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Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado: CONCORSO A CATTEDRA
Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado: CONCORSO A CATTEDRA
Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado: CONCORSO A CATTEDRA
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Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado: CONCORSO A CATTEDRA

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Info su questo ebook

Il Manuale Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado risponde alle esigenze della scuola autonoma italiana, che, ancorata a una sussidiarietà verticale, riceve input dallo Stato (ordinamenti e Indicazioni nazionali), il quale, a scalare, è soggetto alle direttive dell’Unione europea e quest’ultima viene orientata, a livello globale, dai rapporti dell’OCSE-PISA. Esso è diretto a chi, aspirante alla funzione docente, vuole prepararsi alle prove del concorso. Il Manuale costituisce, perciò, un indispensabile strumento di preparazione alle prove relative alla scuola secondaria di secondo grado. Le Indicazioni contenute nelle Avvertenze generali allegate al programma costituiscono parte integrante dei contenuti d’esame.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2023
ISBN9791222470702
Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado: CONCORSO A CATTEDRA

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    Anteprima del libro

    Avvertenze generali al concorso a cattedra nella scuola secondaria di secondo grado - Pietro Boccia

    Parte Prima

    Ordinamento dello Stato, cittadinanza attiva e organizzazione del MIUR

    Capitolo 1

    La Costituzione italiana e l’ordinamento dello Stato

    1.1 Introduzione

    La struttura e l’ordinamento dello Stato italiano si fondano sulla Costituzione repubblicana, approvata, nel dicembre del 1947, ed entrata in vigore l’anno successivo. Essa è l’esito di un processo che ha influenzato la cultura e la maggior parte dei territori nell’Europa dell’Ottocento. La nazione italiana, al contrario di altre, non ha, in Europa, conosciuto le monarchie assolute, ma forme di città-stato che hanno, in qualche modo, esteso il proprio dominio su altri territori. Sul territorio italiano, prima dell’unificazione, erano presenti Stati poco influenti nell’ambito europeo. Il processo storico dell’Italia ha, nel suo complesso, interessato lo Stato liberale con lo Statuto Albertino e lo Stato democratico con la Costituzione Italiana. Il ruolo dello Stato, come apparato, prende il nome di Pubblica amministrazione. Lo Stato, infatti, fornisce alla collettività una serie di servizi, vale a dire:

    • la giustizia con l’impiego della Magistratura;

    • la sicurezza interna con le forze di polizia;

    • la difesa del territorio con l’esercito;

    • la costruzione di strade e di vie di comunicazione;

    • l’istruzione e la sanità.

    È necessario, perciò, impiegare dei soggetti che giuridicamente rappresentano la Pubblica amministrazione. Non tutti i soggetti che operano per lo Stato svolgono la stessa funzione. Alcuni legiferano e prendono decisioni, come l’organo politico (Parlamento, Governo e Autonomie Locali); altri devono, invece, eseguire istruzioni od ordini e rappresentano l’organo burocratico (militari, impiegati, poliziotti, vigili urbani e così via). Ambedue gli apparati (politico e burocratico) esercitano, anche se in maniera diversa, la sovranità sulla collettività. La sovranità indica che lo Stato assume il potere a titolo originario, è indipendente dagli altri Stati e ha il monopolio della forza nei confronti dei cittadini.

    Il potere a titolo originario significa che lo Stato lo acquisisce in maniera automatica, senza che qualcuno glielo abbia fatto assumere o glielo abbia conferito. Ogni Stato è, poi, indipendente dalle interferenze e invasioni degli altri Stati. Per quanto concerne il monopolio della forza, significa che lo Stato, attraverso interventi coercitivi, può limitare anche la libertà individuale. Ogni Stato è, inoltre, costituito di territorio e di cittadini. Il primo rappresenta il suolo, il sottosuolo e il soprasuolo. Esso delimita i confini entro cui vige un ordinamento giuridico. La cittadinanza è, invece, un insieme di persone, che giuridicamente opera all’interno di uno Stato. A tal proposito bisogna porre una differenza tra i termini popolo, popolazione e nazione. Il popolo rappresenta i soggetti che si riconoscono in un particolare ordinamento giuridico. La popolazione è l’insieme delle persone che, in un determinato momento, risiede sul territorio di un Paese. La nazione è, infine, il complesso di abitanti di un territorio, legati da un patrimonio culturale comune. All’interno di ogni società moderna non c’è solo un ordinamento giuridico, ma una pluralità di ordinamenti (sportivo, religioso, scolastico, familiare e così via). Il diritto ha, in generale, due significati, in altre parole, da un lato, normalizza e regola i rapporti tra un soggetto e una cosa, dall’altro, è un complesso di norme che disciplina la vita sociale di una collettività. Esso vive, dunque, all’interno di un ordinamento giuridico e si esplicita in due teorie: normativa (ubi ius, ubi societas) e istituzionale (ubi societas, ubi ius). Le norme regolano comportamenti diversi e spesso antitetici, in altre parole producono consenso ad agire, divieto ad agire e obbligo ad agire. Esse possono classificarsi in norme familiari, quelle imposte e condivise all’interno delle famiglie; sociali, quelle che vengono condivise e imposte in una comunità; religiose, quelle che sono condivise dai soggetti che aderiscono a una fede religiosa; sportive, quelle che vengono condivise e imposte da una federazione sportiva; morali, quelle che si riferiscono all’interiorità di un soggetto; giuridiche, quelle che hanno rilevanza oggettiva per un soggetto. Infatti, le sanzioni delle norme giuridiche mutano la condizione di un soggetto in maniera rilevante. Le norme giuridiche sono le sole che devono essere concretamente osservate. Esse sono imposte da un’autorità che simbolicamente rappresenta lo Stato; valgono, poi, su tutto il territorio e nei confronti di tutti i cittadini di uno Stato.

