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Il libro dei misteri: 100 enigmi della natura e arcani della storia
Il libro dei misteri: 100 enigmi della natura e arcani della storia
Il libro dei misteri: 100 enigmi della natura e arcani della storia
E-book296 pagine3 ore

Il libro dei misteri: 100 enigmi della natura e arcani della storia

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Il mistero è il motore occulto della vita dell’essere umano. L’elemento che la rende affascinante, non ordinaria, inaspettata. Nel bene e nel male. Perfino oggi, in un’epoca in cui progresso e tecnologia sembrano aver azzerato i lati oscuri dell’esistenza, permangono zone d’ombra che aspettano di essere illuminate. In questo libro sono raccolti e raccontati i più impenetrabili e inquietanti misteri che hanno accompagnato il cammino dell’uomo moderno, da quelli naturali al paranormale, dagli enigmi del passato a quelli della cronaca nera contemporanea: rompicapo archeologici, fenomeni scientifici, delitti irrisolti, eventi inspiegabili, creature misteriose, voci che sussurrano nel buio. Dalla scomparsa di Atlantide ai segreti della foresta di Hoia Baciu, dallo Yeti al ronzio di Taos Hum, dal cuneo di alluminio di Aiud ai poltergeist, dalle pietre di Bimini alla Sacra Sindone, dal Triangolo delle Bermude all’uomo di Sommerton, dall’enigma delle luci galleggianti alle testimonianze su zombi, diavoli, streghe, vampiri, lupi mannari e “popoli segreti”, fino agli orrori (umani) del Mostro di Firenze. Cento inquietanti misteri, suddivisi per comodità di consultazione in quattro sezioni, risolti e irrisolti.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita6 giu 2024
ISBN9788836164073
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    Il libro dei misteri - Robert K. Blacksmith

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    Robert K. Blacksmith

    IL LIBRO DEI MISTERI

    100 enigmi della natura e arcani della storia

    Introduzione.

    L’affascinante racconto dei più grandi enigmi della storia

    La parola mistero, dal greco mystérion e dal latino mystéryum, ha diversi significati. In origine, per i greci, si riferiva alla pratica di «culti o riti segreti», a «dottrine iniziatiche», per lo più religiose. Per la teologia cristiana, si tratterebbe di verità soprannaturali che non possono essere spiegate razionalmente (eppure noi ci proveremo). In senso più ampio, come da dizionario, il termine mistero ha assunto nei secoli il significato di fenomeno inspiegabile e oscuro. Insomma, tutto ciò che non può essere inteso, penetrato o spiegato chiaramente, e che appunto per questo attrae o esercita un certo fascino, è riconducibile a questo concetto. Più genericamente, mistero è «ogni cosa, fatto o avvenimento che risulti oscuro, inspiegabile, nascosto».

    L’essere umano è storicamente attratto e al tempo stesso respinto dai misteri, dagli enigmi e da tutto ciò che appare oscuro, insondabile, incomprensibile. Da qui il successo dei libri e dei film imperniati intorno a qualche mistero impenetrabile. Gialli, thriller e horror continuano a incontrare i gusti del pubblico di ogni età e condizione sociale. Si direbbe quasi che non ci sia nulla di più affascinante di un bel mistero da risolvere. Certo, quando ci rendiamo conto che la soluzione appare quasi impossibile ci sentiamo frustrati. Ma non esiste un mistero che alla lunga non possa essere chiarito per via razionale. Molto spesso si tratta di non demordere, di insistere: se ora la soluzione appare lontana, non è detto che in futuro, disponendo di nuove tecnologie, di nuove prove, di nuovi riscontri, non saremo in grado di venirne a capo, come è già successo molte volte nel corso della storia.

    Personalmente mi sono sempre appassionato ai misteri di ogni tipo, da quelli scientifici a quelli storici, dai misteri naturali a quelli psichici. È per questo che ho deciso di mettere mano alla realizzazione di questo libro.

