, unico scudo contro il freddo invernale che si insinuava attraverso le fessure della casa a due piani nel cuore di Parigi. Nonostante l'età avanzata, Flamel sembrava vibrare di un'energia sottile, un fuoco interno alimentato da una scoperta straordinaria.
Perenelle,
iniziò, sussurrando nel silenzio della stanza. Sono sul punto di attraversare un confine che nessun uomo ha mai osato oltrepassare.
Fece una pausa, sentendo il peso delle parole. Ho scoperto il segreto della Pietra filosofale... Il segreto della vita eterna.
Il volto di Perenelle rimase impassibile, sebbene una luce di comprensione lampeggiasse nei suoi occhi stanchi. E vorresti...
fece eco, che anch'io...
Nicolas annuì. Potremmo essere insieme, Perenelle. Oltre il confine del tempo, oltre la morsa della morte.
Il silenzio che seguì era denso, rotto solo dal crepitio delle candele. La proposta di Nicolas era pazzesca, eppure, in quel silenzio, appariva possibile. Il tempo sembrava sospendersi, il loro destino bilanciarsi su una lama affilata, in attesa di una decisione.
Sei certo, Nicolas?
chiese infine Perenelle, il suo tono di voce trascendeva l'incertezza, porgendo un'ultima domanda nel buio.
Sì,
rispose Nicolas, il cuore traboccante di speranza e timore. Sono sicuro.
Perenelle guardò fisso il volto di suo marito, il tremolio delle fiamme rifletteva l'incertezza nei suoi occhi marroni. Il cuore le batteva con forza nel petto, un tamburo incessante che echeggiava il ritmo di un viaggio che si prefigurava senza fine.
Flamel, intuendo le sue perplessità, si trattenne dal parlare. Questa decisione, sapeva, non poteva essere influenzata. Doveva venire dal più profondo del cuore di Perenelle.
Infine, Perenelle respirò a fondo, come se cercasse di assorbire tutta la forza dell'aria gelida intorno a loro. Le sue mani, segnate da vene bluastre, si stringevano intorno alla stoffa grezza del suo grembiule.
Dicono che la morte sia il prezzo da pagare per la vita, Nicolas,
disse.
La sua voce era un filo sottile nel freddo silenzio della stanza.
E tu vuoi sottrarci a questa legge universale. Non lo vedo come un dono, bensì come una maledizione.
Flamel annuì, comprendendo le sue parole. È una decisione che non ho preso alla leggera, Perenelle. Ma il pensiero di perderti, di vedere il tempo portarti via da me... non posso sopportarlo.
C'era un'implorazione nei suoi occhi, un desiderio così profondo che per un attimo fece vacillare Perenelle.
Poi, con un sospiro, lei lentamente rispose:
Nicolas, amore mio, non dimenticare che ogni dono ha il suo prezzo.
Capitolo 2
Le prove più dure ci costringono a scoprire la forza che ignoravamo di possedere. Nel cuore della tempesta, l'amore per coloro che ci sono cari diventa il nostro faro, la luce che ci guida verso la riva.
Firenze-Livorno, 15 febbraio 2019
Avevano appena varcato la soglia dell'ospedale pediatrico di Firenze, un edificio moderno che sembrava più un insieme di aule universitarie piuttosto che un nosocomio, e il freddo di quei corridoi austeri li fece rabbrividire. La voce dello specialista echeggiava ancora nelle loro orecchie, parole dure che sapevano di acciaio freddo e bianco. Il tumore, il pericolo, i rischi, l'operazione a Roma, la preparazione. Parole che li avevano riempiti di un angoscioso terrore, come l'immagine di un precipizio che si apre all'improvviso sotto i piedi.
Vittoria si aggrappava al braccio di Marco come se cercasse in lui un sostegno, un faro che la guidasse attraverso la tempesta di emozioni che stava attraversando. I loro occhi erano velati di lacrime incontenibili, e un silenzio pesante si era adagiato tra loro, rotto solo dal ticchettio degli orologi e dal suono lontano delle macchine in funzione.
La realtà della situazione era insopportabile: avrebbero dovuto vendere la tipografia di famiglia, il luogo che aveva visto le generazioni degli Orsini lavorare con passione e dedizione, il cuore pulsante di un'arte antica che Marco amava e rispettava. Ma cosa altro avrebbero potuto fare? La vita di Isabella era in gioco, e non c'era prezzo troppo alto da pagare.
