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Mio fratello è Abele
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E-book252 pagine3 ore

Mio fratello è Abele

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Info su questo ebook

Un triangolo d'amore già per definizione non promette niente di buono.
Se aggiungiamo il fatto che due dei tre vertici condividono gli stessi geni, e nel mezzo ci mettiamo una bottiglia che la faccia da padrona, abbiamo tutti gli ingredienti per chiamare in causa la follia...
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2015
ISBN9786050355680
Mio fratello è Abele

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    Mio fratello è Abele - Valeria Barbarossa

    10

    Capitolo 1

    Quando ripenso a questa storia è come se vedessi le scene di un film, sequenze veloci che mi passano davanti agli occhi.

    Impresse nella mia mente come in una bobina.

    La prima scena è stata girata la prima volta che ho visto lei.

    Se chiudo gli occhi posso sentire il suono della sua risata, il profumo di quei fiori che amava tanto.

    Posso sentire la consistenza dei suoi capelli, soffici come la seta tra le mie dita…

    Ma non posso anche se vorrei, tenere chiusi i miei occhi, non posso anche se vorrei, concludere la scena finale con la scritta "The end", e abbassare il sipario e sentire fragorosi applausi esplodere di consenso.

    Non sono mai stato bravo a riscuotere applausi, questo mio fratello Simone potrebbe confermarlo.

    Da bambini era lui ad avere la prerogativa.

    Aveva solo 18 mesi meno di me, Simone, eppure in famiglia ha sempre avuto il privilegiato ruolo del piccolo, a cui tutto è perdonato. Giullare scapestrato ed egoista.

    Giocavamo a guardie e ladri, e lui doveva essere sempre e solo la guardia. Gli dava una sensazione di potere su di me…ne sentiva il bisogno.

    Qualche volta però poteva essere divertente scambiarci i ruoli.

    Se azzardavo Faccio io oggi la guardia

    Urla, strilli, pianti.

    Allora mi rivolgevo a mia madre, perché facesse giustizia.

    Dai Omar, sei più grande, accontentalo!

    I nostri genitori tendevano a difenderlo sempre, forse perché Simone, in sé, dava l’immagine di un ragazzino debole, almeno più di quanto la dessi io…magari loro due già allora lo intuivano.

    In realtà, di nostro padre ho ben pochi ricordi, andò via presto dalle nostre vite.

    Io avevo otto anni e Simone doveva compierne sette.

    Un tumore alla prostata, uno di quelli veloci, che dalla diagnosi alla fine non ti lasciano il tempo necessario per metabolizzare l’evento…e spiazzano.

    E’ morto in casa, mio padre, e di quei giorni ricordo il silenzio, il via vai di persone a testa china, mia madre che nascondeva le lacrime, infermiere che parlavano bisbigliando.

    Una di queste era molto carina, la ricordo bene, Margherita, mi perdevo in mille pensieri quando la fissavo di nascosto da dietro la porta. Seguivo i suoi movimenti delicati e silenziosi, fissavo incantato il fluttuare dei suoi capelli castani ad ogni movimento del capo, e facevo mille film mentali ingigantiti dalla fantasia dell’infanzia.

    Un giorno poi Margherita è venuta da me e Simone, seduti sotto il loggiato della nostra casa in campagna. Che bel posto era quello, l’enorme gazebo di legno scuro ombreggiava la terrazza, papà aveva anche montato un amaca per me e Simone, anche se, visto che salirci in due era pericoloso (ci bastò ribaltarci una sola volta), Simone riusciva ad avere la meglio e raramente avevo l’opportunità di rilassarmici sopra. Era primavera, noi due avevamo voglia di correre fuori con il nostro cane, giocare a guardie e ladri dietro il pollaio, inseguire le galline e imitare il loro verso. Ma ci era stato impedito.

    Soffrivamo forse più per quello che per ciò che stava accadendo in casa nostra, se non altro perché non ce ne rendevamo conto, i bambini non possiedono nei loro schemi mentali il concetto di morte, di mai più.

    Venite ragazzi, venite dentro da vostro padre

    Dolce, e triste, Margherita. Io e Simone camminavamo dietro di lei tirandoci calci nei piedi per farci lo sgambetto.

