Il suicidio dell'arciere
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Info su questo ebook
Danilo Di Pinto è nato a Napoli nel 1973. Vive a Roma, dove è attualmente responsabile back office in una società di call center. Ha viaggiato in giro per il mondo come animatore. Il suicidio dell’arciere è la sua prima pubblicazione.
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Anteprima del libro
Il suicidio dell'arciere - Danilo Di Pinto
© 2018 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-567-9235-5
I edizione aprile 2018
www.gruppoalbatros.com
Libri in uscita, interviste, reading ed eventi.
Il suicidio dell’arciere
Il racconto dell’uomo
"- 20 gennaio 2006 -
È lunga 52 cm
Pesa 3,400 kg
E strilla come un’aquila
Ma è la cosa più bella che abbia mai visto"
questo è stato il primo messaggio che alla tua nascita
ho inviato al mondo
A Cristiana la ragione per cui tutto trova una risposta
Cosa ne dici di raccontarmi una storia?
Perché non facciamo al contrario una volta tanto? Perché non la racconti tu?
Perché io non ne sono capace e poi non ne conosco!
Dicono tutti così, poi ne raccontano di fantastiche!!!
Non credo sia il mio caso, ma se vuoi ci posso provare, accomodati pure sul divano e prendi la coperta, fuori sta per piovere, potresti avere freddo.
Bene diventa interessante, avevi detto di non saperne ed ora mi stai preparando per una serata lunga.
Il mio intento è di farti fare un bel viaggio se me lo permetterai. Ora ascolta.
Mi ricordo di una storia che avevo sentito tanto tempo fa e della quale anch’io non ricordo tutto esattamente, ma c’erano delle parti così belle che mi sono rimaste impresse.
Che storia? Racconta!
Raccontarla? Non credo proprio di riuscirci… mi ricordo solo di un luogo fantastico dove tutti i presenti seduti in cerchio, erano pronti a raccontare una fiaba o un’avventura a seconda dei casi.
C’era un bambino, un lupo, un drago, un uomo e una donna, una tartaruga, un elfo ed anche un mago, altri invece più in disparte fissi solo ad ascoltare.
Tutti attorno ad un cumulo di piccoli massi neri, ed un fuoco che scoppietta, tutti intenti ad ascoltare la voce degli altri e a far risuonare la loro nel silenzio di chi ascolta.
In quel luogo tutto era possibile, anche dare la voce a chi non ne aveva.
Le storie che si susseguivano erano bellissime, racconti di amori e lotte, di alberi incantati e fiamme dorate, di combattimenti, tradimenti e grandi passioni.
Tutti narrarono una storia con meticolosa attenzione piena di particolari e dettagli, perché in realtà quelli non erano racconti inventati, ma episodi vissuti sul loro corpo e che risiedevano nella loro anima.
Uno ad uno parlarono nella propria lingua dimenticando falsità e menzogne ritenendo gli altri intervenuti degni di ascoltare.
Si udirono parole nel silenzio della voce di chi non ne possiede e tutti finirono per commuoversi ascoltando la vecchia tartaruga che stanca nel suo incedere non conosce sosta.
Una storia tanto bella e triste, mai fu raccontata, e tutti piansero alla fine.
Perché non mi racconti quella storia? Raccontami la storia della tartaruga!
Non posso! Per capire la sua storia devi ascoltarle tutte.
Ci vorrà molto?
In quel luogo il tempo non conta, se vuoi che ti ci porti adattati a questa regola, solo così potrai vivere pienamente tutto il suo significato.
Inizierò con l’avventura fantastica raccontata dall’uomo.
Chiudi gli occhi e dammi la mano, dimentica quello che conosci e quello che sei, non pensare a cosa hai fatto e cosa dovrai fare, il ticchettio dell’orologio svanisce, il tempo si ferma, ma tu no, non puoi, tu prosegui, ora ti trovi davanti una porta bianca con il pomello in ottone, non ci sono né chiavi né serrature, stringi il pomello, è caldo, ma non ti dà fastidio, è ruvido, usato, vissuto, lo giri, la porta si apre. Le immagini sono sfocate, una quantità di colori e di luci tenui si affacciano, oltrepassi la porta e ti incammini lungo un vialetto, un sentiero che hai percorso mille volte, sei scalzo, la terra sotto di te non ti dà fastidio, avverti ogni piccolo dislivello o imperfezione, non correre, assapora ogni passo lentamente, fai arrivare ogni piccola sensazione fino al cervello, osserva, tutto attorno a te è vivo, colorato, profumato, riempi le narici di gioia, ascolta lo scoppiettare del fuoco, poco più avanti la meta, sono tutti pronti, ti stanno aspettato, guardati attorno, siediti comodo e ascolta.
