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E-book273 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Nuova edizione rivista, con paragrafi inediti e nuovo design.
Sinossi:
Beautiful Face - Choice, #2 romanzo della Saga. Sorprendente seguito di Beautiful Face.
Da Winter Harbor a Roma e New York, nuove appassionanti vicende di amore e conflitto attendono tutti i personaggi incontrati nel primo romanzo, fino all'emozionante imprevedibile finale.
Edgar Anthony Somerset è vivo ed è pronto a lottare di nuovo per la sua Isy.
Steven Moore nascosto sotto la nuova identità di Edgar Carlton è deciso a riprendersi Samy.
Ognuno dei due la desidera, ma nel cuore sono ancora feriti per le indecisioni di colei che volevano solo per se.
Due rivali con lo stesso volto. Dinamite pronta a esplodere.
E Samantha? Questa volta come reagirà? Seguirà la ragione, il cuore o i sensi?
Ma soprattutto...che conseguenze avranno le sue azioni?
Dovrà lottare contro i suoi errori e capire i suoi veri sentimenti per non rischiare di perdere veramente tutto.
Beautiful Face – Choice.
La scelta è solo l'inizio.

LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2013
ISBN9781301414109
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Autore

Mara B. Gori

i'm italian, Fiction Author: Y.A. Urban Fantasy, Paranormal Romance, RomanceIllustratrice e autrice di romanzi urban fantasy, paranormal romance, romance, per adolescenti e giovani adulti.

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    Anteprima del libro

    Choice - Mara B. Gori

    1 Vendetta

    Rebecca

    «Ma chi diavolo è?!»

    Il mio unico pensiero razionale fu un groviglio di rabbia sonno e frustrazione.

    Scattai seduta sul letto e, in un secondo, mentre il cell sul comodino trillava, realizzai la realtà al posto del sogno che stavo facendo: non ero più al ballo inquietantemente avvinta al quasi sosia di Tony: alias Eddy. Mentre, ancora più inquietantemente, sospiravo beata accettando i suoi baci bollenti e, casti insieme, sulle guance, ma mai sulle labbra.

    Battei le palpebre, ritornai lucida e afferrai il cellulare nel buio della mia stanza al Lodge Hotel.

    Il nome casa Carlton lampeggiava insieme all’ora: le cinque del mattino.

    Imprecando e, decidendo di dare una suoneria personalizzata al numero dei miei ex (per me) parenti, afferrai il telefono sperando che almeno fosse Eddy e, insieme, preoccupata per la stessa ragione, era troppo strano chiamare a quell’ora.

    «Sì?! Eddy, sei tu? Ma cosa...».

    Non riuscii a finire, era Amber, ma prima che potessi riattaccare, mi arrivò la sua voce sull’orlo dell’isteria.

    «Reb, corri! Ti prego corri! Si stanno ammazzando!».

    «Amber?! Calmati, chi si sta ammazzando?!» Che mia cugina avesse alzato troppo il gomito al ballo, era un ipotesi da non scartare, pensai a Eddy e Matty, mio cugino, ma non tornava, quei due andavano più d’accordo di me e Jas...

    «Reb! Tuo fratello e Eddy, Reb! Oh mio Dio! Mamma è ad un convegno con Charles e Matt non è rientrato...Reb ti supplico corri! So che non dovrei dirtelo così, ma ho paura Rebecca! ... non smettono!».

    Sentii del trambusto, parolacce, grugniti, e poi...poi iniziai a tremare da capo a piedi, il letto sembrava tremasse con me, il cellulare, scosso fra le mie dita instabili, quasi mi sfuggiva di mano.

    Quando Amber aveva detto: tuo fratello io avevo pensato subito a Jason.

    Era strano, ma non impossibile, che fosse venuto.

    Era rimasto sconvolto dall’esistenza di Eddy e, ancor di più dalla reazione, di mamma, forse stava facendo l’irresponsabile prendendosela con chi non aveva colpa.

