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La Bracconiera
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E-book197 pagine2 ore

La Bracconiera

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Info su questo ebook

Una capitano dei carabinieri lesbica, un investigatore privato effeminato, una commissario di polizia scientifica frigida, un maresciallo dei RIS attempato: quattro assi nei loro ruoli sulle tracce dell’assassina seriale chiamata “la bracconiera”: una bionda bellissima e incredibile vendicatrice, che fa strage di manigoldi (magnaccia, violentatori, strozzini) con una vecchia rivoltella calibro 32 dal nome emblematico (Colt Cobra) rinvenuta per caso nel fango del letto di un torrente in secca in un bosco… Quattro destini quelli dei protagonisti che si intrecciano perché irretiti da quello della bracconiera… O forse sarebbe meglio dire da quello predeterminato della pistola Colt, che per la sua storia di oggetto di morte ha coinvolto gli umani (bracconiera compresa) per le loro passioni di vita, a seconda delle diverse nature che alla vita li ha avvinti… per ritrovare con la morte il risultato finale di ogni vita umana, sicuramente…! A meno che a morire non sarà stavolta la morte…?
LinguaItaliano
Data di uscita25 mag 2015
ISBN9786050382549
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    Anteprima del libro

    La Bracconiera - Loris De Benedetti

    LA BRACCONIERA

    Romanzo di Loris De Benedetti

    Copyright de: ‘La bracconiera’ di Loris De Benedetti

    Storia e personaggi sono frutto di fantasia: ogni riferimento a fatti e persone esistite o esistenti è completamente casuale

    In copertina: Diana cacciatrice, particolare da un dipinto di un anonimo veneziano del ‘500

    Prologo

    Ti incontrai disperata nel fango indurito di un torrente disseccato... la corta canna otturata di terra sporgeva fra le foglie cadute per una estate troppo afosa, sporca sotto il fiacco sole al tramonto oltre la curva del colle. Mi chinai su di te con la curiosità di scostare gli sterpi che ti coprivano, di staccarti dal terreno dove lasciasti impressa l’orma della tua immagine... Il metallo brunito nella mia mano, che ti sorreggeva rigirandoti e ti soppesava contemplandoti, pativa forse anni di abbandono nel fondo d’acqua di torrente dove forse ti avevano intenzionalmente gettata a marcire per mai più essere ritrovata e mai più usata a improntare la tua divina missione di morte, o manufatto umano creato per uccidere! In te mi riconobbi, perché subito ti amai, malgrado la ruggine e la terra ti avessero intaccato il metallo e inceppato il meccanismo..., e subito ti riconobbi perché una volta avevo un giocattolo che imitava in plastica la riproduzione del tuo modello...

    Un revolver Colt Cobra in pessime condizioni… Il cane bloccato, il tamburo che non girava più, il grilletto incrostato dalla ruggine…

    …Ti misi in tasca e tornai alla macchina che raggiunsi sulla radura dopo una decina di minuti di cammino nel sottobosco di castagni. Riposi il paniere, coi pochi funghi trovati, dietro il sedile e dentro, sotto i porcini, ti nascosi...

    Raccolta felice quella mattina... Chissà! persa o buttata forse da qualche contrabbandiere di sigarette o di valuta che ancora fino a una decina di anni prima battevano la zona marciando verso il vicino confine svizzero...

    …Misi in moto e girai la macchina lungo il sentiero che riportava sulla strada verso la città, pensando intanto ai mezzi più efficaci per restituirti alla funzione per cui sei stata costruita... una lunga lavata in acqua corrente innanzitutto, poi l’immersione completa magari per giorni nell’olio lubrificante..., per smontarti pezzo per pezzo: ripulirti, ripararti... Per quanto tempo tu sia stata condannata alle intemperie, sei pur fatta di duro acciaio!

    ...E ti ho recuperata, perché non è la conoscenza che difetta in chi come me le pistole come te le ha sempre amate e volute fin dall’infanzia, quando collezionavo le prime enciclopedie a fascicoli sulle armi che venivano pubblicate... È bastata una settimana, e sei tornata a funzionare perfettamente... Posso cominciare con il lavoro su cui ho meditato durante le ore che ti ho dedicate...

    ...Ma è tanto che ci penso, che studio il modo, l’opportunità per quello che diventerà un hobby produttivo: la caccia!, anzi...: il bracconaggio, perché il tipo di attività venatoria a cui aspiro non è di certo permessa dalla legge...