    La stanza buia, mamma che piangeva e cercava di soffocare i singhiozzi, i suoi occhi pesti erano fissi sul pavimento anche quando io e mio fratello facemmo il nostro ingresso nella stanza, e capii in quel momento cosa stava accadendo, e che niente sarebbe mai stato più come prima.

    Simone e io eravamo in piedi al lato del capezzale di nostro padre, improvvisamente pareva che anche il nostro respiro avrebbe fatto troppo rumore, immobili come due marionette i cui fili sono tenuti in tiro da una grande mano sopra la nostra testa.

    Quell’uomo, grande e grosso, forte e indistruttibile, sembrava un vecchio ora, le mani bianche con le vene scure in evidenza, pensai che faceva fatica a sollevarle, per cui mi mossi appena un attimo per andargli più vicino e aiutarlo, prendendone una tra le mie. Ma lui sollevò debolmente la mano in quel momento, e toccò il viso di Simone, che era più vicino a lui, e si soffermò un po’ sulla guancia di mio fratello.

    Stai bene papà? udii la vocina flebile di Simone.

    Non rispose ma sorrise e se ne andò in silenzio. Così, anche la sua ultima carezza era stata per mio fratello, e lui non la volle dividere mai con me.

    I giorni seguenti, quando le zie, i vicini e i parenti ci abbracciavano forte, ci pizzicavano le guance, forti manate sulle spalle, e una marea di parole di conforto e circostanza, Simone spiattellava di continuo la sua tiritera: Ero con lui quando è volato in cielo, e la sua ultima carezza è stata per me a volte aggiungeva parole che non erano state dette, come addio figlio mio o figliolo, prenditi cura di tua madre. Vedeva molti telefilm mio fratello.

    Ma io lo so, ne sono sicuro, che l’intenzione di mio padre era quella di salutare i suoi due figli, se ne avesse avuto il tempo; avrebbe voluto dare la sua carezza paterna anche a me…se avesse vissuto solo un altro minuto.

    Non son stati anni facili quelli della nostra adolescenza, mia madre non si riprese mai del tutto, pur essendo una donna ancora giovane, non si risposò mai e mai entrò un nuovo compagno nella sua vita. Certo che sorrise si nuovo, ma niente del suo sorriso somigliò mai più a quello che era stato.

    Lavorava come sarta nella nostra casa di campagna, il ricordo più vivo che ho di lei è il rumore ticchettante della sua macchina da cucito,e poi badava alle bestie, che sicuramente non ci facevano navigare nell'oro, e fu proprio per la voglia di avere di più, e averlo subito, che la mia carriera scolastica non andò oltre la prima liceo ripetuta per la seconda volta. Non per il momento.

    Simone al contrario, aveva accolto con entusiasmo il suo ingresso al liceo, e riusciva ad ottenere discreti voti. Quell'anno era stato promosso in seconda.

    Mia madre non fece poi tanto per dissuadermi dall'idea di non proseguire gli studi e una sera di giugno del 1977, quando avevo solo 15 anni, mentre apparecchiava per la cena con un insolito buonumore esordì senza preamboli chiedendomi di prendere in considerazione l'idea di trasferirmi a Torino, dove viveva mio zio Romeo, fratello di mamma, e la sua famiglia.

    Lassù avrai occasioni migliori Omar, ci sono più fabbriche, c'è più vita...in un paese come questo non hai molto da trovare

    Restai non poco stupefatto dalla sua richiesta, mille punti interrogativi mi picchiavano forte nel cranio, ma non nascondo che l'idea mi stuzzicò da subito.

    Così, due settimane dopo, pronte le valigie, ero in piedi, sotto il gazebo in legno davanti l'uscio di casa, con mia madre e mio fratello davanti a me.

    Questa è e sarà sempre casa tua figlio mio Mia madre mi stringeva forte, era una donna piccola e minuta e mi si appese al collo. Sentivo le sue lacrime bagnarmi il colletto della camicia e sembrava non volermi più lasciar andare.

    Era un momento surreale, era come se mi stesse dicendo addio, con delicatezza la allontanai da me e la rassicurai Non sto per morire, non parto neppure per il Vietnam mamma! Ci rivedremo presto..

    Certo, non potevo sapere allora che non sarei tornato in Sardegna se non dopo più di vent'anni, e che quella era l'ultima volta che vedevo mia madre.

