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Forever: Parte II -
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E-book114 pagine1 ora

Forever: Parte II -

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Info su questo ebook

Finalmente il capitolo conclusivo della Saga Romance Y.A. che vi ha rapito il cuore!

Chi ha messo in pericolo l'incolumità di Samantha, sta rendendo il suo gioco più duro...
È una lotta contro il tempo senza esclusione di colpi, e chi la sta combattendo sa che rischia la sua vita.
Questa ipotesi, fatalmente, per qualcuno diventerà più che reale.
Quando l’unica soluzione è cercare di resistere, se ami senza paura, sarà per sempre.

LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2016
ISBN9781310433498
Forever: Parte II -
Autore

Mara B. Gori

i'm italian, Fiction Author: Y.A. Urban Fantasy, Paranormal Romance, RomanceIllustratrice e autrice di romanzi urban fantasy, paranormal romance, romance, per adolescenti e giovani adulti.

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    Anteprima del libro

    Forever - Mara B. Gori

    Ringraziamenti

    Contatti

    Saga

    1 – Seguire le briciole...

    Edgar

    Il sole caldo mi feriva gli occhi, ma era l’umidità che mi disturbava di più perché era diversa da quella che conoscevo, questa era pesante: un asciugamano bagnato premuto contro ogni più piccolo respiro.

    Ogni maledetta ora di quel volo era stata una tortura, nella mente avevo ancora l’immagine sul cellulare di Tony.

    Samy, la mia piccola e tenera amica con il volto coperto di sangue.

    Stringevo i pugni con la stessa voglia di sfogarmi e spaccare tutto che aveva generato la scena che ci eravamo trovati davanti nel bagno dell’aeroporto. Lì per lì ero rimasto allibito. Dall’inizio di questa brutta storia Tony era stato inspiegabilmente il più controllato, persino troppo freddo, mentre, insieme a quel Consiglio di Guerra che erano diventati i membri della sua famiglia, pianificava la strategia per liberare Samantha.

    I Carlton, a parte Matt che mi aveva voluto, a tutti i costi, proteggere partendo con me, sapevano poco di questa storia, avevamo inventato plausibili scuse a palate per loro e i genitori di Sam per guadagnare tempo, e ottemperare anche agli ordini espliciti di quel bastardo di Francese.

    Fai il bravo, non avvisare nessuno, e attieniti alle mie istruzioni alla lettera mon ami! In un paio di giorni riavrai la tua ragazza tutta intera, diversamente, a pezzettini sarebbe l’aggettivo più appropriato…

    Per tutti è partita per una piccola gita no?! Lasciamo che sia così perché per ora lo è…

    Ma potrebbe non tornare altrimenti...come si dice? Gli incidenti capitano!

    E ricorda ho occhi dappertutto. Ti sorveglio piccolo bastardo!

    Ricordavo bene la lettera che avevo preso, impersonando Tony, all’ufficio postale.

    Dopo averla letta mi si era ghiacciato il sangue, non riuscivo a credere che Samy fosse stata rapita, sebbene fossimo preoccupati speravamo ancora in una qualche spiegazione meno terribile, ma i fatti mi danzavano sotto gli occhi insieme all’inchiostro mentre Rebecca, glaciale, scattava una foto al plico e la spediva ai suoi fratelli e al padre.

    In quel momento non sapevo che mi sarei ritrovato a Panama impersonando Somerset, ma non avevo esitato un attimo ad offrirmi prima che me lo chiedesse lui, quando aveva escluso di essere allontanato dal paese, come voleva Orly.

    Rebecca mi aveva guardato preoccupata, ma poi aveva annuito, sapendo che l’idea era sensata e l’unica percorribile, non potevamo fidarci di un pazzo che aveva rapito a sangue freddo una ragazza. La mia parte infondo era la più semplice e meno rischiosa. Io ero solo il burattino che doveva eseguire le istruzioni, consegnare i soldi, e starsene all’altro capo del mondo in attesa di sapere dove andare a riprenderla. Il fantoccio arrendevole che il rapitore voleva che diventasse Tony.

    Questo ruolo passivo non mi piaceva granché avrei voluto spaccare qualche testa.

    Avevo ancora i pugni chiusi mentre afferravo il cellulare di Tony (che Rebecca aveva precedentemente clonato) non mi ero mai reso conto della sua strabiliante abilità con l’elettronica finché non l’avevo vista all’opera con le apparecchiature, che suo padre si era fatto recapitare in albergo, nelle ore successive al loro arrivo. Il salotto della suite dei suoi era diventata la plancia di un’astronave.

    Reb mi aveva spiegato che, per tenere la cosa segreta come richiedevano le condizioni del rapitore, l’aiuto ricevuto dagli agganci che avevano al governo doveva essere ufficioso, quindi niente agenti o esperti, solo copertura tecnica ma questo sembrava che alla famiglia Somerset non interessasse.