    È il mistero in sé ad attrarmi. Avete mai pensato a cosa sarebbe il mondo senza misteri? «Non si può adorare che l’ignoto» diceva un antico filosofo. Per alcuni il mistero è un muro, per altri un orizzonte. Per molti il mistero è qualcosa che deve restare tale. Dopotutto il più grande mistero siamo noi. È ciò che nessuno sa di noi a renderci ciò che siamo, non credete? Il mistero, dopotutto, non va svelato, semmai infittito. «È il mistero a conferire fuoco e fiamme a ogni nostra parola» scriveva il grande romanziere tedesco Thomas Mann.

    In questo volume vi racconterò alcuni tra i più affascinanti e inquietanti misteri della storia, da quelli naturali a quelli scientifici, dai misteri del paranormale e quelli della cronaca nera e del quotidiano. Misteri del passato e misteri del presente, enigmi storici, sbalorditivi fenomeni naturali e scientifici, delitti irrisolti, eventi inspiegabili, creature misteriose, voci che sussurrano nel buio. Dalla scomparsa di Atlantide ai segreti della foresta di Hoia Baciu, dallo Yeti al ronzio di Taos Hum, dal cuneo di alluminio di Aiud ai poltergeist, dalle pietre di Bimini agli Ufo, dalla Sacra Sindone alla reale natura di vampiri e lupi mannari, dall’uomo di Somerton all’enigma del cosiddetto Popolo del Segreto. E poi ancora indagini sullo spiritismo, sui cerchi nel grano, sul Triangolo delle Bermude, su Stonehenge, sul mostro di Lochness e sui più celebri casi polizieschi di tutti i tempi. Oltre cento inquietanti misteri, di cui la maggior parte tuttora irrisolta. Una straordinaria finestra affacciata sull’ignoto che vi farà palpitare il cuore e che aprirà a inquietanti interrogativi sulla nostra storia, sul nostro destino e sulla vera natura del mondo e della realtà.

    Naturalmente, nel corso del libro ho cercato di affidarmi al massimo grado di razionalità possibile, senza mai lasciarmi prendere la mano da teorie fumose e inverosimili, complottistiche o anti-scientifiche, pur considerando che, spesso, miti e leggende nascondono un fondo di verità storica e i cosiddetti fenomeni paranormali presentano quasi sempre risvolti scientifici o connessi al mondo naturale. Da qui la difficoltà di ogni tentativo di catalogazione. Resta infatti da accennare ai criteri con cui ho organizzato il libro, suddividendolo in quattro sezioni: Enigmi storici, Miti e leggende con un fondo di verità, Scienza, natura e paranormale, Misteri della storia giudiziaria e della cronaca nera.

    Si tratta di una suddivisione ovviamente in parte arbitraria, che mette insieme cose molto diverse. Nella scelta di incasellare una vicenda in una sezione o nell’altra mi sono però affidato a quelli che di quella storia mi parevano gli elementi di verità prevalenti, o comunque le strutture portanti. Avrei potuto operare naturalmente scelte diverse, ma credo che, in definitiva, il criterio sia funzionale a una efficiente fruizione del libro da parte dei lettori.

    Buona lettura, dunque.

    Parte prima.

    Enigmi storici

    Il cuneo di alluminio di Aiud

    Nel 1974, a un paio di chilometri da Aiud, in Romania, viene ritrovato uno strano oggetto di alluminio a forma di cuneo, presto ribattezzato cuneo di Aiud. Con la sua forma triangolare, un lato convesso e uno concavo, somiglia alla testa di un martello. Il cuneo di metallo è lungo venti centimetri, largo dodici e spesso sette. Inizialmente si era ritenuto fosse l’estremità di un’ascia, ma poi l’ipotesi è stata accantonata. In realtà nessuno ha idea di che cosa sia, né di chi lo abbia fabbricato o a quando risalga.