Marco e Vittoria avevano passato anni a immaginare un futuro per la loro piccola, un futuro pieno di risate e felicità, senza preoccupazioni o paure. Ora, quei sogni sembravano lontani, inghiottiti dalla realtà implacabile di un destino inaspettato. Il silenzio tra di loro si prolungava, ma in quel silenzio c'era una grande risoluzione. Avrebbero fatto tutto ciò che era necessario per salvare la loro bambina.
Isabella stava seduta su una delle sedie troppo grandi della sala d'attesa, le gambette troppo corte per toccare il suolo, dondolando nervosamente le scarpe con lacci rosa brillante. Accanto a lei, un'infermiera dal volto gentile cercava di distrarla con un libro illustrato, puntando a trasformare quelle mura sterili in un mondo di immaginazione e meraviglia.
Isabella era un vortice di energia vivace, malgrado le circostanze. I suoi occhi, grandi e pieni di curiosità, si spostavano costantemente, captando ogni dettaglio, ogni movimento. Non capiva perché fosse lì, perché l'avesse portata in un posto così poco invitante, ma la sua mente di sette anni era flessibile, capace di adattarsi e trovare gioia anche nelle situazioni più complesse. Era una ragazzina intelligentissima, con una vivacità di spirito che rischiarava l'ambiente come un raggio di sole.
Le storie dell'infermiera la incantavano, le illustrazioni vivaci catturavano la sua attenzione mentre le sue piccole dita seguivano le parole lette ad alta voce. Le storie di principesse e draghi, di fate e giganti, la trasportavano in mondi lontani, lontana dalla sala d'attesa dell'ospedale.
Isabella si ritrovava catapultata in un universo parallelo, ignara del vero motivo per cui si trovava lì. La morte, l'angoscia, erano concetti astratti e lontani, incomprensibili per una mente così giovane e piena di vita. Isabella viveva nel presente, un mondo fatto di giochi, scoperte e meraviglie. Il futuro, con le sue incognite, i suoi terrori, non era ancora riuscito a insinuarsi nel suo mondo, un mondo di colori brillanti, risate e amore.
Quando Vittoria si voltò verso la sala d'attesa e i suoi occhi incontrarono la figura piccola e vivace di Isabella, il suo cuore sembrò spezzarsi in mille pezzi. Osservava la sua bambina, immersa nel suo mondo di fantasia e innocenza, e un dolore lancinante le serrò il petto. L'amara verità che aveva appena scoperto sembrava tanto in contrasto con l'immagine di sua figlia, una creatura tanto fragile e nello stesso tempo piena di vita.
Le mani di Vittoria si strinsero a pugno nei taschini del suo vestito, un gesto inconsapevole che rivelava la sua lotta interna. Sentiva come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco, l'aria le mancava. La bocca secca, il respiro corto, le gambe tremanti... sembrava impossibile mantenere la compostezza.
Il suo sguardo si perse nei riccioli biondi di Isabella, il modo in cui la luce del pomeriggio giocava con i suoi capelli d'oro, il riso cristallino che le usciva spontaneo mentre l'infermiera le raccontava una storia. Vittoria cercò di inghiottire il nodo alla gola, ma le parole che aveva appena ascoltato risuonavano ancora nelle sue orecchie, come un eco distorto e lontano.
Era come se fosse stata catapultata in un incubo, da cui avrebbe voluto svegliarsi. Eppure, guardando Isabella, il sorriso sul suo volto innocente e la luce nei suoi occhi, capì che non poteva permettersi il lusso del panico o della disperazione. Doveva essere forte, per sua figlia. L'amore per Isabella, quel legame profondo e indissolubile che solo una madre può comprendere, le diede la forza di respirare, di combattere il panico che cercava di sopraffarla.
E, mentre si avvicinava alla sua piccola, sentì un'energia nuova scorrerle nelle vene. Era paura, certo, ma era anche determinazione. Una determinazione feroce di fare tutto ciò che era necessario per proteggere la sua bambina. Isabella era il suo mondo, e Vittoria era pronta a combattere con ogni fibra del suo essere per garantire a sua figlia un futuro.