    Le Costituzioni sono un insieme di norme che riguarda e costituisce la struttura fondamentale di uno Stato. Le Carte costituzionali, nel complesso, sono democratiche e, pertanto, sanciscono i diritti di cittadinanza, fissando un equilibrato rapporto tra i cittadini, soggetti e portatori di valori, e gli Stati, soggetti e promotori di diritti. Le Costituzioni possono essere: scritte (formalizzate per iscritto); consuetudinarie (non si basano su un testo scritto ma sulla consuetudine, come quella inglese); rigide (non possono essere modificate con procedure di legislazione normale ma con procedure previste dalla Costituzione); flessibili (possono essere cambiate con procedure di legislazione ordinaria); brevi (sono costituzioni che regolano i rapporti tra chi le concede e l’assetto del potere dello Stato); lunghe (disciplinano non solo l’assetto del potere dello Stato ma anche la vita associata dei cittadini); ottriate (offerte o concesse dal sovrano unilateralmente); pattizie (implicano un patto tra il sovrano o chi le concede e il popolo); popolari (coinvolgono la popolazione con l’elezione di un’assemblea costituente o con un referendum); programmatiche (costituzioni formali, che, riempite di contenuti in maniera programmatica, nel tempo diventano, con interventi legislativi, sostanziali).

    La Costituzione della Repubblica Italiana è popolare, lunga, rigida e programmatica. Essa introduce e prospetta agli italiani gli ideali che possono essere universalmente e permanentemente condivisi (artt. 1-12), fissa ed esamina i diritti e i doveri (artt. 13-54), stabilisce e regola le funzioni dei vari organi dello Stato (art. 55-139) e permette un soft passaggio tra il vecchio e il nuovo ordinamento giuridico (artt. I-XVIII delle disposizioni transitorie e finali). Il cammino del popolo italiano verso la conquista dell’attuale Costituzione è stato lungo e controverso.

    Dopo l’unità, nel 1861, gli italiani incominciano a prendere coscienza di alcuni diritti. Tra questi, il diritto di voto, sentito fortemente dalle forze democratiche e socialiste, diventa fondamentale. Esso verrà acquisito, dal popolo italiano, in un processo lungo e graduale:

    – 1861 (uomini di 25 anni non analfabeti e contribuenti che pagavano un’imposta sul reddito di almeno 40 lire).

    – 1882 (uomini di 21 anni, non analfabeti e imposta di almeno 19 lire).

    – 1912 (esteso anche a uomini di 30 anni, nonostante analfabeti, ma in regola con il servizio militare).

    – 1919 (suffragio universale maschile, 21 anni).

    – 1946 (suffragio universale maschile e femminile, 21 anni).

    Alla fine della Seconda guerra mondiale s’incomincia a pensare di superare lo Statuto albertino e di dare all’Italia una Costituzione. Questa è preceduta da due Decreti luogotenenziali: il Decreto legge luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, che, dopo l’accordo tra i partiti del Comitato di liberazione nazionale e il re, prevede come organizzare la funzione del futuro governo e l’Assemblea costituente per dare l’assetto allo Stato in senso monarchico o repubblicano; il Decreto legge luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946 che prevede l’Assemblea costituente per elaborare la Costituzione, ma la scelta tra Monarchia e Repubblica viene affidata al referendum popolare per due motivi: il primo è che il re era convinto di avere maggiori chance per rimanere al potere rivolgendosi direttamente al popolo e il secondo dipendeva dal fatto che la Democrazia cristiana era divisa al suo interno. Nel 1946, il referendum istituzionale del 2 giugno sancisce la vittoria della Repubblica (voti 12.717.923 - 54,26%) sulla Monarchia (voti 10.719.284 - 45,26%).

    Lo stesso referendum elegge un’assemblea costituente, che nomina una Commissione di 75 membri per elaborare la Costituzione. Tale Commissione si suddivide in tre Sottocommissioni:

    1. Diritti e doveri dell’uomo.

    2. Organizzazione dello Stato.

    3. Rapporti economico-sociali.

    La Costituzione italiana viene elaborata, approvata il 22 dicembre del 1947, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entra in vigore dal 1° gennaio 1948. Essa, come ha scritto Norberto Bobbio, è ispirata a ideali liberali, integrati da ideali socialisti, corretti da ideali cristiano-sociali ed è strutturata in:

    1. Principi fondamentali (artt. 1-12).

    2. Diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54).

    3. Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139).

    4. Disposizioni transitorie e finali (artt. I-XVIII).

    La Costituzione italiana, per rimanere facilmente impressa nella mente dei giovani, potrebbe essere raffigurata, con una metafora, a una rigogliosa quercia:

    - le radici dovrebbero personificare i primi dodici articoli, vale a dire i principi;

    - il tronco dovrebbe rappresentare i diritti e i doveri dei cittadini (articoli da 13 a 54);

    - i rami dovrebbero simboleggiare gli organi dello Stato (articoli da 55 a 139);

    - i frutti dovrebbero impersonare, tramite un’amministrazione efficace, efficiente, basata sul buon andamento e servente, come prevede la Legge n, 241/1990, la pluralità delle istituzioni pubbliche (art. 97).

    1.2 I principi fondamentali e i valori della Costituzione italiana (artt. 1-12)

    I principi o valori e la conoscenza sono i pilastri della nostra Costituzione. I principi o valori devono essere i punti di riferimento e tracciare la rotta alla quale tendere; la cultura e le conoscenze, ottenute attraverso l’applicazione allo studio e l’esperienza, devono essere, invece, la strada maestra e lo strumento, non solo per trasformare, gradualmente, in meglio l’intera società, ma anche per migliorarla. I principi o valori non devono contrapporsi alla cultura e alle conoscenze. Le une e gli altri, poi, non devono mai fondersi ma viaggiare su due binari diversi, vale a dire su due rette parallele. I principi o valori non devono contrapporsi alla cultura o alle conoscenze, perché, quando non se ne avvalgono, generano mostri.

