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Così celeste
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E-book154 pagine2 ore

Così celeste

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Info su questo ebook

Veronica ha trent’anni e una vita che spesso le ha regalato torti e delusioni, colpita nel profondo da una serie di abbandoni significativi: a sette anni la morte della madre, poi la scomparsa inaspettata del padre, e in età adulta la rottura con il compagno di vita.  Viaggia in parallelo la storia d’amore dei genitori nata negli anni settanta, un amore intenso, prepotente, che con la sua forza attraversa il tempo per raggiungere Veronica e mettere al muro le sue paure e insicurezze. Comprendere ciò che è stato può forse portarla ad accogliere una nuova visione di sé, più matura e consapevole, ritrovando e riscoprendo nei ricordi il cuore che ormai credeva perduto.
LinguaItaliano
Data di uscita17 set 2018
ISBN9788831909365
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    Anteprima del libro

    Così celeste - Irene Soregaroli

    sperduto.

    I.

    «Domani mattina passa a prendermi mia sorella, abbiamo deciso di andare…». La voce stanca di lei lo raggiunge come un suono distante, sconosciuto ai suoi orecchi.

    Lui è steso indolente sul divano.

    Lei in bagno, da dove getta le parole dal riflesso alieno dello specchio.

    «Come, già domani? Sei sicura non vuoi che ti accompagni anch’io?». Si alza allarmato.

    Elemosinare momenti tra di loro negli ultimi giorni è diventata una sua specialità, come un talento nascosto portato alla luce per caso.

    «No, preferisco andare solo con Samanta. È una cosa che dobbiamo finire insieme. Tu non ne fai parte, non ti riguarda.». E ancora una volta sarebbero inciampati, andando a sbattere contro le loro insicurezze senza fare nulla, senza cercare di difendersi.

    «Vorrei non fosse così… Dovrebbe riguardarmi tutto di te, e lo sai…». Lui reagisce in questo modo, già perdente, guerriero sconfitto dall’inedia, dal trascorrere del tempo indefinito.

    «Decido io cosa ti riguarda e cosa no. Come tu hai deciso di escludermi a suo tempo. Non ricominciamo con le solite storie, vuoi?». Esce dal bagno lo guarda senza vederlo davvero.

    La voce di lei esausta e snervata chiede una tregua, prega di poter eludere una ennesima discussione, un ulteriore rincorrersi di parole inutili.

    «Non voglio litigare, ti ho solo offerto il mio aiuto!». Ora è lui a sviare il contrasto.

    La raggiunge, non vuole che si lascino così, anche se solo per un giorno. Lei non lo riconosce, i suoi occhi seguono il profilo di quell’appartamento che li ha accolti e ora li vede allontanarsi. Si avvicina alla finestra, guarda un panorama desolato di fine novembre.

    «Veronica? Vero…». Una mano di lui scivola sul braccio di lei. La pelle, il contatto della loro pelle ha forse la forza di avvicinarli, è in grado di riunirli, anche se solo per poco.

    Ma non può quel gesto realizzare il prodigio, non regge contro l’astio raggrumato in fondo alla gola di lei.

    «Lascia stare, dai. Io domani parto con mia sorella, sto via giusto una giornata, quando torno parliamo di ogni cosa, vedremo il da farsi.». Suona falso anche a lei, non avrebbero aggiustato nulla se lei se ne fosse andata così. Ma è più forte il rifiuto che ora sente, così forte da farla allontanare da ogni suo più inutile contatto.

    Guarda distratta il cielo in lontananza, forse lui nemmeno ci sarebbe stato al suo ritorno, forse avrebbe raccolto le sue cose e senza dire nulla avrebbe cercato un’altra casa, un’altra vita.

    «Ma come fai a ridurre tutto quello che abbiamo a un semplice da farsi? Ma per una volta, una sola volta Veronica, hai intenzione di incazzarti con me?». La prende per le spalle, la ruota verso di lui.

    Sta già urlando, quando nella sua mente si era ripetuto che almeno stavolta non lo avrebbe fatto, almeno stavolta ci avrebbe provato.

    «Ora non riesco ad affrontarti, non ce la faccio, cerca di capirmi…». Fugge da lui, dai suoi occhi, ma vuole scappare da tutto, da ogni cosa le ricordi la sua vita, le sue scelte.

    «Eh no, non farai così anche stavolta! Sono uno stronzo, ok, ma chi se ne frega. Io voglio te, non è abbastanza?». Si aggrappa con tutta la forza che ha a ogni piccolo appiglio che lei gli lancia.

    «Probabilmente non mi hai voluto quando anch’io ti volevo, quando tutto andava bene, non credi?». Lei riesce a stare calma, a vedere tutto sotto una luce chiara, quasi accecante.