    L’oggetto è stato ritrovato assieme alle ossa fossilizzate di due mastodonti (ma questo punto in seguito è stato messo in discussione), animali simili ai mammut vissuti undicimila anni fa. Una squadra di operai stava scavando un canale per l’irrigazione in una miniera di carbone lungo le rive del fiume Mures quando, a circa dieci metri di profondità, sotto strati di sabbia, si è imbattuta in qualcosa di dura e imperforabile. Il reperto è stato consegnato agli studiosi del Museo di storia di Cluj-Napoca, in Transilvania, ma il riconoscimento e la datazione si sono rivelati da subito problematici. Innanzitutto per via del materiale di cui è fatto. La prima lega di alluminio, per realizzare la quale servono temperature elevatissime (almeno 600 gradi), risale difatti al 1808. E così si sono levate le prime voci di chi sosteneva che non potesse che provenire dallo spazio (secondo alcuni incauti ingegneri si sarebbe trattato nientemeno che del carrello d’atterraggio di un’astronave aliena!). Gradualmente le polemiche si sono sopite e il manufatto è finito negli scantinati del museo. Fino a quando, vent’anni dopo, un ricercatore ungherese, tale Boczor Iosif, redattore di una rivista del paranormale, lo ha riportato all’attenzione del pubblico con alcuni azzardati articoli. A dargli man forte hanno provveduto gli studiosi del Centro di ricerche e design di Magurele, sempre in Romania, sostenendo la provenienza aliena del manufatto. E tutto questo mentre altri si affannavano a negare l’autenticità del cuneo, affermando che si sarebbe trattato di un oggetto contraffatto (a dimostrazione di ciò ci sarebbero alcuni difetti di ossidazione, la quale risulterebbe troppo disomogenea per essere vera). Tra le varie ipotesi circolate, anche quella che si trattasse di parte di un aereo utilizzato durante la Seconda guerra mondiale. O che fosse il dente di un vecchio escavatore.

    Qualcuno ha fatto notare che il manufatto non può aver viaggiato nello spazio per giungere sulla terra attraversando l’atmosfera, altrimenti le alte temperature a cui sarebbe stato sottoposto (oltre 7000 gradi) avrebbero fuso il materiale di cui è composto. Certo, l’oggetto potrebbe essere stato creato da una civiltà aliena e poi abbandonato sulla Terra, si è detto. O anche da una civiltà umana piuttosto avanzata (che avrebbe usato un processo di fusione al plasma), in seguito scomparsa. Il materiale di cui è composto potrebbe anche essere stato in origine tutt’altro, poi trasformatosi in alluminio in seguito all’impatto di un asteroide che avrebbe generato temperature estremamente elevate causando la fusione degli elementi presenti nel terreno e producendo la lega metallica rivenuta nel cuneo. Insomma, tutto è possibile.

    A un esame più approfondito, nella composizione del manufatto sarebbero presenti, oltre all’alluminio (in una percentuale del 90 per cento), altri metalli: silicio, rame, zinco, piombo, stagno, zirconio, cadmio, nichel, cobalto, bismuto, argento. La quantità di ruggine che lo ricopre sembrerebbe spostare indietro la datazione fino al 18.000 a.C., epoca che coinciderebbe, secondo alcuni, con l’età dei vimana, termine che in sanscrito indica un generico oggetto volante. In alcuni testi sacri e poemi epici indiani, quali il Vaimanika Shastra (Scienza dell’aeronautica), il Ramayana e il Mahabharata, macchine e carri volanti vengono descritti nei particolari, specialmente per quanto riguarda il loro uso nelle guerre. Secondo le descrizioni contenute in questi testi, i vimana erano in grado sia di volare nello spazio che di immergersi sott’acqua. Nel Vaimanika Shastra, in particolare, oltre a una minuziosa descrizione di questo tipo di velivoli, vi sarebbero precise indicazioni su come istruire e alimentare un pilota in volo, sulle fasi del decollo e sulle piste di atterraggio. I vimana, se mai fossero realmente esistiti, avrebbero dunque volato fino in Romania? Il mistero s’infittisce. In attesa che venga risolto potete visitare il Museo di storia di Cluj-Napoca, dove è tuttora esposto. Ne vale la pena.