    Nel Medioevo, ad esempio, gli uomini erano attaccati a solidi e saldi valori (solidarietà, carità cristiana, amore per il prossimo) ma, non possedendo cultura e conoscenze adeguate (cause delle malattie contagiose), si riunivano durante le pestilenze e si trasmettevano il contagio. Anche le conoscenze, quando non hanno come punto di riferimento i valori, generano mostri. Nel Novecento, ad esempio, la Germania ha prodotto il nazismo. Il tedesco era un popolo di filosofi, di scienziati e di artisti, ma ha, giacché aveva smarrito i principi o i valori della libertà, della pace, della solidarietà tra i popoli, della giustizia sociale e della consapevolezza che l’uomo è un essere limitato e non è, quindi, in possesso di verità da imporre agli altri, prodotto una delle più drammatiche tragedie della storia, vale a dire i lager. Bisogna, perciò, riuscire a coniugare i principi o valori, che quotidianamente devono essere condivisi, e la cultura (le conoscenze che si acquisiscono con lo studio e l’esperienza). I primi dodici articoli della Costituzione italiana a ciò mirano, come l’art. 9 per quanto concerne la cultura e i rimanenti per quanto riguarda gli altri principi e i valori.

    Principio democratico e lavorista

    Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

    Principio personalista e solidarista

    Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

    Principio di uguaglianza formale e sostanziale

    Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (Uguaglianza formale).

    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Uguaglianza sostanziale).

    Principio lavorista

    Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società.

    Principio pluralista e del decentramento autonomistico

    Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

    Principio di tutela delle minoranze linguistiche

    Art. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

    Principio che regola i rapporti tra lo Stato e la chiesa cattolica

    Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

    I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

    Principio del pluralismo e della libertà religiosa

    Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

    I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

    Principio di promozione della cultura, della ricerca e di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico

    Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. La legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 recante Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022. Così facendo, viene inserita la tutela dell’ambiente tra i princìpi fondamentali dell’ordinamento italiano.

    Il principio internazionalista

    Art. 10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. (Il diritto di asilo). Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. (L’estradizione).

    Il principio della pace e del ripudio della guerra

    Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

    Il principio del tricolore come simbolo nazionale

    Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

    1.3 I diritti e i doveri dei cittadini

    Ogni cittadino non può essere perquisito o arrestato senza l’esistenza di un mandato di perquisizione o di cattura. Se un rappresentante dell’ordine vede un cittadino che commette un omicidio deve bloccarlo e trattenerlo per due giorni; nel frattempo, deve avvertire il giudice. Non si può perquisire l’abitazione; nel caso, però, che un medico sospetti che in un appartamento ci sia la presenza di un malato con una patologia contagiosa si applicano leggi speciali che gli permettono di entrare e di perquisirlo. Non possono essere aperte le lettere né ascoltare le telefonate. La polizia può, però, con un mandato del giudice, farlo, se si hanno dei sospetti su di un cittadino. Ogni italiano è libero di viaggiare, senza passaporto, per tutta l’Italia, tranne che nei casi in cui gli venga vietato di andare in qualche luogo per motivi sanitari o di pericolo.

    Ognuno, come cittadino italiano, è libero di riunirsi con altri dove e quando vuole. I cittadini possono liberamente aderire ad associazioni di club, tranne che per quanto concerne le associazioni segrete o che utilizzano le armi. Ogni cittadino può manifestare la propria fede da solo e in gruppo. Le fedi religiose devono essere trattate tutte allo stesso modo dal legislatore. Ognuno può pubblicare quello che pensa sui giornali, tranne notizie scandalose e offensive.

    Le ideologie politiche devono essere espresse liberamente e non possono essere imposte. Non può essere imposta una prestazione lavorativa personale, se non conforme alla legge. Tutti devono difendersi in giudizio e in caso di non abbienti provvederà il giudice a procurare loro un difensore d’ufficio. Non è possibile scegliersi chi ci deve giudicare. In tutti gli Stati ci sono delle leggi, che possono diversificarsi da quelle degli altri Paesi; le nazioni possono, però, stipulare, come in Europa, leggi uguali, salvaguardando, attraverso delle Convenzioni, il cittadino da una possibile estradizione per reati politici. Ogni cittadino è responsabile di se stesso per il reato che commette. I funzionari e i dipendenti pubblici se commettono errori di valutazione e si verificano, durante la loro funzione, danni a persone e cose, sono responsabili civilmente e penalmente. La responsabilità si estende anche allo Stato.

    1.4 L’ordinamento dello Stato repubblicano italiano

    1.4.1 Il Parlamento

    Il Parlamento è l’assemblea che rappresenta il popolo. Esso ha la funzione legislativa ed esercita il controllo sull’operato del governo. Il Parlamento italiano è un organo bicamerale, costituito dalla camera dei deputati (con sede a Montecitorio) e dal senato della Repubblica (con sede a Palazzo Madama). Ambedue le camere sono elette dai cittadini; gli elettori della camera dei deputati sono tutti i cittadini maggiorenni; invece, gli elettori del senato della Repubblica sono quelli che hanno superato il venticinquesimo anno di età. L’elettore con il voto (che secondo quanto disposto dall’art. 48, co. 2, è personale, uguale, libero e segreto) soddisfa due funzioni, in altre parole elegge la persona, che deve rappresentarlo e approva il programma politico, rispondente ad assicurare il miglioramento delle condizioni collettive e il funzionamento dello Stato italiano.

    1.4.2 I sistemi elettorali

    Un sistema elettorale è il complesso di regole che devono essere applicate alla procedura della selezione, nel corso delle elezioni, dei rappresentanti dei cittadini. Essi sono molteplici. I più rappresentativi sono:

    – il maggioritario uninominale. Con tale sistema il territorio di uno Stato è diviso in tanti collegi quanti sono i seggi da assegnare. In ogni collegio è eletto il candidato che si assicura il maggior numero di voti;

    – il maggioritario uninominale a doppio turno, con il quale è eletto chi conquista la maggioranza assoluta dei voti. Nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza assoluta, si ritorna al voto con i soli candidati (ballottaggio) che hanno ottenuto il maggior numero di suffragi nel primo turno. È eletto chi conquista la maggioranza relativa;

    – il maggioritario di lista. È un sistema, attraverso cui la maggioranza dei seggi va alla lista che ha conseguito il maggior numero di consensi; gli altri seggi sono assegnati con un criterio proporzionale alle altre liste;

    – il sistema proporzionale, in cui i seggi sono divisi in proporzione fra i gruppi di candidati, inseriti nelle liste.

