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La vera bellezza
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E-book139 pagine1 ora

La vera bellezza

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Info su questo ebook

Ha sempre cercato la bellezza ovunque e non ha mai capito che per riuscire a vederla deve prima fare luce dentro di sé.
Andrea tenta di guidare Zoe, la sua singolare compagna di stanza, fuori dal suo personale tunnel di ombre e segreti. Lei però fugge, da tutti e anche da se stessa. Dice di essere arrivata dal Nord per inseguire il suo sogno di attrice, in realtà sembra volersi perdere negli angoli più bui della Città
Eterna che la ospita, cercando qualcosa che non la faccia pensare al suo disagio interiore. In questo modo finisce con l’affondare del tutto. Mentre scrive il suo romanzo, Andrea la osserva, la incoraggia, a volte la compatisce… sullo sfondo di una Roma che accetta ogni storia senza giudicare. In silenzio. In attesa.
LinguaItaliano
Data di uscita16 ott 2019
ISBN9788833283579
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    Anteprima del libro

    La vera bellezza - Nadia Nunzi

    Casa

    Primo tempo

    Prologo

    C’era violenza, violenza ovunque.

    Era tra di noi, nelle case che abitavamo, nelle pieghe dei tuoi vestiti, negli oggetti troppo lustri degli altri e nei loro visi altrettanto puliti. Era nella musica che ascoltavi ad alto volume.

    Era nelle strade buie di notte, ma anche nelle stanze cangianti di giorno.

    Era sempre la stessa, in forme diverse, in corpi nuovi.

    Arrivava attraverso occhi stupendi o labbra accattivanti che diventavano velenose.

    Era tra le carezze che cercavi e che si tramutavano in mani invadenti, in dita che si infiltrano.

    Era dentro gli specchi che ti osservavano impotenti, nel tuo rossetto sfacciato e nei soldi che di continuo sciupavi.

    Era nel passato e tornava nel presente.

    Era nella bambina che fosti, dalla quale non volevi staccarti, e di sicuro in ogni tuo vizio.

    Era nei capricci di Caty, che in realtà voleva solo essere ascoltata e amata.

    Era dappertutto e, mentre io la schivavo e lei mi inseguiva, tu, ingenua e delusa, la invitavi.

    C’era e c’è tuttora. In un altro tempo, in altri luoghi, in diversi spazi. Io l’ho osservata, sentita, temuta e forse vinta. Oppure no.

    E tu, chissà.

    1. Andrea

    Era una stanza come tante altre. Anonima, dalle pareti bianche e con pochissimi mobili. Due letti a una piazza erano accostati al muro, separati da un piccolo comodino di scarsa qualità. Accanto a quello sinistro c’era un sottile tavolo di legno chiaro e, davanti, una cassettiera in stile Ikea, opaca e dello stesso colore.

    La proprietaria sapeva che quella stanza non era particolarmente allettante e aveva pensato di lasciarla in penombra, accendendo solo un paio di tea-light profumate, una sul tavolo e l’altra sul davanzale. Le aveva messe in dei bicchierini di vetro color arancio, creando così dei giochi di luce, poi era rimasta in attesa.

    In piedi sulla soglia, mi scrutava ansiosa, tenendosi in disparte per non disturbare il mio brevissimo giro di perlustrazione, preoccupata per il mio possibile rifiuto. Si percepiva il suo timore dal modo frenetico in cui muoveva gli occhi, e anche dal gesto puerile di mangiucchiarsi le unghie, nonostante non fosse una ragazzina.

    «La prendo. Mi sembra buona, anche il costo per me va bene», dissi d’un tratto.

    La vidi spalancare gli occhi scuri ed elargirmi un sorriso dai denti perfetti, ma feci finta di niente. Mi fidavo poco e di certo non stavo facendo un affare, ma ero stanca: di stanze come quella ne avevo già viste molte altre e non avevo più voglia di cercare.