    2

    Omar..il telefono.. Wanda si era girata nel letto svegliata dal suono insistente dell'apparecchio che aveva cominciato a squillare in piena notte. Il suo braccio allungato per scuotermi dal mio sonno pesante mi arrivò dritto al naso come un pugno diretto.

    Acc....!accesi la luce della abat-jour tenendomi la mano stretta sul naso e Wanda represse una risatina, incerta se fosse il caso o no, visto il mio caratteristico malumore non appena mi si sveglia di soprassalto, tanto più con un pugno in pieno viso.

    Il digitale della radiosveglia segnava le 2:14

    Pronto

    La voce dall'altro capo era tutt'altro che assonnata e stranita come lo era la mia.

    Omar, sono Simone

    Simone cazzo! hai visto che ore sono?

    E' per mamma

    Silenzio. Si dice spesso la frase mi si è gelato il sangue nelle vene. Ed è quello che mi è accaduto. Un freddo gelido è salito dallo stomaco fino al cervello finché tutta la testa non ha cominciato a ronzare.

    Faresti bene a prendere il primo aereo Omar

    Stava albeggiando quando arrivai all’aeroporto, Wanda, stretta al mio braccio era silenziosa , ma mi guardava negli occhi con una muta comprensione e ogni tanto mi allungava un fazzoletto per le lacrime che neanche mi accorgevo di avere. Non ci conoscevamo da tanto io e lei, passavamo delle belle serate e il fine settimana si fermava a dormire nel mio appartamento.

    Nessun impegno, nessun legame serio. Quando sentivo mia madre per telefono non faceva che ripetermi di mettere la testa apposto, di trovare una brava ragazza da sposare e metter su famiglia Sarebbe ora che io diventassi nonna, ma per quanto riguardava me, non mi sentivo un uomo portato alla vita di famiglia, certo, amavo i bambini ma quelli degli altri, e poi, la donna giusta...non ne avevo mai incontrato una che mi avesse fatto perdere la testa per spingermi a fare il gran passo, no...non ancora..

    Tuo fratello, lui si che ha trovato la donna giusta, credo che sia un toccasana, è cambiato da quando c'è lei nella sua vita, sai Omar, ero preoccupata per lui...ma ora! dovresti vederlo, innamorato e felice...chissà...chissà se riuscirai a venir giù almeno per il loro matrimonio...ci manchi tanto Omar...

    Mia madre è morta

    Wanda si strinse più a me No Omar; non ti hanno detto così, magari è stata male, e per sicurezza…magari tuo...

    E' morta ripetei, sicuro.

    Le sensazioni, quelle reali le senti dentro come inconfutabili verità. Si parla di istinto femminile....forse anche noi uomini abbiamo qualcosa di simile.

    Annunciarono il mio volo e raccolsi da terra la mia valigia, messa su alla rinfusa.

    Wanda mi strinse forte con il viso premuto tra il mio collo e la spalla. Mi sfuggì dalla gola un singhiozzo, rivivendo il momento di tanti anni prima, quando ero un ragazzo con la voglia di conoscere il mondo, e l'ultimo abbraccio di mia madre, e le sue lacrime. Stavo tornando a casa, e lei non c'era più.

    Mi chiamerai appena arrivato Omar?

    Si la mia mente già volava verso casa prima che lo facesse il mio corpo.

    A presto, amore e mi baciò le labbra con forza e dolcezza.

    Ironia della sorte. Era l'ultima volta che avrei visto Wanda, e non sarei più tornato nel mio bell'appartamento al quarto piano del centro di Milano.

    Quella sera, dopo il funerale la nostra casa era un andirivieni di persone, condoglianze, e grandi abbracci per me che mancavo da anni da casa...quanto avrebbe voluto rivederti tua madre...era la frase del giorno, ricordo che nel mio dolore frastornato pensai che se avessi ricevuto una banconota del taglio più piccolo per ogni volta che era stata pronunciata sarei diventato ricco.

    Alla fine, dopo aver subito l'ennesimo rimprovero da parte di Zia Ornella, mi rifugiai in cucina, dove mi sedetti e con i gomiti sul tavolo mi ressi la testa che minacciava di scoppiare da un momento all'altro.

    Evviva la discrezione

    Mi voltai di scatto, Simone era entrato in cucina con due bottiglie di birra. Me ne spinse una davanti e si sedette di fronte a me.

    Hanno ragione la mia voce era un suono sconosciuto, stanco e spezzato dal pianto che riuscivo ancora a trattenere.

