L'Albero
Di Valerio Bollac e Nerofumo
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Info su questo ebook
Il percorso dl protagonista è faticoso, una salita disseminata di pietre aguzze e dolorose, senza una meta precisa con qualche oasi provvisoria dove riprendere fiato, ma lui, cinquantenne, lo affronta con l’emozione dei vent’anni e non si preoccupa di percorrerlo a piedi scalzi, consapevole com’è che il Sapere è privo di certezze perché il Sapere non ammette certezze.
Ha la strafottenza dell’umile, di chi sa di non essere arrivato alla vetta, di chi sa che probabilmente non ci arriverà mai, tuttavia rifiuta di precipitare nel baratro, animato dalla volontà ferrea di raggiungere l’obiettivo anche se l’obiettivo non esiste, o meglio non gli è accessibile.
E' uscito dalla tana, dal consolante tran tran quotidiano: come la prima scimmia che ha impugnato la clava, esce allo scoperto in caccia di non sa ancora cosa ma, egualmente, cerca perché non può farne a meno, perché non è più scimmia ma uomo e lascia tracce umane sulla sabbia.
Seguiamole!
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Anteprima del libro
L'Albero - Valerio Bollac
L'ALBERO
INCIPIT
Un vecchio albero malconcio, spoglio, rachitico … inutile.
Nei tempi che furono, le fronde verdeggiavano di orgoglio ed i rami ne sostenevano il peso senza fatica.
Anche il sole doveva arrendersi alla sua ombra.
Ma adesso, piegato sul balcone quasi che la balaustra potesse difenderlo dagli anni che rincorrono i suoi ultimi sospiri, sembra lo scheletro di un patetico guerriero sconfitto da una secolare battaglia.
Ossa di legno nude e poche foglie diafane, un verde anemico di cruda stanchezza, braccia rinsecchite che cercano il conforto che tutti bramiamo alla fine della strada.
Il prossimo inverno, ospite di un caminetto ardente, diventerà fiamma e brace per poi volare lungo il camino ad incontrare il cielo ed i suoi malumori mille e mille volte sfidati.
Legno antico che tanto conosce, nonostante le radici l’abbiano tenuto da sempre e per sempre in quell’unico posto a guardare una finestra.
Vorrebbe sussurrare segreti che il vento gli ha raccontato soffiando tra le foglie, piccole verità illuminate dal bagliore del sole o suggerite dalla luna con pallidi sorrisi, ma nessuno lo ascolta perché è malconcio, spoglio, rachitico, inutile e perché tutti temiamo la vecchiaia che diventeremo.
ON THE ROAD
La mia 356, non più giovane ma fascinosa ed ancora graffiante, attraversa veloce la canicola e crea vortici turbolenti. Schiaffeggiano il viso senza provocare la frescura che potrebbe garantirmi l’aria condizionata, anzi i refoli restano appiccicati al sudore ed il risultato non ha un risvolto fisico positivo.
Ma non è un benessere corporeo che cerco.
È il vento, o meglio la sensazione di forgiare il vento (con l’aiuto della Porsche, ovviamente), a farmi stare lì col piede pesante ed i pistoni esaltati.
Lo so, mi sto nutrendo di illusioni, come se la mia barca, vuotata la vela da una bonaccia deprimente, potesse solcare i mari col solo soffio del mio alito.
La sindrome di Eolo
, non c’è dubbio.
Non m’importa, si vive anche di sogni.
Ed il sogno è un piccolo abitacolo invaso dalla frenesia di affrontare spudoratamente il calore del sole ed il fuoco del catrame con la certezza di vincere la battaglia.
Forse questa insulsa vacanza verso lidi lontani nel tempo, ma ancora vivi nei ricordi, è il frutto naturale di un anno di lavoro indubbiamente proficuo sotto il profilo finanziario, purtroppo, però, avarissimo riguardo alle soddisfazioni sul tipo di lavoro svolto.
