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Royals
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E-book304 pagine6 ore

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Info su questo ebook

«Dolce, romantico, semplicemente adorabile.» Buzzfeed

Il vero principe azzurro arriva quando meno te lo aspetti

Daisy Winters ha una vita normale. Vive in Florida, ha sedici anni, capelli color rosso fuoco da sirenetta, impossibili da domare, un lavoro part-time in un supermercato, e una sorella a dir poco perfetta che si è appena fidanzata. In effetti, il futuro cognato non è un ragazzo qualunque: è l’erede al trono di Scozia! Per Daisy, che non ha alcun desiderio di stare sotto i riflettori, si preannunciano mesi impegnativi. Costretta a cancellare i suoi piani estivi, Daisy vola nel Vecchio Continente, per conoscere i regali parenti dello sposo, tra cui il bellissimo principe Sebastian, sempre al centro delle attenzioni dei tabloid con la sua vita sregolata e la sua discutibile cricca di amici, tanto aristocratici quanto affascinanti e turbolenti. Nonostante cerchi di mantenere un basso profilo, Daisy viene risucchiata da questo mondo sfavillante e dai suoi scandali: riuscirà a trasformarsi in una vera Lady senza rinunciare a essere se stessa?

Bestseller del New York Times

Dolce e romantico
Semplicemente adorabile

«Una storia esilarante che segue lo schema di una classica fiaba.»
Kirkus Reviews

«Anche chi non è fissato con il gossip reale si godrà questo giro di giostra leggero e divertente nel mondo fatato di principi e principesse.»
School Library Journal

«Una volta cominciato a leggere, è impossibile fermarsi. Verrete conquistati dalle avventure di Daisy nella sua folle vacanza in Scozia.»
Hypable
Rachel Hawkins
è nata in Virginia e cresciuta in Alabama, e ha insegnato inglese in una scuola superiore. Prima di Royals, la Newton Compton ha pubblicato The Prodigium Series, composta dai romanzi Incantesimo, Maleficio, Sortilegio e dallo spinoff Magico.
LinguaItaliano
Data di uscita24 set 2018
ISBN9788822726476
Royals
Autore

Rachel Hawkins

Rachel Hawkins is the New York Times bestselling author of The Wife Upstairs, Reckless Girls, The Villa, and The Heiress, as well as multiple books for young readers. Her work has been translated into over a dozen languages. She studied gender and sexuality in Victorian literature at Auburn University and currently lives in Alabama.

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    Anteprima del libro

    Royals - Rachel Hawkins

    Capitolo 1

    «Una vecchietta mi ha appena dato della str...».

    Io alzo lo sguardo dalla rivista che sto sfogliando. Isabel Alonso, la mia migliore amica nonché collega al Sur-N-Sav, è appoggiata al registratore di cassa e fa schioccare la gomma da masticare. I suoi capelli scuri sono raccolti in una treccia disordinata, di un nero che risalta sul grembiule verde.

    «Ma adesso-adesso?», le chiedo. Il negozio è praticamente deserto, come sempre da quando hanno aperto quel Walmart gigante dall’altra parte della città, perciò oggi Isabel e io siamo le uniche due cassiere di turno. Nella mia corsia non viene nessuno da più di un’ora, da qui la rivista. Tuttavia, non riesco a credere di essermi lasciata assorbire così tanto da non accorgermi che era finalmente successo qualcosa di emozionante, anche se stravolgare.

    Isabel alza gli occhi al cielo. «È colpa mia se il prezzo della panna acida è aumentato».

    «Mi sembra giusto», le dico con un cenno solenne. «Sei una famosa ereditiera casearia, dopotutto».

    Isabel si dedica di nuovo alla cassa, schiacciando tasti a caso. «Dobbiamo trovare un altro lavoro, Daze. Questo è troppo umiliante».

    Non che non sia d’accordo, ma quando vivi in una piccola cittadina nel nord della Florida, le possibilità sono un tantino limitate. Lo scorso autunno volevo lavorare in biblioteca, ma non è andata – niente finanziamenti – e aver trascorso un’estate ad aiutare al campo estivo della chiesa mi aveva fatto passare la voglia di lavorare con i bambini, il che escludeva fare la babysitter o lavorare part-time all’asilo locale. Così rimaneva solo il Sur-N-Sav.

    Anche se ora, guardando il mio cellulare appoggiato alla cassa, noto che il mio tempo al Sur-N-Sav è scaduto.