    Ma mentre elaboravo e, decidevo di vedermela a quattrocchi con Jas, i rumori di sottofondo si erano fatti più distinti, e avevo colto una voce, la sua voce. Non potevo sbagliare, la voce di Tony era marchiata a fuoco nei miei ricordi: un suono lenitivo e dolorosissimo insieme che riascoltavo spesso nella testa. Che lo volessi per nostalgia, o lo temessi per la troppa sofferenza.

    Gridai strozzata, più in panico, di mia cugina: «Mio fratello chi?! Amber?!».

    «Reb, Tony! E’ vivo! E’ venuto qui e... Dio Edgar! No!» Un tonfo più potente degl’altri e cadde la linea. Il panico m’invase ma lo scacciai, dovevo ragionare, agire.

    Gioia e tremendo sollievo, ammantarono ogni singola cellula, dolore e preoccupazione anche, domai tutto, e lo strano panico che avevo per Edgar...Edgar Carlton.

    Balzai dal letto e in cinque minuti ero fuori in strada, avevo già chiesto un taxi che arrivò subito e, dieci lunghissimi minuti dopo, ero alla villa dello zio; pagato il tassista con un pugno di banconote che, non avevo contato, mi catapultai fuori, le grida indistinte arrivavano fino al vialetto.

    Martellai la porta di pugni.

    «Aprite! Sono Rebecca!» Stavo per rivedere Tony. Era vivo!

    Ero in panico e lottavo per non far trasparire emozione dalla concitazione, adesso era in pericolo, erano in pericolo tutti e due.

    Due secondi dopo arrivò Amber, scarmigliata, in pigiama, e con le lacrime agli occhi.

    «Oh Reb! Devi fermarli! Non mi ascoltano! Dobbiamo farli ragionare! E’ tutta colpa di Samantha Lee!».

    La furia mi invase potente, non richiesta ma utile.

    «Come al solito», sibilai irosa.

    Scansai Amber con la mano e mi misi a correre verso la porta sul retro da dove provenivano i schiocchi e i grugniti, appena la varcai trovai i due ragazzi che si fronteggiavano a gambe flesse, occhi negli occhi, si lanciavano accuse e insulti, le facce tumefatte per i pugni, ansimavano ma nessuno di loro mollava.

    Questo lo registrò solo un angolo razionale della mente, perché appena lo vidi, lui: mio fratello vivo e di nuovo con me. Lanciai un grido strozzato e svenni.

    Edgar

    Non era un suono acuto, ma roco, angosciato, per quanto fossi dolorante e accecato dalla rabbia, quell’urlo mi raggelò. Era Reb.

    Dio! Non avevo mai visto quell’espressione nei suoi occhi!

    O forse sì, alla spiaggia. Mi mossi senza riflettere e in un balzo ero da lei, la sostenni prima che rovinasse al suolo, svenuta.

    Oddio, che avevo fatto? Doveva essere atroce per Rebecca assistere a quello che io e Tony Somerset stavamo facendo, perché io e lui volevamo vincere, e vincere significava annientarci.

    Una preoccupazione repentina, pungente, ammantò la rabbia di colpa e questa si attenuò.

    Reb aveva sofferto già così tanto. Io lo sapevo bene.

    Quando l’abbracciai per la vita, mi sentii strattonare violentemente il braccio, una mano coperta di rivoli di sangue: quello del mio sopracciglio destro. Mi aveva artigliato. Era violenta, ma, quando alzai il viso sulla copia del mio che, mi fissava con i suoi occhi di ghiaccio verde, tenni a freno la furia della reazione istintiva.

    La sua voce era metallica, eppure vibrante di un’emozione nascosta e profonda, un sentimento legittimo a cui dovevo chinare la testa.

    «Lasciala, Carlton, ci penso io a mia sorella!».