    Ognuno si era rivelato un professionista del settore, e se potevo aspettarmelo da suo padre, che sapevo essere stato un militare, o da suo fratello, che era tutt’ora un pilota, la mia fidanzata, e sua madre (che le somigliava moltissimo e mi dava la percezione di quanto bella sarebbe stata Rebecca anche fra qualche anno) mi avevano stupito.

    Elisabeth Carlton Somerset aveva passato un po’ di tempo in ospedale. Non sapevo cosa avesse fatto esattamente, ma ad un certo punto era tornata con una borsa simile a quella che usava Charles.

    Prima di ciò, si era occupata della copertura per tutti noi: parlando con la scuola, con la mia famiglia, con quella di Sam, con la direzione dell’albergo, con gli uffici distrettuali dello sceriffo, con le compagnie di noleggio…la sua voce era sempre calma, gentile, ma ferma e autoritaria quanto bastava per farle ottenere tutto e intortare chi voleva con le sue ragioni sensate e il suo tono dolce e sereno.

    Terrificante e affascinante insieme.

    Ma questo era solo la superficie, mentre stavo lì a ricevere istruzioni, e ad ascoltare i piani dalle bocche dei soldati di casa, l’avevo vista muoversi in continuazione, discretamente, per essere sempre vicino al marito o ai figli.

    I Somerset erano molto uniti come i Carlton.

    Rivolevo sana e salva la mia amica Samy, ma volevo anche aiutare concretamente chi avevo imparato ad amare e apprezzare.

    Con questo pensiero inforcai gli occhiali da sole e me li misi sopra gli occhi, arrossati da queste fastidiose lenti colorate, mentre io e Matt ci guardavamo intorno nervosi, chiedendoci chi ci spiasse, dei passanti apparentemente innocui, che ci circondavano mentre entravamo nel taxi che ci avrebbe portato in banca: tutto secondo la tabella di marcia di quel bastardo vigliacco.

    Poi, mentre il tassista partiva, dal vetro sporco del finestrino vidi una donna scattare una foto in questa direzione, e poi telefonare, poteva essere una coincidenza, ma mentre parlava muovendo svelta le labbra aveva gli occhi fissi su di me.

    Samantha

    Qualcuno mi diede un calcio sul fianco della gamba, mi svegliai di soprassalto terrorizzata, rannicchiandomi per coprire istintivamente il ventre, ma più che un vero colpo era stato solo un modo violento per farmi alzare. Quando me ne resi conto mi tirai su seduta strizzando gli occhi.

    Orly mi guardava sogghignando come al solito.

    Avrei voluto cancellare quel ghigno a suon di pugni, desideravo essere forte, e libera di massacrarlo, ed invece ero imprigionata come un topo in trappola. Gemetti cercando di non darlo a vedere, fulminando il mio carceriere con uno sguardo di odio liquido.

    «Oh là là! Qualcuno qui è arrabbiato? Bon! Ma adesso non mordere che ti porto fuori piccola cagna!». Detto questo sganciò l’anello dalla caviglia, io tentai di dargli un calcio in faccia e ci riuscii, colpendogli con la suola l’angolo di quel suo sorrisino strafottente, lui imprecò dandomi uno schiaffo che mi voltò la testa, ma ne era valsa la pena perché adesso non rideva più.

    «Vuoi la guerra stronzetta? Non ti conviene!» detto ciò mi diede una spinta indietro facendomi cadere supina e inerme sulle assi del pavimento. Io spalancai gli occhi, terrorizzata nel paventare la sua prossima mossa, maledicendo il mio istinto bellicoso che non riuscivo a sconfiggere, neanche con il terrore per me e il bambino che avevo dentro, perché si nutriva proprio di quello spingendomi a reagire con tutte le forze rimaste.

    Il nemico mi sovrastava, chiusi gli occhi quando lo vidi alzare il piede verso la mia faccia, ma in realtà la suola si abbatté sulla mia gola premendo gradualmente, e facendomi tossire mentre lui tirava fuori una corda, dalle tasche della giacca, passandomela attorno al collo come un collare e togliendo il piede solo per fare il nodo, costringendomi ad alzarmi tirando quel guinzaglio improvvisato.

    «Vieni puttanella!» mentre mi insultava mi trascinò fuori passando per la porta sul retro, adesso il sole era calato ma strizzai gli occhi lo stesso ferita dalla troppa luce, quante ore erano passate? Sembrava quasi sera, attraverso un prato incolto notai una fattoria cadente, probabilmente abbandonata come il granaio. Ovunque girassi lo sguardo c’era solo sterpaglia a perdita d’occhio, e in lontananza, il nastro bianco di una strada ghiaiosa che si perdeva attraverso le

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