Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le dodici porte: L'erede
Le dodici porte: L'erede
Le dodici porte: L'erede
E-book343 pagine4 ore

Le dodici porte: L'erede

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Dopo un lungo ed estenuante viaggio, Aley approda nella meravigliosa terra di Drepanum alla ricerca del Maestro che la inizierà allo studio dell’occulto. È proprio Naria di Akis, Sommo Arcano della scuola di magia, a prendere sotto ala la giovane apprendista. Il grande Conclave è alle porte, così, l’Arcana guida, seguita dai fedelissimi compagni, giunge in terra di Misericordia per allearsi con i capi delle tre scuole rimanenti al fine di sconfiggere il quinto potere; una nuova scuola formata da seguaci della Dea Ghora, il cui scopo è di far risorgere l’antico sovrano attraverso il sacrificio dell’erede. Gravi perdite peseranno sull’equilibrio del mondo, un’importante colonna sarà distrutta, e una profonda e sepolta verità sarà svelata: Naria è l’erede. Scoperta l’identità, la quinta mette in atto il folle piano. La speranza di salvare Naria divamperà come fuoco anche quando tutto sembrerà perduto. Numerose saranno le vittime, fra queste, Aley.
Disperazione e una sola domanda: sopravvivrà?
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2018
ISBN9788827580226
Le dodici porte: L'erede

Leggi altro di Veronica Pellegrino

Correlato a Le dodici porte

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le dodici porte

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le dodici porte - Veronica Pellegrino

    Prefazione

    Ho sempre sostenuto che scrivere un romanzo è un dono elargito dalle muse che coniugano perfettamente sintassi, stile, ma soprattutto ricerca per la comunicazione con il lettore. Ed è l’ultimo punto che oggi scarseggia in tanti romanzi, specie in un fantasy. Perché il fantastico, la trama scaturita dal fervido fango dell’immaginazione, si serve e si abbevera nel numinoso mondo degli archetipi. Ogni autore, degno di portare questo nome, deve poter avere la magica e strabiliante capacità di immergere le mani in questo calderone, trovarne elementi consoni alla sua unica personalità e iniziare con metodicità e passione a intessere arazzi complessi e al tempo stesso di una bellezza folgorante che si presenti immediata al lettore.

    Veronica Pellegrino, con la sua innata classe e lo stile elegante, ricco e mai ridondante, è una degna erede di quest’arte chiamata scrittura. Ella è in grado di fornire ogni suo testo di un contesto ricco e caleidoscopico in cui si abbracciano tutti gli elementi che un libro Deve poter elargire al pubblico.

    Nel secondo libro de le dodici porte, ogni elemento si incastra uno con l’altro in una perfetta armonia dando all’opera una struttura a più livelli, un baule a doppio fondo

    come la chiamerebbe il simpatico Humpty Dumpty, di Alice nel paese delle meraviglie.

    Cosa significa?

    Veronica riesce a far convivere, anzi direi, a far cooperare, l’avventura del fantasy con la profondità psicologia dei romanzi di formazione e con la perfezione dell’archetipo che si offre al volenteroso lettore affamato di significati simboli. Ci si possono trovare battaglie, eroi senza tempo, prodigi magici ma anche una complessità dei personaggi che non sono mai davvero come appaiono e che nelle loro reali azioni, se si ha la pazienza di sollevare il velo dell’apparenza, si ritrovano le ossessioni umane, i limiti, il terrore, la codardia, ma anche il senso dell’onore e la volontà di bellezza che rende la nostra stirpe umana degna di dominare questa affranta terra.

    E ancora.

    Il racconto della parabola dell’uomo che cede alla brama di potere, che usa quei talenti non per seminare ma per dominare, la necessità della cooperazione scevra da pregiudizi, la capacità di sacrificare la propria sicurezza per il famigerato bene comune, la scoperta incredibile e rivelatoria che

    a volte bisogna pensare a qualcosa di più della propria salvezza. A volte bisogna pensare al bene superiore.

    J.K.Rowling

    Mai, come oggi, questa massima, che riecheggia in ogni parte del testo della nostra Veronica, si rivela fondamentale, cosi come è importante che il lettore gioisca, soffra, affronti la perdita e la guerra solo nell’ottica di un valore etico che travalica il mero interesse personale.

