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Intelligence Economica: Saggio di Stretegia Preventiva
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E-book343 pagine5 ore

Intelligence Economica: Saggio di Stretegia Preventiva

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Info su questo ebook

Il presente volume offre uno studio di insieme riguardante i più importanti aspetti dell'intelligence economica. Le origini di questo settore risalgono alla Seconda Guerra Mondiale che oggi tocca in profondità vari aspetti dello sviluppo delle nostre società. Acquisizione di informazioni strategiche, sostegno dei contratti, capacità delle imprese di imporre norme internazionali, immagini e valori, attività di informazione e la protezione dei dati riservati ... Arte della gestione delle informazioni come arte della guerra, intelligence economica è prima di tutto comprendere in generale un ambiente complesso per poi prendere la decisione giusta. Nicolas Moinet ci ricorda però che essa obbedisce solo a fonti e strumenti giuridici e si distingue così dallo spionaggio industriale. Oggi la nozione di "capitalismo cognitivo" è al centro della trasformazione della bilancia del potere economico. Una panoramica completa insomma e una guida didattica per la comprensione di una sfida fondamentale della globalizzazione.

LinguaItaliano
Data di uscita27 feb 2013
ISBN9781301671427
Intelligence Economica: Saggio di Stretegia Preventiva
Autore

Giuseppe Gagliano, Sr

The CESTUDEC Association fonded in 2011 is based in Como. The President is Prof. Giuseppe Gagliano; the Vice- President is Colonel Mario Pietrangeli. CESTUDEC is a non-profit association that promotes the greater acquisition of knowledge and public awareness of military history and strategic sciences through cooperation with government ministries, regional authorities, universities, other organizations and institutions, Italian and international research institutes, private companies, and civilians.

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    Anteprima del libro

    Intelligence Economica - Giuseppe Gagliano, Sr

    PARTE PRIMA

    Non c'è dubbio che la definizione data dal Rapporto Martre sia una delle definizioni più ampie. Secondo il Rapporto:

    L’intelligence economica può essere definita come l’insieme delle attività coordinate di ricerca, trattamento e distribuzione dell’informazione utile agli attori economici in vista del suo sfruttamento. Queste diverse azioni sono condotte legalmente con tutte le garanzie di protezione necessarie alla tutela del patrimonio dell’impresa, nelle migliori condizioni di qualità, di tempi e di costo.

    L’informazione utile è quella di cui hanno bisogno i differenti livelli di decisione dell’impresa o della collettività, per elaborare e attuare in modo coerente la strategia e le tattiche necessarie al raggiungimento degli obiettivi definiti dall’impresa allo scopo di migliorarne la posizione nel suo ambiente concorrenziale. Queste azioni, nell’ambito dell’impresa, si ordinano in un ciclo ininterrotto, generatore di una visione condivisa degli obiettivi da raggiungere.

    La nozione di intelligence economica implica il superamento delle azioni parziali definite dai vocaboli documentazione, veglia (scientifica e tecnologica, concorrenziale, finanziaria, giuridica e regolamentare...), protezione del patrimonio concorrenziale, influenza (strategia di influenza degli Stati-nazione, ruolo degli studi di consulenza stranieri, operazioni di informazione e di disinformazione...). Questo superamento risulta dall’intenzione strategica e tattica, che deve presiedere alla guida delle azioni parziali e al successo delle azioni interessate, così come dell’interazione tra tutti i livelli delle attività in cui si esercita la funzione di intelligence economica: dalla base (interni all’impresa), passando per i livelli intermedi (interprofessionali, locali), fino ai livelli nazionali (strategie concertate tra i vari centri decisionali), transnazionali (gruppi multinazionali) o internazionali (strategie di influenza degli Stati-nazione).

    A tale proposito il Rapporto Martre sottolinea come l'intelligence economica sia indissociabile dalla nozione di rete. Infatti secondo Dominique Genelot l’intelligence di un sistema viene dalla capacità dei suoi elementi di comprendersi tra loro per costruire una strategia coerente. Più le connessioni sono numerose, varie, spontanee, più il sistema è reattivo e capace di inventare condotte adattate a un ambiente inatteso e complesso. In un mondo sempre più turbolento, l’impresa guadagna in efficienza globale e in reattività strategica se funziona sul modello della rete: ridondanze per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, circuiti di informazione diversificati, incoraggiamento delle iniziative locali, moltiplicazione dei canali di comunicazione con la clientela, aperture verso l’esterno, accettazione di altre culture (Rapporto Martre, 1994, p. 68). Proprio per tale ragione è opportuno moltiplicare le connessioni favorendo la creazione di reti fitte nel cui ambito i saperi professionali particolari e le logiche specifiche di ogni funzione possano confrontarsi e combinarsi. Ciò contribuisce allo sviluppo di una rappresentazione ampliata dell’impresa in cui ciascun dipendente ha il dovere di avere una comprensione del processo in cui è integrato, anche solo per fornire delle informazioni pertinenti ed essere consapevole che le operazioni effettuate al proprio livello condizionano la qualità del risultato d’insieme.