Ho sfacchinato tanto, ma avessi fatto una foto che mi piaceva!
Comunque meglio non lamentarsi; sono piaciute ai committenti ed i committenti, soddisfatti, hanno stappato il portafogli e, stavolta, mi sono dissetato a champagne anziché acqua minerale.
Sono i vantaggi di travagliare per la pubblicità!
E, adesso, sono qui, accucciato stile figo attempato ma giovanile, nel mio cabriolet, pestando oltre i limiti del consentito sull’acceleratore.
In vero sto pagando undici mesi di stress mentale e, non so perché, penso di potermi curare volando verso il passato che contenga i semi di un futuro più accettabile.
Un altro sogno!
Sarà meglio accontentarsi di un presente gradevole.
Comunque non accenno a rallentare e succede quello che, a pensarci un po’ su, poteva succedere.
Il boxer comincia a balbettare sempre di più, poi borbotta ed esaurisce le sue risorse in uno sconsolante silenzio motoristico.
Ecco, ho fatto il danno!
Neanche pensarci di aprire il cofano e tentare l’impresa.
M’intendo di macchine come una monaca s’intende di sesso (con l’eccezione di Suor Virginia Maria, la quale ha potuto espletare qualche pratica in proposito grazie al placet di Alessandro Manzoni), quindi sto con i piedi nella cacca ed il resto del corpo in graticola.
Accendo una sigaretta, hai visto mai mi calmo.
Il fumo stimola la riflessione (magari non è vero, ma fa lo stesso) e la soluzione appare come un prodigio inatteso. Prendo il cellulare e chiamo il Soccorso Stradale: arrivano entro mezzo’ora.
Risolto il problema della macchina non quello del sole caliente e dell’assoluta latitanza di ombra, cerco di passare il tempo pensando.
Certo se il mattino si vede dal buongiorno questa vacanza mica promette tanto bene.
Invece no!
Mentre sto ciancicando il mozzicone si ferma sbuffando un ciclopico trattore da cui scende un ciclopico contadino che non patisce il caldo abbrustolito com’è dagli anni passati sui campi a patteggiare i pasti con la Natura che non è sempre benevola.
Le rughe pesanti raccontano pezzi della sua storia che mi piacerebbe conoscere se non fosse che mi sto liquefacendo come un gelato.
«Gran macchina! – lusinga il gigante – Del ‘57, vero?"»
La competenza imprevista del villico mi stupisce non poco.
«Bella ma dannata. Mi ha lasciato a piedi.»
Si avvicina sogghignando.
«Sono tutte primedonne, le 356! Stupende è capricciose come star. È vero che talvolta se ne approfittano, ma qualche peccatuccio dobbiamo perdonarglielo, non crede?»
Peccatuccio!?
Quarantamila euro incollati all’asfalto non sono un peccatuccio!
Sono una follia!
C’è di che mangiarsi il fegato con un bel piatto di fave ed un buon Chianti.
«Sarei quasi d’accordo, però, almeno, le donne aspettano il momento opportuno! Questa disgraziata mi ha mollato qui a disidratarmi sotto il sole mentre aspetto il carro attrezzi.»
«Ma no, non c’è bisogno del meccanico, sarà una sciocchezza! Posso? – senza attendere la risposta apre il cofano e comincia ad armeggiarci dentro – Lo immaginavo … lo spinterogeno è sporco. Se vuole ci penso io.»
È così facile riparare una macchina?
«Magari, mi farebbe proprio un favore.»
Torna all’elefante meccanico: inumidisce uno straccio con la nafta e ne prende un altro pulito.
Due mani, due stracci … mi pare logico.
Ritorna ad affaccendarsi nel vano motore.
Lustra la calotta come la meticolosità di un orologiaio e la rimonta con la perizia di un chirurgo.
Tre minuti e tutto è pronto.
«Fatto! Provi a mettere in moto.»
Obbediente salgo e giro la chiave in preda ad una dubbiosa speranza che, però, all’istante,