    «Ah, le tre, il momento più bello della giornata», dico allegramente, e Isabel brontola. «Non è giusto!».

    «Ehi, io sono qui dalle sette», le ricordo. «Se vuoi uscire prima…».

    «Devi fare il primo turno», finisce lei, gesticolando con una mano. «D’accordo, signora Miller, capito».

    La signora Miller è la direttrice del Sur-N-Sav, e nell’ultimo anno Isabel e io ci siamo decisamente abituate alle sue ramanzine.

    Sospirando, Isabel si appoggia vicino alla cassa con una mano sotto al mento. Ha le unghie smaltate di tre sfumature di verde diverse e un braccialettino di perline che le scivola attorno al polso sottile. «Ancora quattro settimane», dice, e io ripeto il nostro mantra preferito.

    «Ancora quattro settimane».

    Alla fine di giugno, Isabel e io porgeremo un non-troppo-sentito addio alla vita del Sur-N-Sav e andremo a Key West per il Key Con, poi pensiamo di trascorrere una settimana a vagabondare per la città. Suo fratello vive lì con la moglie e il carinissimo nipotino di Isabel, quindi abbiamo un posto dove stare gratis (e approvato dai genitori). Dire che la mia vita sta ruotando intorno a questo viaggio sarebbe un eufemismo. Non solo entreremo in modalità geek, ma faremo anche le cose divertenti di Key West. Snorkeling, la casa di Hemingway, tutte le torte al lime che una ragazza può ingurgitare… Sì, questo viaggio darà un senso alla mia estate, e ormai lo stiamo programmando da quasi un anno, da quando la convention è stata annunciata. La nostra autrice preferita, Ash Bentley, sarà lì a parlare della sua serie su Finnegan Sparks, e inoltre ci saranno almeno venti incontri diversi a cui vogliamo partecipare: riguardano tutto, dalle donne nell’epica spaziale ai costumi cosplay. È il paradiso geek, e siamo a dir poco pronte.

    «Devi venire da me questo fine settimana così possiamo iniziare a scegliere i vestiti», dice Isabel, raddrizzandosi e battendo tasti a caso sulla cassa mentre in radio Whitney Houston piange il suo più grande amore. «Non ho ancora deciso se voglio indossare il costume di Miranda di Finnegan and the Falcon o di Jezza di Finnegan’s Moon».

    «Ben probabilmente preferirebbe Jezza», dico. Ben è il ragazzo di Isa, e stanno insieme su per giù da centoundici miliardi di anni. Scherzo, dalla terza media. «Jezza è molto meno vestita».

    Isa fa una faccia buffa, riflettendo. «Vero, ma Ben non viene, e non so se sono pronta a mostrare un quarto delle mie chiappe a tutta Key West».

    «Giusto», ammetto. «Inoltre, se fai Miranda puoi mettere la parrucca viola».

    Lei mi punta il dito contro. «Sì! Miranda sia, allora. Tu, invece, che costume ti porti?».

    Sorridendo, inizio a chiudere la cassa. «Il cosplay è una cosa tua», le ricordo, «quindi vengo vestita da me e basta. Ragazza Noiosa in Maglietta e Jeans».

    «Sei una delusione su tutti i fronti», risponde Isa, e io scuoto la testa.

    La porta scorrevole si apre, un altro anziano cliente si trascina dentro mentre finisco la chiusura e porto l’incasso nell’ufficio della signora Miller. Nella maggior parte dei supermercati, i cassieri contano i soldi da soli, ma lavorare per anni con dipendenti adolescenti ha causato alla signora Miller dei problemi di fiducia e, a essere onesta, sono contenta di lasciare questa rogna a qualcun altro.

    Fatto questo, attraverso il negozio, e mentre passo davanti agli espositori delle riviste che delimitano le corsie delle casse noto che una fila di riviste è stata capovolta, con il retro pubblicitario rivolto verso i clienti invece della copertina.

    Dev’essere opera di Isabel. Vado verso uno scaffale e rigiro quella più vicina. Intravedo di sfuggita dei capelli biondi e un sorriso smagliante, poi il mio sguardo si sofferma sul titolo, scritto in grassetto giallo: DIECI COSE CHE NON SAPEVATE SU ELLIE WINTERS!.

    Mi domando se qualcuna di quelle dieci cose sorprenderebbe me. Ne dubito, però.

    Mia sorella ha sempre vissuto senza causare grandi scandali, come se avesse sempre saputo che sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali. Sono quasi tentata di sfogliare la rivista, ma poi penso che: a) sarebbe strano, e b) Isabel ha fatto un gran bello sforzo per cercare di non farmele vedere.