    Ecco che allora la vecchia organizzazione piramidale si fa da parte (per lo meno teoricamente) in favore dell’organizzazione in rete. In quest’ultima, il contratto ha la meglio sulla costrizione, la responsabilità sull’obbedienza, il disordine sull’ordine, la condivisione del rischio sulla limitazione del caso, il progetto sulla disciplina, la posta in gioco sull’obiettivo quantificato e, infine, l’informazione elaborata e scambiata sull’informazione diffusa e controllata.

    Da un’organizzazione all’altra

    organizzazione piramidale organizzazione in rete

    Costrizione contratto

    Obbedienza responsabilità

    Ordine disordine

    limitazione del caso condivisione del rischio

    disciplina progetto

    informazione diffusa e controllata informazione elaborata

    Le implicazioni a livello di intelligence economica risultano di estremo interesse poiché determinano veri e propri cambiamenti metodologici:

    rottura metodologica: la globalizzazione deve condurci a smettere di pensare in un sistema binario dal momento che ci fa entrare in un’economia della relazione (i legami permanenti e fluttuanti di un pensiero complesso);

    rottura tecnologica: facendo scindere le unità di tempo, di territorio, di funzione, di direzione che avevano strutturato la nostra storia, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (NTIC) ne ridisegnano il significato;

    rottura quantitativa, basata su un’abbondanza che, da una parte, permette sempre meno all’individuo di fare scelte di tipo info-comparative obbligandolo a fidarsi e a delegare questa responsabilità a terzi e che, dall’altra parte, ci fa uscire ogni giorno di più da una logica industriale della produzione per passare a una logica della soluzione, dell’uso e della sensatezza;

    rottura qualitativa, dovuta all’economia immateriale il cui funzionamento è opposto a quello dell’economia materiale (qualitativo versus qualitativo), dal momento che la produzione di beni genera dei costi di produzione, di riproduzione, di distribuzione e di saturazione mentre la produzione di servizi non ha costi marginali (riproduzione, distribuzione), non ha saturazione, non ha limiti di capacità...

    Onde evitare qualsivoglia ambiguità lessicale e concettuale è necessario distinguere l'intelligence economica dalla Business intelligence(BI) di matrice americana.

    La BI si rivolge alle grandi imprese che cercano sistemi di software che permettano loro di sfruttare gli importanti stock di dati relativi ai clienti, allo scopo di produrre informazioni decisionali pertinenti. La ditta IBM, per esempio, ritiene che la BI miri a trasformare i dati in sapere per controllare meglio gli affari. Il valore aggiunto della BI risiede negli incroci e nei controlli incrociati di banche dati come le indagini realizzate presso i consumatori, le carte fedeltà richieste dai clienti, le informazioni ottenute dalla lettura dei codici a barre, ecc. Per esempio, si tratterà di studiare la correlazione tra gli acquisti di vari prodotti. Le tecniche fondamentali della BI sono il "Data Warehousing e il Data Mining. Il Data Warehouse (magazzino di dati) è un sistema sofisticato di supporto decisionale che associa e amalgama all’interno una banca dati le informazioni provenienti dai diversi servizi di un’organizzazione. Il Data Mining (estrazione di dati) raggruppa invece l’insieme delle tecniche che permettono di trovare le informazioni pertinenti che si nascondono" in gigantesche banche dati.

    Se da un lato la "Business Intelligence (accessibile ai grandi account) si interessa quindi essenzialmente a dati strutturati, la Competitive Intelligence", in altre parole, l’intelligence economica, si interessa anche, e a volte in primo luogo, ai dati non strutturati.

    In ultima analisi la rotture quantitativa e soprattutto quella metodologica sono al centro delle dinamiche di intelligence economica e il loro convergere è indubbiamente una chiave per capire come due mondi così lontani – l’intelligence e il management – si siano infine incontrati (Beau, 1997). Perché, come spiegare che i professionisti dell’intelligence abbiano avuto un ruolo così importante nella genesi dell’intelligence economica se non a causa della rottura metodologica provocata dalla globalizzazione?