    Allentai la presa, Tony le passò un braccio intorno alla schiena, l’altro sotto le ginocchia e la prese in braccio. Zoppicava, e, fece una smorfia di dolore, quando il busto di Rebecca urtò le costole che avevo colpito ripetutamente, ma non emise alcun suono e, come se non pesasse nulla, la trasportò in silenzio sul dondolo.

    Dovevo ammettere che Somerset era tosto, tosto davvero. Aveva incassato quanto me, che ero sempre stato un buon picchiatore, o almeno, era quello che pensavo, dopo aver notato come mi muovevo agile e preciso, mentre cercavo di ammazzarlo per farlo scomparire dalla vita di Sam. Ma lui non era affatto da meno e, il risultato, era che eravamo pesti e esausti ma stavamo in piedi tutti e due e, probabilmente, ci saremmo rimasti fino ad ucciderci sul serio.

    Neanche mia sorella era riuscita a dissuaderci; per quanto mi spiacesse spaventarla, la furia era troppa, alimentata dalla gelosia, dall’odio dei ricordi frammentari, e dalle rivelazioni della stessa Amber. Però, all’inizio, ero stato più che disposto a ragionare. In fondo, solo il giorno prima, io volevo vendicare l’amore malriposto di Tony, quanto il mio.

    Ma questa sera al ballo, dopo aver messo Mark sul taxi, come spinto da un’ipnosi avevo proposto un giro di valzer alla mia nuova dama. Lì nel cortile.

    Sam mi aveva guardato con quegli occhi timidi e languidi insieme, e avevo mandato alle ortiche propositi e buon senso baciandola sul collo, promettendole che ci saremmo rivisti prestissimo, e, infatti, quando l’avevo lasciata sul vialetto buio di casa sua, lei si era attardata a salutarmi con una carezza bollente sul viso, che, bruciava di più, delle escoriazioni di adesso.

    Dopo ero tornato alla festa riaccompagnando mia cugina in albergo. I suoi occhi erano accesi di entusiasmo e anche i miei, avrei voluto confidarmi con lei.

    Mi sentivo sempre bene con Reb, ma sapevo che non potevo farlo, così, alla sua domanda scherzosa: «Perché sei così di buon umore Eddy? Sorridi come uno scemo!» Avevo risposto con un ghigno obliquo e un bacio sul suo zigomo perfetto.

    Lei mi aveva scrutato intensamente, poi, era scoppiata a ridere, scendendo dalla mini agitando a mo’ di saluto il nastro vinto con la scritta: La coppia di primavera. Per poi sparire in fretta attraverso la porta girevole dell’ingresso.

    Quindi no. Quando, Tony Somerset, tornato dal regno dei morti, mi si era parato davanti mentre lo placcavo credendo fosse un ladro, non avevo avuto empatia: era scomparsa, seppellita, inghiottita dalla gelosia, dal feroce possesso.

    Da questa sera io rivolevo la mia Samy, e lui era solo un rivale con la mia faccia, o meglio, io con la sua.

    Grugnii, infastidito, al ricordo dello sgomento di quando mi ero reso conto della nostra somiglianza strabiliante anche nel fisico.

    Ma, tuttavia, avevo reagito male davvero, solo quando lui mi aveva attaccato rendendosi conto che Sam l’aveva appena scambiato per me, e, così facendo, aveva dato fuoco alla miccia della mia ira: perché, adesso sapevo, che l’aveva baciata anche stanotte. E, anche adesso, non ne aveva alcun diritto. Samy aspettava me, non lui! Così, accecato dalla gelosia avevo confessato.

    Sì, confessato di essere Steve. Gli avevo sputato in faccia il mio odio per i suoi tentativi di sedurre la mia ragazza quando lei era fidanzata con me.

    Lui mi aveva rigettato tutto addosso, sostenendo che, io, invece, l’avevo rubata a lui con i miei sotterfugi, e che, adesso, con la sua faccia, completavo l’opera.

