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Nessuna traccia dell'assassino
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E-book289 pagine

Nessuna traccia dell'assassino

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Dopo Tre giorni prima di Natale Qui i fiori non crescono, Lilli Luini torna con un giallo in cui azione e psicologia si mescolano fino a dar vita a un romanzo avvincente.

Due giovani vengono rinvenuti senza vita in un bosco da un cercatore di funghi. La squadra del commissario Nicola Castano brancola nel buio, non c'è movente e non ci sono sospettati. Persino Lorena Montaldi, esperta profiler, è in difficoltà. E il tempo di indagare manca, perché sulla scrivania del commissario arriva un altro caso, un omicidio misterioso nella Firenze bene.
Gli inquirenti si dividono in due squadre per cercare i bandoli delle matasse, e Lorena assiste gli uni e gli altri, sempre più perplessa. Poi, una telecamera di sorveglianza comincia a fare luce su qualcosa che pare impossibile.
L’autrice vi condurrà pagina dopo pagina nella natura della Toscana, tra colline dove sorgono ville lussuose e boschi battuti da cacciatori, e nei meandri della mente umana, fino a toccare profondità inesplorate.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2024
ISBN9791280324429
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    Anteprima del libro

    Nessuna traccia dell'assassino - Lilli Luini

    Lilli Luini

    NESSUNA TRACCIA

    DELL’ASSASSINO

    SVG > arma atirador de elite soldado rifle - Imagem e ícone grátis do …

    EDIZIONI IL VENTO ANTICO

    PAGINA DI BENVENUTO

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    ABOUT THIS BOOK

    Dopo Tre giorni prima di Natale e Qui i fiori non crescono, Lilli Luini torna con un giallo in cui azione e psicologia si mescolano fino a dar vita a un romanzo avvincente.

    Due giovani vengono rinvenuti senza vita in un bosco da un cercatore di funghi. La squadra del commissario Nicola Castano brancola nel buio, non c'è movente e non ci sono sospettati. Persino Lorena Montaldi, esperta profiler, è in difficoltà. E il tempo di indagare manca, perché sulla scrivania del commissario arriva un altro caso, un omicidio misterioso nella Firenze bene.

    Gli inquirenti si dividono in due squadre per cercare i bandoli delle matasse, e Lorena assiste gli uni e gli altri, sempre più perplessa. Poi, una telecamera di sorveglianza comincia a fare luce su qualcosa che pare impossibile.

    L’autrice vi condurrà pagina dopo pagina nella natura della Toscana, tra colline dove sorgono ville lussuose e boschi battuti da cacciatori, e nei meandri della mente umana, fino a toccare profondità inesplorate.

    Serie

    Le indagini della profiler Montaldi

    Questo libro è un'opera di finzione e, tranne che nel caso di fatti storici, qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è puramente casuale. È stato fatto ogni sforzo per ottenere le autorizzazioni necessarie con riferimento a materiale protetto da copyright, sia illustrativo che citato. Ci scusiamo per eventuali omissioni al riguardo e saremo lieti di rendere i riconoscimenti appropriati in qualsiasi edizione futura. 

    È stata una brutta notte. Dove dormivamo il vento ha abbattuto i comignoli e si sentivano gemiti nell’aria, dicono, strane grida di morte, e voci terribili che annunciavano conflitti crudeli, eventi confusi che sbocceranno a fare i tempi infausti.

    L’uccello del buio ha gridato tutta la notte.

    C’è chi dice che la terra aveva la febbre e tremava.

    (William Skakespeare – Macbeth)

    E invece è soltanto

    un brandello di bufera.

    (Wisława Szymborska)

    1. Fu un novantenne…

    Montebeni, domenica 1° ottobre 2017, ore 11,30

    Fu un novantenne a trovare il ragazzo. Un novantenne piccolo, vispo e mordace di nome Fulgenzio, che ancora andava per funghi, in posti che solo lui conosceva e non avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura. Era una mattinata magnifica, si era visto fin dall’alba, quando una luce rosata l’aveva svegliato e convinto ad alzarsi subito per godersi quel ben di Dio. Poteva farlo perché era libero: viveva da solo, nonostante i figli, cinque in tutto, ogni tanto provassero a complicargli la vita. E se ti senti male e muori da solo, magari nel bosco? Così dicevano. L’unica intelligente era Fiorenza, l’ultima. E se deve morire, almeno muore contento, rispondeva.