    C’è spazio per l’insegnamento della compassione, per il ristabilimento del legame tra l’umano e il mondo numinoso lacerato e ucciso dalla volontà di possesso dell’angheria esemplificato nello spettacolare capitolo che vede protagonista Aley e il drago, simbolo eterno della sapienza arcana circa i segreti del legame profondo con la terra, oggi così negata all’uomo. Ed è qua che Veronica compie un ulteriore passo verso la consacrazione come emergente talento del campo del genere accanto a mostri sacri come Terry Brooks, Holly Black, Philip Pullman e Marion Zimmer Bradley ossia l’uso del simbolismo. Dietro al pregiato fantasy, ci cela una maestosa costruzione etnologica che rasenta la perfezione del saggio e che celebra con una delicatezza testi come la Pistis Sophia e i grandi saggi gnostici. Dietro le storie che colorano di antichità e di eterno il contesto del libro, si manifesta una mitologia reale, scritta in modo comprensibile eppure mai scontato. Il racconto del dualismo tra la divinità materiale e quella spirituale non fa altro che spiegare il moto perpetuo della creazione ponendo in rilievo come sia la dinamicità degli

    eventi, come sia l’azione propulsoria dell’attrito tra differenze e contrasti, la vera spinta all’evoluzione in totale e netto contrasto con l’apatia della stasi. Senza l’altro, senza il contrario, senza quella spunta, tutto rischia di marcire, di fermarsi, di essere semplicemente il nulla. La vita nasce dal pensiero creativo che dà forma e struttura al caos, si mantiene grazie all’attrito causato dallo scontro degli opposti e si evolve tramite la loro corsa eterna che li spinge a superare i limiti imposti da loro stessi. Bene e male, Ghora e Syrio, portano avanti il cambiamento, mettono alla prova l’essere umano tirando fuori da esso il meglio, lo spingono a reagire al dolore e all’orrore cercando di superarlo con gesti di una bellezza sconcertante. E si avverte l’amore di una ragazza semplice, ma complessa, per questa straordinaria avventura chiamata vita che brilla tra le pagine di un libro che non è solo racconto, è uno scrigno che racchiude la nostra stessa tradizione, riscoperta, curata e spolverata con meticolosità e passione, immessa con grazia sorprendete tra queste pagine, affinché la loro luce possa rifulgere sul volto assorto del lettore.

    Troverete in questo testo ogni vostra domanda, ogni vostra speranza e un pizzico di quell’anima che questa nostra distratta società tenta, giorno per giorno, di rubarci.

    Micheli Alessandra

    I

    La torre di magia

    Le coste di Drepanum erano sempre più vicine e le mura della città si ergevano maestose.

    L’imbarcazione, che ospitava il sovrano d’Egitto e il suo povero equipaggio, aveva da poco superato la muraglia di frangiflutti che separava il grande mare dal porto di Drepanum. Sulla sinistra, il Castello di mare famoso per la torre ottagonale rappresentava una vera e propria fortezza sull'acqua, posto su una piccola isola all'ingresso del golfo affascinava i frequentatori della baia. Il Sole illuminava la volta celeste, il mare era limpido come mai visto prima.

    «Non posso ancora credere che, dopo tutte le intemperie, rivedremo i nostri vecchi amici!» Cassandra, con la speranza nel cuore, godeva della leggera brezza che il vento spirava. I neri capelli danzavano illuminati dai raggi solari che li facevano risplendere di blu riflessi.

    Mentre Maady si preparava ad attraccare, Nahil scendeva sottocoperta per raccogliere la sua roba, ma quando fu pronto a tornare sul ponte principale, sentì delle voci provenire dalla stanza del Faraone. I due Generali erano stati invitati a presenziare a un’importante riunione privata indetta dal sovrano prima dell’imminente sbarco, e nonostante Nahil provasse una voglia matta di fermarsi a origliare la conversazione dei tre illustri, desistette dal farlo.

