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Ti ricordi dell'Hockey Club Torino?
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E-book491 pagine7 ore

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Info su questo ebook

L'Hockey Club Torino è stata una società di hockey su ghiaccio nata nel 1948 e morta poco dopo le Olimpiadi. La sua storia, forse oggi dimenticata, è in questo libro che narra le vicende della squadra torinese che ha vissuto tra alti e bassi, l'evoluzione urbanistica e sociale della città di Torino. Tra vittorie, sconfitte e tradimenti c'è una storia che non deve essere dimenticata
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2015
ISBN9786051769325
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    Anteprima del libro

    Ti ricordi dell'Hockey Club Torino? - Fabio Granaro

    Di nuovo in pista

    Ci vuole un libro per scrivere dell’Hockey Club Torino. E ci vorrebbe un libro per scrivere la storia di questo libro.

    Era l’estate del 1998 ed ero da poco nei twentysomething. Sognavo di fare il giornalista e scrivevo da un paio di anni per il Piemonte Sportivo. Non so perché, ma mi ero messo in testa di scrivere solo di quelli che erano definiti spregevolmente "sport minori".

    Scrivevo di sport che interessavano a pochi e nello specifico mi occupavo volontariamente di rugby, baseball, hockey su pista o in linea. E soprattutto di hockey su ghiaccio. Già. Mica di calcio, no, proprio hockey su ghiaccio. Uno dei pochi a Torino.

    Così in breve tempo entrai in confidenza con l’ambiente dell’Hockey Club Torino e nel 1998 la dirigenza mi chiese di scrivere un libro sui cinquant’anni della società da far uscire nel 1999. Un lavoro entusiasmante per chi puntava a fare il giornalista e soprattutto una grande occasione di farsi conoscere.

    Dietro al poco fantasioso titolo Cinquant’anni dell’Hockey Club Torino misi, con l’aiuto di un dirigente del sodalizio non più operativo ma diventato onorario, le vicende di persone che si emozionavo a ripensare alla propria giovinezza, alla propria passione, alle proprie scorribande e alla vita sfortunata, imprevedibile, drammatica ma allo stesso tempo divertente ed epica di una società importante per la storia italiana di questo sport. Una società soprattutto che è stata testimone dei cambiamenti e della cultura della città. Un gran bel lavoro.

    Quindi, questo libro è stato scritto originariamente nel 1999.

    E allora vi chiederete: com’è che ci troviamo nel 2014, senza l’Hockey Club Torino e senza aver mai letto questo libro?

    Rispondo solo alla seconda domanda per ora, perché all’altra spero di rispondere nelle pagine seguenti.

    Ricordo ancora una riunione presso l’ufficio di uno dei dirigenti, tra il 1999 e il 2000, con diversi membri del direttivo schierati da un lato (metaforicamente parlando) ed io e il dirigente non più operativo ma diventato onorario, dall’altro. Sembrava l’inquisizione spagnola, messa in scena solo per abbattere l’idea del libro. Non seppi mai il motivo reale di questa scelta ma ricordo le incredibili scuse e il risultato finale: volete fare il libro? Fatevelo da soli!

    Il dirigente diventato onorario era molto operativo fuori dalla società e cercò un editore e di avere più prenotazioni possibili per il libro.

    Il tutto diventò, per ovvi motivi commerciali, più un libro fotografico che uno di storia e al posto di un editore si trovò in realtà un tipografo. Con tutto il rispetto per la categoria.

    Le cose sembravano procedere comunque bene e tutto il materiale era ormai pronto. Poi, la società affossò definitivamente in vari modi il progetto.

    Da quel momento non mi occupai più in prima linea di hockey su ghiaccio e del libro sui Cinquant’anni dell’Hockey Club Torino non se ne parlò più fino alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Torino. Si poteva cogliere l’occasione, ma anche quella volta, tutto finì nel nulla.

    Tante persone mi hanno riferito, in seguito, di essere state ferite da questa cosa, perché oltre a prestare la propria memoria, avevano messo a disposizione diverso materiale fotografico e per un po’ non hanno più visto i loro ricordi.

    Lo voglio dire subito e sono sincero: mi dispiace, anche se, tra tempo, spese e sogni, quello che ebbe la peggio fui io. Non diventai mai un giornalista a tempo pieno ma nemmeno un serial killer che uccide dirigenti di hockey. Insomma, me ne feci amaramente una ragione.

    Sul finire dell’anno scorso ho svuotato la cantina di casa e da uno scatolone ammuffito è spuntato fuori un CD contenente il testo originale del libro e alcune foto scansionate. E soprattutto è spuntato un foglio scritto a mano da uno degli uomini che hanno fatto la storia del club al quale avevo girato il testo, che mi ringraziava per il buon lavoro svolto.

    Non ho nulla di stampato e non ho nemmeno le foto, ma, visto che i tempi sono cambiati, tra internet, epub, self-publishing e che nel bene e nel male molta gente non c’è più (compreso l’Hockey Club Torino), ho deciso di rimetterci mano e di modificare/ampliare il progetto iniziale.