    Il sistema elettorale, in Italia, dopo il referendum del 18 aprile 1993, si è, da misto (sostanzialmente proporzionale), trasformato prevalentemente in maggioritario, con un correttivo proporzionale del 25%. Con la L. n. 270 del 2005 è stato introdotto un sistema proporzionale a liste bloccate (l’elettore vota la lista ma non può esprimere preferenze per i candidati) e con premio di maggioranza. In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, che ha dichiarato la parziale illegittimità della L. 270/2005 nella parte in cui prevedeva le liste bloccate e il premio di maggioranza, il sistema applicabile in Italia (salvo approvazione di una nuova legge) è un proporzionale puro.

    1.4.3 L’organizzazione delle Camere

    Ognuna delle Camere funziona in base al Regolamento che essa stessa ha elaborato e si è data. Le sedute sono, di regola, pubbliche e le votazioni possono essere a scrutinio palese, vale a dire per alzata di mano oppure per appello nominale, in altri casi a scrutinio segreto. In base al Regolamento, ognuna delle camere elegge tra i propri membri sia un Presidente sia un ufficio di Presidenza. Il primo ha la funzione di indirizzare e guidare le discussioni, consentire lo svolgimento democratico dei dibattiti, proclamare i risultati delle discussioni, tutelare l’ordinato svolgimento dei dibattiti, disporre opportunamente l’organizzazione e il funzionamento della camera. I lavori che le camere svolgono sono riferiti al contesto della legislatura, che dura cinque anni. Il Presidente della Repubblica può, tuttavia, in alcuni casi, sciogliere anticipatamente le camere e indire nuove elezioni.

    1.4.4 La funzione legislativa delle Camere

    Alle due Camere, in base al principio della separazione dei poteri, è assegnato il compito di emanare le norme che costituiscono l’ordinamento giuridico dello Stato. Le norme giuridiche, approvate dalle camere e pubblicate, assumono il nome di leggi formali, corredate di una particolare efficacia, vale a dire innovano l’ordine legislativo preesistente o perfezionandolo, grazie a nuove norme, oppure correggendolo attraverso l’abrogazione dileggi precedenti. Le leggi formali si distinguono in ordinarie, quelle che sono dirette a disciplinare la vita della collettività e costituzionali, quelle che sono rivolte a cambiare la Costituzione. Le leggi formali si producono e si emanano con un procedimento particolare, ma è necessario, innanzitutto, che vi sia chi promuove una proposta di legge, la cosiddetta iniziativa legislativa. Questa è dalla Costituzione attribuita al Governo con i disegni di legge, a ciascun componente delle camere, al popolo con progetti di legge, sottoscritti da almeno 50.000 elettori, al Cnel, per le materie di sua competenza e ai Consigli regionali. Tutte le proposte sono prima esaminate dalle commissioni permanenti; dopo passano all’esame di ciascun ramo del Parlamento e, infine, vengono approvate qualora riportino il voto favorevole della maggioranza dei presenti nell’aula. Alcune proposte di legge possono essere esaminate e anche approvate dalle commissioni parlamentari, quando queste operano in sede legislativa. Il voto può essere palese o segreto. La legge, esaminata e approvata, deve essere, poi, promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo quindici giorni dalla pubblicazione, inizia l’obbligo di rispettarla, perché si presume che tutti i cittadini ne siano ormai venuti a conoscenza. Tale procedimento può modificare una legge ordinaria ma non una legge di rilevanza costituzionale.

    La Costituzione italiana non è flessibile, ma rigida e, pertanto, per cambiarla o integrarla, è necessaria una legge approvata, come recita l’art. 138, con una procedura aggravata, che assume il nome di Legge costituzionale. In tal caso, la procedura richiede, per l’approvazione, una doppia votazione da parte di entrambe le camere e a distanza di tre mesi; la maggioranza dei deputati e dei senatori, nelle votazioni, deve essere assoluta. Quando, nella seconda votazione, la legge ottiene i due terzi dei voti, viene promulgata; in caso contrario, essa può essere sottoposta a referendum popolare, che può essere richiesto da un certo numero di parlamentari, dal corpo elettorale o da un certo numero di Consigli regionali entro tre mesi.

    1.4.5 La funzione legislativa del popolo

    Il popolo può esercitare la funzione legislativa indirettamente, attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento, ma anche direttamente con il referendum. Questo rappresenta una votazione attraverso la quale il popolo viene chiamato a esprimersi su una determinata questione. La Costituzione prevede, all’art. 75, il referendum per abrogare totalmente o parzialmente una legge o un atto, che presenta forza di legge, come i decreti legislativi. La richiesta di un referendum deve essere fatta da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali. Le firme degli elettori devono essere prima controllate dalla Corte di Cassazione per accertarne la regolarità e, in seguito, se il giudizio è positivo, la proposta passa alla Corte costituzionale, che deve accertarne la conformità alle norme costituzionali. Il referendum non è, in alcuni casi, ammesso sia per le leggi tributarie o di bilancio e per leggi che riguardano l’amnistia e l’indulto, sia per leggi che autorizzano la ratifica dei trattati internazionali. Alla votazione possono partecipare tutti gli elettori ed essa è valida se si reca alle urne la metà più uno degli aventi diritto. La proposta, sottoposta a referendum, per essere approvata, determinando l’abrogazione della legge, deve raggiungere la maggioranza dei consensi. Altrimenti la legge continua a rimanere in vigore.