    ― Se lo facessi, mi ucciderebbe…credo ―il giovane rabbrividì immaginando una delle terrificanti punizioni che il Generale Vladimir avrebbe potuto impartirgli se lo avesse sorpreso a spiarli. Scosse il capo, come per destarsi da quell’orribile pensiero, e con mala voglia tornò a compiere il lavoro che lo attendeva.

    Nel frattempo, in quella stanza, si discuteva una questione di elevata importanza e si respirava un’aria a dir poco burrascosa.

    «Tu è stupido! Nessun duovrà sapere».

    I toni si facevano sempre più accesi a causa di uno scontro di pensieri discordanti tra i due Generali.

    Sbuffò «ti preoccupi troppo, calmati. Ringrazia che non sprecherei un incantesimo per...».

    Prima di ultimare la minaccia, Muahddib fu interrotto dal sovrano. Iske sospirava spazientito, non amava la confusione che i due erano soliti creare .

    «Generale Kalin, il vostro disappunto è riguardoso, ma vorrei ascoltare anche il pensiero di Dib senza che quest’ultimo sia continuamente interrotto».

    Il giovane si schiarì la voce, compiaciuto dal breve e sempre garbato rimprovero che Iske aveva rivolto a Castigo. Godeva sempre un po' nel vederlo irritarsi e al contempo tacere per rispetto della gerarchia.

    «Nen ed Eglos dovranno essere informati di tutto. Dir loro la verità è la decisione più saggia da prendere».

    «È superfluo. Rivelare origini nuon cambierà oscura minaccia che incombe in Egitto» insistette Vladimir prendendo nuovamente parola senza esser stato interpellato. Ciò che più gli premeva era l’incolumità del Faraone e della nobile consorte, incolumità che sarebbe stata messa a rischio se Nen ed Eglos non avessero reagito come Iske e Muahddib si aspettavano che facessero.

    Solo un attimo di silenzio.

    « Dib ha ragione, celare il mio vergognoso legame sarebbe uno sgarbo nei confronti dei miei più cari amici e alleati, un errore che non commetterò ».

    Dalle parole di Iske trapelava la massima fiducia riposta nei due maghi .

    « Certo della loro amicizia, decideranno di aiutarci ». Nonostante sapesse che quella era la decisione migliore da prendere, il Faraone si sentiva teso come una corda d'arpa. Il legame di sangue che condivideva con quegli esseri, per metà umani e metà divini, lo disgustava. Avrebbe voluto rinnegarlo, ma non poteva, e in cuor suo sapeva che il padre non aveva colpa. L'amore provato verso quella donna maledetta, innocente ma al tempo stesso colpevole, non poteva essere considerato peccato del padre, ingannato da una taciuta realtà. Onore a colui che ebbe il coraggio di accettare come figli creature che il mondo stesso avrebbe ripudiato, onore alla figura di padre e madre che lottano per essi.

    «Taria e Khargon saranno ottime risorse in terra d'Egitto…se ancora in vita» Muahddib interruppe inesorabilmente i pensieri di Iske, riportandolo alla realtà.

    «Ho già subito la perdita dei miei genitori, non vorrei aver perso anche lei» un nodo in gola strozzò le ultime parole, forse per aver desiderato una più fortunata sorte per la sorella che per il fratellastro. Seppur provasse sentimenti meno contrastanti nei confronti di Khargon rispetto a quelli provati per Darchonir, il pensiero di Iske era volto esclusivamente alla gemella, Taria, sangue del suo sangue, che da sempre aveva scelto una vita di sacrifici, incorniciata da addestramenti duri e severi. Doveva sentirsi in colpa per quel pensiero?

    La riunione proseguì indisturbata.

    Nahil era salito a babordo per aiutare Maady con le cime. Non fremeva per rendersi utile ma doveva farlo. Proprio in quel momento, una voce sottile, stanca, spossata, proveniente da coperta, attirò l'attenzione di Aley.

    «Mi’ nonno diceva: mejo er culo per tera che a capoccia ‘n mare [1] ».