    La tragedia del passo Djatlov

    È notte fonda, fa freddo, una spessa coltre di neve ricopre ogni cosa. Nove escursionisti impegnati nella scalata del monte Otorten, situato nella regione nord degli Urali, in Russia, verso le 17 hanno allestito un campo per la notte su un pendio ghiacciato ai margini del bosco, e cenato verso le 19. È il 2 febbraio del 1959, e quell’area è conosciuta come montagna dei morti, ma dopo quanto sta per accadere verrà ribattezzata passo Djatlov.

    I ragazzi hanno un’età compresa fra i ventuno e i venticinque anni (a parte Zolotarëv, il maestro di sci che guida la spedizione, che ne ha trentotto), e sono tutti esperti escursionisti e sciatori provetti. Si sono messi in viaggio il 25 gennaio, prima in treno fino a Ivdel, e poi da lì alla volta di Vizhai a bordo di un camion, giungendo alle pendici del monte Otorten il 27 gennaio. Si tratta per lo più di studenti dell’Istituto Politecnico degli Urali che hanno deciso di intraprendere un’escursione in parte a piedi e in parte con gli sci di fondo. Tra loro anche due ragazze.

    Dopo aver attraversato laghi ghiacciati e immense distese di neve, il primo febbraio i giovani escursionisti iniziano la scalata vera e propria, alternando pezzi a piedi e pezzi con gli sci. L’idea di raggiungere il versante meridionale del monte viene presto accantonata a causa di un’improvvisa bufera di neve; il gruppo è quindi costretto ad accamparsi nel fianco ovest del monte Cholatčachl, in una zona chiamata Khola Syakhi, che nel dialetto locale significa montagna dei morti.

    Le pellicole ritrovate in seguito mostrano – fino a quella infausta sosta – una comitiva felice ed euforica, in un paesaggio semplicemente incantato.

    A un certo punto, tra le 22 e le 23, si sentono delle grida, la tenda viene squarciata e abbattuta con furia dall’interno dai ragazzi, come se qualche grave pericolo li avesse terrorizzati e indotti alla fuga e a disperdersi nei boschi senza cappotti, scarpe e provviste.

    Per molti giorni non si hanno notizie della spedizione, i genitori dei giovani iniziano a preoccuparsi e denunciano la loro scomparsa. Il 20 febbraio iniziano le ricerche da parte della polizia e dell’esercito, alle quali partecipano anche squadre di studenti del Politecnico. Vengono impiegati elicotteri e aerei: il 26 febbraio viene rivenuta la tenda, ormai vuota e distrutta.

    I primi due corpi vengono ritrovati ai margini della foresta, a circa cinquecento metri dalla tenda, sotto un grande cedro, accanto ai resti di un fuoco ormai spento. I corpi sono nudi, fatta eccezione per le mutande. Altri tre cadaveri vengono avvistati a poca distanza, come se avessero tentato prima di fuggire da qualche pericolo immediato, e poi di fare ritorno alla tenda. Sembrano tutti morti per congelamento.

    Solo dopo un paio di mesi di ricerche vengono ritrovati gli ultimi quattro cadaveri, sepolti sotto uno spesso strato di neve in fondo a una gola, tutti con gravi fratture al cranio e la cassa toracica sfondata, come se una grossa automobile vi fosse passata sopra. A una delle ragazze mancano gli occhi, la lingua e parte della mascella. Ma nessuno presenta segni di escoriazioni esterne. Nella gola vi sono però tracce di rottami metallici non meglio identificati. Qualcuno ha parlato di residui di missili del tipo R-7, e la cosa sarebbe confermata da un altro gruppo di escursionisti presenti in zona, che in seguito riferì di scie luminose arancioni che quella notte avrebbero attraversato il cielo proprio sopra quei boschi.