    A parte verificare un po’ tutto, ho tolto una certa stucchevole riverenza nei confronti della società e l’irriverenza contro i nemici storici della Valpe e dei Draghi.

    Perché, a parte essere ora un libro senza padrone, alla fine tutti abbiamo lavorato per cercare di rendere popolare questo sport. Litigi, polemiche e rivendicazioni hanno fatto parte della storia di queste squadre, ma alla fine era una grande famiglia.

    Ho fatto tutto ciò perché non c’è una storia scritta della squadra, che è, seppur defunta, una società importante.

    L’ho fatto perché, come dicevo sopra, molta gente aprì il cuore e la mente nel ricordare quella che fu un’avventura, un’epopea. E ripeto: il mio pensiero va soprattutto a loro.

    Spore

    Torino è una città strana. Sempre prima a proporre novità ma sempre in grado di lasciarle scappare altrove. Così è stato per la televisione, la moda, il cinema. E la stessa sorte ha subito l’hockey su ghiaccio.

    Quando nel 1910 il lago del Parco del Valentino ospita il Lione per la prima partita di hockey su ghiaccio in Italia, nel capoluogo piemontese si pattina già da trentasei anni.

    La società che utilizza la pista del parco è il Circolo pattinatori del Valentino, che è anche la prima squadra piemontese che partecipa nel 1925 al primo campionato italiano di hockey su ghiaccio.

    Siamo nell’epoca dei pionieri di questo sport, il campionato è denominato Coppa Cinzano e si disputa nel Palazzo d’inverno di via Piranesi a Milano.

    Tre le squadre partecipanti: HC Milano, Cortina e i torinesi, che arrivano ultimi. L’avventura si ripete ancora nel 1929/30, in un campionato a sei squadre vinto sempre dal Milano nel quale i torinesi perdono entrambi gli incontri della fase preliminare (5-0 con il Milano e 2-0 contro l’Ortisei).

    Ultime due apparizioni piemontesi nel 1931/32 e nel 1932/33.

    Raggi gialloblù, nel periodo più nero

    Il logo riporta una data: 1949. Ma la storia dell’Hockey Club Torino inizia negli anni trenta, nella tragica epoca fascista. È in quegli anni che muovono i primi passi sportivi i giocatori e dirigenti che fondano il club.

    Quattro squadre torinesi raggiungono nel decennio la massima serie: Giovani universitari fascisti (GUF), il Nord Torino, il Bardonecchia e l’HC Juventus.

    Nel 1933/34 Bardonecchia e GUF giocano nella massima serie, con i primi che danno forfait nei quarti di finale e i secondi battuti 8-1 dai Diavoli Rossoneri.

    Nella stagione successiva le cose vanno ancora peggio e le due squadre piemontesi rinunciano. Tocca poi al Nord Torino nella Serie B e, infine, nel 1940/41, a guerra scoppiata, scende in pista l’HC Juventus. Emanazione della polisportiva Juventus attiva dal 1923 al 1949, disputa il suo unico campionato di serie A perdendo 6-2 contro una delle tre squadre milanesi che compongono la massima serie a quattro squadre.

    Le attività dei club a Torino si svolgono a partire dagli anni trenta su quattro campi da gioco (oggi tutti scomparsi).

    La parola campi, che poco si addice all’hockey, in questo caso calza a pennello, perché le patinoire torinesi altro non sono se non campi di tennis innaffiati e ghiacciati. Oltre al Valentino, sono stati in funzione: una pista nel parco della Pellerina, l’attuale Circolo Sporting di corso Agnelli (fondato dalla famiglia Vasario) e lo Sferisterio di via Napione

    Arriva l’Hockey Club Torino

    A prescindere dai risultati, l’importanza di quelle squadre è stata di avere tra le proprie fila i giocatori che nel 1949 fondano l’Hockey Club Torino.

    In quegli anni nascono le figure leggendarie di Antonio Pistamiglio, Italo Cappabianca e Ubaldo Lele Vasario, tutti, o quasi, studenti universitari. Anni arricchiti dai primi sforzi dei fratelli Cotta Morandini che fondano il Valpellice e stringono una forte amicizia con i giocatori torinesi.

    Dalla fine della guerra al 1949 c’è poco o niente a Torino. Nel 1947 si parla di una pista da costruire in corso Oporto (ora Matteotti) all’angolo con via XX Settembre, si legge dell’hockey alle Olimpiadi di St.Moritz e di Jaroslav Drobny, un po’ tennista, un po’ hockeista, scappato nel 1949 dalla Cecoslovacchia.

    A inizio 1949 viene annunciata la creazione dell’Hockey Club Galvani, una squadra di hockey voluta dal signor Allegretti, dirigente di una società di pattinaggio, la GS Galvani, la cui attività ha sede nello Sferisterio di via Napione.

    Tardi per partecipare ai campionati, la neonata società organizza incontri per far conoscere l’hockey: in uno di questi divide i giocatori in campo in due squadre che vestono, anziché la maglia azzurra, quelle del Torino e della Juventus. Un buon successo, che arriva anche a interessare i calciatori Giampiero Boniperti e Pietro Rava, che pubblicamente simpatizzano per l’hockey su ghiaccio. Poi, sciolto il ghiaccio, tutta l’Italia è sotto shock per la tragedia di Superga e non c’è altro di importante.