    «Perfetto! Mi fa piacere, vedrai che ti troverai bene. Non è centrale, ma qua sotto troverai i mezzi per spostarti dove vuoi, anche il supermercato è a due passi.»

    Tirò un sospiro di sollievo e si rasserenò. Io mi limitai a sorridere e appoggiai la valigia verde in un angolo, accanto al letto di sinistra, vicino alla finestra.

    Era la prima volta che non mi preoccupavo di portarmi appresso tutte le mie cose. Avevo preso solo il necessario, qualche vestito estivo e il portatile per lavorare. Non ero distante da casa e avrei potuto comprare qualsiasi cosa sul posto.

    Non avere con me molti oggetti mi dava un profondo senso di libertà, ed era esattamente quello che cercavo. Volevo respiri nuovi, lontani dalle solite abitudini, e ispirazione fresca per un progetto accantonato che avevo ripescato dai sogni dell’adolescenza.

    «A proposito, mi chiamo Andrea. Piacere», le dissi, porgendole la mano inanellata. Notai sul suo viso uno stupore ormai conosciuto, e sorrisi.

    «Leonora, ma ormai Nora per tutti, a quanto pare lo preferiscono, forse perché è più corto e le persone tagliano volentieri.» Rise in modo sciocco e mi strinse con forza le dita, osservando le mie unghie curate e trasparenti.

    «Potresti anche usare Leo, no?» la sbeffeggiai con insolita ironia.

    «Leo, certo…» replicò, disorientata. Rise ancora, poi mi annunciò il rientro della mia compagna di stanza, che sarebbe avvenuto di lì a poco. Definì la ragazza particolare ma simpatica, senza soffermarsi sui dettagli, poi chiuse la porta e si dileguò.

    L’idea di avere un’altra persona nella stessa camera non mi rallegrava, avrei preferito di gran lunga starmene per conto mio, soprattutto per concentrarmi, ma mi ero promessa di non oppormi troppo agli eventi e di lasciarli fluire a modo loro, per vederne l’andamento.

    Tirai fuori dalla valigia i vestiti piegati alla meglio e li sistemai nel mobile, aprendo a fatica i cassetti. La fiammella di una delle candele si stava indebolendo e lo stoppino annegava nella cera bollente. Mi avvicinai alla finestra aperta e guardai fuori, in cerca di un panorama che non avrei mai trovato. C’erano solo case e un’infinità di auto parcheggiate ovunque.

    Per vedere il cielo dovevo quasi sforzarmi, e l’inconfondibile odore che mi arrivava dentro era di smog. Lo annusai, lo respirai a mezzi polmoni. Di più non era possibile.

    Avrei dovuto sentire un senso di oppressione per quella mancanza d’aria, eppure mi sembrò di respirare davvero come se non lo avessi fatto da chissà quanto tempo.

    «Benvenuta a Roma, Andrea», mi dissi, e mi sentii leggera.

    2. Zoe

    Quando aprii gli occhi e la vidi, devo dire che mi fece un effetto alquanto insolito. Aspettavo di conoscerla, ma non certo in quel modo.

    Stanca del viaggio, dei pensieri e delle nuove emozioni mi ero addormentata sul letto per un po’, forse solo una trentina di minuti. Il mio sonno era stato leggero, tipico del mio modo di essere, sempre un po’ vigile e mai del tutto rilassato. Proprio opposto al suo, come scoprii in seguito.

    A un certo punto, dev’essere stato il mio inconscio a sentire la presenza del suo sguardo fisso sul mio volto e a consigliarmi di destarmi. Così accadde e quasi ebbi un sussulto alla vista inaspettata dei suoi occhi piccoli e scuri puntati su di me, prima di notare il resto del volto, bianco, rotondo e giovane.

    «Tu devi essere la ragazza simpatica con cui dividerò la camera, giusto?» le domandai.

    «Indovinato. Non vedevo l’ora che arrivasse qualcuno a occupare questo letto vuoto, e anche che ti svegliassi. Iniziavo a sentirmi sola e ad annoiarmi, e poi stare con quell’ossessa tutto il giorno mi manda in depressione.»