    Il bosco era il suo ambiente naturale, il posto dove c’era tutto quello che gli interessava. L’aria buona, il canto degli uccelli, il sole che filtra in mezzo ai rami e, in autunno, i funghi. Conosceva i suoni e i colori come le sue tasche. Per questo vide subito la felpa viola della Fiorentina, nel sottobosco spiccava come una mela su un fico.

    Il corpo era sdraiato a faccia in giù, a un metro dal sentiero, malamente ricoperto dal fogliame. Fulgenzio non aveva fatto in tempo ad andare in guerra, ma era stato infermiere di Pronto Soccorso per tutta la vita. Che quel ragazzo si era preso una pallottola in mezzo alla schiena, lo capì al volo. Si infilò un guanto di lattice, di quelli che teneva sempre in tasca, un po’ per abitudine e un po’ perché non si sa mai cosa ti capita di dover toccare, poi si chinò e gli posò due dita sulla carotide. Niente, morto.

    Per una volta, veniva utile il telefonino che gli era stato imposto dai figli. Gli avevano anche raccomandato, in caso succedesse qualcosa, di chiamare un certo numero unico, ma non era stato attento. Quindi compose quello che ricordava, il centotredici.

    2. Sandra Bellucci

    Montebeni, un’ora dopo

    Sandra Bellucci aveva un diavolo per capello. Nessuno l’aveva avvisata che il cadavere si trovava in mezzo a una foresta. Anzi, chi le aveva passato la segnalazione aveva detto, testualmente, che c’era un corpo in un boschetto. Rincitrullito, lo apostrofò tra sé, intanto che scarpinava con un paio di stivaletti tacco cinque, arrancando dietro al collega Esposito, che pareva uno stambecco, e alla Borsani, il nuovo acquisto della squadra, fisico atletico e anfibi ai piedi.

    Di quel boschetto non se ne vedeva la fine. La gente che parlava senza sapere, giusto per dare aria alla bocca, la mandava fuori dai gangheri. Se non sai, taci. Boschetto, tze. Alberi ovunque, e nemmeno sapeva cosa fossero, perché Sandra Bellucci in scienze era sempre andata male, di botanica non capiva nulla, distingueva tre o quattro tipi di fiori in tutto, figurarsi le piante che fiori non ne avevano.

    A mezzogiorno e trentacinque, finalmente, spuntò la scena del crimine. Il cadavere era bocconi in mezzo al sottobosco, con il viso affondato e le braccia in avanti. Le dita sembravano voler graffiare la terra.

    Sandra guardò e fu come se tutta la rabbia accumulata uscisse via volando chissà dove.

    «Ma è un ragazzino…» furono le prime parole che pronunciò, mentre le cadevano le braccia. Era in polizia ormai da oltre quindici anni e da sei prestava servizio nella Mobile, sezione Reati contro la Persona, quella che una volta era la Squadra Omicidi. Ne aveva visti di cadaveri, ma non si era abituata. Non ci si abitua mai, soprattutto quando ti trovi di fronte vittime giovani, o adolescenti o, peggio ancora, bambini.

    «Non ha documenti» ragguagliò uno degli agenti di pattuglia giunti per primi sul posto.

    «Il medico legale?» gli chiese Gigi Esposito.

    «Arriverà» rispose quello e riprese a delimitare la scena con i nastri. Non c’erano ancora curiosi, segno che il testimone non aveva sparso la voce, ma la luce blu dell’ambulanza avrebbe ben presto richiamato qualcuno.

    La Borsani era china sul cadavere e scrutava la ferita alla schiena. Alzò lo sguardo verso Sandra. «Che ne pensi?»

    «Qui intorno c’è spaccio» intervenne l’agente di pattuglia. «Non avrà pagato la dose.»

    Bellucci alzò gli occhi al cielo e si morse la lingua per non rispondere male all’aspirante detective. Un altro che parlava a vanvera, per dirla in maniera educata. Tutti investigatori, in questo paese, tutti medici, ingegneri, esperti della qualunque, a seconda della situazione.

    «Agente, non facciamo ipotesi azzardate» lo redarguì.

    «No, no, ispettrice, lo lasci parlare. Ha ragione. Si coordini con la Narcotici, qui è roba di droga» disse una voce dietro di lei.

    Il sostituto procuratore di turno, Adalberto Cacciarossi si palesò così sulla scena del crimine, accompagnato dall’odore pestilenziale del suo sigaro. Purtroppo, le parole sconsiderate dell’agente gli avevano fornito quello che cercava: la soluzione del caso, comoda, facile, veloce come piaceva a lui. Al cadavere riservò un’occhiata veloce, mentre sull’ispettrice Bellucci concentrò tutta la sua attenzione.