    Oltre a quelle dei ragazzi non vi sono altre impronte nei paraggi e nemmeno segni di lotta. I loro vestiti, però, a un primo esame rivelano alti livelli di contaminazione radioattiva. Il fatto che siano stati ritrovati senza vestiti, nonostante temperature comprese tra i -25 e i -30 gradi, può essere spiegato con il fenomeno del cosiddetto spogliamento paradossale, ovvero la tendenza a denudarsi da parte di soggetti in stato di grave ipotermia. Lo spogliamento paradossale rappresenterebbe l’ultimo tentativo disperato del corpo di sopravvivere al congelamento ed è quasi immediatamente accompagnato da incoscienza e morte. Quanto alla contaminazione, si ritiene che quella zona fosse da tempo coinvolta in esperimenti militari segreti. I ragazzi potrebbero essere stati ritenuti una minaccia e quindi soppressi.

    Questa, però, la ricostruzione più probabile.

    Tra le 21.30 e le 23.30 i ragazzi scappano fuori dalla tenda spaventati da qualcosa che ai loro occhi rappresenta una seria minaccia: il rumore di una valanga in arrivo o di un piccolo tornado? L’attacco da parte di uno Yeti siberiano? Oppure dei razzi sparati nella loro direzione? Qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi di una segreta arma sovietica sperimentata in quei boschi. Sia come sia, lanciatisi lungo un pendio, i giovani raggiungono un grosso albero di cedro al riparo del quale cercano di accendere un fuoco. Due di loro provano ad arrampicarsi sull’albero per riuscire a vedere che cosa stia accadendo al di là della tempesta di neve, e sono i primi a morire per ipotermia. Altri quattro tentano a quel punto di fare ritorno al campo ma il gelo li colpisce prima che possano riuscire nell’impresa. A quel punto, i quattro superstiti probabilmente spogliano i compagni morti per proteggersi dal freddo e si incamminano in cerca di un luogo più riparato, finendo però per precipitare in una gola scavata da un torrente, dove la morte sopraggiungerà in parte per i traumi riportati e in parte per il freddo. Gli animali del bosco faranno il resto. Zolotarëv è stato probabilmente l’ultimo a morire.

    Per tre anni quell’area verrà interdetta alle escursioni e l’inchiesta si chiuderà con un nulla di fatto, escluso peraltro un attacco da parte dei Mansi, la popolazione che vive da tempo immemorabile in quella regione in uno stato di quasi totale isolamento.

    Nel 2019, su richiesta dei parenti delle vittime, l’inchiesta è stata riaperta ed è giunta a una conclusione: l’ipotesi più probabile è quella di una valanga che avrebbe sorpreso i giovani durante la notte mentre dormivano, anche se il versante sopra di loro ha un’inclinazione troppo bassa per consentire a una consistente valanga di formarsi. Ma i giovani potrebbero aver male interpretato i segnali, perdendo la testa ed esponendosi al gelo, che alla fine sarebbe stato la vera causa della loro morte.

    Questa sinistra vicenda è stata mirabilmente raccontata in un film del 2013 diretto da Renny Harlin, Il passo del diavolo (Devil’s Pass), girato come un falso documentario e ambientato ai giorni nostri. Il regista si è documentato presso gli archivi governativi di Mosca e gli esterni sono stati girati nel nord della Russia.