    Compresi che si riferiva a Nora. Andiamo bene, pensai. Spero che il mio intuito non abbia fatto cilecca e di non ritrovarmi ben presto chiusa nella gabbia dei matti.

    «Sono una persona abbastanza solitaria, è giusto che tu lo sappia, comunque mi chiamo Andrea e la prossima volta ti pregherei di non fissarmi mentre dormo, d’accordo?»

    L’occhiata che le diedi era forse un po’ troppo severa, perché subito si giustificò: «Scusami, non volevo infastidirti. Ero solo impaziente e cercavo di creare un flusso energetico tra di noi, in modo che ti svegliassi.»

    «Beh, devo dire che il tuo metodo ha funzionato. Il tuo nome?»

    «Zoe, mi chiamo Zoe.»

    Le labbra rosse e carnose sembravano finte e sproporzionate rispetto a tutto il resto. Non seppi mai se fossero autentiche o gonfiate. A volte diceva di sì, altre di no. Sembrava una svampita, ma non una cattiva ragazza, solo una che stonava in qualsiasi posto.

    Scambiai con lei alcuni convenevoli, poi tornai a chiudermi nel mio spazio. Seppur intenzionata a fare nuove esperienze e a conoscere gente, la mia priorità era di portare a termine il mio progetto e non volevo invasioni.

    Sentivo che era il mio momento e non volevo lasciarmelo sfuggire. Stavolta era diverso: Roma, con la sua magia, i suoi colori, i suoi silenzi e le sue insidie mi avrebbe di certo ispirata.

    Dovevo solo portare pazienza e non lasciarmi scoraggiare da nessuno.

    Non in questa occasione.

    3. Leonora

    Nora non ci piaceva. Su questo eravamo d’accordo entrambe.

    Ognuna di noi aveva i propri ritmi e le proprie abitudini, convivere non era sempre semplice. Io, per esempio, adoravo fare colazione da sola, con calma, nel silenzio. Mi piaceva mettere su la moca e aspettare che l’aroma del caffè invadesse l’aria, mettendomi di buon umore. Mi piaceva sedermi in un angolo a mangiare fette biscottate e marmellata o a inzuppare biscotti al cioccolato nel latte di riso, perdendomi nei primi pensieri del mattino.

    Non mi piaceva parlare da subito. Volevo che il momento del risveglio fosse solo per me.

    Anche Zoe era abbastanza taciturna e per questo la sua presenza non m’infastidiva; lasciavo che si sedesse a tavola davanti a me, senza irritarmi.

    Nora invece era l’opposto, sia di me sia di lei.

    Piombava in cucina, la sua cucina, sprizzando gioia da tutti i pori.

    «Buongiorno, ragazze! Dormito bene?» esordiva raggiante.

    Io a malapena rispondevo, abbozzando un sorriso e cercando di non sembrare troppo schiva. Zoe diceva qualche parola di nessuna importanza. Nessuna di noi era intenzionata ad aprirsi davanti a lei. Quando ci ritrovavamo negli stessi spazi l’aria diventava troppo allegra, surreale, e ci veniva spontaneo ritirarci insieme ai nostri segreti.

    Noi stavamo bene anche al chiuso, mentre lei aveva un costante bisogno di aria.

    Apriva le finestre e noi ci ritrovavamo infreddolite. Poi parlava, non sapevamo nemmeno di cosa, e sorrideva, allegra e piena di sé, lasciando nell’aria scie di un profumo troppo dolciastro, che sovrastava quello amabile del caffè. Sembrava che spargesse persino i colori accesi dei suoi vestiti in giro per l’ambiente.

    Era abituata ad alzarsi presto, a farsi una doccia profumata con il suo bagnoschiuma al cocco nel suo bagno personale, dove noi non saremmo dovute entrare mai, nemmeno per sbaglio, né in caso di urgenza.

    Le regole erano chiare e infinite.

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