    1.4.6 Il controllo politico e finanziario

    L’ordinamento giuridico, per consentire al Parlamento di giudicare l’operato del Governo, ha predisposto alcuni strumenti, come: l’interrogazione, che consiste nel rivolgere domande oralmente o per iscritto da uno o più parlamentari al Governo per comprendere non solo la corrispondenza tra i fatti e la verità, ma anche quali provvedimenti il potere esecutivo intenda prendere; l’interpellanza che consiste in petizioni, rivolte al Governo per quanto concerne alcune sue scelte politiche; la mozione, che è uno strumento, in mano ai parlamentari, per provocare una discussione in Parlamento, atta a condizionare l’indirizzo politico del Governo, e le inchieste parlamentari che sono strumenti miranti ad accertare fino a che punto l’operato del governo è corretto in materie concernenti l’interesse pubblico.

    1.4.7 Le leggi d’indirizzo politico

    Le leggi d’indirizzo politico sono quelle che permettono al Parlamento di partecipare direttamente alla direzione politica dello Stato. Esse sono la Legge di bilancio, quella di stabilità che dal 2009 ha sostituito la Legge finanziaria, la legge che autorizza la ratifica dei trattati internazionali, le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto. Le leggi di bilancio e di stabilità sono quelle che, su iniziativa del Governo, vengono approvate annualmente dal Parlamento.

    La prima contiene le decisioni, concernenti le entrate e le spese pubbliche. La seconda può essere definita come lo strumento legislativo che attua le linee programmatiche a medio termine scandite dalla politica della finanza pubblica. La legge di stabilità (introdotta nella finanziaria del 2010) ha apportato alcune novità riguardo sia ai tempi di presentazione sia ai contenuti. Un’altra legge d’indirizzo politico è quella di autorizzazione della ratifica dei trattati internazionali. L’amnistia è, invece, un provvedimento con cui lo Stato suppone che un reato si sia estinto e, quindi, non intende più applicarne la pena prevista. L’amnistia può essere generale, quando si riferisce a tutti i reati, punibili con una pena detentiva fino a un certo numero di anni, oppure speciale, se è riferibile solo a determinate categorie di reati. Con l’amnistia, che, al contrario della grazia, è un provvedimento collettivo, gli imputati non sono più, in seguito, perseguibili per il reato amnistiato e, pertanto, tutti i condannati vengono liberati. L’amnistia differisce anche dall’indulto; questo, pur essendo sempre un provvedimento collettivo, consiste nel condono solo di una parte della pena per chi è stato condannato. Prima della modifica dell’art. 79 della Costituzione, i provvedimenti di amnistia e d’indulto venivano concessi, su delega parlamentare, dal Presidente della Repubblica; oggi, dopo la modifica, sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.

    1.4.8 Il Governo

    Il Governo è l’organo che esercita il potere esecutivo. Per l’art. 92 della Costituzione italiana il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio, che è incaricato dal Presidente della Repubblica, coordina l’attività dei vari ministri, in maniera tale da far perseguire a tutti lo stesso obiettivo. I ministri, che rappresentano i vertici dell’amministrazione di riferimento, sono a capo di un Ministero; questo si contraddistingue in base all’attività, di cui si occupa (Affari interni, Affari esteri, Pubblica istruzione, Lavoro, Difesa e così via). Di ogni Ministero fa parte un gruppo di dipendenti pubblici. Il Presidente del Consiglio, nell’esercizio delle proprie funzioni, può essere assistito da un gruppo ristretto di ministri, che prende il nome di Consiglio di Gabinetto. Questo è composto dai ministri, scelti dal Presidente, sentito il parere del Consiglio dei ministri. Ha, in Italia, il compito di esaminare le linee generali dell’attività di governo. La decisione finale spetterà, però, sempre al Consiglio dei ministri. Anche i sottosegretari di Stato svolgono compiti importanti; non fanno parte del Governo ma collaborano con i ministri e svolgono funzioni di delega, rappresentando il ministro in Parlamento. Essi sono nominati dal Consiglio dei ministri e decadono, quando il Governo rassegna le dimissioni.

    1.4.9 Formazione del Governo

    Il Presidente del Consiglio dei ministri è, a norma dell’art. 92 della Costituzione, incaricato dal Presidente della Repubblica. Oggi, in base alla riforma elettorale, è diventato di prassi che la scelta ricada sul leader dello schieramento politico elettorale che è risultato vincitore nelle elezioni. Il procedimento dell’incarico incomincia con le consultazioni, che il Capo dello Stato svolge; alla fine delle consultazioni, il Presidente della Repubblica possiede, così, gli elementi di valutazione in base ai quali conferisce, poi, l’incarico. L’incaricato non accetta subito e, riservandosi di accettare, inizia una serie di consultazioni, dirette ad accertare tanto le condizioni per costituire una maggioranza, che lo sostenga in Parlamento, quanto la possibilità di formare il Governo con i rispettivi ministri. Nel caso in cui l’incaricato fallisca nel tentativo, ritorna dal Presidente della Repubblica e scioglie la riserva negativamente. Ripone, così, nelle mani del Capo dello Stato, il potere di ricercare un nuovo incaricato. Nel caso in cui la riserva venga, invece, sciolta positivamente, egli sottopone al Presidente della Repubblica la lista dei ministri e si dichiara pronto a presiedere il nuovo governo. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le loro funzioni, devono prestare giuramento, secondo l’art. 93 della Costituzione, nelle mani del Presidente della Repubblica. Entro dieci giorni dal giuramento, il governo deve, inoltre, presentarsi, con un programma articolato e definito, alle camere, per avere la fiducia. Il Parlamento può, in qualsiasi momento, revocare la fiducia al Governo e farlo dimettere.

    1.4.10 La responsabilità dei membri del Governo

    La Costituzione stabilisce che i ministri sono, a livello collegiale, responsabili degli atti del Consiglio dei ministri e, a livello individuale, di quelli dei loro dicasteri. La responsabilità collegiale è politica. I ministri sono responsabili nei confronti del Parlamento. La responsabilità individuale può, invece, essere civile, quando il comportamento di un ministro assicura un danno a un soggetto e penale, nel momento in cui viola una norma del diritto penale sia come privato cittadino, sia nell’esercizio delle sue funzioni. In questo ultimo caso, il ministro viene sottoposto alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della camera o del senato.