    Caricandoti finalmente il tamburo delle cartucce, penso alla selvaggina che più brada di più infesta la giungla metropolitana... e la spontaneità del sorriso mi scopre dalle labbra i denti.

    1

    Cira Mercuria Bai da bambina era stata un maschiaccio scapestrato. Non si stupì perciò la madre quando, diventata ragazza, decise per una professione da uomo arruolandosi nei Carabinieri.

    Non le mancavano certo i requisiti di idoneità fisica, perché era una biondona di settantacinque chili alta uno e ottanta. Né la madre ebbe niente da ridire, anzi! Nella decisione della sua unica figlia vide il segno del destino: quello stesso che l’aveva vent’anni addietro fatta incontrare col brigadiere Menotti che l’aveva ingravidata tre mesi prima della data prevista per il loro matrimonio…, ma lei se ne accorse solo tre giorni dopo di quello in cui lui morì nello scontro a fuoco contro rapinatori di banche. Erano fidanzati ufficialmente e il Menotti non aveva altri parenti stretti, perciò la medaglia al valore la consegnarono a lei: e l’aveva sempre tenuta incorniciata con la fotografia del Ciro (eh sì, si chiamava proprio Ciro Menotti) splendido nell’alta uniforme (quella col pennacchio) dei Carabinieri. Cira Mercuria (Ciro come suo padre e Mercurio come suo nonno materno) quella foto appesa dietro il lumino votivo in cucina l’aveva sempre avuta sotto la vivace mira degli occhi blu..., e la ragazza triestina (e una ragazza come lei!), quando ci fu la possibilità per le donne di fare il soldato, per istinto rispose al bando di concorso per carabiniere. Dopo tre anni di ferma, cioè a ventidue anni, riuscì ad essere ammessa in accademia e diventò ufficiale: da appuntato divenne tenente e fu presa in forza alla squadra investigativa presso il Comando di Legione di Milano a venticinque. A ventisei partì volontaria per l’Iraq, tornando a ventotto col grado di capitano: una carriera del tutto meritata.

    Aveva il comando della squadra investigativa all’epoca dei fatti: divenne famosa a trent’anni comparendo nelle interviste televisive, invitata anche sul talk show della rete nazionale quando risolse il caso dell’assassino seriale chiamato La Bracconiera... Poi, promossa al grado di maggiore, la trasferirono a Genova.

    Loro si conobbero l’anno prima, in una birreria frequentata da omosessuali di entrambi i sessi.

    Lei non ci andava in divisa, ovviamente. Anzi, raramente indossava la divisa dacché era all’investigativa. In ogni caso nessuno del pub di via Lorenteggio sapeva che era un ufficiale dei carabinieri la bella bionda che in minigonna usava frequentare proprio quel locale. Non che i maschi le facessero propriamente schifo... Gli era che preferiva di più le brune passionali, magari spagnole come lo era stata Mercedes..., che neppure aveva mai saputo di avere avuto per amante una carabiniera. Dei carabineros di casa sua, del resto, non aveva simpatia, perché le avevano portato via la madre quando non aveva ancora sette anni, perché era una terrorista basca.

    Poi con Mercedes, tornata a Madrid, era finita... Era perciò sola e in cerca quella sera, al pub di via Lorenteggio, quando lo vide...

    Aveva i capelli rossi, i modi e i tratti effeminati; era elegante e odorava di profumo delicato, e forse lei lo fece apposta a rovesciargli il bicchiere di Beck’s sul completo di lino giallo.

    Scusa, disse mortificata Cira girandosi con un colpo d’anca sotto la minigonna sullo sgabello verso chi, seduto al suo fianco, si rimirava sorpreso il bagnato di birra fresca che finiva di gocciolargli dal bancone sopra il cavallo dei pantaloni…

    Oh, fece appena il rosso.

    Mi dispiace moltissimo... Che scema..., sostenne la bionda che, se fingeva sgomento, era molto convincente nella parte. Spero di non averti rovinato il vestito...

    Alzò gli occhi, lui, a fissare quelli blu, di lei…, che forse tradivano una punta di ironia nel profondo delle pupille... Ma preferì stare al gioco se di gioco si trattava. Allora le sorrise, con una mossettina si spostò la frangia rossa dei capelli dalla fronte e le disse con la voce nasale e la erre moscia:

    "No, la birra (la bivva) non macchia mica. E poi era bella fresca (fvesca)..., e con questo caldo..."