    «Sei sicura andasse tutto così bene? Non ti sei mai chiesta come sono arrivato a fare ciò che ho fatto? Ti sei mai domandata come sono finito a letto con un’altra?». Dirlo ad alta voce ha un effetto rinfrancante. Sembra quasi annullare parte della dolorosa verità che le parole si portano dietro.

    «No, non me lo sono domandata… Ma se ci penso ora credo si sia trattato di mancanza d’amore, per me ovviamente. Non vedo nient’altro io…». La sconfitta parla dalle sue labbra, scorre dai suoi occhi asciutti.

    «Non ridurre sempre tutto a questo! Le persone non fanno tutto quello che fanno nei tuoi confronti perché ti vogliono bene o perché non te ne vogliono. Io ti amo, anche più di prima se vuoi saperlo!». È sincero, non c’è tremore sulla sua bocca.

    «Sì? Beh, io non posso dire lo stesso. Sai com’è, le corna che ho in testa pesano un po’ ora che so di averle!». Sa essere pungente quando vuole. Riesce a brandire le parole e scagliarle come sassi appuntiti.

    «Ma allora hai voglia di andare avanti? Che senso ha restare qui, insieme… Vero, mi dici cosa ci faccio qui?». Ecco svelato in un secondo il limite che lei non riesce a superare.

    Restare con lui è impossibile, non riesce a guardarlo negli occhi senza pensare alle sue mani su un altro corpo, alla sua bocca su un’altra pelle diversa dalla sua.

    Eppure restare senza di lui non le permette di respirare. Il pensiero di non averlo accanto le impedisce di muoversi, di continuare la sua stessa esistenza.

    Come può spiegargli che lui è stato la sua salvezza ed ora è diventato il suo aguzzino?

    Come può conciliare l’amore che prova ancora con l’odio profondo che si è stabilito nel suo petto?

    Ogni sguardo che lui le offre è una ferita che si apre nel suo animo. Non trova soluzione a tutto ciò, ma non riesce nemmeno a spiegarglielo, non può ammettere questa sua difficoltà alla persona che ne è la causa.

    «Non lo so, cosa devo dirti? Non ho le risposte, non so nulla in realtà… Qualsiasi altra donna ti avrebbe buttato fuori di casa…». Solo ora si sente davvero codarda.

    «Qualsiasi altro uomo non ti avrebbe detto nulla, anzi, avrebbe continuato a fare i suoi comodi! Una sola volta, Vero, una sola volta è successo. E mi sono subito sentito sporco, mi sono subito sentito male…». Gli occhi di lui la cercano per trovare un segno, uno spiraglio tra le sue ciglia che gli permetta di insinuarsi piano tra le pieghe del cuore di lei.

    «Subito? Cosa vuol dire subito? Subito dopo esserti infilato dentro di lei? Subito dopo essere venuto dentro di lei? Subito quando? Dimmelo, ne ho proprio bisogno!». Il dolore non passa, ma buttarne un po’ addosso a lui la fa stare meglio.

    Non bene, ma meglio sì.

    Avesse dato ascolto a sua sorella non avrebbe mai dovuto mettersi insieme a un musicista, a un batterista di un gruppo poi… Sempre troppe ragazze intorno, ogni sera una città diversa in cui poter essere ciò che si vuole, chiunque si voglia.

    «Non voglio giustificarmi, ho sbagliato io, lo so. Ma è stato un errore di cui anche tu sei complice… Lo sai da quanto tempo non facciamo l’amore?». Le chiede di guardare in faccia i loro problemi, come se fosse così facile accorgersi dei propri inganni.

    «No, non lo so. Penso qualche mese… Ma in ogni caso questo non…». Lui la incalza, non le permette di proseguire.

    «Sette mesi Veronica, sette mesi in cui io sono stato messo in un angolo, mi hai messo via come un giocattolo vecchio. E se sapessi il perché almeno me ne farei una ragione, ma tu sei così lontana, non ti fai avvicinare…». La verità la colpisce senza alcun rispetto.

    «Non posso farci niente, è un periodo così! In ogni caso la nostra situazione non ti dà il diritto di fare ciò che hai fatto! E comunque so da quanto non lo fai tu. È una settimana domani!». Non può farne a meno. Brucia, brucia di rancore e disprezzo.

    Ma sette mesi a ben pensarci è un tempo preciso, sette mesi possono già essere passati da quella sera in cui avevano parlato, da quella sera in cui Diego le aveva aperto il suo cuore, le aveva offerto i suoi desideri.