Un uomo si alza si guarda attorno, poche regole decise dai primi e mai infrante, racconta quel che sai, niente menzogne, solo verità, accetta che questo ti guidi e gli altri capiranno.
«Quello che vi sto per raccontare ha inizio in una terra lontana».
E ora silenzio.
PRIMO CAPITOLO
1
Presagi
Questa domenica non è come le altre!
.
Aleandra continuava a ripeterselo nella mente, come una premonizione a cui non si può dare una spiegazione plausibile.
Continuava a ripeterlo ossessivamente, rendendola sconfitta ancor prima dalla lotta, come un fiume in piena che non dà il tempo di fuggire e che ti sta per investire, continuava a ripetere quelle parole capaci di bloccarla durante i semplici gesti di ogni giorno.
Si aspettava che da lì a poco la risposta le sarebbe arrivata, ma non riusciva a capire quale fosse la domanda.
Fare dei ragionamenti sensati in quello stato di torpore l’avrebbe solo disorientata e fatta innervosire e lei questo non lo voleva, né per sé né per Mark.
L’uomo che in quegli ultimi anni aveva destinato la sua vita alla donna che amava.
Il suo stato d’animo riusciva sempre a contagiare chi le era accanto, ed anche quel giorno aveva ottenuto il suo scopo. Non che lo volesse veramente, ma non poteva fare altrimenti.
Se Mark le avesse chiesto di cosa avesse avuto bisogno, se chiunque in quel momento le avesse fatto una domanda qualsiasi, lei avrebbe risposto gentilmente, «vorrei rimanere sola», ottenendo in modo diretto e cortese la calma necessaria per pensare, ma in quella casa non si sentivano parole, né tanto meno richieste.
Una grande personalità in una donna così fragile è cosa rara, questo bisognava ammetterlo.
Lo si capiva guardandola camminare per le vie del paese che c’era qualcosa di diverso in lei.
A mente lucida ci si chiedeva come fosse possibile, riuscire a tener testa a tutti con un semplice sorriso.
Un sorriso, dal gusto malinconico, che si assaporava dolcemente… un sorriso capace di disarmare chiunque.
Bella e delicata nei movimenti, conquistava l’attenzione dei presenti, ed il suo malessere era un’offesa per chi la conosceva.
Mark non ebbe scampo nemmeno quella volta, voleva scoprire cosa le stava passando per la testa, ma sapeva che la risposta alle sue legittime domande non gli sarebbe stata di aiuto, ormai era abituato ai cambiamenti di umore così strani e repentini della donna che amava, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi.
«È una bella giornata», provò a dire, «perché non andiamo in paese, questa sera ci sarà una grande festa».
Da giorni il paese era in completo subbuglio, un’atmosfera di festa e di gioia inaspettata si era impadronita della vita quotidiana.
La guerra che aveva fatto allontanare dalle case tanti giovani si stava per concludere, una guerra iniziata trent’anni prima e che aveva portato solo la morte di uomini e donne intraprendenti e comuni stava per terminare.
Questa era la voce che girava per le città e i paesi, questo era quello che tutti volevano sentire.
Organizzare una festa era forse prematuro, diceva sottovoce qualcuno, parole dette con la paura nel cuore di un fuoco di paglia, persone umili come le altre, che avevano perso ben più di un familiare.
Ma queste parole pronunciate quasi nel silenzio di una confessione irritavano le orecchie dei presenti e i mal capitati venivano cacciati in malo modo da chi le sentiva, le giudicava e le interpretava come di cattivo presagio.
«Una festa dopo tanta sofferenza è una buona cosa, riscalda i cuori e dà fiducia ed in alcuni casi rimargina vecchie ferite», aveva detto il parroco durante l’ultima omelia.
Parole pronunciate da un uomo saggio e giusto, parole come altre, ma dette in un momento di bisogno.