    «Mi ha inteso? Indaghiamo nel mondo della droga.»

    Sandra si limitò a un cenno del capo del tutto neutro, nel senso che non negò e non affermò. La sfortuna era sempre dalla sua parte. Pensava che essere al lavoro di domenica mattina e rinvenire un cadavere in mezzo a una foresta fosse già un full d’assi. Ma trovare Cacciarossi come magistrato di turno era una scala reale di cuori. Lui e il suo sigaro si allontanarono subito, ponendosi al limitare della scena, anche perché era arrivata Nicoletta Frattini, medico legale, che notoriamente non sopportava di avere gente nelle immediate vicinanze mentre lavorava e in particolare chi emanava odore di fumo.

    «Vado a sentire l’uomo che chiamato?» chiese la Borsani.

    «Vengo con te» rispose Sandra.

    Fulgenzio Nardella stava seduto tranquillo su un ceppo, tenendosi vicino uno zaino da funghi color verde militare. L’uomo era piccolo di statura e magro, con il viso scavato dall’età. Ma gli occhi erano vivaci e attenti.

    «Tutt’e due poliziotte?» chiese.

    «Sì. Ispettrice Bellucci e viceispettrice Borsani».

    «Ma chi ve l’ha fatto fare di scegliere un mestiere così?»

    «Me lo chiedo sempre anch’io, signor Fulgenzio» rispose Sandra, la cui capacità di entrare in empatia con le persone era una dote ampiamente sfruttata alla Squadra Mobile. «Li ha trovati, i funghi?»

    Aprì lo zaino, colmo di porcini. «Guardi che spettacolo! I figli si lamentano, secondo quei grulli son troppo vecchio per andare nei boschi. Però poi mangiano» rise. «Ne volete un paio?»

    «No, no, grazie» si affrettò a declinare Sandra, il cui marito riguardo ai funghi era paranoico. «Mi dica cos’ha visto, così poi la faccio accompagnare a casa.»

    «Ho visto la maglia viola e mi sono avvicinato. C’era quel ragazzo… l’ho toccato così» mimò le due dita sulla carotide. «Ma l’era già andato da un paio d’ore.»

    «Quindi l’ha toccato?»

    «Prima ho messo i guanti, son vecchio ma non ancora rincitrullito. Son stato infermiere del Pronto Soccorso tutta la vita, so come s’ha da fare.» Nel rispondere, tolse un paio di guanti di lattice usati dalla tasca. «Ce n’ho sempre un paio pronti, mica che tocchi pulire qualche sudiceria. Abitudine.»

    «L’aveva mai visto quel ragazzo?»

    «Non lo so, la faccia ’un l’ho vista. E da dietro son tutti uguali.»

    Sandra gettò un’occhiata verso la Frattini e vide che aveva girato il cadavere.

    «Se la sente di dare un’occhiata?»

    «Sicuro. Mica c’ho paura. I morti ’un fanno niente. E ne ho visti.»

    Si avvicinarono. Il viso del ragazzo era sporco, con tagli e graffi superficiali dovunque. Ma i lineamenti erano belli, delicati e i capelli erano stupendi, di un biondo scuro qua e là pennellati di una tonalità più chiara.

    Fulgenzio Nardelli scosse il capo.

    «No, non lo conosco. Magari l’avrò visto in giro, se è di qui. L’è un peccato però, morire a quest’età.»

    «Lei ha sentito colpi di arma da fuoco?»

    «M’è sovvenuto prima, intanto che vi aspettavo. Tra le nove e le dieci, ero ancora su nei posti miei… ci son stati tre colpi di fucile. Mi son detto di stare cauto, che qualcuno l’era in giro a caccia.»

    «Tre colpi in rapida successione?» chiese la Borsani.

    «Dipende da cosa la intende lei per rapida. Diciamo che non l’era una mitragliatrice, ma nemmeno un fucile per gli uccellini, via» rispose il vecchietto, che in quanto a intelligenza e riflessi pronti dava dei punti a molti trenta e quarantenni.

    «Sicuro che fosse un fucile?»

    «Per la mia esperienza, sì. E ci sento ancora bene, se lo vuole sapere.»

    Mentre il Nardella andava via, altra gente si stava affacciando lungo il sentiero. Le voci, non si sa come, corrono e la notizia evidentemente era arrivata in paese.