    Aley si limitò a osservare con curiosità il secco miliziano. Durante tutto il viaggio non aveva avuto l'onore di conoscere quell'uomo, Sisto Augusto, rimasto sempre chiuso all'interno della sua cabina a causa del continuo mal di mare. Sisto era un giovane molto magro e alto, più di tutti gli altri uomini presenti sulla nave, e aveva uno strano e mai sentito dialetto. Gli occhi erano castani con sfumature ramate, non molto grandi, portava un crespo pizzetto a punta che sporgeva dal mento in giù ma era già calvo nonostante fosse coetaneo del Generale Muahddib.

    «Maady e Nahil hanno già ammainato le vele e stanno tirando giù le cime, potreste raggiungerli se desiderate essergli d'aiuto».

    «Attaccate ar manico de la panza [2] » portò le mani alla nuca, poi si sgranchì schiena e gambe.

    La giovane non sapeva come interpretare quella frase.

    La panza?

    Aveva fame?

    Ma il gesto di portar le mani alla nuca le fece intuire che Sisto non aveva intenzione di muovere un solo dito in aiuto dei compagni. Storse il naso, crebbe di avere di fronte uno scansa fatiche. A primo impatto, Sisto non le fece una bella impressione, anzi, quell'atteggiamento l'aveva alquanto infastidita, ferma nella convinzione che nessuno è lo schiavo di nessuno «se ancora non vi fosse chiaro, qui ci si aiuta a vicenda». Aley non amava avere peli sulla lingua ma sembrava che quelle parole fossero volate via col vento.

    «A chi tocca ‘n se ‘ngrugna [3] ».

    Aley sbuffò, non riusciva a capire quella strana lingua, ma una cosa le era chiara: Sisto era l’esatto opposto di Maady, un tutto fare che più volte si era trovato a salvar la vita al Faraone e all'equipaggio tutto. Lo ammirava, e sapeva che aveva molto da apprendere da lui.

    «Una parola, Augusto».

    Né Aley, né Sisto si erano accorti della presenza della regina che, dopo aver ascoltato il dialogo tra il miliziano e la fanciulla, si era avvicinata con un portamento sempre elegante e raffinato, la voce pacata e ferma anche quando, velatamente, impartiva ordini «sarà difficile per voi far a meno dell’uso del vostro dialetto, ma vi esorto a provarci».

    Visibilmente imbarazzato e spiacente, Sisto si scusò con Cassandra per i termini usati, non aveva intenzione di contraddirla.

    «Sono certa che sarai felice di aiutare Maady e Nahil, dico bene, Sisto?»

    Il miliziano annuì, fece un inchino e si diresse verso i compagni per dar loro man forte.

    Cassandra sorrise ad Aley che la guardava con ammirazione «la forza di uno è la forza di tutti, e la forza di tutti è la forza di uno».

    Quanta saggezza emanava quella minuta donna, sposa e madre, quanta eleganza nei modi di agire, di muoversi, di camminare, quanta bellezza trapelava dagli occhi color del cielo, quegli stessi occhi che s’illuminarono alla vista del consorte. I tre uomini, che prima si trovavano in riunione, avevano da poco raggiunto gli altri sul ponte.

    «Iske, mio adorato» Cassandra andò incontro all'amato che la baciò sulle morbide labbra. Ogni bacio era una gioia per il cuore della sovrana che, con Iske al suo fianco, dimenticava tutto ciò che avevano dovuto affrontare fino a quel momento. Il piccolo Dib le mancava da morire ma sapeva che lo aveva lasciato in ottime mani.

    «Appena sbarcati in costa drepanica prenderemo dei carri alla volta della Torre Arcana. Ivi giunti…racconterò a Nen ed Eglos tutta la verità».

    Cassandra avvertì chiaramente il turbamento provato dal consorte. Conosceva il motivo del malessere poiché ne avevano parlato a lungo durante le notti trascorse in cabina prima che il sonno li abbracciasse per condurli nel regno dei sogni

    «Mio Faraone, siamo pronti a sbarcare» Maady aveva ancorato la nave e ultimato le manovre per affiancarsi alla banchina.

    Un solo cenno di assenso e un profondo respiro.

    Una passerella di legno fu accostata alla nave. Una volta a terra, Iske pagò un uomo che si trovava lì ad aspettarlo, come se sapesse del suo arrivo.