    I giocatori dell’Hockey Club Galvani alla fine dell’anno sono i protagonisti di un importante articolo di Stampa Sera firmato dal direttore responsabile Giulio De Benedetti, che il 22 dicembre annuncia la nascita dell’Hockey Club Torino con un articolo profetico e un po’ mal augurante. L'hockey sul ghiaccio, a Torino, è uno sport che se vuole avanzare deve aiutarsi da solo. Appunto con questo ardito e generoso programma (un programma che ritorna di anno in anno si è costituito ora l'H.C.T. Torino, che inizierà, prossimamente la sua vita).

    Cappabianca è il presidente e principale finanziatore. Con lui, dice ancora l’articolo, ci sono persone che intendono dirigere lo sport praticandolo: il vicepresidente Garelli, Prat, l’anziano ma sempre dinamico capitano Giorda, Pistamiglio, Ferreccio, Viola, Marini, Bergadano, Mario e Vittorio Veglia, Sorbante, Rosso, Genta, Buronzo, Florio, Ferro, Bertolazzi, Lolli e qualche altro.

    Come dice De Benedetti Sono una ventina di atleti, alcuni dei quali hanno già famiglia e anni di lotte sportive da ricordare, ma che conservano per questo poco conosciuto ed affascinante sport l'entusiasmo della prima giovinezza.

    Lo Sporting Club e il commendatore Colombo, dirigente del Torino Calcio, danno una grande mano alla neonata società allestendo una pista presso la struttura e mettendola a disposizione della squadra alcuni giorni alla settimana.

    Il 6 gennaio 1950, l’Hockey Club Torino inizia ufficialmente la sua attività con un’amichevole contro il Bardonecchia, disputata allo Sporting. Seguono ancora i match con una selezione universitaria lombarda, giocata e vinta con facilità a Varese, con i francesi del Briançon e la solita sfida in famiglia nella quale i giocatori vestono maglie bianconere e granata.

    Sono tante le esibizioni che si organizzano, con squadre milanesi, ma anche alto atesine cercando di giocare poco dopo le partite di calcio per avere un traino, vista anche la vicinanza con il Comunale e il Filadelfia.

    Un inizio incoraggiante, alimentato anche dal progetto di uno stadio multifunzionale che doveva sorgere tra la ferrovia e la Questura a Porta Susa, e che avrebbe dovuto ospitare anche rugby, baseball, pallacanestro, tennis, hockey su prato e a rotelle, boxe, lotta, ginnastica artistica, atletica e pallavolo.

    La stagione 1950/51 inizia con grandi progetti. A partire da Mario Veglia che annuncia un raid Mediterraneo - Città Del Capo, 15.000 chilometri in auto con partenza all’inizio di dicembre.

    Nello stesso periodo iniziano i lavori per allestire a Torino Esposizioni una pista per le attività sul ghiaccio. Il progetto è imponente: la società Torino Esposizioni collabora con il CONI, che versa quaranta milioni di lire, per realizzare un impianto che dovrebbe essere pronto per il 31 gennaio, giusto in tempo per ospitare la nazionale canadese e circa duemila (poi si parla di un numero tra i tremila e cinquemila) spettatori.

    Si prevede di rendere disponibile la pista da novembre a marzo e a luglio e agosto, lasciando negli altri mesi spazio per i tanti saloni ospitati in quegli anni dalla struttura.

    È interessante divagare sulle questioni tecniche di questa pista smontabile, il cui ghiaccio è creato da una soluzione che circola attraverso un intricato sistema di tubi dello sviluppo di ben 17 chilometri. Due sono i compressori ad ammoniaca che creano il freddo e un terzo garantisce la refrigerazione estiva dell’edificio.

    Per gli addetti ai lavori questa pista, una volta ultimata (e risolti i problemi di riscaldamento d’inverno), sarà la più affascinante d’Europa, grazie anche alla sua capienza e alla forza imprenditoriale dell’ingegnere Daniele De Rossi presidente di Torino Esposizioni aiutato dal CONI.

    Torino Esposizioni è l’imponente complesso fieristico che sorge ai limiti del Parco del Valentino. Nato come Palazzo della Moda su progetto dell’architetto Ettore Sottsass senior nella seconda metà degli anni trenta, nell’immediato dopoguerra si trasforma. Pier Luigi Nervi progetta infatti le bellissime e avveniristiche coperture di due nuovi saloni, il B e il C, realizzati dietro impulso della Fiat che,ricevendo la struttura dal Comune di Torino, vuole farne la sede espositiva per le sue automobili.

    In attesa di questa nuova casa, l’Hockey Club Torino del 1950/51 si allena a Bardonecchia, dove prova l’attaccante polacco Krusckenisky, del quale si dice un gran bene, il francese Bonelli e Bellè di Trento e organizza diverse amichevoli.

