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E-book182 pagine2 ore

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Fantascienza - racconti (139 pagine) - Dodici gemme in cui gli abissi della conoscenza umana sono scandagliati nel profondo. Oltre ogni immaginazione.


La fantascienza è abituata a guardare il mondo da prospettive insolite. Chi la scrive cerca nuovi orizzonti, scorci differenti, panorami straordinari. Un po’ come fa la filosofia, che per indagare il reale ha bisogno di un approccio critico, di porre domande inconsuete e alle volte disturbanti.

È forse per questa radice comune che la fantascienza viene spesso definita narrativa speculativa, testimoniando una naturale predisposizione a sondare gli interrogativi che riguardano l’uomo e il suo rapporto con la realtà. Non si tratta solo di comprendere come il futuro e gli sviluppi della tecnologia potranno modificare la natura stessa dell’essere umano. Come dimostrano i racconti presentati in questo volume, la fantascienza spinge la mente fino ai confini del sapere, invitando il lettore a mettere in dubbio il senso della propria percezione, i confini tra sogno e realtà, la natura inanimata delle macchine o addirittura il fatto che la creazione appartenga solo a Dio.

Dodici racconti in cui la storia della fantascienza dialoga con voci emergenti.

Dodici storie che mostrano una nuova vena aurifera della SF italiana, quanto mai viva e pulsante.

Dodici gemme in cui gli abissi della conoscenza umana sono scandagliati nel profondo. Oltre ogni immaginazione.


Andrea Tortoreto, nato a Terni, è Dottore di ricerca in Filosofia e scienze umane.

Nel 2018 ha conseguito l’ASN come associato in Filosofia morale e Filosofia teoretica. Oltre a monografie e saggi accademici ha pubblicato racconti di fantascienza sulla Writers magazine Italia e su Il magazzino dei mondi e Il magazzino dei mondi 2.

LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2018
ISBN9788825407150
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    Anteprima del libro

    Iperuranio - Andrea Tortoreto

    2.

    Introduzione

    di Andrea Tortoreto

    La fantascienza (science fiction) è strettamente legata alla speculazione, al punto che viene spesso definita anche narrativa speculativa (speculative fiction). Proprio questo aspetto viene messo in luce in molti famosi tentativi di definire questo genere, accanto all’ovvio rapporto con il progresso scientifico. Ricordandone solo due, ben noti agli appassionati, quanto detto emerge con chiarezza. Se Hugo Gernsaback, il primo, mitico direttore di Amazing Stories, parlava infatti del racconto di fantascienza come di un «affascinante romance intimamente mescolato a dati scientifici e visioni profetiche», Isaac Asimov sosteneva che «la fantascienza è quel ramo della letteratura che si occupa dell’impatto del progresso scientifico sugli esseri umani».

    La scienza, dunque, e l’uomo, il suo destino, il suo posto nel cosmo, la sua natura intima. Andando oltre l’annoso dibattito circa la possibilità di fornire una definizione univoca di tale genere narrativo, emerge con chiarezza la vocazione filosofica della fantascienza. Il tentativo di indagare la realtà che caratterizza quanto meno una vasta fetta della science fiction. Non appare dunque un caso che Philip K. Dick, uno tra gli autori più acclamati, si definisse «narratore-filosofo», poiché considerava domande quali «Che cos’è la realtà?» e «Che cosa caratterizza l’essere umano?», come le esigenze primarie alle quali la propria narrativa tentava di rispondere.

    Su queste convinzioni si basa l’idea che sorregge il volume che vi apprestate a leggere. Un’idea forse un po’ folle; vedere cosa può produrre la fantascienza speculativa in Italia. Mirando dritto al cuore dell’esterofilia che purtroppo ancora ammorba la narrativa fantascientifica, alle volte per cecità dei lettori, altre per un retaggio culturale ormai anacronistico, dalla folle idea è scaturito un volume sorprendente, vivo, variegato e incredibilmente attuale.

    Accanto ad autori che hanno fatto la storia della fantascienza, trovano spazio scrittori emergenti e giovani che dimostrano la vitalità e la forza della narrativa speculativa nel nostro paese. Il lettore potrà così riscoprire delle perle ormai introvabili, ma anche meravigliarsi dinnanzi a nomi nuovi che, dopo averlo divertito, lo lasceranno con una moltitudine di domande e spunti di riflessione.