    Da lì a venire alle mani seriamente, il passo era stato molto breve.

    Amber si era svegliata mentre distruggevamo l’ingresso lottando. Non riuscendo a calmarci - seppur scioccata- era riuscita a chiamare Reb, e, noi, non ce n’eravamo neanche accorti, intenti a darcele di santa ragione.

    E adesso? Adesso avevamo spaventato Rebecca, tanto che era svenuta.

    Il senso di colpa m’invase di nuovo, prepotente.

    Mi avvicinai al dondolo, Tony si era seduto e l’aveva adagiata sdraiata con la testa sulle sue ginocchia, adesso le carezzava una guancia chiamandola dolcemente.

    «Reb tesoro, scusami... sono Tony, sono vivo sorellina!».

    Non li raggiunsi, di nuovo fui trattenuto, questa volta era Amber, vedendo Tony prendere Reb era corsa dentro e ne era uscita con un asciugamano bagnato e un bicchiere di cognac, che aveva posato vicino a loro sul tavolino, e ora, si stava premurando, di trascinarmi in casa, e, forse, aveva ragione lei.

    «Eddy, ti prego, stai sanguinando, vieni dentro...c’è...Tony con lei. Credo sia solo lo shock, è normale, anche io prima stavo per svenire!» fu scossa da un brivido; d’istinto l’abbracciai alle spalle, e lei mi sorresse per la schiena. Accorgendomi che anch’io barcollavo, mi feci condurre volentieri in cucina.

    Samantha

    Di certo non ero più riuscita a dormire, due notti prima, e avevo avuto l’intero week end per pensare alla mostruosità di quello che aveva fatto Edgar Carlton.

    Fingersi Tony per intrufolarsi nella mia stanza e saltarmi addosso, era stato a dir poco schifoso!

    Insomma, diciamo che gli sei saltata addosso tu, per essere precisi...

    Una vocina irritante, voleva farmi vedere le cose sotto una prospettiva meno estrema, ma non le davo retta.

    La verità era sotto i miei occhi, lui mi aveva chiamato Isy! E, poi, il suo aspetto trasandato, le sue insistenze nel dire: Sono io! Tony!. Tutto deponeva a suo sfavore, ed era una fortuna che me ne fossi accorta, «prima di...».

    «Prima di...cosa?».

    Non mi ero resa conto di aver parlato ad alta voce, riscossa dai miei pensieri mi ero girata. Le chiavi della jeep mi ciondolavano in mano, ero nel parcheggio della scuola.

    La testa cominciò a girare talmente forte che allungai una mano per sorreggermi allo sportello chiuso. Un flotto di calore, incredulità, paura, angoscia e sollievo. Lui fece appena in tempo a sorreggermi, e poi fu tutto indistinto.

    La voce mi giungeva ovattata, ma stavolta non potevo pensare che fosse una squallida imitazione, perché avevo visto i suoi occhi che rubavano il colore al prato appena tagliato del campus, i capelli chiari dai riflessi caldi.

    «Isy? Tutto bene?!».

    Non ero caduta, mi sosteneva abbracciandomi, e le gambe cominciavano a rispondere di nuovo, battei le ciglia e lo fissai, aveva una ferita escoriata sulla tempia, il labbro un po’ gonfio con un taglio ancora semiaperto all’angolo della bocca, e ombre violacee ai lati dell’occhio destro mentre un cerotto faceva bella mostra di se sul sopracciglio sinistro.

    «I...io?! E tu?! Sei, sei v...vivo! E... e... ferito! Non è possibile... non è possibile! Sei morto! Hanno detto... hanno detto che...». Nel parlare mi divincolavo scuotendo la testa come impazzita, lui mi mollò subito.

    «Ero disperso...non morto. O meglio, mi sono salvato ma non mi hanno trovato, stavo su un isola e...».