    «Non c’era niente di brutto stavolta», grida lei. «Ho solo pensato che non c’era bisogno che le vedessi!».

    Alzando un pollice, vado verso la porta dalla parte opposta del negozio.

    La mia roba è nella sala del personale, uno spazio piuttosto funesto con pareti arancioni, sedie di plastica verdi e un tavolo laminato tutto rigato. Qualcuno ci aveva intagliato sopra BECKY AMA JOSH, e ogni volta che mi siedo lì durante la pausa, a leggere o a studiare, mi chiedo che cosa sarà capitato a Becky e Josh. Saranno ancora innamorati? Quando Becky era qui, si annoiava da morire come me?

    Comunque, dài, per lo meno Becky non doveva confrontarsi con le foto di sua sorella sulle copertine dei tabloid.

    Né ci finiva lei per prima, peraltro.

    Bah.

    Tutta la disastrosa faccenda del ballo è ancora un mix di rabbia e dolore, una palla di spine conficcata nel petto, e pensarci equivale a tormentare un dente dolorante. Ti dimentichi di quanto il dente faccia male, ma poi te lo ricordi, e tutto a un tratto non riesci a pensare ad altro.

    Questo significa che non posso rischiare di pensarci proprio ora, altrimenti comincerei a piangere nella sala del personale del Sur-N-Sav, e non c’è nulla al mondo di più deprimente di questa prospettiva. Ci sarebbe lo stesso pathos di quei film-dove-il-cane-muore, perciò no, non lo farò.

    Invece mi metto in spalla la borsa di patchwork tutta consumata ed esco dalla porta.

    Mentre attraverso il parcheggio, la luce accecante e il caldo di questo pomeriggio di fine maggio sono intensissimi, e strizzo gli occhi cercando gli occhiali da sole in borsa mentre penso già a cosa fare per il resto del pomeriggio. In linea di massima, l’intenzione è di piazzarmi davanti allo split dell’aria condizionata in camera mia e leggere il nuovo manga che ho preso ieri in libreria.

    «Dais».

    Ed ecco il dente che duole.

    Ottimo.

    Michael è appoggiato a uno dei piloni gialli di cemento di fronte al negozio, una caviglia incrociata davanti all’altra, i capelli scuri sugli occhi. Probabilmente si è esercitato su questa posa. Michael Dorset è un campione di pose, uno dei migliori, davvero. Alle Olimpiadi dei Ragazzi Carini, vincerebbe indubbiamente l’oro nella categoria Pose Sexy.

    Per mia fortuna, ormai sono immune alla Posa Sexy (marchio in attesa di essere registrato).

    Infilandomi gli occhiali da sole, alzo una mano verso il mio ex ragazzo.

    «No, no».

    La faccia di Michael si piega in una smorfia. Ha lineamenti delicatissimi, belle guance rotonde e graziosi occhi marroni, e giurerei che ha insegnato ai capelli a ricadere in modo così per-fet-to sulla fronte. Un mese fa, mi sarei squagliata davanti a quel viso e mi sarei avvicinata per scostargli i capelli dalla fronte. Avevo una cotta per Michael Dorset dalla prima superiore. Girava con gruppi di ragazzi molto più popolari rispetto a quelli che frequentavo io (lo so, pazzesco che i miei occhiali e le magliette di Adventure Time non mi rendessero una gran preda), e poi all’ultimo anno – finalmente – me lo sono preso.

    «Ho rovinato tutto», dice infilandosi le mani in tasca. Indossa i jeans più aderenti della storia, dei jeggings a dir la verità, e al polso ha uno dei miei elastici per capelli. Quello verde.

    Resistendo all’infantile tentazione di strapparglielo, sposto la borsa sull’altra spalla. «È un eufemismo».

    Nel parcheggio fa proprio caldo, e di colpo mi accorgo che sto ancora indossando il grembiulino verde del Sur-N-Sav sopra ai vestiti. Michael è tutto in nero, come sempre, ma non sembra che stia sudando, probabilmente perché avrà lo 0,06% di grasso corporeo. Questo è l’ultimo posto al mondo in cui voglio portare avanti questa discussione, così lo supero e vado verso la mia auto.

    «Dài», insiste, seguendomi. «Dobbiamo almeno parlarne».

    L’asfalto scricchiola sotto alle mie scarpe da ginnastica mentre continuo a camminare. Anche se non siamo poi così vicini a una spiaggia, qui la sabbia appare magicamente, infiltrandosi tra le crepe e le buche del parcheggio.