    Una serie di racconti stimolanti, sostenuti da stili differenti eppure guidati dal medesimo rigore, che rimandano una moltitudine sorprendente di immagini del futuro. D’altro canto, proprio lo stupore e la sorpresa costituiscono il pane quotidiano tanto del narratore quanto del filosofo poiché, come insegnano gli antichi, senza la meraviglia non sorgono le domande e, quindi, le idee.

    Non resta che iniziare il viaggio verso le mille possibili declinazioni del futuro e la varietà di cambiamenti che l’umano potrebbe trovarsi ad affrontare all’interno di società e mondi diversi, dove i concetti oggi ovvi potrebbero non essere più tali.

    Buona lettura.

    La verità della farfalla

    di Claudio Costa

    Nella vita, l’essere umano dorme, e da sveglio, passa il tempo a sognare.

    «Chuang Tzu in sogno divenne una farfalla, e la farfalla divenne Chuang Tzu al risveglio. Chi era vero? La farfalla o l’uomo?»

    L’idea del racconto nasce da questa domanda posta da Chuang Tzu, filosofo mistico vissuto in Cina nel 4° secolo A.C. che sviluppò le idee di Lao Tzu, fondatore del Taoismo.

    Non si può essere in armonia con la natura usando il raziocinio, perché solo con un’illuminazione mistica individuale è possibile intuire la vera natura del Tao: quello che è costruito dall'uomo causa il male dell’uomo, quello che arriva dalla natura è felicità.

    L'uomo che rinuncerà alle brame terrene, alla fine della Via, troverà la risposta alla propria esistenza, dubitando della stessa esigenza della domanda.

    La vita è solo illusione, un battito di ali di farfalla nella trasformazione e nella successione di nuove forme d’energia.

    Il primo degli elementi fondamentali è il Tao; il secondo è il clima; il terzo è il terreno; il quarto è il comando; il quinto è la dottrina.

    Sun Tzu, L’arte della guerra

    Habitat Mirabilia. Scanner infrarosso: rilevazione movimento. Amplificazione suono. Insetti. Alberi. Prati. Fiori. Detriti. Vetrata cupola serra 967: prossima al collasso. Presenza contaminazione virale aerea.

    I dati erano immobili in sovraimpressione sul visore di Raiko. Respirò dal boccaglio d’emergenza e maledisse per l’ennesima volta se stessa per aver accettato l’offerta dei Mecho in cambio di un arto bionico. Sotto le luci del casco, brandiva il mitragliatore con la mano sana.

    Spostò lo sguardo sulla nuova protesi e mosse le dita di titanio. Nemmeno il dannato microchip, installato a sua insaputa nel braccio bionico, lanciava più segnali. In precedenza, alla connessione con la matrice della nave appoggio, aveva sentito una leggera fitta quando veniva tracciata la sua posizione, come un bruciore a un tendine, come se l’arto originale di carne e ossa fosse ancora attaccato alla spalla.

    Era rimasta sola.

    La vita, a volte, può essere una guerra pensò.

    L’incrociatore era attraccato vicino all’habitat su quel planetoide, ma la comunicazione era scaduta di qualità nell’avanzare all’interno della struttura.

    La sua squadra era uscita in esplorazione. Erano tutti maschi tranne lei. Si erano divisi in coppie per la ricognizione.

    Lei e Marlington assieme.

    Alla seconda svolta del tunnel, dopo la camera di depurazione batteriologica, il compagno era svanito. Lei aveva percorso qualche passo a ritroso, ma nella galleria, semplicemente, lui non c’era più.

    A bordo della nave, durante il viaggio verso la Fascia di Kuiper, era giunta a un accordo con i Mecho. Terminato il lavoro, l’avrebbero liberata dal controllo. Doveva solo uccidere l’ultimo polimutato di Mirabilia. Compito che si era rivelato difficile, perché il bastardo non aspettava tranquillo in un punto. A uno a uno, poteva aver eliminato tutta la squadra inviata per disinfestare la stazione orbitante.