    Il 14 gennaio la squadra gioca a Bardonecchia contro la Bocconi in una gara valida per la Serie B. L’incontro è sospeso per impraticabilità di campo sul punteggio di 1-1 (rete di Veglia) e non viene mai recuperato perché i milanesi si ritirano. È il segno premonitore che non tutto girerà bene in questa stagione e, infatti, ai primi di febbraio, viene annunciato che la pista di Torino Esposizioni non è pronta e aprirà solo a fine marzo, chiudendo subito però, perché poi ci sono i saloni. Se ne riparla quindi in autunno.

    Il 28 febbraio 1951 il Torino perde 4-0 a Milano contro il Sasslong chiudendo al secondo posto il campionato e recriminando per voce del presidente Cappabianca la mancanza di ghiaccio e gli spostamenti a Bardonecchia e Milano. Un gran veggente questo Cappabianca.

    E ora si fa sul serio (o quasi)

    La stagione 1951/52 parte come al solito con tantissimi progetti faraonici, pochi dei quali andati in porto.

    Torino Esposizioni è pronto e dovrebbe ospitare, oltre ai tanti saloni, altrettante manifestazioni sportive e spettacoli. La pista ghiacciata, progettata dall’ingegnere Fiat Aurelio Vaccaneo è sistemata nel Padiglione 3, quello che ospita gli autobus durante il Salone dell’Automobile ed è pronta a ospitare con tutti i confort i pattinatori e le gare.

    La città risponde bene a questa novità e l’HC Torino inizia la stagione con grandi propositi.

    Si punta alla promozione, Mimmo Ferreccio, chiamato dai compagni Muzio Scevola per via di un dito amputato, vuole nientemeno che la maglia della nazionale e la società allarga gli interessi, aggiungendo alle attività anche il pattinaggio di velocità e quello artistico.

    Il 29 novembre 1951, davanti a 3.000 spettatori dei quali 300 pattinatori s’inaugura l’avveniristica pista.

    Stampa Sera annuncia l’arrivo da Milano di ben tre pattinatori di figura, Luciana Malfatti, Gianni Mori e il maestro Pietro Talamona.

    Divaghiamo su quest’ultimo, un po’ perché, seppur per poco tempo, entra a far parte dell’HC Torino e un po’ perché la sua storia è davvero curiosa. Svizzero di nascita, Talamona si trasferisce a Milano, dove diventa fantino. Solo che, dicono le cronache, un bel giorno diventa troppo alto e deve lasciare l’ippica. Passa al calcio, e all’atletica e a ventiquattro anni impara a pattinare mentre gestisce il bar del Palazzo del Ghiaccio di Milano. Si rompe tre costole giocando a hockey e poi inizia con grande successo la carriera nel pattinaggio artistico. Vince titoli su titoli e diventa uno dei più apprezzati insegnanti. Ogni tanto, dopo che si è trasferito a Torino, fa da arbitro nelle amichevoli.

    Sempre a Torino, Sandra Franchi nota pattinatrice dell’epoca apre una scuola di pattinaggio artistico e Carlo Fassi atleta azzurro si allena sotto gli archi di Torino Esposizioni per prepararsi per le Olimpiadi.

    Magnifico, splendido verrebbe da dire, ma c’è sempre un ma, a Torino. La pista non è pronta per l’hockey.

    La cosa assume contorni da leggenda, perché, dicono in molti, qualcuno di molto distratto o incompetente, ha messo ringhiere al posto delle balaustre. I giornali però riportano che semplicemente non c’erano, così come le reti di protezione per il pubblico.

    Intanto la squadra continua l’attività e gioca in amichevole il 17 dicembre a Torre Pellice vincendo per 7-1 (Pratt II, Fiorio, Pistamiglio (2), Viola, Cappabianca II e Pasquet per la Valpe).

    E la questione pista invece diventa sempre più spinosa. Cappabianca, presidente del comitato regionale, presenta le dimissioni e Torino perde la possibilità di ospitare le nazionali degli Stati Uniti e del Canada. Poi, dopo lunghissimi passaggi burocratici il CONI avvalla i lavori per il completamento che iniziano a metà gennaio 1952, praticamente un anno dopo la prevista consegna dell’impianto. Quindi si resta fermi.

    Non resta che consolarsi con le tante amichevoli, a Briançon contro i padroni di casa (che vincono per 8-7) o il doppio appuntamento al Sestriere con la Valpe, che finisce 5-5 e 2-1.

    Ci si può distrarre anche con l’attività artistica del club, guidata da Talamona, che invita a Torino diversi ottimi pattinatori o anche, per chi preferisce un respiro più internazionale, con le Olimpiadi di Oslo, con la vittoria di Zeno Colò e, visto che siamo in tema, con la vittoria del Canada nel torneo di hockey.

    Così vicini, così lontani

    Non che voglia sminuire l’importanza della rivalità tra Torino e Valpe, sociologicamente importante, liberatoria, a volte divertente e a volte assurda. La storia però parla chiaro: i due club hanno spesso camminato insieme. Oltre ai campanilismi, oltre alle visioni differenti.

    La prima volta che succede è nel campionato 1953/54, un fattaccio che nasce in conseguenza della stagione 1952/53. Ed è proprio da lì che inizio.

    L’impianto di Torino Esposizioni apre finalmente il 6 novembre 1952. Il ghiaccio c’è, le balaustre e le reti pure, mancano ancora le tribune, montate da lì a poco, per 1.600 spettatori ed è imminente l’apertura del bar interno.