    Ti do il mio numero di telefonino, così mi dirai per il conto della tintoria...

    Il tuo numero lo trascrivo volentieri, ma per dirti altro di diverso di conti di tintorie...

    Mi sembra strano che uno come te voglia provarci con una come me in un locale come questo...

    "Beh, io non ci bazzico spesso in locali come è questo... Ma mi sembra talmente diverso da poter sopportare gli incontri anche più normali. E io non sono mica omosessuale! Se lo sei tu, per me fa lo stesso, perché non sono neppure omofobico. Una bella donna per me è in ogni caso una bella donna, e mi sento lusingato di poterle come ora parlare a tu per tu..."

    Arrossì Cira. Non se lo sarebbe mai aspettato un complimento galante in quel locale da un... uomo. Lei dettò il numero che lui memorizzò sul cellulare. Lui le comunicò il suo richiamandola subito per farglielo comparire sul display.

    Che nome metto?, gli chiese.

    Le amiche mi chiamano Baldo, le rispose, E tu?

    Le amiche mi chiamano Cicci

    Baldo e Cicci, promette bene.

    Si strinsero la mano, e da quel momento nacque la loro particolare amicizia.

    È qualche settimana che seguo l’albanese. L’ho fotografato e ripreso con la telecamera durante la sua attività di magnaccia. È da qualche settimana che riguardo le foto e i video su questo schermo di notebook: conosco il suo volto a memoria, so delle sue abitudini negli spostamenti... È un abitudinario l’albanese: comincia il suo giro dopo le nove di sera, con le ragazze che battono in fondo a viale Fulvio Testi, e via via le passa tutte e dodici a raccogliere i soldi fino a quelle che ha intorno al Cimitero Monumentale, per ricominciare poi il giro daccapo. È un duro l’albanese: da solo tiene a bada dodici ragazze... Lui avrà quarant’anni, la testa pelata e la panza..., è alto, ha la faccia da stronzo e una fuoristrada Nissan rossa... Le sue ragazze sono tutte giovani... la più vecchia forse è la sola maggiorenne... nessuna ha il permesso di soggiorno: tutte clandestine esteuropee, alcune molto belle... Ne ammiro i volti giovani, gli occhi chiari, i capelli per lo più biondi: così come li ho ripresi in fotografia e sui video... Ce n’è una, forse la più piccola...: gambe magre, seno acerbo..., sta in compagnia della più anziana del gruppo: la rumena, che senz’altro le sta insegnando il mestiere dietro il Monumentale, che è il posto dove battono...

    ...Me la sono fatta la rumena una volta: cinquanta euro alla botta in macchina... sbrigativa ma soddisfacente. Ho provato con la sua compagna giovane... è romena anche lei e anche se non ha ancora compiuto quattordici anni è già ben avvezza all’attività da non disdegnare neppure le lesbiche, anzi!... Dice quella più grande che le preferisce le lesbiche perché non c’è da impiastricciarsi con la vasellina per sentire meno male...

    Alle quattro del mattino l’ho aspettato in macchina, nei pressi di casa sua. Ha trovato il parcheggio per la Nissan sotto gli alberi di viale Zara vicino la stazione della metropolitana... Nessuno per strada: solo il caldo umido della notte di fine estate. C’è un posto libero vicino a dove ha parcheggiato lui: metto in moto e mi ci infilo con la mia macchina. Gira la testa a guardarmi attraverso i finestrini abbassati, lo guardo, mi fa un ghigno di sorriso prima di pronunciare:

    Dove vai, bella bionda, a quest’ora e con ‘sto caldo?

    Gli sorrido sotto il rossetto a labbra serrate. In silenzio scendo dall’auto per girarle intorno e avvicinarmi a quella sua... Sta a guardarmi come un gatto soddisfatto farebbe con un topolino mentre mi avvicino, e quando sono lì a due spanne dal suo naso, ancora mi dice:

    Sei una bella donna, bionda! Hai classe, come le signore ricche... Una puttana italiana!... Ma molto, molto bella... Quanto chiedi, tu?