    Raiko desiderava vivere. Sul visore le comparve un warning e i cristalli della cupola si frastagliarono di crepe scintillanti alle luci del suo casco. Inspirò di nuovo forte dal boccaglio ed espirò lenta, concentrandosi sulle miriadi di stelle che si addensavano nella Via Lattea, per calmarsi.

    Il silenzio pervase il piazzale dell’habitat. Spostò il mitragliatore attorno a sé, alla ricerca del nemico.

    Decise di proseguire verso il fondo della cupola, le pareva di scorgere l’ingresso alla serra successiva. Diminuì i fasci di luce. Doveva risparmiare energia se voleva tornare alla nave, fuori, nella desolazione di roccia.

    Poi vide un’ombra.

    E si fermò.

    Imbracciò il mitragliatore anche con la mano di titanio.

    Un uomo brillò nudo, seduto a gambe incrociate su una collinetta, in mezzo a felci e fiori che sulla terra sarebbero stati definiti esotici, ma che le parevano in perfetta armonia con la foresta dietro di lui. L’uomo splendeva. La sua pelle emetteva una tenue radiazione luminescente. Aveva gli occhi chiusi, i capelli tirati e poi intrecciati da dietro la nuca fino a toccare il collo e infine il petto. La temperatura era prossima ai dieci gradi, ma lui non se ne curava.

    Raiko chiaramente aveva notato che era un uomo. Non solo dai muscoli scolpiti.

    – Se pensi al tempo, il tempo esiste – parlò lui.

    Raiko rilassò l’indice e lo tolse dal grilletto dell’arma.

    – Se stai bene, il tempo vola – continuò l’uomo. – E quando è passato, pare che non sia trascorso nemmeno un secondo da quando è iniziato il tempo dello stare bene. E hai la sensazione che il tempo sia zero. Troppo in fretta, a zero il tempo non esiste. Quando sarà la fine, il nostro tempo potrebbe essere pari a zero. Ci diremo, peccato la vita è passata in fretta – dichiarò lui, e sciolse la posizione del loto. Piegò le gambe dalla parte sinistra, si sollevò un poco, si mise sulle ginocchia e si sedette sui talloni. – Non c'è molta differenza tra noi e una farfalla. Per lei un giorno è una vita intera. Il giorno degli esseri umani dura cento anni di esistenze da farfalla. Cento, se si è ottimisti – affermò.

    – Tu chi sei? – domandò Raiko.

    – Io non ho un nome – rispose l’uomo. – Puoi sceglierlo tu per me, darmi il nome che più ti aggrada. Il che equivale a dire che io possiedo molti nomi. Tanti quanti quelli con cui gli uomini decidono di chiamarmi.

    – Sei solo?

    – No – rispose l’uomo e accentuò il sorriso sulle labbra, e descrisse un arco col braccio a includere l’ambiente che li circondava. Raiko compresa.

    – I Mecho sono convinti che tu abbia ucciso tutti, ma se ci sono altri esseri polimutati come te… dovete arrendervi.

    – I tuoi padroni sfruttavano Mirabilia, e non possono permettere che l’habitat sia diventato una repubblica ribelle. Non vogliono fare prigionieri. Io sono nato, sono cresciuto, e morirò qui.

    – Morirai oggi.

    – Questo è il destino della farfalla.

    – Non vedo ali sulla tua schiena. E non sembri un insetto.

    – Io non devo sembrare. Io esisto, in quanto sono, e sarò.

    – Siamo stati mandati su questa stazione per eliminarvi. Ne sei consapevole?

    – Sei l’ultima della tua squadra. Vuoi uccidermi? Se davvero avessi voluto, l’avresti già fatto.

    – Questo che ho in mano, questo mitragliatore ti può sbriciolare.

    – Se spari e sbagli, potresti frantumare la cupola del tutto, e nel caso di una considerevole perdita di pressione atmosferica, sarai tu a compromettere le tue possibilità di sopravvivenza.

    Raiko desiderò che la connessione con la nave appoggio si ripristinasse. E passò il pollice sul bargraph del mitragliatore, da oneshot a full automatic.

    –Vieni con me, ti mostro – disse l’uomo nudo, e si sollevò in piedi.

    – Che vuoi mostrarmi? I tuoi compagni dell’Habitat, morti?