    1.4.11 Gli organi ausiliari

    Gli organi ausiliari sono quelli che svolgono una funzione di proposta, di controllo oppure consultiva a favore del Governo. Tali organi sono: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che è costituito, dopo i recenti interventi, volti al contenimento dei costi, da 64 membri più il Presidente; esso svolge una funzione consultiva in diversi campi, concernenti la politica economica, la programmazione economica e sociale, il mercato del lavoro e la contrattazione collettiva; il Consiglio di Stato, che è l’organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo. Esso esercita, tramite le sue prime tre sezioni, una funzione consultiva. I ministri possono, infatti, chiedere il parere di tale Consiglio su questioni di ogni natura; in alcuni casi, anzi, la richiesta è addirittura obbligatoria; la Corte dei Conti, che è l’organo il quale esercita un controllo preventivo e anche successivo di legittimità sulle materie concernenti non solo la gestione del bilancio dello Stato, ma anche il patrimonio delle amministrazioni pubbliche; l’Avvocatura dello Stato, che ha come compito principale quello di sostenere e di venire in aiuto dello Stato nell’ambito dei contenziosi in cui lo stesso può essere coinvolto; essa assiste soprattutto le pubbliche amministrazioni nei giudizi in cui s’imbattono.

    1.4.12 La funzione giurisdizionale dello Stato

    Il potere giudiziario è uno dei tre massimi poteri dello Stato. Attraverso tale potere, lo Stato accerta la volontà normativa. Esso ha uno stretto collegamento con il potere legislativo; con questo, infatti, lo Stato propone e approva le norme giuridiche, con il potere giurisdizionale, invece, ne assicura l’osservanza e la conservazione ai fini dell’ordinato svolgimento della vita sociale.

    1.4.13 Camera e Senato

    Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione (art. 55). La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di 630, 12 dei quali eletti nella circoscrizione estera. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno dell’elezione hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione estera, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicento diciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 56). Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione estera. Il numero dei senatori elettivi è di 315, 6 dei quali sono eletti nella circoscrizione estera. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi fra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione estera, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si fa in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 57).

    I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno (art. 58). È senatore di diritto e a vita, salvo rinuncia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (art. 59). La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra (art. 60). Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti (art. 61). Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra (art. 62). Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di presidenza. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati (art. 63). Ciascuna Camera adotta il proprio Regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche: tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e, se richiesto, obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono (art. 64). La legge determina i casi d’ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere (art. 65). Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte d’ineleggibilità e d’incompatibilità (art. 66). Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato (art. 67). I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, in altre parole se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza (art. 68). I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge (art. 69). La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70). L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere e agli organi ed enti ai quali sia conferita da Legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli (art. 71).

    Ogni disegno di legge, presentato a una Camera, è, secondo le norme del suo Regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale. Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza. Può altresì stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni. La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi (art. 72). Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione. Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso (art. 73). Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata (art. 74). È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e d’indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati a eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum (art. 75).

    L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti (art. 76). Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (art. 77). Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari (art. 78). L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi in seguito alla presentazione del disegno di legge (art. 79). Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi (art. 80). Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi (art. 81). Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria (art. 82).

    1.4.14 Il Presidente della Repubblica

    Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta (art. 83). Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge (art. 84). Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. Trenta giorni prima della scadenza del termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo, sono prorogati i poteri del Presidente in carica (art. 85). Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato. In caso d’impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione (art. 86). Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge d’iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.

    Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorre, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica (art. 87). Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidono in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura (art. 88). Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri (art. 89). Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri (art. 90). Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune (art. 91).

    Capitolo 2

    Funzioni e competenze delle Autonomie locali

    2.1 Introduzione

    L’art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda, tra le altre materie, le norme generali dell’istruzione e la determinazione dei livelli essenziali di prestazione che devono essere assicurati dalle Regioni nel settore assegnato alla loro competenza esclusiva, vale a dire quello dell’istruzione e della formazione professionale; fanno eccezione le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, che hanno una maggiore autonomia.

    Lo stesso art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni la competenza legislativa esclusiva sul sistema d’istruzione e di formazione professionale, nel rispetto dei livelli essenziali di prestazione stabiliti dallo Stato, e fatti salvi i compiti di collegamento con l’Unione europea. I livelli essenziali di prestazione che le Regioni devono assicurare comprendono il rispetto degli standard formativi minimi, in altre parole la durata dei corsi, la validità nazionale delle certificazioni e il rispetto dei criteri nazionali di accreditamento dei soggetti che mettono in bilancio ed erogano i corsi. Solo in materia d’istruzione scolastica lo Stato e le Regioni hanno anche competenza legislativa concorrente. In tal caso, da un lato, lo Stato stabilisce i principi generali, come la durata e la tipologia dei corsi, gli esami e le certificazioni, il valore legale dei titoli di studio, gli obiettivi di apprendimento e i crediti, e, dall’altro, le Regioni ne assicurano l’organizzazione sul territorio.

    L’art. 117 della Costituzione sancisce, inoltre, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questo significa che ogni singola istituzione scolastica, anche attraverso una rete di altre scuole, può decidere, nel rispetto delle norme nazionali e regionali, autonomamente in materia didattica, organizzativa e di sperimentazione, ricerca e sviluppo.

    Gli Uffici scolastici regionali hanno, nel campo dell’istruzione e della formazione, funzioni e competenze a volte esclusive e altre volte concorrenti. Essi sono, nel complesso, un autonomo centro di responsabilità amministrativa e attuano le Direttive dei Dipartimenti. Nello stesso tempo, hanno un ruolo di supporto e di consulenza verso le singole istituzioni scolastiche. Tutto ciò è svolto in base alle disposizioni costituzionali.