    «No, io se mai ho fatto sesso. L’amore con te è tutta un’altra cosa. Ho sbagliato, non smetterò mai di ripetertelo! Ma quando mi sono trovato lì… Non ero io a pensare…». Gli occhi sono posati per terra, sconfitti.

    Eppure sono quegli stessi occhi ad averla fatta innamorare, è stato quello stesso sguardo su di lei ad averla scossa così in profondità da aver smosso sentimenti che ormai erano relegati in fondo alla sua anima.

    Forse una speranza può ancora esserci, forse qualcosa di loro può ancora essere vivo sotto le macerie. 

    In un attimo le torna alla mente il loro primo incontro, quando i loro sguardi si erano trovati per la prima volta. Erano nel locale dove lavora Veronica, lei dietro il bancone, lui su un piccolo palco dove si era appena esibito.

    Quando i loro occhi si erano incrociati qualcosa si era acceso in lei, qualcosa che non era solo interesse o attrazione.

    Ma ora… Cosa ne è di quello sguardo ora?

    «Come faccio? Dimmelo tu come faccio a guardarti in faccia e non pensare a quell’altra? Diego, non ci riesco, è una cosa più grande di me! Lasciami andare via, per favore…». Chiede a lui il permesso di scappare, come se lei non ne avesse più la forza, come se fosse un fantoccio nelle sue mani.

    «Ascolta… Se partire con tua sorella può aiutarti vai, non sarò io a fermarti. Quello che dovete fare è importante, lo so.». Ma lui vuole essere con lei, vuole esserle accanto, sa quanto sarà doloroso.

    «Entro domani avremo concluso tutto. La casa sarà venduta e così i problemi che la riguardano. Chiuderemo quel capitolo, finalmente.». Non sa se è pronta per affrontare tutto questo, ma il tempo non aspetta, corre senza attendere di colmare le mancanze.

    «Io sarò qui, te lo prometto.». Scende un silenzio profondo, come a voler suggellare un patto tra di loro. Lui la abbraccia, prova a circondare il corpo sperando di toccarne i pensieri. Lei si lascia serrare, le braccia inermi, impotenti come la mente.

    Sente le parole di lui correrle incontro come piccole stelle cadenti, così potenti da riuscire davvero a esaudire ogni suo desiderio. Le vede cadere davanti ai suoi occhi, ma in fondo non sa più cosa desiderare.

    1974, maggio

    Quella notte non era riuscito a tornare a casa.

    In realtà, come ormai accadeva da qualche mese a questa parte, ciò che non era riuscito a fare era restare a casa.

    I muri si chiudevano intorno a lui in una morsa così stretta da spingergli fuori l’aria dai polmoni e schiacciargli la testa in una stretta terribile. Il mondo riacquistava consistenza e lucidità solo se scappava fuori, solo se il vento disperdeva piano gli attacchi della mente.

    Le piazze della città diventavano le sue stanze, le vie deserte si trasformavano in lunghi corridoi senza fine, gli abitanti addormentati mutavano la loro essenza in ragni, scarafaggi, e cimici rintanati nei loro nascondigli a sognare i loro sogni da insetti. 

    Scopriva così di riuscire a tollerare l’esistenza degli altri senza troppo soffrirne, senza marcire nel profondo assaporando in qualsiasi istante il tormento del loro respiro.

    Solo ogni tanto doveva scappare da tutti, dai volti, dalle mani, per scontare una pena che solo la natura riusciva a rendergli sopportabile. Si stendeva nelle foglie, sul muschio, su un prato carico di rugiada e trovava così un po’ di pace, un leggero sollievo dell’anima. La città scompariva, così come gli altri, e nel silenzio perfetto dei canti degli uccelli provava quasi speranza, ammetteva a se stesso una possibilità di rivincita.

    Purtroppo questi momenti erano rari, come lo erano i suoi attimi di limpidezza, nonostante la consapevolezza di vivere una vita irrisoria e senza scopo.

    La maggior parte del suo tempo veniva speso nella contemplazione del supplizio in cui le persone si lasciavano cadere in libertà, legandosi al collo le catene di un lavoro, di una famiglia, serrandole a doppia mandata con la chiave dei loro sogni infranti.

    E tutto questo credendo di essere felici, credendo di possedere la loro vita, mentre la verità era solo un triste e inesorabile trascorrere inutile del tempo.

    Avrebbe potuto essere un grande pensatore, persino un maestro per chi avesse seguito i suoi insegnamenti. Nella speranza di approdare a qualcosa, nel tentativo di produrre più di quel che prima esisteva. Ma no, non era per lui esporre i suoi pensieri, non credeva nemmeno possedessero quella scintilla che li distinguesse dal resto. Fosse stato più superbo, fosse stato più arrogante avrebbe avuto successo alla facoltà di filosofia a cui

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