    Lui scosse la testa e sorrise. – Te stessa – le rispose.

    – Non voglio vedere uno stupido specchio.

    – Non è un riflesso.

    Raiko seguì l’uomo nudo. Lui camminava, risplendeva nel buio, e le forme sinuose e scultoree si muovevano in totale grazia.

    I Mecho sulla nave le avevano spiegato che il polimutato, prima, era un normale essere umano. Infettato da un virus era impazzito e aveva fatto sparire tutti gli abitanti della colonia su Mirabilia.

    Mirabilia, planetoide della Fascia di Kuiper con la particolarità di possedere una superficie fredda come le migliaia di asteroidi e oggetti più o meno grandi che navigano là fuori, ma con un cuore caldo.

    Il Consiglio dei Mecho vi aveva fondato una colonia umana. Un avamposto che si autolimentava della naturale energia geotermica, a costo zero.

    Poi una settimana prima era arrivata dall’habitat una richiesta di aiuto pronunciata da una voce femminile non identificata. Raccontava della pazzia dell’uomo che gli abitanti dell’avamposto soprannominavano Chuang Tzu, che era cambiato e non era più lui. Li aveva messi tutti in pericolo, li aveva contaminati, perché aveva lasciato vivere gli insetti mutati, nel sotterraneo dei lepidotteri.

    La donna s’interrompeva all’improvviso nel messaggio e dopo un breve attimo di pausa, in sottofondo, si sentivano rumori ritmati, come di carne sbattuta su altra carne, contro una superficie dura. E infine il silenzio.

    L’uomo nudo scese i gradini fino al piano inferiore, proseguì nella tenebra. Raiko spostando le luci, incontrava le colonne di sostegno delle cupole sopra di loro. Avanzarono in una sala gigantesca, estesa sotto l’intero habitat.

    Lui camminava sicuro. Si fermò di fronte a quello che pareva il ciglio di un abisso. Raiko si accostò non troppo distante dall’essere splendente e guardò giù nel pozzo. Lo era. Un abisso. Profondo, scuro e nero. Troppo nero perché lei vedesse lo spazio esterno oltre l’orlo del planetoide. Troppo scuro e senza stelle. A un’altezza vertiginosa dal buio.

    E sul fondo buio, qualcosa si mosse.

    Raiko si ritrasse di scatto. Soffiò aria dalle narici, provò una brusca convulsione alla gola e si tolse subito il respiratore, lasciandolo penzolare di lato. – È come se da laggiù mi avessero guardato. Come ho guardato io – disse con affanno.

    – Perché ti sei tirata indietro, hai avuto paura?

    Raiko non rispose e alzò la canna del mitragliatore a sfiorare il petto dell’altro.

    – Sì, hai paura – confermò l’uomo nudo e indietreggiò, si girò di nuovo verso l’abisso e saltò.

    Raiko riportò l’indice sul grilletto del mitragliatore, ma qualcosa dentro di sé le impedì di sparare.

    L’uomo nudo si era tuffato con estrema eleganza, restando per un breve istante al culmine del lancio, piegato nell’aria e infine si era raddrizzato ed era sceso lentamente verso il fondo. Dapprima il corpo si era ridotto a un puntino e poi la luce irradiata si era spenta nella tenebra.

    – Ma che diavolo? – esclamò Raiko. Il warning era scomparso dalle informazioni sul visore. E le bruciava il tendine del braccio, di carne e ossa, che aveva perso. Scrutò la mano di titanio.

    – Qui plancia a squadra. Rispondete, squadra – disse l’intercom del casco di Raiko.

    – Qui, Bravo–Seven. Sono l’unica superstite della squadra. Contatto con il nemico, avvenuto. Confermo presenza del polimutato – rispose lei.

    – Qui Jessep, dov’è quel bastardo? Abbiamo perso la sua traccia e i parametri vitali. Sono ricomparsi solo i tuoi, dopo l’interferenza.

    – Comandante, quell’uomo si è lanciato senza attrezzatura in un pozzo di cui non si vede il fondo.

    – Quanti metri è profondo? Il diametro equatoriale di Mirabilia è di millecinquecento chilometri. Lui potrebbe essere

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