    2.2 Le Autonomie locali

    La Legge n. 142 del 1990, per la sua innovazione, ha rappresentato un forte impegno per tutti i cittadini. Essa esprimeva principi e obiettivi che devono essere realizzati, adeguandoli alle esigenze delle singole comunità locali, attraverso la previsione degli Statuti, per disciplinare gli uffici comunali, i rapporti tra il consiglio, la giunta e il sindaco, e il rapporto tra gli assessori e gli impiegati e così via. Tale legge è stata successivamente abrogata e inglobata nel D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali; essa è ancora oggi, pur con tutte le modifiche introdotte, il provvedimento di maggiore rilevanza per quanto riguarda le Autonomie locali. Il D.lgs. n. 267/2000 nell’art. 3 (Autonomia dei Comuni e delle Province) al co. 1 prevede che le comunità locali, ordinate in Comuni e Province, sono autonome. Al co. 2 stabilisce che il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. Al co. 3 si afferma che la Provincia (ente locale intermedio – abolito con L. n. 56/2014 –, fra Comune e Regione) cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale. I Comuni e le Province hanno autonomia statutaria e autonomia finanziaria nell’ambito delle leggi e del coordinamento della finanza pubblica (c. 4). I Comuni e le Province sono titolari di funzioni proprie. Esercitano, altresì, secondo le leggi statali e regionali, le funzioni attribuite o delegate dallo Stato e dalla Regione (c. 5). All’art. 4 del D.lgs. n. 267/2000 vengono stabiliti i rapporti tra Regioni ed Enti locali. Ai sensi dell’art. 117, commi 1 e 2, e dell’art. 118, co. 1, della Costituzione, ferme restando le funzioni che attengano a esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori, le Regioni organizzano l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i Comuni e le Province (c. 1). Ai fini di cui al comma 1, le leggi regionali si conformano ai principi stabiliti dalla presente legge in ordine alle funzioni del Comune e della Provincia (abolita dalla legge citata), identificando nelle materie e nei casi previsti dall’art. 117 della Costituzione gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio (c. 2). La Legge regionale disciplina la cooperazione dei Comuni e delle Province tra loro e con la Regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle Autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile (c. 4). All’art. 5 si afferma che la Regione determina gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale e su questa base ripartisce le risorse destinate al finanziamento del programma d’investimenti degli Enti locali (c. 1). Comuni e Province concorrono alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e delle Regioni e provvedono, per quanto di propria competenza, alla loro specificazione e attuazione (c. 2). La Legge regionale stabilisce forme e modi della partecipazione degli Enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della Regione (c. 3). La Legge regionale fissa i criteri e le procedure per la formazione e attuazione degli atti e degli strumenti della programmazione socioeconomica e della pianificazione territoriale dei Comuni e delle Province rilevanti ai fini dell’attuazione dei programmi regionali (c. 4).

    La Legge regionale disciplina, altresì, con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica della compatibilità fra gli strumenti, di cui al co. 7, e i programmi regionali, ove esistenti (c. 5). Nei successivi articoli sono indicate le funzioni delle Autonomie locali. Al co. 1 dell’art. 13 si afferma che competono al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardino la popolazione e il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Al co. 2 si sostiene, inoltre, che il Comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento sia di cooperazione con altri Comuni. Nell’art. 19 è scritto che spettano alla Provincia le funzioni amministrative d’interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale. I settori di competenza delle Province sono stati successivamente meglio dettagliati dalla L. n. 56/2014 che all’art. 1, c. 85, afferma che le Province, quali enti con funzioni di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali:

    a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e

    valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;

    b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale a esse inerente;

    c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;

    d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli

    Enti locali;

    e) gestione dell’edilizia scolastica;

    f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito provinciale, a livello occupazionale e di promozione delle pari opportunità sul territorio.

    2.3 La riforma costituzionale (Legge n. 3 del 18 ottobre 2001)

    Negli anni Ottanta del secolo scorso, i partiti politici di allora (Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri), avendo compreso che, in Italia, esisteva una forte instabilità di governo e un eccessivo potere centrale dello Stato, posero nei loro programmi la riforma istituzionale. Essi nominano, così, nel 1983, una Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, che, in due anni, conclude, con una serie d’ipotesi di riforma, i lavori. La riforma non ha, però, attuazione per la crisi del pentapartito. L’ipotesi di una riforma della Costituzione viene, tuttavia, ripresa negli anni Novanta, quando, da un lato, il Presidente della Repubblica, Oscar L. Scalfaro, propone alle Camere di istituire un’Assemblea costituente e, dall’altro, il movimento politico Lega Nord imposta la sua ideologia sull’obiettivo di trasformare l’Italia in Stato federale.

    Nel 1996 viene, così, istituita una Commissione bicamerale per la modifica della Costituzione. Tale Commissione conclude i lavori nel 1997. Il progetto non è, tuttavia, portato avanti. Nello stesso anno si riforma, per quanto concerne il decentramento, la pubblica amministrazione. Vengono, così, ampliati i compiti e le funzioni delle Regioni e degli Enti locali. Tranne alcuni settori, come, ad esempio, difesa, ordine pubblico, scuola, università, giustizia e sanità, numerose funzioni amministrative sono passate, così, alla competenza degli Enti locali, permettendo ai cittadini (principio di sussidiarietà) di essere più vicini agli amministratori e realizzando, in parte, il federalismo amministrativo.

    L’autonoma per tutti e per ciascuno è stata il principio ispiratore delle riforme che hanno interessato la scuola italiana (Legge n. 30 del 2000, Legge n. 53 del 2003 e i decreti attuativi, Legge n. 133/2008, Legge n. 169/2009, D.P.R. nn. 87, 88 e 89/2010, Legge n. 111/2011, Direttiva ministeriale n. 254/2012, Legge n. 107/2015).

    Nel 2001 si ha, poi, la costituzionalizzazione dell’autonomia con la Legge n. 3. Prima della legge n. 3/2001, le scuole autonome avevano, come riferimento, la Legge n. 59/1999, il D.lgs. n. 112/1998, il D.P.R. n. 275/1999 e il D.lgs. n. 300/1999.