    «Un isola?!» Strabuzzai gli occhi credendo di sognare di nuovo, era troppo assurdo! Convinta che presto mi sarei svegliata iniziai a protestare sibilando: «E’ un sogno, uno stupido, patetico, sogno!» mentre mi davo un pizzicotto al braccio con tutta la cattiveria che avevo, ma, il risultato, fu solo un urlo di dolore: il mio.

    «Ahi!», maledizione! Era reale! Ma come poteva essere?

    Lui aveva spalancato gli occhi, e teso un braccio per fermarmi, ma ero stata troppo veloce.

    «Samantha, ma sei impazzita?! Ti sei fatta male?!».

    Io, alla sua affermazione, scoppiai in un riso isterico, il mio cervello si difese dallo shock con della becera ironia: «Io?! Tu hai la faccia maciullata, fantasma Somerset!».

    «Isy, è lunga da spiegare...e comunque...lasciamo perdere...» Fece un gesto stanco e impotente con le braccia desistendo dal darmi altre spiegazioni.

    Lasciamo perdere?! Ma i fantasmi, sono anche matti?

    Non lo sapevo, era il primo che incontravo.

    Mi ripresi un po’, aiutata dalla mia sdrammatizzazione, e poi, una strisciante consapevolezza mi prese: «Allora eri veramente tu... l’altra notte!».

    «Sì».

    «Io non...», non finii la frase che lui mi interruppe agitato: «Sì, lo so, credevi fossi Edgar, il mio...il tuo...Dio che casino!», sputò l’ultima parola con un respiro corto e secco. I suoi occhi si affilarono, ma anche i miei. Adesso il sollievo di vederlo vivo si stava diffondendo, e insieme ad esso, l’antico desiderio bruciante, ma anche la rabbia.

    E’ successo. Di nuovo.

    Di nuovo, mi aveva baciata di sorpresa, e, di nuovo, gli avevo ceduto, per errore di persona stavolta, ma era veramente così? Non lo sapevo.

    «Sono qui per...per sapere Isy...ss-so che sei sconvolta ma, devo farlo!»

    Esitando un secondo si passò distrattamente la lingua sul labbro spaccato, fece una smorfia di dolore, e io, contro ogni logica, gli toccai le labbra come per lenirla, mossa da un istinto insopprimibile che mi turbinava dentro, fu un attimo, lui mi attirò a se.

    «Dio! Isy! Lo sapevo. Lo sapevo! So che mi appartieni!».

    Aveva un altro profumo addosso, non l’acqua di colonia che ricordavo, inspirai e quando il suo respiro caldo passò dall’orecchio, a cui mi aveva parlato, alla guancia, strizzai gli occhi e mi divincolai.

    Il mio corpo lo ricordava bene...ma il mio naso mi aveva dato uno scossone, indossava il profumo di Edgar, lo stesso del ballo, rividi le labbra di lui sul collo, gli occhi d’ambra bollente così simili a quelli di Steven, Dio, mi sembrava di essere risalita sulle montagne russe!

    Steve e Tony e ora Tony e Edgar, sembrava una maledizione, e stavolta era peggio. Molto peggio. Stavolta erano anche praticamente identici!

    Ma lassù, erano impazziti tutti quanti?

    No, dico, va bene sperare nei miracoli, ma quando questi non sono incubi!

    E adesso, adesso non c’era un precipizio abbastanza alto, toccava rimboccarsi le maniche e vivere; un brivido freddo mi percorse, avevo meno paura prima di saltare giù dalla scogliera.

    Immagino che con queste premesse il mio comportamento dei giorni successivi o, meglio, delle settimane successive, potesse essere scusato, eppure, eppure un’angolino del mio cervello mi diceva che me l’ero cercata.

    Cercata davvero.

    Non ressi allo stress, ma non nel mio modo consueto, scappando, gemendo e autodistruggendomi. No.