    La squadra si può allenare, lo fa per un’ora tre volte a settimana, ma è chiaro a tutti che non è uno squadrone.

    L’Hockey Club Torino di quest’anno è composto da giocatori d’esperienza, mossi da grande passione ma che hanno già dato il meglio dal punto di vista sportivo. Ferreccio, Scribante, Pistamiglio, Bergadano, lo svizzero Sieber, Veglia e Marini sono i titolari di una formazione alla ricerca di giovani. Ed è proprio Marini che se ne occupa, allenando i tanti che arrivano al palaghiaccio: Torchio, Massara, Chiomo, Audiberti, Joannes, Ganna, De Martini e Marsaglia. Non tutti fanno strada, ma tre di loro entrano nella storia, quella più bella, del club. Tito Mazza (che arriva insieme al fratello Roberto), Renato Doglio e Rolando Cicogna. Tre nomi che rivedremo spesso in questo libro, le cui storie personali meritano di essere raccontante. Inizio con Renato Doglio, il primo a entrare nelle cronache sportive.

    Doglio sembra abbia l’hockey scritto nel suo destino. Già da piccolo impara a pattinare aallora tranquilla piazza Statuto, mostrando doti innate.

    Nel 1951 il padre, giornalista della Gazzetta del Popolo, dà al figlio l’invito all’inaugurazione della pista di Torino Esposizioni. Renato ci va, più per curiosità che per passione e resta incantato. Inizia così a frequentare spesso la struttura, pattinando su pattini da artistico. Arriva poi Natale e si fa regalare dei pattini nuovi. Va in un negozio e resta spiazzato dalla domanda del negoziante che gli chiede: Vuoi i pattini da hockey o da artistico?. Lui non conosce la differenza, risponde dicendo che ha sempre usato quelli con la seghettatura, quindi da artistico. Il negoziante glieli prende, poi si ferma, lo guarda e gli dice Prendi i pattini da hockey, non si sa mai, magari un giorno o l’altro ti capita di giocare. Destino.

    La frequentazione di Torino Esposizioni diventa sempre più assidua e lì conosce quello che diventa l’inseparabile amico: Rolando Cicogna. La direzione del palazzetto si accorge della bravura dei due e li invita a diventare Ispettori di pista, addetti alla sicurezza, in cambio dell’ingresso gratuito all’impianto.

    L’anno successivo Cicogna e Doglio si dedicano con buoni successi al pattinaggio di velocità, utilissimo esercizio per migliorare la tecnica. A fine stagione si trovano a dover scegliere tra la velocità e l’hockey. La risposta è nota.

    Nel frattempo, il 6 dicembre, qualcuno gioca finalmente a hockey a Torino Esposizioni. La nazionale italiana incontra una selezione di giocatori canadesi che giocano in Svizzera (rinforzati da un cecoslovacco e uno svizzero), denominata Swiss Canadian, Svizzeri Canadesi o Canady. Le due formazioni giocano la sera prima a Milano, dove gli ospiti battono gli azzurri di misura per 5-3.

    Una gara storica, la prima appunto, ed è giusto soffermarsi un po’, iniziando dalle formazioni.

    Canada: Mayer, Reinhard, Slama, Moreland, Martini, Durling, Rayfleld, Frescher, Gardner, Obodiac, Suchoparek.

    Italia: Bolla e Fresia (portieri). Tucci, Bucchetti, Fontana, Fregonese, Innocenti, Don Lato (difensori). Sartor, Demeis, Agazzi, Federici, Grazia, De Felice, Crotti, Fardella, Agazzi, Gerli (attaccanti). Una nazionale, per inciso, che ha già qualche oriundo: Tucci, Fregonese, Don Lato, Sartor e Demeis.

    Lo spettacolo è inframmezzato dalle evoluzioni artistiche di Carlo Fassi e della grande campionessa tedesca Gundula Gundi Busch.

    Finisce in pareggio, 5-5 (4-1, 0-3, 1-1), con le reti di De Meis (2), Agazzi e Durling nel primo periodo, Gardner, Durling e Obodiac nel secondo e di Sartor e Frescher nell’ultimo parziale.

    In casa gialloblù, intanto, la squadra si iscrive al campionato di Serie B, che inizia il 14 dicembre ed è composto da due gironi, uno per il Trentino Alto Adige e l’altro per Piemonte e Lombardia.

    Renon, Saslong, Vipiteno e Bolzano da una parte e Torino, Valpellice, Amatori Milano e Bocconi dall’altra. S’inizia pareggiando con l’Amatori a Milano (1-1 con rete di Marini), per poi proseguire durante le festività natalizie con una lunga serie di amichevoli. In casa col Briançon, aiutati dai alcuni giocatori dei Diavoli Rossoneri di Milano, e contro il Parigi, sempre in casa, con l’aiuto del Valpellice. La formazione mette in campo i migliori giocatori presenti in Piemonte ed è composta dai valligiani, Frache, Saio, Florio, Cotta Morandini I, Larese Fece, Colombo, Veglia II, Prati e Cotta Morandini II. Da Torino invece arrivano Ferreccio, Pistamiglio, Marini, Sieber e Doglio. Finisce 5-3 per i piemontesi.