    «Ne abbiamo parlato», dico. «È solo che non c’era tanto da dire. Hai cercato di vendere le nostre foto del ballo».

    Ecco la parte divertente dell’avere una sorella famosa: anche tu, per certi versi, diventi una specie di celebrità.

    Ma sembra che si ottengano solo gli aspetti fastidiosi della fama; come il fatto che il tuo ragazzo venda cose private a un tabloid, tipo.

    O ci provi.

    Evidentemente la famiglia reale ha qualcuno che vigila su questo genere di cose e ha bloccato tutto abbastanza in fretta, il che, in tutta onestà, ha reso la faccenda ancora più strana.

    «Tesoro», inizia a dire, e io gli faccio cenno di andarsene. Mi piacevano quelle stupide foto. Pensavo che fossimo carini. E adesso, ogni volta che le guardo, sono solo l’ennesima cosa che è diventata strana a causa di Ellie.

    Credo che sia questo che mi ha infastidito più di tutto.

    «Lo stavo facendo per noi», continua Michael, e a questo punto mi fermo e mi giro.

    «Lo hai fatto per comprare una chitarra strabella», dico in tono neutro. «Quella di cui parlavi in continuazione».

    Michael sembra davvero imbarazzato. Si infila le mani in tasca stringendosi nelle spalle, meravigliato. «Ma la musica era la nostra cosa», dice, e io alzo gli occhi al cielo.

    «Non ti sono mai piaciuti i gruppi che piacevano a me, in macchina non mi facevi mai scegliere la musica, tu…».

    Frugandosi nella tasca posteriore, Michael mi interrompe – un’altra delle sue abitudini di cui non andavo pazza – dicendo: «No, ma senti». Tira fuori il cellulare, scorre sullo schermo con il dito, e sto giusto per andarmene verso la macchina quando dal Sur-N-Sav arriva un urlo improvviso.

    «NIENTE RAGAZZI!», strilla una voce attraverso il parcheggio.

    Mi volto verso il negozio e vedo la signora Miller, la mia capa, sul marciapiedi proprio davanti alle porte scorrevoli, con le mani sui fianchi. I suoi capelli dovrebbero essere rossi, ma sono sbiaditi verso una specie di colorino pesca, e sono talmente sottili che si riesce a intravedere il cuoio capelluto.

    «NIENTE RAGAZZI DURANTE IL TURNO!», urla di nuovo, puntandomi un dito contro, con la pelle del braccio che penzola sotto il peso del giudizio.

    «Ho finito», rispondo, e poi indico Michael con il pollice. «E questo non è un ragazzo. Sono un paio di jeans aderenti e senzienti con dei bei capelli».

    «NIENTE RAGAZZI!», strilla di nuovo la signora Miller e, davvero, la mania che le sue impiegate non abbiano ragazzi intorno è tanto psicotica quanto ridicola. Non sono sicura del perché pensi che quel cavolo di Sur-N-Sav sia un focolaio di attività sessuale, ma la regola non fraternizzare con il sesso opposto è di gran lunga la più rigida di tutte.

    «NON STA SUCCEDENDO NIENTE DI SCANDALOSO IN QUESTO PARCHEGGIO!», le urlo in risposta, ma nel frattempo Michael ha trovato quello che stava cercando.

    «Ho scritto questa per te», dice, toccando lo schermo, e all’improvviso una musica metallica esce dal suo cellulare. La qualità fa schifo, e non riesco a capire praticamente niente delle parole sommerse dallo stridore della chitarra elettrica, ma sono abbastanza sicura di sentire il mio nome diverse volte, in rima con crazy e hazy, e a questo punto Michael inizia a cantare dal vivo, e per favore, dio, fammi morire per un colpo di calore fulminante, fammi investire da un auto qui nel parcheggio del Sur-N-Sav, perché tra il mio ex che canta «Daisy you drive me crazy» e la signora Miller che inizia a marciare sull’asfalto verso di noi non credo che questo pomeriggio potrebbe andare peggio di così.

    E poi alzo gli occhi e vedo un SUV nero parcheggiato al limitare dello spiazzo, il finestrino abbassato…

    Con un teleobiettivo puntato dritto su di me.