    «Abbiamo viaggiato a lungo e affrontato una brutta tempesta, so che come sempre farai un ottimo lavoro, Mastro Giuseppe».

    «Cìetto, signure meo, o' solitu [4] ».

    L'uomo non era alto ma abbastanza robusto, un po’ curvo, il viso era coperto da una folta barba dello stesso colore dei capelli ormai ingrigiti. Indossava abiti di scarsa fattura, sporchi e maleodoranti, le mani erano luride e le unghie nere, i denti erano giallastri e alcuni mancanti. Sembrava un brav’uomo, un gran lavoratore e di sicuro non era la prima volta che esercitava la propria arte al servizio del Sole d’Egitto.

    Come era solito fare, Iske si raccomandò col Mastro, consigliato dal fedelissimo Maady che tentava di capire il bizzarro dialetto dell’uomo, infine, si congedarono.

    «Un'ultima cosa…».

    L’uomo aveva già preso i ferri del mestiere per mettersi immediatamente a lavoro, una qualità che il Faraone apprezzava, questo il motivo per cui pagava bene i servigi del drepanico.

    «Sapresti indicarmi qualcuno che possa condurmi ad Alta Drepanum ?»

    «Eh cìetto, putiti addumannari a Mastro Camillo, anche se, sa chi sinni fici ri chissu [5] ».

    «Dove posso trovarlo?» Iske sollevò un sopracciglio, capiva bene il dialetto drepanico ma, alle volte, Mastro Giuseppe somigliava più a un oracolo che a un essere umano.

    «Nfunno a strata [6] ».

    «Grazie, Mastro Giuseppe, le auguro una buona giornata e buon lavoro».

    «Prego, signuri meo, altrettanto a vossia [7] ».

    Il porto era molto grande, e si trovava sul lato meridionale della città. Esso rappresentava la culla commerciale dell'intero paese, famoso per la bontà del pesce venduto, del sale raccolto nelle saline che si trovavano fuori le mura drepaniche in una zona paludosa, e delle stoffe pregiate che si potevano acquistare.

    «Vinite, vinite! Pisci frische haiu jo! [8] ».

    «Sali, sali di li saline! [9] ».

    «Purpa e rizza, purpa e rizza sulu piscati! [10] ».

    Aley osservava con curiosità quegli uomini trasandati, sporchi ma pieni d'energia, cercava di assaporare gli odori speziati che cambiavano a ogni passo, memorizzava tutto ciò che la circondava: a putia, la locanda di Maria, la puttaniera.

    «Cos'è la puttaniera?» Aveva pensato ad alta voce.

    «Un'osteria d'infimo ordine, Aley, non la raccomanderei a giovani e belle donne…» Muahddib la guardò con aria ammiccante.

    Era un complimento?

    Aley se ne stupì.

    «Spesso è frequentata da uomini di basso rango, da goliardici, da malfattori, per la presenza di donnine dai facili costumi che vendono il proprio corpo in cambio di denaro».

    Muahddib sembrava conoscere bene quella bettola e Aley avrebbe voluto domandargli come facesse a sapere quelle cose, ma preferì tacere, considerandolo un argomento poco adatto a una signorina.

    Camminarono con non pochi occhi puntati addosso, occhi curiosi, invidiosi, avidi, che misero in allerta i due Generali. Gli abiti che indossavano i due consorti Reali, diversi, di fattura pregiata e superiore a quella dei paesani lì presenti, evidenziavano la provenienza straniera e uno status di grande ricchezza. Costeggiarono le mura guardandosi bene le spalle da eventuali tentativi di furto, fino a quando la compagnia raggiunse una bottega fornita di una grande stalla adiacente a essa.

    «Cavaleri, vulite accattari? [11] »

    «Cerco Mastro Camillo» Muahddib era diffidente, rigido, sempre in allerta.

    «Jo sugnu [12] » l'anziano uomo dalla lunga barba bianca, curvo a causa di una pesante gobba, vestiva abiti fatti di stracci e un bastone di legno lo aiutava a stare in piedi.

    «Mastro Giuseppe ci ha raccomandato i vostri servigi. Abbiamo bisogno di due carri» accertato dell'identità dell'uomo, Muhaddib si avvicinò a lui facendo segno ai compagni di raggiungerlo.