    Il 17 gennaio un’altra amichevole internazionale occupa il ghiaccio torinese. La nazionale gioca contro i Wembley Lions, campioni britannici. Giocare a hockey contro gli inglesi non è una gran cosa, ma i Lions sono una squadra composta da canadesi e da soli tre inglesi, guidati dall’ufficiale dell’aviazione canadese di stanza a Londra Frank Bouchier. Quindi la scuola canadese arriva nuovamente a Torino e si paga 1.000, 600 o 300 lire per vederli in azione e vincere per 11-1.

    E che fine ha fatto l’Hockey Club Torino? Non sto insabbiando la questione, ma in questa stagione sono più interessanti le amichevoli dei risultati, perché la squadra, com’era prevedibile, non ottiene grandi risultati e perde malamente anche i derby (16-3 e 12-4). Il girone è, infatti, vinto proprio dal Valpellice, che conquista 11 punti su 12 e gioca la finalissima a Torino contro il Saslong. I piemontesi vincono 5-3 con gli avversari che si ritirano per protesta.

    E il Valpellice diventa la prima squadra piemontese a vincere la Serie B.

    Nella stagione 1953/54 le due rivali uniscono i loro intenti.

    Vinta la Serie B, in vallata si attende il salto nella massima categoria, ma i primi anni cinquanta sono ancora duri, la gente ha pochi soldi, così come la squadra che non riesce iscriversi alla massima serie. Quando le speranze si affievoliscono, Leumann, il senatore Guglielmone del Torino Calcio e il conte Dino Lora Totino per nome della Torino-Sport, società dei granata, raggiungono un accordo con il presidente Cotta Morandini per iscrivere una squadra formata dai giocatori dell’HC Torino e della Valpellice alla Serie B.

    L’accordo è siglato a fine ottobre quasi in concomitanza con la riapertura di Torino Esposizioni. A capo della società c'è Cotta Morandini, in veste, di team manager ante litteram.

    La nuova formazione ha la maglia granata con striscia gialloblù sul petto. Tra i discatori, come li chiamavano i giornali dell’epoca, troviamo l’allenatore-giocatore Willy Colombo, il vecchio Ferreccio che ha quarantatré anni, i diciottenni Doglio e De Marchi, provenienti da Torino, ai quali si uniscono Larese Fece, Saio, Fiorio, Veglia, Quinz e De Zordo, giocatori che militavano in vallata.

    I giornali, sempre in cerca di belle storie, sottolineano le occupazioni dei giocatori fuori dal ghiaccio. Così sotto il titolo "Nel nuovo hockey-Torino un alpino e un minatore La Stampa" del 27 novembre presenta uno squadrone composto dal minatore De Zordo, l’alpino-fabbro e quasi nazionale di ventuno anni Igino Larese Fece, la guida alpina e maestro di sci Quinz.

    Tanto per cambiare s’inizia con l’amichevole con il Briançon, prezzo dei biglietti 400 lire e vittoria torinese per 5-3.

    I giocatori rimasti fuori formano un’altra squadra iscritta anch’essa alla Serie B. Qui, troviamo Nutta, Cotta Morandini I, Bergadano, Quattrini, Caretti, Marini, i fratelli Veglia, Cotta Morandini II e Malan, ai quali si aggiungono Tito Mazza, Rolando Cicogna, Walter Bianchini e il piccolo ma velocissimo Renato Castiglioni, altri nomi storici del club.

    L’unione a Torre Pellice non è vista bene, si grida al tradimento e qualcuno cerca di boicottare il sodalizio, che prende il nome di Torino Hockey Club.

    Simpatie e antipatie a parte, i granata sul ghiaccio non hanno rivali e l’esordio in campionato, il 10 dicembre a Torino Esposizioni, contro la squadra della Bocconi sottolinea la differenza. Alla terza sirena il punteggio è di 9-0 (4 gol di Fece, 2 di De Zordo, 2 di Colombo e 1 di Saio). Il derby con la seconda squadra prima dello stop natalizio è meno di un’amichevole e termina 9-1. Segue un periodo pieno di amichevoli, con il Villard-De-Lans (6-1), con una selezione dell’Alta Savoia arrivata all’ultimo per sostituire il Paris e battuta per 16-3 davanti a un grande pubblico, con il Briançon (10-0) e con le italiane della massima serie Alleghe e Milano-Inter.

    Momenti questi dove oltre a giocare si fanno grandi progetti e sogni, da scrivere sulla letterina a Babbo Natale. La squadra dichiara, per voce di Ferreccio, di volere a tutti i costi vincere il campionato, per non perdere l’appoggio economico della Torino-Sport che consente di far fronte alle grandi spese per l’attività. Veglia viene poi mandato in missione a St. Moritz per trattare l’ingaggio di un canadese.

    Il campionato riprende il 4 gennaio e nuovamente la Bocconi è battuta con un secco 12-0.