Mentre Marco rincasava nella sua abitazione a Livorno, assieme alla sua famiglia, la stanchezza prese il sopravvento. Si affacciò alla finestra, guardando la città addormentarsi sotto il manto stellato, i suoi pensieri erano un vortice di paura, speranza e determinazione. La giornata era stata una maledetta montagna russa emotiva e aveva lasciato il suo marchio.
Accanto al suo letto, Marco notò un libro aperto che aveva iniziato a leggere qualche giorno prima. Il Sogno di Polifilo
, un'opera di Francesco Colonna, un affascinante labirinto di simbolismo e mistero.
La lettura di quell'opera era sempre stata un'esperienza strana per lui. La trama, una serie di sogni vividi e allucinatori, aveva una qualità quasi ipnotica. Marco si ritrovava a pensare ai sogni del protagonista anche durante il giorno, come se avesse vissuto le sue esperienze.
Ma stasera, a Marco non interessava nulla di tutto ciò. Troppo esausto persino per rimuovere il libro, si abbandonò sul letto, gli occhi chiusi e le mani ancora strette sulle lenzuola. Mentre la stanchezza lo trascinava nel sonno, un pensiero gli attraversò la mente, un pensiero che avrebbe dovuto trovarlo preoccupante, ma che non fece altro che farlo sorridere.
E se tutto ciò fosse un sogno? E se mi risvegliassi domani per scoprire che tutto ciò non era mai accaduto?
Capitolo 3
La conoscenza è la chiave del potere. Chi detiene la conoscenza, detiene il potere.
Francis Bacon.
Livorno, un giorno di aprile 2019
Il peso della malinconia schiacciava Marco Orsini, inondandolo di tristezza per la imminente vendita della tipografia di famiglia, un luogo che risuonava dei suoi ricordi più cari. Aveva trascorso lì le ore più spensierate della sua infanzia, nel caldo abbraccio del nonno che, con la pazienza e la devozione che i genitori, incatenati ai loro impegni professionali, non riuscivano a regalargli, gli aveva svelato i segreti del mestiere tipografico.
Con la malattia di Isabella, la decisione amara ma inevitabile di chiudere l'attività e disfarsi dei locali si era imposta come un destino ineluttabile.
Sostenere economicamente l'eredità familiare si era rivelato un peso troppo grande da portare. Ora, la tipografia sembrava un guscio vuoto, con i macchinari, una volta rumorosi e vivi, già quasi tutti svenduti o ridotti a rottami. D'altronde Marco aveva intrapreso già da tempo la sua attività professionale come docente universitario, che conduceva parallelamente a quella di imprenditore tipografico.
In quei giorni, Marco si ritrovava spesso a ricordare come era una volta la tipografia, un gioiello di storia e tradizione, nascosto tra le anguste viuzze acciottolate del quartiere Venezia di Livorno. L'edificio seicentesco, ancora solido e possente, si ergeva come un muto monolito, testimonianza di generazioni di mestiere e di creatività.
All'interno, l'aroma dell'inchiostro e della carta impregnava l'aria, saturandola di profumi di un tempo. Lunghe file di antiche macchine da stampa, lustrate e mantenute in perfetta efficienza, presidiavano il pavimento in legno che gemeva sotto ogni passo. Le pareti erano adornate da scaffali colmi di caratteri in piombo ordinati, ognuno dei quali portatore di una storia unica da narrare. Ogni angolo della stanza sembrava tessere un racconto, dall'antico torchio manuale, testimone dei primi giorni della tipografia, alle pile di libri rilegati a mano, esibizione dell'arte raffinata del mestiere.
Un'ampia scrivania di legno massiccio occupava un angolo della stanza, sovraccarica di schizzi, utensili da disegno e montagne di carta. Qui, Marco aveva trascorso innumerevoli ore, concependo e creando, dando vita alle parole sulla carta sotto la supervisione del nonno.
Anche se la tipografia era adesso chiusa, l'essenza del luogo era ancora tangibile. C'era un senso di quiete e di riflessione, ma anche di potenziale inatteso. Come se le macchine fossero semplicemente in pausa, in attesa di essere riaccese, pronte a generare nuovamente.
Tuttavia, aleggiava anche un velo di malinconia. Fotografie in bianco e nero adornavano le pareti, raffigurando generazioni di Orsini al lavoro, evocando in Marco i giorni più gioiosi della sua esistenza. I teli antipolvere drappeggiati sulle macchine sembravano simboli di un'era conclusa, un duro colpo per lui, che