    Alle sue parole appassionate quella stramaledetta mattina risposi: «Io appartengo solo a me stessa! Adesso basta. Basta davvero! Te la dico io la verità una volta per tutte!».

    In quel parcheggio dissi a Tony tutto il fatto suo, con insulti e accuse, cattiverie che, a dirla tutta, non meritava affatto, ma erano un balsamo per me che non volevo crollare e sbavargli dietro, perché era vivo e pronto a ricominciare a tormentarmi, nè permettere più che, due ragazzi dall’aspetto ipnotizzante, con le loro moine, mi facessero girare come una trottola.

    Per fare ciò mentii a lui, e poi, a Edgar Carlton che, replicò, le azioni di Tony nel parcheggio, appena mi vide a mensa quel giorno.

    Mentii anche a me stessa. Li respinsi beffardamente esultando della mia forza d’animo, assumendo atteggiamenti e toni da egoista superficiale.

    E loro se la bevvero tutta, e non potevo darne torto, a nessuno dei due, infondo avevo baciato e allontanato Tony, già una volta, mentre ero impegnata con un altro. Questo comportamento poteva essere frainteso facilmente e, considerato egoista e cinico, non conoscendo l’intera storia.

    Edgar Carlton, poi, mi conosceva poco, e, comunque, prima del ballo, già mi mal sopportava.

    Quindi, fu semplice soffocare i miei sensi di colpa per tutte le cattiverie false e gratuite che avevo rovesciato addosso ai due ragazzi, respingendoli ferocemente. Facendogli credere che, ero una meschina, che non aveva mai amato veramente nessuno, se non se stessa.

    Era semplice, almeno fino alla notte, di ogni singolo giorno, che trascorrevo piangendo ficcandomi il piumino in bocca per soffocare il rumore per non far preoccupare mio padre, che, obiettivamente, ne aveva passate già troppe a causa mia.

    La verità era tutt’altra.

    La verità era che la punizione era arrivata puntuale, e peggiore della morte che, volevo infliggermi, poco tempo prima.

    La verità mi trovava spaccata a metà, come se mi avessero diviso in due, con la spada della giustizia, per porre fine alla contesa di due spasimanti rivali.

    Una metà amava Edgar.

    Una metà amava Tony.

    E io dovevo solo cercare di sopravvivere con questo peso nella testa e nel cuore, lasciando perdere tutti e due. Ma, stavolta, senza dare speranze a nessuno.

    Questa lezione l’avevo imparata, me l’aveva impartita la morte di Steve e quella presunta di Tony.

    Quando ripensavo a Steven, sentivo la ragione del mio nuovo e inaspettato sentimento per Edgar, perché il mio primo e unico ragazzo lo avevo amato, e se Tony Somerset non mi fosse mai venuto a cercare, se Steve non fosse morto, forse sarei stata con lui per sempre.

    Ma questo ragionamento era duplice e mendace, in fondo lo sapevo, e mi odiavo per questo. Perché amavo Edgar non solo per le sue assurde similitudini con Steve, ma anche per il suo viso identico a quello di Tony!

    Ed ecco che i miei ragionamenti si concludevano ancora lì, ancora spezzata in due, e le lacrime che potevo versare nel buio non erano mai abbastanza.

    Ma, almeno, di giorno era diverso, potevo resistere alla loro attrazione e alienarmi la loro stima, o meglio, allontanare da me Edgar Carlton.

    Tony, dal giorno del suo ritorno, non l’avevo più visto, e certamente mi mancava, ma fino al momento del puntuale crollo notturno non osavo ammetterlo.

    Quando, una mattina di quattro settimane dopo, mentre in barba ai miei bei propositi cedevo e mi perdevo pensando segretamente a Tony. A mensa non capitò l’inaspettato.

    «I suoi occhi verdi...» emisi un sospiro di emozione, lasciandomi scappare l’affermazione ad alta voce,

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