    Dall’alto dei miei tacchi a spillo gli infiggo le mie pupille nel nero delle sue iridi... e gli rispondo, spazzandogli via il sorridere osceno dai denti cariati:

    Tutto mi prendo, animale!

    La Colt Cobra già nella mia mano sinistra la sollevo al livello dei suoi occhi che si fanno di gatto spaventato alla vista di un serpente: un solo colpo e gli apro un terzo occhio rosso nel centro della fronte e finisce gettato con gli altri due neri sbarrati lungo e disteso sul sedile del passeggero, stupefatto dalla morte improvvisa... Un momento prima era vivo e stronzo, un momento dopo semplicemente morto: come dovrebbero tutti gli stronzi come lui.

    Non perdo altro tempo: apro la portiera e mi chino a frugarlo... la minigonna mi scopre del tutto le cosce mentre in ginocchio sopra i suoi coglioni gli cerco sotto la patta quello che so custodito lì, infilato nelle mutande accanto all’uccello e alla Beretta sette e sessantacinque... Ce l’ha in tiro l’uccello! che strano... Mi scappa da ridere per la sorpresa mentre gli prendo il portafogli rigonfio e la Beretta... Sto un momento ancora a guardargli la verga che nuda si erge come un crotalo senza denti attraverso i pantaloni aperti... gli do un colpo sul glande scoperto con la canna della pistola che gli ho preso, poi mi sfilo dalla fuoristrada e mi guardo intorno..., non vedo nessuno... e me ne vado.

    Accelero sul viale, accarezzando sul sedile accanto il portafogli rigonfio e la Beretta automatica del magnaccia albanese... È stata una buona caccia: forse cinque, sei mila euro di selvaggina, oltre la pistola... Avrei potuto prendergli le chiavi e salire in casa sua a cercare altri soldi, altre armi..., ma avrei dovuto uccidere la femmina che vive con lui col suo cucciolo, un bambino di tre anni... Non era quella l’occasione. Ho tante altre occasioni di caccia più propizie ad incursioni nella tana della selvaggina... Ne ho compilato una lista: il pappone albanese era il primo, il secondo è uno spacciatore marocchino di piazza Napoli al quale ora posso dedicare tutto il tempo: per studiarne le abitudini seguendone le tracce...

    2

    Arcibaldo Baldoni aveva trent’anni, single. Faceva... l’investigatore privato! Con regolare licenza e porto d’armi, era l’intestatario di una piccola agenzia che aveva l’ufficio in un appartamento di via Padova nel quale abitava. Il capitano Bai lo scoprì facendo uso del suo codice abilitativo per accedere all’archivio informatico di Wind e sapere chi fosse l’intestatario del numero di telefonino che le aveva dato la sera prima Baldo... Dall’archivio della prefettura estrapolò col suo computer in ufficio il suo volto, incorniciato dai capelli rossi col taglio alla Sgarbi, ritratto dalle fotografie della patente di guida e del porto d’armi... era proprio lui: Baldo. Sorrise ricordandolo come l’aveva conosciuto poche ore prima: con l’elegante completo di lino giallo che intenzionalmente gli aveva innaffiato di Beck’s, e proprio per attaccar bottone... Lo aveva trovato simpatico non appena l’aveva visto sedersi sullo sgabello al banco accanto a lei..., alto come lei, leggero e felino nei movimenti e nelle espressioni contenute del viso curato, imberbe, profumato... Forse perché era così... effeminato era che l’aveva trovato... bello? Sicuramente pareva un gay, in un locale come quello di Lorenteggio poi!... Ma non era gay..., almeno così aveva detto lui che l’aveva definita una bella donna... Investigatore privato!?

    Si sentì desiderare di rivedere Arcibaldo Baldoni al più presto, e decise di chiamarlo immediatamente.

    Carissima Cicci, rispose colla erre moscia dopo due soli squilli lui, stavo giusto pensando a te. Anzi, lo giuro!: avevo appena preso il telefonino per chiamarti! Ci credi?

    Sì, disse lei mentre sentiva come aprirsi il cuore, perché è tutto il giorno che io sto pensando a te... Ci credi?

    Vediamoci. Adesso?

    Ma... che ore sono?

    Quasi mezzogiorno.

    Tu dove sei?

    Via Sforza ora.

    In macchina?

    No. A piedi. Diretto verso il tribunale.

    Qualche causa pendente?

    "No.

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