    Può darsi, ma soffri già abbastanza senza che alla sofferenza loro aggiungano i sensi di colpa

    Perché non mi hai chiamato subito…forse avrei fatto in tempo…

    No, il tempo non c’è stato Omar, non avrei certo creduto che potesse succedere quello che è successo. Lo sai com’è l’ictus, è una bomba che ti scoppia nel cervello!

    Non male come metafora!

    Simone sorrise. Un sorriso triste.

    Lo guardai, forse per la prima volta lo vedevo davvero da quando l’avevo rincontrato.

    Aveva gli occhi cerchiati di rosso, vacui, senza vitalità, e ne attribuii il motivo al dolore che provava. Quanti anni…quell’uomo era quasi uno sconosciuto, magro quasi secco.

    Lui aveva vissuto fianco a fianco con nostra madre, lì, nella nostra casa di campagna, e l’aveva aiutata con gli animali, che erano molti più di quanto ricordassi, avevo intravisto pure un cavallo. Quanto l’avevo desiderato da ragazzo. Attorno alla proprietà si estendevano terreni verdi e basse colline, sognavo di correre in groppa al mio cavallo, sognavo di essere una sorta di cow-boy delle praterie.

    Ci fu una pausa. Me ne stavo in silenzio a giocherellare con la mia bottiglia ancora intatta, staccandone con l’unghia l’etichetta, mentre Simone beveva lunghe sorsate dalla sua, facendo vagare il suo sguardo da una parte all‘altra della stanza senza fermarsi sul mio viso..

    Ma poi fu lui a rompere il silenzio.

    Perché non sei mai tornato Omar? Perché non un solo Natale, non una sola ricorrenza?

    Già, perché?

    Almeno a mio fratello avrei dovuto rispondere a questa domanda, se mai avessi avuto una risposta…

    Me lo sono sempre ripromesso…e poi… E poi non trovai altro da dire, consapevole del fatto che ciò che avevo appena detto non poteva considerarsi né una risposta, né una giustificazione, e mi sentii pure parecchio stupido.

    Simone si accese una sigaretta, e ne accese una seconda porgendola a me.

    Avevo cercato varie volte di smettere, sempre senza un reale successo, e comunque in quel momento ne avevo davvero bisogno.

    Mamma era fiera di te, ti giustificava sempre

    Bevvi un sorso della mia birra, come per ricacciare giù in gola quel magone a cui l’intensità delle sue parole avevano dato vita. Finendo nel mio stomaco quel sorso fece l’eco che un grido avrebbe fatto in un salone vuoto. Realizzai che non avevo toccato cibo da quella mattina.

    Era orgogliosa che tu ce l’avessi fatta, a diplomarti voglio dire, a trovare un buon lavoro. A realizzarti, diceva lei.

    Certo, probabilmente se fossi rimasto, avrei vissuto come Simone, che alla fine non aveva terminato gli studi, e aveva trovato i suoi guadagni nel lavoro della terra, e del bestiame.

    Io dovevo molto a zio Romeo, aveva ben capito che il liceo classico non faceva per me, mi aveva guidato e sostenuto. Alla fine, è vero, possedevo un diploma di perito elettronico, avevo conseguito due corsi d’informatica, e lavoravo in una grossa azienda programmatrice di software, nella filiale di Milano.

    Un bell’appartamento, arredato a mio gusto, con tutte le comodità che un single come me esige…

    Un bel giro di amicizie, e potevo avere le donne che volevo, senza legami seri, potevo farle girare nude nel mio appartamento, poi salutarle e chiudermi la porta alle spalle, e respirare a pieni polmoni l’ebbrezza inebriante della libertà.

    Una bella vita, una vita così bella e caotica che mi aveva fatto dimenticare le mie radici? La mia casa di campagna? Mia madre? "Questa è e sarà sempre casa tua, figlio mio"

    Era lei che mi aveva proposto la via d’uscita, lei mi aveva dato un’occasione, e dandola a me l’aveva negata a Simone. Pensava forse che lui non sarebbe stato abbastanza forte da farcela, lontano da casa?

    Lui era rimasto al suo fianco.

    Alzai il volto verso il caminetto dove faceva bella mostra di sé una foto di nostra madre.

    Quella donna che sorrideva, dolce e mesta, era per me quasi una sconosciuta. Certo, quegli occhi, attenti e scuri, erano sempre gli stessi ma...Dio, quant'era invecchiata...

