Il Sogno
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Info su questo ebook
Racconto surreale, da non credere. O forse si, perché è facile riconoscersi in un personaggio, in una situazione, in un desiderio. La trama è circolare, senza speranza di interruzione, senza il conforto di un orologio che batte il tempo. Ciò che batte forte, invece, è la passione sanguigna di un ragazzo che si lascia beatamente coinvolgere.
In un tempo senza telefonino e senza smartphone ci si doveva accontentare di sognare ad occhi aperti, con la calma di tempi andati, con la curiosità che imbeve ogni momento del giorno e della notte
Lucio Perelli
Siamo nati per lasciare tracce, per comunicare, dunque per scrivere. Oggi più che mai ce n'è un gran bisogno, a tutte le età. Condividere le esperienze e le proprie sensazioni è l'unico modo per non restare soli. Il mio background è tecnico ma sono tanto, tanto curioso. Lucio Perelli nasce a Senigallia, Ancona, nel 1974. Il curriculum è tecnico, ma i confini sono liquidi.
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Anteprima del libro
Il Sogno - Lucio Perelli
Capitolo 1
Ouverture
La Lampara non è un luogo per tutti. Se non hai niente da dire, niente a cui pensare, nessuna per la quale fare propositi di cambiamento; se non hai questo genere di predisposizioni, allora non puoi andare alla Lampara. Me lo ripetevo spesso, lo sapevo bene, io che ho sempre avuto dentro tanti travagli di molte specie; e ne cerco quando sono troppo libero, per sentirmi più vivo e più importante. Si, lo sapevo, ma io alla Lampara non ci andavo così spesso.
Forse perché fuggivo da un luogo troppo intimo. Fuggivo da qualcuno, da qualcosa? Non importa, perché ormai non scapperò più. Tanto non serve, come non serve sforzarsi di non sognare, come è inutile per un passero rimandare il primo tuffo nel vuoto.
Il presidente della Lampara è Susetta; lei cucina e sta in disparte, e sorride. Alfredo è il primo socio; lui serve panini e birre sui pochi tavolini di legno spesso e bruciacchiato. Si diverte e fa divertire, ti alleggerisce l’umore e il portafogli, ma nessuno s’è mai potuto lamentare del servizio. Per salutarlo, per dire male del nostro sindaco, ecco perché volevo passare da Alfredo.
Ad ottobre inoltrato l’aria è già fredda, buia e, quel ch’è peggio, è molto, molto umida. E’ il periodo in cui si sta più vicino ai morti che ai vivi. A volte davanti alle tombe si parla meglio che davanti ad un camino, da soli oppure in compagnia di vicinati di loculo; e loro, i morti, incassano e non rispondono, per fortuna non ancora.
Era ottobre inoltrato, era già terminata l’estate sulle biciclette, i fiori più belli erano già appassiti, un altro anno stava per finire senza botti da ricordaref. Era la fine di tutto quello che poteva cadere sotto i miei sensi. Perché salutare Alfredo in un periodo simile?...
Entrai sul finire della sera.
Non ti sbagli. Quando entri alla Lampara sai già dove sei, anche perché altrimenti non avresti mai potuto trovare il vicolo giusto. La porta d’ingresso, tanto grande quanto sottile, si apre al contrario e ti frega sempre (anomalia dei cardini non voluta); la porta del bagno è tanto stretta da doverci passare per coltello. Non ti sbagli. Non ti sbagli perché solo Alfredo ti tiene un sottofondo di musica jazz, perché solo lui serve con i manicotti di seta, perché sulla lavagnetta dei piatti consigliati c’è sempre la stessa scritta: dolce dalla casa
(ma di quale casa??)
«Ma di quale casa, Alfredo?»
«Della tua, no»
Ecco, c’eravamo salutati.
Alla Lampara c’è un tavolo fatto apposta per due persone, attaccato al muro, vicino alla stufa spenta. In quel punto la luce è particolarmente soffusa e ogni volta che entra qualcuno lì arriva una lingua di corrente fredda che ti morde le caviglie. Per inciso: inutile portare gli stivali: la lingua punterebbe alle ginocchia.
C’era una donna sola a quel tavolo. Era sola, ma si vedeva chiaramente che non c’era posto per nessun altro. Teneva tra le mani una tazza fumante piena di chissà quale tisana, come per scaldarsele. Erano mani robuste, proporzionate alla figura. Le dita lunghe non avevano pieghe rugose e finivano ognuna con un’unghia