    «Non c’è niente da guardare, andate via» disse l’agente, parole che non servirono a nulla. Addirittura si sentì il suono di un campanello da bicicletta e subito dopo sbucò una mountain bike a tutta velocità. Sopra, un armadio d’uomo che, in prossimità dei nastri di delimitazione, scese in un balzo lasciando la bici a terra.

    «Cos’è capitato?» chiese, in direzione dei poliziotti.

    I tre della Squadra Mobile si avvicinarono. «Lei chi è?» chiese Esposito.

    «Gerri Antonioli, volontario della protezione civile. Mi occupo di questi boschi. Cos’è capitato?»

    «Abita da queste parti?»

    «Sì, sì, sto a Montebeni. Senta, cerco due ragazzi che sono andati a castagne e non sono ancora tornati…»

    «Due?» lo interruppe Sandra Bellucci.

    Anche il volontario era un tipo sveglio. «Ne avete trovato uno?»

    Esposito sollevò il nastro. «Venga con me. Blocca il magistrato, ché quello già se ne sta andando» disse poi, rivolto alla Borsani.

    A mano a mano che si avvicinavano al cadavere, il passo di Gerri Antonioli rallentava. «Ma cosa…?»

    «Stia calmo» lo invitò la Bellucci. «Capisco che non sia facile, ma siamo in presenza di un omicidio e dobbiamo identificare la vittima. Se la sente di aiutarci?»

    L’uomo sembrava imbambolato. «Omicidio? Ma no, allora no, non è possibile… cosa c’entrano i ragazzi con gli omicidi…»

    Quando lo vide, si piegò sulle ginocchia e scivolò seduto a terra.

    «Giuliano…» mormorò soltanto.

    «Se si sente male, si allontani» gli intimò il medico legale.

    «No, no, sto bene. Giuliano… non è possibile. E Giada?»

    Sandra si accucciò al suo fianco. Nella confusione del momento, doveva trarre dalla mente dell’uomo tutto il possibile. Tolse di tasca notes e matita.

    «Giuliano… e il cognome?»

    «Giuliano Astoletti. Il figlio minore dell’amico mio Rodolfo. Diciotto anni, fa la quinta liceo. Madonna mia, che tragedia. Omicidio!»

    «E la ragazza? Sono usciti insieme?

    «Sì. Stamattina alle otto e mezzo, andavano per castagne… Giada Morini, lei c’ha un anno in meno. Abitano tutti e due ai Carpini.»

    «Cioè?»

    «È un complesso di villette a schiera, abbastanza recente» intervenne un agente della pattuglia. «Se volete, vi ci porto.»

    Il magistrato Cacciarossi, che fino a quel momento se ne era stato lì in piedi senza dire né fare niente se non consultare l’orologio ogni mezzo minuto, parve risvegliarsi dal suo torpore e si avvicinò ad Esposito.

    «Mandi le sue colleghe ad avvisare la famiglia. Lei senta la Narcotici, se hanno dei nomi sugli spacciatori della zona. Poi vediamo di rintracciare in fretta la ragazza, avrà qualcosa da dire. Io torno in ufficio.»

    Bellucci e Borsani e si guardarono stranite.

    «Ma è scemo? Abbiamo un ragazzino assassinato e una diciassettenne scomparsa e lui…» chiese la Borsani appena si fu allontanato.

    Il medico legale lo fermò, anche se solo per un attimo.

    «Io farei rimuovere il cadavere» gli disse, con un’ombra di sarcasmo che solo lui non colse.

    «Faccia, faccia» rispose senza girarsi. E se ne andò.

    I detective lo ignorarono e si avvicinarono alla dottoressa.

    «Che ci dice?» chiese Sandra.

    «Due colpi d’arma da fuoco. Dal foro d’entrata posso dirvi che è un fucile di grosso calibro, ma vorrei fermarmi qui per ora. La morte è avvenuta tra le otto e le dieci di stamattina.»

    Il che coincideva con la testimonianza del Nardella.

    Una volta rimosso il cadavere, la Scientifica fece allontanare i colleghi senza troppi riguardi.

    «Andiamo a sentire le famiglie?» chiese la Borsani.

    «Si, andate. Io intanto avviso il capo» rispose Esposito.

    3. Il pranzo della domenica

    Firenze, circa le due del pomeriggio

    Il pranzo della domenica per Margherita era una specie di rito magico. Lo aveva scoperto sua figlia Lorena che, vedendo come si adombrasse quando la famiglia non era al completo, mise in atto le tecniche che usava con i propri pazienti. E così era riuscita a farla confessare.