    Il Torino arriva a punteggio pieno alla sfida decisiva del 23 gennaio contro l’Amatori Milano, che li segue a due punti. Una vittoria chiuderebbe il campionato ma una sconfitta metterebbe in dubbio il passaggio alla finale di Serie B.

    E quello che capita a Torino Esposizioni è il primo scandalo hockeistico che colpisce una squadra piemontese. L’Amatori vince 2-1. In vantaggio al 1’ dell’incontro, i lombardi sono raggiunti al 6’ del secondo tempo da De Zordo e segnano il gol della vittoria all’8’ del terzo periodo. Fece si becca una penalità dopo un fallo molto dubbio e dopo soprattutto una tolleranza estrema nei confronti degli interventi degli ospiti. La cosa scatena l’ira di tutti, dai giocatori ai tifosi e mentre i torinesi si stanno sistemando in pista dopo le proteste, i lombardi sfruttano il momento e segnano il punto della vittoria. L’arbitro a fine gara si fa riprendere dalla televisione e fotografare insieme ai lombardi.

    La Federazione, dopo avere preventivato uno spareggio, decide comunque di promuovere il Torino per differenza reti.

    La finalissima per il titolo arriva dopo le amichevoli con il Gap e Chamonix (con l’aiuto dei nazionali Gerli, Gioia e Fontana) e non c’è storia. Il Torino s’impone 10-3 contro il Latemar Bolzano giunto primo nel girone orientale.

    Al passaggio di categoria però manca ancora lo spareggio contro l’ultima classificata nella Serie A: l’Asiago.

    Si gioca a Milano ai primi di marzo e anche qui non c’è storia, si chiude 15-3 con 5 reti di De Zordo, 3 di Fece e Colombo e 2 di Quinz e Doglio.

    A Torino Esposizioni il ghiaccio si scioglie nella prima decade di marzo, dopo un’amichevole con il Ginevra, persa per 3-2, e con tanti sogni per la stagione successiva.

    Una serie A da brivido

    Mi piace pensare all’immagine, del tutto fantasiosa, che i giocatori granata sotto gli archi di Torino Esposizioni sognassero ad occhi aperti l’arrivo dei canadesi per fare una buona Serie A. I rinforzi erano effettivamente previsti, dovuti, anche perché la Federazione voleva un campionato d’élite, solo per squadre che potevano giocare in un palazzo del ghiaccio. Ma nell’hockey piemontese c’è sempre un ma, e questa volta è il Torino Calcio.

    Una decisione non facile, sofferta, presa sapendo il danno che avrebbe fatto. Tanto sofferta che la Torino-Sport ci riflette bene, radunando spesso i vertici, il senatore Guglielmone, il conte Lora Totino, il commendatore Novo e il dottor Civalleri. Il 15 ottobre però arriva la decisione definitiva: il Torino si defila.

    Ci si mette poi anche il Centro Sportivo Fiat che, avvantaggiato dal fatto che la Fiat gestisce il complesso di Torino Esposizioni, vuole ampliarsi a nuovi sport allestendo una squadra di hockey, ma solo per la Serie B. La rinuncia è un incubo che in pochi anni di storia l’hockey piemontese conosce, purtroppo, già bene.

    Ma, quando tutto appare ormai perduto, il leggendario Antonio Pistamiglio, appoggiato dalla Federazione, convince la Fiat e il suo Centro Sportivo a iscrivere nella Serie A del 1954/55 una nuova formazione: l’Hockey Club Torino Fiat. La notizia ufficiale arriva il 30 ottobre!

    La squadra è una specie di continuazione di quella dell’anno precedente, con i colori biancorossi e diversi giovani promossi. Troviamo quindi Nutta, De Marchi, Quinz, Cupolo, Cicogna, Bazzoli, Saio, Colombo, Sartori, Fece, Mazza, Marini, Doglio, Castiglioni, De Zordo.

    E si disputa un dignitoso campionato di transizione affrontando squadre ben più quotate come Cortina, Bolzano e Ortisei. Due gironi, come sempre, l’orientale e l’occidentale, più un girone finale con le prime due classificate di ogni gruppo e gli spareggi tra le ultime due e poi con la prima della Serie B.

    La squadra allestita in fretta e furia si fa notare per l’arrivo di Giorgio Sartori da Asiago, di Nutta e dell’italo-canadese Jerry Cupolo, di origini napoletane. Il diciannovenne dai capelli rigidamente a spazzola (dice un articolo) è cugino del più noto Billy e arriva a Torino grazie alla Federazione, che punta sullo sviluppo dell’hockey a Torino.

    Attaccante grande e grosso è però piazzato spesso in difesa. Si parla anche dell’arrivo del portiere Franco Bollani, secondo del Milan-Inter, ma salta tutto. De Zordo parte invece per il servizio militare e si vede a Torino solo a inizio 1955 grazie ad alcune licenze.

    Le amichevoli precampionato portano un po’ di allegria, i torinesi vincono 6-3 con il Leysin e 10-0 contro il Villard-De-Le Lans e anche con l’Amatori Milano. Non si può competere con il Bolzano o con il Cortina e l’esordio in Serie A, il 15 dicembre a Torino, si conclude con la vittoria per 12-2 dei primi.