    Capitolo 2

    Mi precipito verso la mia auto in fondo al parcheggio, tenendo la testa bassa, con la borsa stretta sotto braccio. Non riesco a sentire gli scatti della macchina fotografica a causa della stupida canzone di Michael – lui mi sta venendo dietro, porgendomi il telefono come se fosse un’offerta – ma me lo immagino lo stesso, il cervello già pensa a come saranno le foto, a quale sarà il titolo. Tanto mi dipingeranno comunque come una carogna. Nell’ultimo anno, da quando Ellie ha iniziato a uscire con Alex, ho capito che negli articoli sui tabloid non esiste praticamente niente che non sia colpa delle ragazze. Due mesi fa, Alex ed Ellie sono andati al varo di una nave in Scozia, e Alex ha fatto il broncio e qualche smorfia per tutto il tempo, dando il via a tutte una serie di storie sul fatto che mia sorella lo rendeva triste, e che le sue richieste per un anello di fidanzamento stavano facendo a pezzi la coppia.

    La verità? Quella mattina Alex si era fratturato l’alluce inciampando mentre scendeva le scale. L’espressione sofferente sul suo viso era vero, letterale dolore, non tristezza perché la sua diabolica ragazza lo tormentava.

    Evviva il patriarcato, direi.

    Ecco perché mi stupisce che Ellie accetti questa storia della famiglia reale. È costruita su cavolate come quella. Se si sposa con Alex e fanno prima una figlia e poi un figlio? Indovinate un po’ chi governerà.

    Spalancando la portiera dell’auto, mi giro a guardare Michael. La canzone sta finendo, e lui se ne sta fermo lì con lo sguardo incollato sul cellulare. Ho la sensazione che stia per far ripartire la musica, e questo ovviamente non deve succedere, così appoggio la mia mano sulla sua. La sua testa balza in su, gli occhi scuri incrociano i miei e, bleah, sta facendo Il Sorriso, che è potente quasi quanto la Posa Sexy, e ciò significa che devo stroncarlo sul nascere.

    «È merito tuo anche questo?». Chiedo, facendo un cenno con la testa verso il SUV, e lui dà un’occhiata. Michael è carino e tutto, ma è un pessimo bugiardo – ricordo ancora l’incidente del test di scienze sociali di cinque anni fa, alle medie – quindi, visto che sembra sinceramente sorpreso e scuote la testa, gli credo e tiro un sospiro di sollievo.

    Rimane un idiota che ha venduto le nostre foto del ballo, ma almeno non chiama i paparazzi.

    «Senti, Michael», gli dico, dolorosamente consapevole del teleobiettivo ancora puntato verso di noi, del sudore che mi gocciola sulla schiena, di come i capelli mi stanno incollati al viso, e del fatto che il trucco che mi sono messa stamattina sia ormai un lontano ricordo.

    «Abbiamo parlato, okay?», continuo. «Capisco perché l’hai fatto, e spero che la chitarra sia stupenda ed esattamente come speravi che fosse. Ma noi abbiamo chiuso. Cioè. Proprio, chiuso-chiuso».

    Detto questo, lancio la borsa in macchina, mi infilo sul sedile del guidatore e gli chiudo la portiera in faccia. Lui se ne sta lì, con il cellulare in mano, e io guardo di nuovo il mio elastico sul suo polso, domandandomi se sarebbe il caso di chiederglielo indietro.

    No, renderebbe soltanto tutto più triste, in realtà, e dato che la signora Miller ha finalmente raggiunto Michael, sarà punito a sufficienza. I capelli le vibrano per legittimo sdegno, e mentre gli sventola un dito davanti, Michael – sebbene sia almeno una spanna più alto di lei – si fa piccolo piccolo.

    Ed è una scena divertente.

    Parto ed esco dal parcheggio senza preoccuparmi di guardare nello specchietto retrovisore.

    La strada fino a casa non è molta visto che il nostro quartiere dista solo pochi chilometri dal negozio. Tuttavia, non è che sia la strada più panoramica del mondo. All’inizio, quando i miei genitori si sono trasferiti a Perdido, in realtà era un posto abbastanza figo. Cioè, figo quanto può esserlo un paesino della Florida che non è per niente vicino all’oceano. Era bizzarro e stravagante, pieno di artisti e scrittori e vecchie case che la gente aveva dipinto con colori assurdi. Verde lime, turchese, una tonalità che io definivo viola elettrico, tutti schiaffati su quelle ville vittoriane stile casa delle bambole e su quei bungalow accoglienti.