Aveva anche aggiunto: «Non dimenticate i caduti ed i loro cari che adesso più di allora hanno bisogno dell’aiuto di tutti».
Ma questo non fu ascoltato con lo stesso entusiasmo.
Purtroppo, quelle che giravano erano solo delle voci infondate, la fine di una guerra iniziata circa mille anni prima non poteva avvenire dall’oggi al domani senza aver portato delle conseguenze significative alla vita di ogni singolo abitante della terra.
«Lo sai, si dice che è finita, e le truppe stanno rientrando, perché non esserne contenti».
Parole indirizzate al suo cuore con lo scopo di portare il buon umore ormai dimenticato, ma che non ebbero alcun effetto, se non quello di vederla ancora più triste.
Aleandra abbassò lo sguardo e si allontanò lentamente cambiando stanza.
Mark per un attimo ripeté nella mente le sue stesse parole in cerca di un errore, sapeva di aver detto qualcosa di indelicato e ne rimase mortificato.
Lo sai, si dice che è finita, e le truppe stanno rientrando, perché non esserne contenti.
Una semplice frase, come un semplice fiumiciattolo, poco più di un rigagnolo affluisce nel fiume in piena.
Mark la raggiunse in cucina e provò a dire qualcos’altro, ma Aleandra girandosi di scatto lo interruppe con un cenno della mano.
«Non ho voglia di festeggiare, finché non ci sarà un vero motivo», rispose Aleandra, «credo che resterò a casa».
Solitamente, in quella situazione, cercava un po’ di solitudine, e le sue parole erano dei segnali diretti a Mark, che sempre attento ad accontentare ogni sua richiesta, anche la più velate, uscì di casa ancora frastornato.
«Vado a fare un giro… chissà che non incontri qualcuno», disse aprendo la porta, senza guardarsi indietro.
Mai parole furono dette con maggiore verità.
Aleandra lo salutò con un sorriso, un sorriso che lui non poté vedere perché ormai di spalle, ma che sentì arrivargli sulla schiena rendendolo più tranquillo.
La donna lo seguì sul porticato per osservarlo andar via.
Il suo compagno era un grande cavallerizzo e solo vederlo in sella era un piacere del quale non si voleva privare.
Lo strepitio degli zoccoli del cavallo ormai lanciato al galoppo andava pian piano sparendo ed anche la nuvola di polvere alzata si stava diradando.
Dopo pochi minuti il silenzio divenne padrone, Mark era lontano, solo la sua sagoma in lontananza continuava a farle compagnia ed Aleandra ormai sola rientrò in casa per dirigersi in salotto.
I pensieri iniziarono a trasformarsi in vere e proprie ansie, ed anche il cuore iniziò a battere ad una velocità incontrollata, un moto di inquietudine le rese quel momento interminabile.
Si alzò per versarsi della tisana in una tazza di coccio rosso e si sistemò comodamente sul divano.
Distrattamente poggiò la mano sul bracciolo del divano e con le punte delle dita iniziò a giocare nervosamente con l’orlo del telo che lo ricopriva.
Il telo verde fatto di tessuto leggero e contornato da un orlo fatto a mano era un regalo della madre.
Non poteva e non doveva rovinarlo per delle idee che non avevano corpo.
Seduta cercava un po’ di tranquillità, l’infuso, appena preparato, fumava nella tazza poggiata, sul suo bel tavolino di vimini, posto davanti al divano.
«Ogni cosa deve essere ragionata», era solita dire, «dobbiamo pensare all’utilità ed alla bellezza allo stesso modo… niente colpi di testa», aveva impiegato quasi un mese per trovare quello che cercava e da quel giorno ogni volta che lo vedeva, un sorriso la coglieva impreparata, ma soddisfatta.
Aveva deciso il posto che riteneva perfetto dopo tante prove, e le espressioni di Mark all’ennesimo spostamento erano talmente buffe da rendere tutto ancora più speciale ed indimenticabile.
Mai aveva immaginato che un semplice tavolino fosse così importante in una stanza, ma lui non poteva che restare in silenzio cercando di capire e di soddisfare le richieste di Aleandra.
Ora però, seduta, non vedeva altro che i campi sterminati di là dalla finestra.
Momenti come quelli purtroppo erano aumentati da