    La macchina di Anticitera

    Ecco un altro celebre oggetto che esiste a dispetto del fatto che non potrebbe esistere e appartenente dunque alla categoria degli oggetti fuori posto. Stiamo parlando della macchina di Anticitera, un curioso manufatto rinvenuto nel 1900 da alcuni raccoglitori di spugne immersisi al largo dell’isoletta di Anticitera, nell’Egeo. I raccoglitori avvistarono un relitto in fondo al mare, scesero per esplorarlo e scoprirono al suo interno, tra le altre cose, un oggetto di bronzo di forma rettangolare delle dimensioni di circa trenta centimetri per quindici, e spesso quattro, ricoperto da incrostazioni di corallo. Riportato in superficie e ripulito, vennero alla luce alcune iscrizioni sulla sua superficie. Numeri, date, calcoli, formule, frasi. Fattolo analizzare, si scoprì che l’oggetto risaliva ad almeno duemila anni fa. Fu consegnato alle autorità e trasferito nel Museo archeologico nazionale di Atene. Una cinquantina di anni dopo venne eseguito un esame più approfondito, con tanto di scansione ai raggi X, che rivelò al suo interno un complesso meccanismo di rotelline dentellate a incastro collegate fra di loro in un delicato gioco di equilibri. Gli studiosi compresero che doveva trattarsi di un modello piuttosto evoluto di antica calcolatrice, o meglio ancora di un’elaborata macchina astronomica utilizzata per misurare i movimenti del sole e della luna, le eclissi, le lunazioni, il moto dei pianeti e altri fenomeni celesti. Il manufatto avrebbe anche svolto, secondo i ricercatori, le funzioni di calendario meccanico, allo scopo probabilmente di tenere il conto delle ricorrenze legate alle Olimpiadi. Più in là non ci si è spinti con le ipotesi, almeno finora.

    Trattandosi di un congegno meccanico ritenuto troppo evoluto per l’epoca, qualcuno – naturalmente – si è subito avventurato in arrischiate supposizioni, ipotizzando una sua possibile provenienza aliena, ma ovviamente senza serie prove a sostegno. Un altro mistero che attende da tempo una soluzione.

    La strada di Bimini

    Il 2 settembre 1968, durante un’immersione a nord-ovest dell’isola di North Bimini, alcuni sommozzatori – Joseph Manson Valentine, Jacques Mayol e Robert Angove – s’imbattono in qualcosa di sorprendente: un’ampia pavimentazione di pietre rettangolari e opportunamente smussate che sembrerebbe costituire una vera e propria strada sottomarina diretta nelle profondità, verso chissà dove. E subito, ai tre sorge spontanea una domanda: e se questa strada conducesse a un’antica città perduta, sprofondata negli abissi? E se si trattasse del celeberrimo continente perduto di Atlantide?

    L’ipotesi è tanto suggestiva quanto poco realistica, dal momento che quello di Atlantide è soltanto un mito diffuso da Platone e niente più (almeno così pare). Inoltre, la presunta pavimentazione potrebbe essere semplicemente una formazione rocciosa naturale, anche se a vederla pare piuttosto un manufatto.

    La strada, che come dicevamo si snoda al largo di Bimini, atollo facente parte di un gruppo di isole riconducibili alle Bahamas e situate a ottanta chilometri a est di Miami, si dipana a circa sei metri di profondità ed è lunga mezzo chilometro. È composta da blocchi di roccia di forma rettangolare arrotondati fino a quattro metri di lunghezza che sembrano culminare in un gancio e che assumono l’aspetto, nel loro insieme, di un’antica via di comunicazione, sospesi su pilastri quadrati quasi come fossero una strada sopraelevata, ma che ovviamente potrebbero anche essere il risultato di una formazione geologica naturale. Parallelamente a essa corrono due percorsi più stretti e brevi che sembrano seguirne l’andamento fino al punto in cui il ramo principale compie un’ampia curva.

    Al momento della sua scoperta, come si è detto, si è subito pensato a una via che conducesse alla perduta Atlantide, anche perché le Bahamas si trovano sul lato sudoccidentale del cosiddetto Triangolo delle Bermude, un’area al centro di fenomeni fisici non del tutto spiegati e che potrebbero rendere conto della scomparsa repentina di una civiltà come quella di Atlantide, se mai fosse esistita.

    Molto probabilmente, però, si tratta di un mero prodotto naturale determinato dal sedimentarsi di rocce calcaree, frammiste

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