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Anteprima del libro
Dodici - Paolo Merenda
Battitore libero
Titolo originale: Dodici
© 2013 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu)
I edizione cartacea febbraio 2013
ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-290-1
I edizione e-book febbraio 2013
ISBN edizione e-book: 978-88-6396-309-0
www.giovaneholden.it
holden@giovaneholden.it
Acquista la versione cartacea su:
www.giovaneholden-shop.it
Paolo Merenda
www.giovaneholden.it/autori-paolomerenda.html
A mio padre.
I’ll take you down the only road I’ve ever been down.
(Ti porterò lungo la sola strada che io abbia mai percorso.)
The Verve, Bitter Sweet Simphony.
Da Urban Hymns, 1997, Virgin Records
Discidium
Sono la piaga e il coltello, lo schiaffo e la guancia;
sono le membra e la ruota, la vittima e il carnefice!
Charles Baudelaire, I fiori del male.
Doveva tenerlo fuori, non poteva lasciarlo entrare.
Giulia aveva captato la sua presenza ben prima di sentirlo bussare, come quando si sente lezzo di putrefazione e subito si cerca con lo sguardo la carcassa di un animale, mezza divorata dai vermi.
Così, nell’avvertire un suono quasi armonico, di metallo contro legno, proveniente dalla porta, era riuscita a mantenere il controllo. Si era precipitata alla finestra dove avrebbe potuto osservarlo, ma riuscendo solo a notare la pioggia incessante e la grossa sagoma, alta forse due metri e molto muscolosa, coperta da uno spolverino che arrivava quasi a terra e un cappello a tesa larga, entrambi neri. In mano stringeva un bastone con il manico a sfera, di cui non era capace di mettere del tutto a fuoco i bordi, che parevano frastagliati. L’acqua che scorreva sul vetro non aiutava affatto.
L’uomo, se tale era, si sarebbe potuto muovere di pochi passi per mettersi al coperto, ma restava lì, incurante della pioggia.
Giulia aveva saputo da quale finestra spiare il nuovo arrivato, eppure l’abitazione continuava a sembrarle sconosciuta. Si spostò verso la porta, mentre percepiva il battito del suo cuore alle tempie. Il temporale infuriava con rinnovato vigore.
Un lampo la fece rabbrividire: C-chi è?
La voce fu coperta dal tuono che sfogava la sua rabbia, ma la risposta giunse ugualmente.
Io sono il nome di ogni goccia che cade nel tuo mare,
giunse dall’altra parte del legno. La temperatura interna le si abbassò di qualche grado, non tanto per la frase, quanto per il tono: basso, roco, ma familiare. Anzi, la frase stessa non le suonava nuova, forse…
Poi la porta si spalancò e poté vedere tutti i particolari, dalla tesa del cappello, che gocciolava acqua, in giù. Rimase pietrificata, comprendendo che il pomo del bastone era la testa di un leone.
Le si gelò il sangue nelle vene: la testa era… viva. Si muoveva. Ringhiava. Un leone argenteo che la guardava malevolo. Voleva urlare, ma non riusciva a farlo, la gola serrata. Cosa era quel posto? E lui? Alzò la testa, anche se temeva di conoscerne l’identità.
Sì, proprio Carmine, il marito. Il pizzetto sottile, i capelli lunghi, gli occhi chiari…
Poi urlò, e in una sola azione si voltò e prese a correre via. Non ebbe tempo di notare, voltandosi, di trovarsi in una giungla.
Cosa diavolo… pensò, poi con l’occhio destro urtò un possente tronco e si trovò lunga distesa a terra. Udì dei passi in avvicinamento mentre tutto si faceva buio.
Giulia si svegliò di soprassalto, la mano di già sulla bocca a reprimere un grido, gesto ormai automatico. Lui non avrebbe apprezzato. Si toccò in modo cauto l’occhio destro. Il dolore non sembrava diminuito. Non era colpa dell’incubo, ma di Carmine, che ora giaceva di fianco a lei nel letto matrimoniale. Il respiro leggerissimo, dormiva a torso nudo per il caldo, pancia in giù, con il tatuaggio di un leone ringhiante sulla scapola sinistra, visibile nonostante la debole luce.
Il suo matrimonio era sempre stato un inferno: il marito, poeta crepuscolare che riscuoteva un discreto successo, spesso la umiliava quando non riusciva a scrivere, il che avveniva sempre più spesso, complice l’uso copioso di alcol, crack e altre droghe. Il pugno all’occhio risaliva a due sere prima, anche se lui non disdegnava più sottili torture psicologiche.