    II

    Lo studio della genesi dell’intelligence economica francese -sottolinea il Rapporto Martre-è da individuarsi nel modello giapponese. Ebbene, a tale riguardo, la riflessione di Christian Harbulot risulterà determinante per l'intelligence francese.

    Nel 1988, Christian Harbulot è stato coautore, con lo pseudonimo di Marc Elhias, di un’opera dal titolo evocatore: Il nous faut des espions (Nodinot, Elhias, 1988), cioè Ci servono delle spie. Nell’ultimo capitolo intitolato La sale guerre économique (La sporca guerra economica), spiega che l'Occidente ha cominciato a prendere l’intelligence economica sul serio quando si è reso conto che, grazie a questa leva, l’Impero del sol levante è diventato la seconda potenza industriale del mondo… La cultura nipponica dell’intelligence è molto ricca. Bisogna risalire agli ultimi tempi della chiusura del Giappone per capire come i giapponesi abbiano fatto dell’intelligence uno strumento del loro successo economico. All’inizio dell’epoca Meiji, l’abbandono del sistema feudale e il passaggio rapido al capitalismo hanno assegnato un’importanza crescente alla casta dei commercianti che occupavano fino ad allora uno dei ranghi più bassi della scala sociale. Per innalzare il loro status e fare svanire il disprezzo tradizionale, i commercianti giapponesi hanno cercato di associare numerosi samurai alle loro attività. Era più di una semplice assimilazione favorita dalle circostanze. Il codice d’onore e l’etica di vita dei samurai vanno così a imporsi naturalmente all’interno del Giappone moderno! Questo meticciamento gerarchico ha dato ai capi delle imprese una dottrina morale molto orientata al combattimento… È stato riallacciando i rapporti con il suo signore che Mitsui ha costituito la prima rete bancaria giapponese. I samurai hanno saputo investire la loro energia nelle battaglie ‘commerciali’.

    Una valutazione analoga fu data da Pierrette Bergeron, professore all’Università secondo il quale il Giappone è probabilmente il Paese che ha più affascinato gli osservatori nell’ambito dell’intelligence economica e la sua formidabile crescita negli anni ’80 (il ‘miracolo economico giapponese’ dell’epoca), quando l’economia occidentale era in piena recessione, ha stimolato numerosi studi sui metodi, sulle pratiche e sulle culture organizzative giapponesi che potevano essere responsabili di questo ‘miracolo’. Di fronte ai successi nipponici gli USA tentarono diverse volte di creare una sinergia tra attori pubblici e privati… invano. Così, il consorzio US Memories, creato nel 1989 sotto l’egida del Pentagono per fabbricare delle memorie capaci di fare concorrenza a quelle del Giappone, non ha potuto resistere alla reazione immediata di quest’ultimo che è consistita nell’abbattere i prezzi. Il consorzio si dissolse un anno dopo e Intel si consociò proprio con un giapponese, come obbligavano la globalizzazione e la cooperazione-concorrenza. Alcuni anni più tardi, è creato il consorzio SEMATECH su iniziativa del complesso militare-industriale. A prova della sua importanza, il Pentagono vi mette al comando l’ex capo della National Security Agency (NSA). Nel 1991, la CIA commissiona al Rochester Institute of Technology un rapporto sul Giappone – Japan 2000 – a un pannello di specialisti come l’accademico esperto di MITI Chalmers Johnson, Robert Mac Farlane, ex assistente del Presidente Reagan al Consiglio Nazionale di Sicurezza, o Tim Stone, Direttore dell’intelligence globale di… Motorola, vicepresidente di questa compagnia ed ex esperto dell’intelligence scientifica e tecnologica all’interno della CIA.

    All’inizio, il rapporto Japan 2000 insiste sul carattere strategico dell’industria dei semiconduttori, elemento-chiave della catena tecnico-economica. È per questo, come sottolinea un documento interno di Intelco nel 1993 ,che dopo averne dominato la produzione, i giapponesi cercano di avere il dominio sulla fabbricazione dei microchip. Gli USA e il resto del mondo non possono dunque aspettarsi altro che raccogliere le briciole della torta. Questa supremazia giapponese esercita un’influenza deleteria sulle industrie militari e sulla sicurezza nazionale degli USA che dipendono completamente da questi elementi micro-elettronici. I microchip sono alla base della catena di fabbricazione della maggior parte dei prodotti. Si può concepire questa catena come una piramide il cui vertice è costituito dai supercomputer. I giapponesi hanno quindi orientato la loro industria dell’informatica al controllo di questo settore, mentre gli USA hanno acquisito una superiorità nel campo dei software e dei sistemi di collegamenti in rete, di trattamento e di integrazione simultanee. La lotta tra queste due nazioni sarà intensa e probabilmente decisiva su questo teatro particolare dell’economia mondiale. Possiamo trarne una lezione chiarissima: non possiamo vincere un tale combattimento se non ci sbarazziamo delle nostre vecchie abitudini commerciali.