    Il vecchio fece una smorfia e borbottò qualcosa inveendo contro il Mastro compaesano «vinite, vinite cu mia» a passo molto lento, entrarono nella stalla «chisti su l'ultimi ch'arristaru [13] ».

    All'interno della grande stalla vi erano due carri mal ridotti. Le cabine che li avrebbero dovuti ospitare erano strette e sudice come se qualcuno avesse commesso atti impuri all'interno, le ruote sembravano mal fissate, e i cavalli che avrebbero dovuto trainare i due carri davano l'impressione di essere non più vigorosi come un tempo.

    «Qual è il prezzo per Alta Drepanum?» Muahddib non si perse d'animo, in fondo Mastro Camillo era l'unico che poteva aiutarli, avrebbero dovuto accontentarsi.

    «Eh, signure, custa almìeno deci argenti [14] ».

    «Una moneta d'oro, in parole povere» il Generale non si scompose.

    «Un oro, deci argenti, a stìessa cuosa sunnu [15] ».

    «Se ‘nvece der vitello te danno er mulo, tu magna, statte zitto e vaff [16] …» non riuscì a trattenersi di fronte a tanta insolenza.

    «Sisto, per cortesia, sono presenti delle signore» indicò Aley e Cassandra. Muahddib, grande amico d’avventura, lo riprese, facendogli notare che non si trovavano in uno dei bordelli che erano soliti frequentare nella città di Ramonn, poi continuò «scommetto che questo è il prezzo di un solo carro» voleva vedere sin dove l'uomo si sarebbe spinto.

    «Cìetto, cìetto [17] ».

    Muahddib sorrise esterrefatto, non riusciva a credere a tanta villania.

    «Non pagherei più di quattro argenti per questi putridi carri e questi vecchi cavalli» s'intromise Maady.

    «Site anticchia tiratu ri manica, caro signure. Cu sti picciule c’ha pagari u sforzu, u viaggiu, e l’autru cumpare. Vi parino assae? [18] ».

    I pochi denti che gli erano rimasti erano marci, e i capelli dovevano essergli caduti già da qualche tempo. Lo stato in cui era ridotto lasciava intuire che non possedeva molto denaro e che viveva nella povertà.

    «Non capisco…questa lingua è quasi del tutto incomprensibile» Maady cercava di sforzarsi e in quel momento persino Sisto gli sembrava più chiaro.

    «Intende dire che sei tirchio» Dib non si lasciò sfuggire l'occasione di rivelargli ciò che l'anziano aveva detto.

    «Tirchio io?» si era davvero risentito «io sono nel giusto, e riconosco quando qualcuno vuole fare il furbo. Questa è una truffa bella e buona».

    «Invece lo stai dimostrando, caro Pellis» Muahddib sogghignò ironicamente «suvvia, è un pover'uomo, pretende forse tanto?» Il giovane Generale uscì una sola moneta d'oro dalla scarsella e la pose sul palmo della mano di Mastro Camillo, richiudendolo con un gesto quasi impercettibile.

    «Ma…jo, veramente, haju rittu du monete [19] » un sussurro quasi arrendevole, interrotto dal Generale che adesso si trovava quasi fronte a fronte con l’uomo.

    «Questo è per lei, credo che l'affare sia concluso, dico bene?»

    Muahddib non gli lasciò altra scelta che accettare e l'anziano capì che non poteva chiedere più di quanto l'era stato dato.

    «Oh, ginirusu site, miu signuri [20] » tossì e del moccolo uscì dalle narici che si affrettò a pulire con la manica della lurida casacca che indossava, facendo arretrare con aria disgustata il giovane Generale «v'arringrazio! Vi offro 'na bedda uppa caura ri pisci frisco [21] ?».

    Dib rifiutò senza scomporsi «svolgete il lavoro per cui vi ho pagato» così dicendo, si allontanò accompagnato da Maady e Sisto per permettere all'uomo di chiamare il garzone che lo aiutava con gli affari.

    «Secondo il mio modesto parere, avete pagato troppo, mio Generale» Maady era ancora risentito per l'offesa subita .