    Simone parve leggere i miei pensieri seguendo la direzione del mio sguardo :Te l'aspettavi più giovane? neanche tu sei più un giovanotto...quanti anni son passati? venti?

    Ventidue

    Mio fratello si era alzato ora, e raggiunto il frigorifero stappò una seconda birra. Ne vuoi un'altra?

    Io sollevai la mia dal tavolo perché vedesse che era ancora piena, tranne quella sorsata che aveva fatto un rumore anomalo nel mio stomaco vuoto.

    In quel momento lo squillo del mio cellulare mi colse di sorpresa, riportandomi al presente, distolsi il mio sguardo assorto in quella foto di donna malinconica, con un sorriso...sembrava rassegnato, quella donna che era mia madre, e che non c'era più.

    Sul display illuminato del mio cellulare appariva il nome di Wanda.

    Distrattamente, senza pensarci molto, calcai il tasto 'rifiuta', e finalmente cessò quel suono insistente e snervante. Dopodiché spensi l'apparecchio.

    Hey, hai lasciato un cuore infranto senza tue notizie?

    Un'amica...ma ora non sono in vena di parlare con nessuno

    Nessuna donna nella tua vita?

    Nessuna di cui valga la pena raccontarti. Mi sentivo un po’ meschino pensando che solo la notte prima avevo dormito con Wanda, avevamo fatto l'amore con trasporto, e io le avevo ripetuto 'sei bellissima piccola, sei speciale...'

    E tu piuttosto dissi ricordandomi improvvisamente, Mamma mi parlò di una futura signora Boccaccini...ma non ho visto la tua fidanzata, esiste ancora una fidanzata?

    Simone sorrise, quasi assorto, con un'espressione orgogliosa, Esiste sì. Purtroppo è fuori da qualche giorno, è salita a Sassari per seguire un corso di botanica, l'ho avvisata per telefono, ma non è riuscita ad arrivare per oggi. Era molto dispiaciuta.

    Botanica? ripetei distrattamente, la mia attenzione era di nuovo sulla foto di mia madre.

    Bè si, è una sua passione. Cioè, i fiori sono la sua passione...ha un negozio di fiori in paese, per lei sembra sia più un negozio di preziosi gioielli antichi...Comunque, Viola arriverà domani, e la conoscerai

    Viola! questa si che è una coincidenza, una che ama così i fiori ne porta il nome

    Magari non è una coincidenza, anche sua madre ha la stessa passione

    Mi massaggiai la testa, stroppicciandomi gli occhi e i capelli, non ricordavo di aver già provato in vita mia un tale senso di spossatezza.

    Due delle nostre zie, ultime superstiti dell'andirivieni di quel giorno si affacciarono in quel momento in cucina: Noi andiamo, passeremo domani, magari vi servirà qualcosa...non esitate a chiedere

    Grazie zia Noemi mi alzai anch'io come per accompagnarle.

    Lascia stare Omar, sarai distrutto, vai riposati, conosciamo la strada

    Forse meglio di me. E’ la mia impressione o c’è davvero una nota accusatrice nel tono di tutti quanti oggi?

    Mio fratello stava gettando nella spazzatura la sua seconda bottiglia di birra vuota, poi mi si avvicinò, gli occhi stanchi fissi sui miei Si vai Omar, la tua stanza lo sai dov'è, non si è spostata

    Sono felice di ritrovarti fratello, avrei preferito un'altra situazione, ma sono felice

    Simone era commosso e mi batté una mano sulla spalla Che questo possa servire almeno a qualcosa, voglio dire Omar, non sparire più! Siamo rimasti solo noi due ora!

    Lo abbracciai d'impeto e trattenetti le lacrime, almeno sino al momento in cui sarei stato solo...fa male trattenere le lacrime per troppo tempo, sembra che il cuore si gonfi ed è un dolore fisico, per cui ebbi l'urgenza di rifugiarmi in camera mia, ma trovai appena il tempo per dire piano a mio fratello Mamma mi aveva detto che era preoccupata per te, ma non credo che ce ne fosse bisogno, il ragazzino rompiballe è diventato uomo, vedo...

    Mamma si preoccupava per niente, si preoccupava spesso, era apprensiva...insomma, lo sai com'era! No...lo sai meglio tu!

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