    In conclusione, e sebbene il rapporto denunci l’antinomia che esiste tra la cultura economica giapponese e quella occidentale (e in particolare statunitense), esso comunque sottolinea il fatto che il Giappone ha costruito la propria superiorità sull’informazione e sull’acquisizione delle conoscenze e che si tratta di una logica da imitare. Schizofrenia o pragmatismo? La frontiera talora è sottile. Ed ancora una volta l'analisi di Inteleco è di estremo interesse.In questo contesto di una nuova economia e di un nuovo ordine mondiale, la conoscenza diventerà il fondamento primordiale della potenza economica. Diventa perciò indispensabile cogliere correttamente le prospettive mondiali e le sfide cui sono esposte le invenzioni e le tecnologie occidentali. È indispensabile che gli americani continuino a produrre nuove tecnologie sapendole proteggere da un saccheggio straniero, per poter meglio sviluppare i loro prodotti e conservare e perfino aumentare le loro quote tradizionali sui mercati mondiali. Le invenzioni tecnologiche e le attività di intelligence su un piano mondiale costituiscono gli elementi indispensabili di una potenza economica basata sulla CONOSCENZA. Questi stessi elementi sono assolutamente vitali per il successo delle industrie americane che si scontrano con una concorrenza mondiale. La maggior parte delle tecnologie d’origine americana sono sviluppate per mezzo di sovvenzioni statali e grazie a programmi che interessano la difesa. Ormai diventa urgentissimo che il governo degli USA stabilisca una politica generale di trasferimento di tecnologie e di informazioni che avvantaggi le imprese nazionali, seguendo l’esempio di molti altri Paesi e in particolare del Giappone.

    Le implicazioni furono rilevanti. Infatti appena due anni dopo, nel 1993, il Presidente Clinton crea, secondo il modello del famoso consiglio nazionale di sicurezza, un consiglio economico di sicurezza (National Economic Council), con il compito di coordinare le politiche pubbliche nei confronti delle imprese. E sicuramente si tratta solo della punta dell’iceberg. Come spiega il Generale François Mermet, ex Direttore Generale della DGSE, sono creati anche altri organismi. Ci riferiamo in particolare al National Counter Intelligence Center (NACIC) o al National Infrastructure Protection Center (NIPC). Il NACIC è un organismo di cooperazione con le imprese istituito dalla FBI, dalla CIA e dal Dipartimento della Difesa. Il suo ruolo è di anticipare e impedire qualsiasi tentativo di spionaggio economico nei confronti delle imprese americane. Secondo il Generale Mermet, esso si occupa in realtà di una vigilanza sull’attività delle società straniere e trasmette regolarmente le proprie informazioni al settore privato. In questo quadro, un gruppo energetico è riuscito ad accedere a un mercato asiatico, grazie a un ex direttore della CIA, diventato amministratore di questa società (Mermet, 200, pp. 53-54). Per quanto riguarda il NIPC, la cui missione è prevenire i rischi che gravano sulle infrastrutture critiche degli Stati Uniti, esso garantisce logicamente una condivisione dell’informazione tra le agenzie di intelligence e le imprese private interessate. E questi sono solo alcuni degli elementi di un dispositivo molto complesso e in continuo movimento.

    L’amministrazione Clinton aggiusterà il tiro rispetto al Giappone, prendendosela con altri Paesi alleati e in particolare la Francia. La microelettronica rimane al centro della guerra economica e della riconversione annunciata dei servizi segreti. In un’opera molto impegnata, Friendly Spies (1993), il giornalista americano Peter Schweizer mostra come gli alleati degli USA si danno, senza alcuna morale, al saccheggio delle tecnologie americane. Essere in testa suscita necessariamente delle cupidigie e gli Stati Uniti devono dunque rafforzare i propri mezzi di protezione.