    «Il giusto, mio caro tirchio» rise nell'enfatizzare quel nomignolo.

    Dib era stato davvero generoso con quell’uomo, forse c’era anche del buono in lui.

    «Cosa?»

    «Da oggi ti chiamerò Tirchio» non riusciva a smettere di ridere.

    Maady la prese sul personale poiché non reputava quell'appellativo adatto a lui, ma si arrese, non amava discutere a lungo di frivolezze.

    Quando tutto fu pronto per iniziare il viaggio che li avrebbe portati in cima al monte di Drepanum, il garzone domandò quale fosse la destinazione. Muahddib si stupì di quel quesito. Perché Mastro Camillo aveva celato il luogo in cui erano diretti?

    «Erix» Iske fu imperativo.

    «Soccu? Siti foddi? Jo nun vegnu! [22] » Il garzone sembrava aver dato inspiegabilmente di matto «ci tegnu a la mea vita! Nun pozzu vìriri dri ciarlatani cu li ruobbe ri babbi! Jo nun mi movo ri cca! [23] »

    Sembrava spaventato da qualcosa, da qualcuno, ecco perché Mastro Camillo non lo aveva informato in merito alla destinazione.

    «A Roscio, s’è fatta na certa [24] ».

    Stanco delle inutili lamentele e dei vani sforzi di convincimento da parte del Mastro, Muahddib si avvicinò al ragazzo paffuto, dai capelli color del rame, arruffati e sporchi di stalla. In men che non si dica, il garzone si ritrovò con un coltello ben affilato puntato alla gola sotto lo sguardo compiaciuto di Vladimir che adorava l’uso delle maniere forti. In quel momento, Aley ricordò quando Muahddib, sotto il falso nome di Dhaki, aveva incenerito il ladruncolo che aveva tentato di derubarla quel lontano giorno presso un’oasi fuori città. Poteva essere spietato quanto il Generale Kalin anche se, a volte, non sembrava essere della stessa pasta di quest’ultimo.

    «Basta scherzare. Se davvero tieni alla tua miserabile vita, fai ciò per cui sei stato pagato».

    Muahddib non lasciò altra scelta al giovane garzone che, ancora tremante, invitò tutti a salire a bordo dei carri.

    Così fecero.

    Aley, Maady, Nahil e il Generale Vladimir salirono sul primo guidato da Mastro Camillo; Muahddib, Iske, Cassandra e Sisto sul secondo guidato dal garzone.

    «Alta Drepanum o Erix, quale la nostra destinazione, mio Generale?»

    «Tua domanda è stupida».

    Il ragazzino non riusciva a capire.

    «È stesso puosto, sciuocco».

    Nahil non fece caso a quelle parole e fece spallucce, era abituato agli insulti da parte del Generale Vladimir. Da quando si era arruolato, l'uomo non aveva fatto altro che inveire contro il povero ragazzo, sempre più convinto dell'antipatia provata nei suoi confronti.

    Nessuno dei quattro proferì più parola per lungo tempo.

    Maady aveva cominciato a sgranocchiare un tozzo di pane recuperato dalla cucina della nave, Nahil si era addormentato, il Generale Kalin aveva da poco chiuso gli occhi in meditazione, e Aley guardava fuori dalla finestrella del carro per ammirare il panorama.

    La piccola cittadina di Drepanum si trovava nella parte occidentale dell'isola di Treon. Il nome derivava dalla sua tipica forma di falce, sorgeva sul mare che la circondava d’ogni lato, chiamata anche città dei due mari per l'incontro del mar mediterraneo e il mar tirreno. Via terra, vi si poteva accedere solo attraversando un ponte a levante, la città era circondata da alte mura che la difendevano dagli invasori e dagli attacchi dei pirati. Drepanum era una terra prospera, grazie alla ricca presenza di mercanti e pescivendoli che contribuivano a rendere fertile il mercato utilizzando lo scambio marittimo attraverso il quale commercializzavano le proprie merci. Le case erano in legno e pietra, l'una vicina all'altra, legate tra loro a creare delle strade molto strette per non permettere al vento, tipico della città, di penetrare in tutta la sua potenza. Molte le botteghe di arti e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1