    Dopo la legge n. 3/2001, per esplicitare concretamente l’autonomia si ha Legge n. 42/2009 (Federalismo fiscale). Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, delineato dalla Legge n. 42, è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al sistema costituzionale italiano.

    La legge n. 42/2009 individua le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali la sanità, l’assistenza, l’istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli Enti locali.

    La Legge costituzionale n. 3/2001 riformula gli artt. 114 e 117 della Costituzione. Il vecchio art. 114 afferma che la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni. Nella Legge costituzionale n. 3/2001 viene sostituito con la dicitura: La Repubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

    Il vecchio art. 117 stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

    Lo Stato italiano, in base al nuovo art. 117 della legge n. 3/2001, ha potestà esclusiva in:

    - norme generali sull’istruzione (art. 117, co. 2, lett. n);

    - principi fondamentali (art. 117, co. 3);

    - livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, co. 2, lett. m).

    La potestà concorrente si ha nel campo dell’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 117, co. 3).

    Le Regioni, secondo la legge n. 3/2001, hanno potestà esclusiva nel campo dell’istruzione e della formazione professionale (art. 117, co. 4).

    La potestà regolamentare, inoltre, spetta:

    - allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni;

    - alle Regioni in ogni altra materia;

    - ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane riguardo alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

    La Legge n. 3/2001 ha prodotto, per la potestà concorrente, tra lo Stato e le Regioni numerosi contenziosi, su cui sono intervenuti i tribunali e la Corte costituzionale.

    2.4 Le competenze delle Regioni e degli Enti locali in materia d’istruzione e di formazione

    Le competenze delle Regioni e degli Enti locali sono assunte per delega, in base all’art. 138 del D.lgs. n. 112/1998. Questo definisce e delega alle Regioni, sulla base dell’art. 118, co. 2, della Costituzione (nel testo antecedente al 2011), le seguenti funzioni amministrative: la progettazione dell’offerta formativa integrata tra istituzione e formazione professionale; la progettazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, (D.P.R. 233/1998), assicurandone il coordinamento; la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli Enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione, relative all’ambito delle funzioni conferite.

    L’esercizio delle funzioni delegate è operante dal secondo anno scolastico immediatamente successivo alla data di entrata in vigore del Regolamento di riordino delle strutture dell’amministrazione centrale e periferica. L’art. 139 del D.lgs. n. 112 del 1998 ha per oggetto il trasferimento di compiti e funzioni agli Enti locali, sempre in materia scolastica, ai sensi dell’art. 128 della Costituzione (nel testo antecedente alla novella del 2011).

    Il D.P.R. n. 233 del 18 giugno 1998, che ha in sé le norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, afferma che agli Enti locali è attribuita ogni competenza in materia di soppressione, istituzione, trasferimento di sedi, plessi, unità delle istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto la personalità giuridica e l’autonomia. Tale competenza è esercitata, su proposta e, in ogni modo, previa intesa, con le istituzioni scolastiche interessate con particolare riguardo alle disponibilità di organico (art. 4, c. 2) e al raggiungimento degli obiettivi didattico-pedagogici progettati (art. 1, c. 2) per garantire l’efficace esercizio dell’autonomia (art. 1, c. 1).

    I Comuni, ciascuno in relazione ai gradi d’istruzione di propria competenza, esercitano, anche d’accordo con le istituzioni scolastiche, funzioni in materia di: educazione degli adulti; interventi integrati di orientamento scolastico e professionale; azioni orientate a realizzare le pari opportunità d’istruzione; azioni di supporto, orientate a promuovere e a sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; interventi perequativi; interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute.

    L’art. 139, al terzo e ultimo comma del D.lgs. n. 112 del 1998, sostiene che la risoluzione dei conflitti di competenze è conferita alle Province, ad eccezione dei conflitti tra istituzioni della scuola materna ed elementare, la cui risoluzione è conferita ai Comuni. Il conflitto, che permette agli Enti locali d’intervenire in maniera risolutiva, è quello che si riferisce alle competenze amministrative. La riorganizzazione funzionale delle competenze si regolerà, a livello ordinamentale, con tempi in parte lunghi. Il legislatore è consapevole di ciò e, pertanto, ha previsto meccanismi di correzione in corso d’opera della riforma amministrativa dello Stato, per renderla coerente ed efficace.

    Il Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, D.P.R. n. 275 del 1999, delinea, in ogni modo, il nuovo sistema di poteri da attribuire alle istituzioni scolastiche in ambito didattico-curricolare, organizzativo e di ricerca, sviluppo e sperimentazione. Nel nuovo quadro funzionale, il rapporto tra Enti locali e scuole si adombra in termini di un reciproco rispetto e di un’indicativa cooperazione. Nel primo articolo del Regolamento, si riscontra un’affermazione di principio, che conferma che le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali, ai sensi degli artt. 138 e 139 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. A tal fine interagiscono tra loro e con gli Enti locali, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema d’istruzione. Si hanno, in tal modo, le seguenti disposizioni: l’esercizio dei poteri, in materia di autonomia, dovrà esplicarsi nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali; le istituzioni scolastiche interagiscono con gli Enti locali; non si dice possono interagire, ma interagiscono, ponendo, quindi, un vincolo a scuole ed Enti locali che, appunto, dovranno impostare una fattiva collaborazione tutte le volte che questa è richiesta o da apposite disposizioni legislative, dai propri obiettivi istituzionali, da esigenze di congiuntura e, infine, dalla realizzazione dei propri fini di educazione e d’istruzione.

    Gli Enti locali e l’autonomia delle istituzioni scolastiche hanno, pertanto, il compito d’interagire e di collaborare allo scopo di realizzare fini istituzionali, educativi e formativi. Le interazioni proficue sono realizzate dal Piano dell’offerta formativa che le scuole forniscono

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