    III

    Abbiamo dunque sottolineato come l’esempio giapponese ha giocato un ruolo cruciale nella genesi dell’intelligence economica sia dalla parte americana sia dalla parte francese. Dalla metà degli anni ’80, il Giappone è citato come esempio dagli specialisti della sorveglianza o della gestione dell’innovazione. Ma sono gli scritti di Christian Harbulot ad attribuire alle pratiche giapponesi una dimensione più strategica e a trovare attento ascolto presso qualche politico e alti funzionari. Alla metà degli anni ’80, il giornalista André Bercoff gli presenta Bernard Nadoulek con cui andrà a praticare karate ma anche e soprattutto a condurre studi e missioni di consulenza sull’analisi comparata delle culture (in particolare per la Apple). Sempre spinto da André Bercoff, Christian Harbulot scrive a quattro mani la sua prima opera: Il nous faut des espions (1988). Con il suo coautore Laurent Nodinot, incontra l’Ammiraglio Lacoste, che gli consiglia di adottare uno pseudonimo vista la sua mancanza di legittimità: sarà Marc Elhias. In questo libro pubblicato da un grande editore (Robert Laffont) e che tratta della crisi dell’intelligence occidentale è sottolineato il ruolo ormai predominante dell’economia. Ma, soprattutto, è la prima opera che osa parlare apertamente di cultura dell’intelligence. Parallelamente, il Centro di Prospettiva e Valutazione del Ministero della Ricerca (CPE) ha ordinato a Bernard Nadoulek (con il contributo di Christian Harbulot) uno studio sull’intelligence strategica che trasferisce al mondo dell’impresa gli strumenti concettuali e metodologici della strategia militare, dell’intelligence e dell’azione ideologica e psicologica. Questo trasferimento è a nostro avviso essenziale perché, per quanto polemico (o proprio perché lo è), il concetto di guerra economica va, in un primo tempo, a riunire attori molto diversi che non si sarebbero ritrovati attorno alla sola nozione di cultura dell’intelligence, troppo specializzata, o di intelligence economica, ancora riservata a qualche iniziato. La comunicazione fatta attorno all’idea di guerra economica permette dunque di diffondere un messaggio chiaro sia alle élite sia al grande pubblico, grazie ai media necessariamente attratti dalla spettacolarità del concetto. Nel 1991, Bernard Esambert rende popolare tale concetto nell’opera intitolata La guerre économique mondiale. Così spiega che il terzo conflitto mondiale è nato negli anni ’60 e si è poi intensificato… Le armi del conflitto sono le valute e la loro parità, il commercio e i suoi ostacoli, mentre le imprese forniscono il grosso degli eserciti e sbarcano sempre più spesso all’estero grazie ai corpi scelti delle multinazionali. Ma la comunicazione fatta attorno all’idea di guerra economica permette anche una certa comunione di pensiero riunendo – una volta tanto – gli ammiratori e i detrattori del Giappone.

    Sotto il profilo politico la reazione francese sarà rapida. Edith Cresson,divenuta ministro degli affari europei, mette all’opera dei gruppi di lavoro battezzati Gruppi di Studi e Mobilitazione (GEM). Essi riuniscono professionisti di tutta la Francia per settore: responsabili d’azienda, rappresentanti locali, sindacalisti lavorano insieme e redigono rapporti che contengono informazioni e consigli che permetteranno in seguito di dare impulso a delle azioni utili. L’idea parte dalla costatazione che l’amministrazione francese non sempre comprende la realtà delle imprese e il contesto in cui esse si evolvono. Ha appena fatto appello alla creazione di un grande Ministero dell’Economia che raggruppi il commercio estero e l’industria… un equivalente del MITI giapponese, simbolo dell’intelligence economica nipponica e di una nozione chiave: la rete. Ma a causa della mancanza di volontà politica e del funzionamento verticale delle élite francesi, quest’appello resterà senza seguito malgrado la messa in evidenza del modello giapponese e della sua cultura delle reti .

    IV

    Dicevamo del dispositivo nipponico -ed in particolare-del MITI.Il dispositivo giapponese riunisce diversi attori, noti o sconosciuti. Tra loro, c’è ovviamente il mitico MITI (diventato dopo qualche anno METI), emblema dell’intelligence economica insieme al JETRO, organismo sotto la sua tutela. Creato nella sua forma attuale all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per supervisionare la ricostruzione del Giappone , il Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria è spesso definito dagli occidentali come il super-ministero. Ma, come osserva François Grout, ex addetto scientifico all’ambasciata di Francia a Tokyo, la

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