    «Sono convinta che, se alla domenica ci siamo tutti, ci saremo tutti anche la domenica dopo. Insomma… non sparirà nessuno, ecco. Lo so, è stupido.»

    Stupido ma comprensibile. Quei due anni orribili della sua vita, quando erano morti via via il padre, il marito – assassinato davanti ai suoi occhi – e quindi la suocera e la madre, l’avevano segnata per sempre.

    «Ho perso l’innocenza» diceva di sé. «Prima non pensavo mai alla morte. Ora so che la felicità può finire in un attimo.»

    Lorena Montaldi quell’innocenza l’aveva persa a tredici anni, davanti al cadavere del padre. Tutta la sua vita ne era stata influenzata, a cominciare dal lavoro. Psicologa forense e criminologa, conviveva ogni giorno con tragedie umane piccole e grandi, ben lontane dall’e vissero felici e contenti delle favole. Un lavoro scelto, se ne rendeva conto, nell’illusione di liberare il mondo dal male, o almeno fare la propria parte. Eppure Margherita, anche in quel buio che le aveva inghiottite, le aveva insegnato che la vita è bella. E a vederla ora, nei panni della nonnastra, mentre cullava la piccola Viola, Lori l’ammirava ancora di più, per aver saputo ricostruirsi da zero. Si erano ricostruiti insieme, lei e Fausto, entrambi genitori vedovi e da due famiglie azzoppate ne avevano creata una nuova.

    Margherita si accorse che la figlia la fissava.

    «Perché mi guardi così?»

    «Sei tenera, mamma.»

    «Non ti viene voglia di farne uno anche tu?»

    Eccola lì, non perdeva occasione.

    «Dammi un po’ di tempo, Margherì. Vedi che la convinco.»

    A rispondere era stato Nicola Castano, distraendosi per un attimo dalla briscola domenicale con Fausto.

    «Tu gioca» lo liquidò Lorena. Sì, forse aveva trovato l’uomo della sua vita, forse con lui sarebbe riuscita a vincere la paura di amare qualcuno che poteva sparire in un secondo, come suo padre. Ma da qui a diventare madre c’era di mezzo un oceano. Tanto più che Nicola era un poliziotto e, nonostante lui sostenesse di non correre particolari pericoli come capo di un’unità di squadra mobile, Lorena non stava tranquilla.

    Inoltre si chiedeva se fosse poi così bello avere un figlio.

    Bastava guardarsi attorno, lì sul terrazzo di fronte all’Arno., per porsi mille dubbi. Margherita si godeva Viola, cinque mesi. Giulia, la figliastra numero due, giocava al Lego con il nipotino Andrea, quattro anni. E i genitori dei pargoletti? Sonnecchiavano sul divano all’interno, sfatti da notti insonni mescolate al lavoro.

    «Zia Lori, vieni a giocare con noi» la richiamò Andrea.

    Perché no, si disse. L’impegno manuale l’aiutava a concentrarsi sul lavoro. L’indomani mattina aveva una riunione all’Istituto di Psicologia Comportamentale, indetta dalla dottoressa Blanchard per discutere un caso di cui il collega psicologo dello sport non riusciva a trovare il bandolo. Lorena era preoccupata: conoscendo la professionalità e l’esperienza del collega in questione, il fatto che volesse la sua collaborazione significava una situazione grave e che con lo sport non aveva nulla a che fare.

    Lo squillo del telefono di Nicola interruppe la pace del momento. «Oh, no!» esclamò Lori. Novantanove probabilità su cento che fosse la Mobile. E arrivando nella domenica libera, significava un omicidio, come minimo.

    «Dimmi, Esposito.»

    Seguì il silenzio, inframmezzato da qualche sì e qualche mmm, e alla fine la parola più frequente nel vocabolario del commissario Castano. «Arrivo.»

    Prese il giubbotto, infilò in tasca il telefono. «Mi dispiace, devo andare» disse, rivolto a tutti.

    «Cosa è successo?» chiese Lorena, contro ogni protocollo, perché sapeva che, in teoria, Nicola era tenuto al silenzio.

    «Un omicidio» rispose lui.

    «Vuoi che venga con te?»

    Lorena collaborava con la Squadra Mobile in qualità di criminologa ed era già capitato che si recasse sulla scena del crimine.

    «Per ora non è necessario. Dobbiamo ancora capire di cosa si tratta. Ci sentiamo più tardi.»

    Si chinò a darle un bacio a fior di labbra. Lei si alzò e lo accompagnò

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