Giulia era ormai esperta di foulard per coprire il collo,
occhiali da sole (che detestava, sopratutto in giornate nebbiose) e altri accorgimenti. Ma adesso le cose stavano per cambiare.
Qualche tempo prima aveva parlato con Luciano, un amico di vecchia data. Luciano lavorava come ricercatore alla Federico II di Napoli, oltre a tenere una cattedra per i corsi di chimica. Le aveva spiegato che: Parlando di veleni, è sbagliato il concetto di sostanza, si deve parlare di dose. Anche un composto vitale come l’acqua, se assunto in modo eccessivo, porta alla morte
.
Sorseggiava del bourbon, seduto nella sua poltrona, le muscolose gambe da calciatore accavallate, rilassato nonostante le interruzioni dei due figli. Essendo l’unico a sapere dei difetti di Carmine, non c’era stato bisogno di scendere in particolari.
Pochi giorni dopo, le aveva preparato una provetta di liquido trasparente: Una goccia ogni sera nel dotto uditivo,
indicò la zona, lo porterà lentamente a morire, senza effetti collaterali che potrebbero tradire il tuo piano. Dato il suo uso di droghe non resteranno tracce significative nell’organismo; attenta però a far sparire ciò che resta, quando servirà potrò occuparmene io
.
Giulia non sapeva cosa avesse preparato, né le interessava. Voleva solo liberarsi del suo incubo peggiore. E non era innamorata di Luciano, come nei più insulsi filmetti d’amore: lui aveva la sua famiglia, mentre lei voleva star sola ed essere serena, pensare a se stessa.
Quasi a esaudire le sue preghiere, si accorse di non sentire più alcun rumore nella stanza. Si girò di qualche millimetro verso il marito, cercò di captare respiri, anche irregolari. Invece nulla.
Era finita.
In un componimento di successo del poeta, Discidium, lo stesso nel quale c’era il verso sentito in sogno, un passo recitava: Non faccio proclami di guerra: la mia lotta inizia quando si spengono le luci. Lo considerava ormai proprio. Dal momento in cui aveva stretto nella mano la provetta, era stata quella la sua condotta: portare avanti una guerra a luci spente. L’occhio sarebbe guarito, poi non ci sarebbero stati altri pestoni, occhiali da sole o sono caduta dalle scale.
Si alzò con calma dal letto e si mise in piedi.
L’ultimo falò
Prendi la mia mano e vieni via, ti porterò lontano.
Litfiba, Univers.
Ehi, guarda chi si vede! Come stai, figliolo?
mi disse il nonno quando aprii la porta. Anche se andavo a visitarlo spesso, ogni volta, se ci fosse stato uno sconosciuto a spiarci, avrebbe pensato che avevo dimenticato di avere un nonno da circa cinque anni.
Io bene, e tu?
risposi. Lui tossì, poi fece segno con una mano il cui significato era che andava tutto bene, relativamente bene. Diedi un occhio al programma televisivo che stava guardando, un gioco a premi: in quel momento un giovane si stava spremendo inutilmente le meningi su una domanda che, se non avevo capito male, riguardava un poeta rinascimentale.
È un incompetente, non sa nemmeno dove è nato,
chiosò il nonno, credendo fossi interessato.
Ma tu parti avvantaggiato rispetto a tutti questi concorrenti,
gli feci notare io. Sapevo che ogni giorno vedeva quel programma, le domande vertevano esclusivamente su scrittori, poeti e altri esponenti della storia della letteratura. Tempo prima, avevo visto una puntata in sua compagnia, e quella sola occasione mi era stata sufficiente per capire che era molto bravo.
Può anche darsi, ma loro hanno cinquant’anni meno di me!
esclamò.
Sì, ma io non metterei sullo stesso piano un giovane acculturatosi per l’occasione con uno scrittore professionista.
Lui mi fissò e sorrise, un bel sorriso, nonostante le innumerevoli rughe che avrebbero dovuto abbruttirlo, e che invece mettevano in risalto il suo sguardo profondo. Si risistemò gli occhiali sul naso e tornò a guardare lo schermo.
Aspettai che il programma fosse finito, sapevo che mancava poco, quasi la stessa certezza con cui capivo che quel concorrente non avrebbe vinto il premio finale. Il giovane, infatti, si arrabattò un altro minuto scarso, mentre sembrava che si fosse innamorato dell’espressione passo.
Quando iniziarono a scorrere i titoli di coda, mio nonno spense la televisione, posò il telecomando e mi fece cenno di sedermi su una comoda poltroncina a pochi passi di distanza da lui.
Allora, figliolo, qual buon vento?
mi