    Ma poi, nel corso degli anni, la maggior parte degli abitanti più fighi ha traslocato altrove, e così il beige ha iniziato a farsi nuovamente strada a Perdido. Ora c’è un country club, anche, con tanto di corsi di golf, ragion per cui mio padre ha minacciato di andarsene. Ma anche se Perdido non è più la piccola idilliaca comunità di artisti di un tempo, resta comunque un posto carino. Tranquillo, pigro e, come sottolinea sempre mamma, abbastanza sperduto da non valer la pena d’essere visitato. Il fotografo di oggi era il primo che vedevo da mesi. Per i paparazzi c’erano prede migliori da inseguire.

    Come Ellie, ad esempio.

    Il beige era di casa a Perdido, è vero, ma non si era ancora infiltrato nel nostro quartierino. Casa mia in effetti è una delle più discrete dell’isolato, dipinta di un giallo allegro, invece che di magenta o di indaco. Lontana dalla strada, è circondata da banani e buganvillea, il cui rosa spicca sulla pittura giallo sole. Le campanelle a vento dondolano sotto i portici, alcune in vetro, altre in legno che suonano come dei flauti, e anche qualcuna di quelle pacchiane ricoperte di conchiglie che si vendono nei negozietti di articoli da regalo della zona. Mamma ha un debole per le campanelle a vento.

    Ma non è la campanella ad attirare la mia attenzione mentre entro nel vialetto. È il grande SUV parcheggiato dietro a quello di mia mamma.

    Improvvisamente, il fotografo di prima al Sur-N-Sav ha un senso.

    Capitolo 3

    Parcheggio di fianco al SUV, e quando scendo, saluto i tizi della sicurezza. Sono sempre gli stessi due ogni volta che El e Alex vengono negli Stati Uniti, quindi mi ci sono abituata. «Ciao, Malcolm!», esclamo. «David, come va?».

    David, il più giovane dei due, solleva in risposta la sua bottiglietta d’acqua mentre Malcolm mi fa un semplice cenno con la testa. Come sempre, portano dei seriosi abiti neri, e immagino che anche con l’aria condizionata a palla in macchina staranno morendo. Il caldo non scherza, ma ad Alexander non piace portare le guardie del corpo dentro casa dei miei, perciò a Malcolm e David tocca il vialetto.

    «Sempre delusa dal fatto che non siate vestiti in tartan», dico passando vicino alla loro auto, e mentre Malcolm continua a fissare la casa attraverso gli occhiali da sole, David abbozza un sorriso.

    Le chiavi mi sbatacchiano in mano mentre salgo i grandini del portico saltellando fino alla porta principale che è aperta, mentre quella a vetri è chiusa. Il che significa che ho un momento per intravedere mia sorella e il suo ragazzo seduti sul divano, postura perfetta, prima di entrare. Sono meravigliosi ed eleganti come sempre, Ellie composta e con le caviglie incrociate, Alexander seduto sulla poltroncina floreale di mia mamma come se fosse un trono.

    Si siede sempre così: forse si esercita.

    Ripenso al tizio che faceva le foto al Sur-N-Sav e mi domando se sia il caso di dirlo così su due piedi. Ellie non era entusiasta della storia delle foto del ballo (cioè, non lo ero nemmeno io, e onestamente credo di essere io quella che ha il diritto di lamentarsi), e non sono sicura di voler affrontare anche quel discorso oltre a dover gestire la visita a sorpresa di El e Alex.

    Magari la storia di oggi con Michael non arriverà nemmeno ai giornali.

    Appena entro in casa, El – che non mi vede da Natale – dà uno sguardo alla mia testa e dice: «Oh, Daisy, che capelli». La sua voce, come sempre, mi coglie di sorpresa. Anche se abbiamo genitori inglesi, né Ellie né io avevamo preso il loro accento. Poi Ellie è andata a studiare nel Regno Unito e da quando è tornata sembra un personaggio di Downton Abbey.

    Alzo una mano per infilare le ciocche rosso acceso dietro all’orecchio, ma poi decido di fregarmene, i miei capelli sono stupendi.

    Per fortuna, Alexander concorda con me (o almeno fa finta), perché si affretta a dire: «Personalmente, io li approvo, Daisy. Pel di carota, molto comune nella mia famiglia».

    Si arruffa i capelli biondo rossiccio con un sorriso, ricordandomi perché praticamente tutto il mondo è innamorato di lui. Principe Alexander James Lachlan Baird, duca di Rothesay, conte di Carrick, primo in linea di successione per diventare re degli Scozzesi, è tanto bello quanto sorprendentemente gentile. Di sicuro molto più gentile

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