    Con il Cortina, sempre in casa, va meglio. Forti ma non al livello del Bolzano, gli ospiti finiscono sotto per 2-0 nel primo periodo grazie alle reti di Cupolo e Mazza. Pareggiano nel secondo tempo e si ritrovano nuovamente in svantaggio per 5-2 nel terzo, prima di una grande rimonta, del pareggio e di altri due gol che fissano il punteggio sul 5-7. Una sconfitta comunque onorevole che incanta i tanti spettatori presenti.

    I torinesi trascorrono la pausa natalizia in Svizzera con una tournée che li vede giocare due volte il 26 dicembre, la prima con il Villars (vittoria per 2-1) e la seconda con il Leysin (gara interrotta sul 3-3 per neve), e ancora il 27 a Gstaad (5-3 per i torinesi) e il 28 a Chateux D’Oex con sconfitta per 3-2.

    Il nuovo anno non inizia bene e la solita amichevole con il Briançon finisce 4-0 per i francesi.

    Poi si riparte con il campionato. I torinesi si trasferiscono in Trentino per un po’ di giorni, per giocare le restanti gare fuori casa e risparmiare soldi.

    Il primo incontro è con l’Ortisei ed è già una sfida salvezza, perché le due squadre sono appaiate a zero punti. La vittoria va ai piemontesi che passano 8-4 con le triplette (non hat trick perché era un termine del tutto sconosciuto) di Cupolo e Fece e la doppietta di De Zordo. È la prima storica vittoria in Serie A.

    Non c’è partita né con il Bolzano né con il Cortina, i torinesi (privi anche di Fece rimasto a casa per giocare con la nazionale contro lo Chamonix) tornano e battono in amichevole i Diavoli Rossoneri per 6-2.

    La sfida cruciale con l’Ortisei è prevista per il 27 gennaio e, a parte la resistenza degli ospiti per una parte del primo tempo, i torinesi vincono, pur senza Cupolo, per 7-3 (Colombo, De Zordo (2), Mazza, Saio, Doglio e Fece). È la matematica salvezza.

    Bolzano e Cortina, per la cronaca, passano al girone finale e i primi perdono il campionato proprio all’ultima giornata uscendo sconfitti dal Milan-Inter per 4-1. L’Ortisei invece si salva, vincendo l’ultimo spareggio possibile con l’Asiago, primo in Serie B.

    Le solite amichevoli chiudono una stagione emotivamente elettrizzante, sia per il burrascoso inizio, sia per la prima presenza in Serie A.

    Coda stagionale con le solite amichevoli. I biancorossi vincono a Lione 6-2, perdono in casa contro il Sion per 6-4, in un incontro nel quale De Marchi e Cicogna rischiano di essere esclusi per una punizione non da parte della Federazione, ma da parte dei dirigenti del Club a causa delle intemperanze di Lione. Sottolineo intemperanze non sul ghiaccio ma in hotel! Niente di grave, chiaramente, giovani esuberanti elettrizzati da queste avventure.

    Il 15-3 contro l’Ascona a Torino, la sconfitta per 13-6 con il Blue Star Losanna e l’amichevole con l’Urania di Ginevra vinta per 7-6, chiudono la stagione. Si possono slacciare i pattini con tranquillità, la Fiat ha ufficialmente rinnovato l’impegno, ma…

    Chissà, se, forse e magari

    Volete una squadra che possa vincere o almeno lottare per il campionato? Volete vedere stranieri fortissimi e i migliori italiani? Bene, l’Hockey Club Torino 1955/56 ha tutto ciò. Ma (c’è sempre, non dimentichiamo) manca una cosa: il campionato. La questione assume contorni grotteschi, perché il 1956 è l’anno delle Olimpiadi di Cortina e la Federazione decide di non disputare il campionato. Si prevede solo un torneo denominato Coppa Italia, che però non si disputa.

    Il Torino i numeri per vincere, o almeno per lottare per la vittoria, li aveva davvero.

    In prima squadra troviamo Walter Bianchini, da Cortina arriva Frener, da Milano Franco Bollani e soprattutto Giancarlo Agazzi, un mito dell’hockey su ghiaccio italiano. Un pioniere, un eroe di via Piranesi, grande campione e membro della temibile linea del Milan-Inter e della nazionale A.B.C. (Agazzi, Branduardi, Crotti).

    Non c’è più il protagonista della precedente stagione Jerry Cupolo, il canadese dai capelli a spazzola, finito chissà dove. Non fa una grande carriera nello sport e (prima o poi) torna a casa a gestire il negozio di articoli sportivi della famiglia, ancora oggi esistente!

    Il venticinquenne Harold Schooley e il ventisettenne allenatore/giocatore Bob Bragagnolo (che diventerà un apprezzato allenatore) sono i due straordinari stranieri.

    La storia di Bragagnolo è la classica vicenda del romantico giramondo con un grande un talento, che tanto piace al pubblico e ai giornali dell’epoca ma che è bella da leggere anche oggi.

    Bragagnolo nasce a Schumacher, un sobborgo di un già piccolo paese sperduto nell’Ontario ed è il classico canadese che comincia a pattinare a cinque anni e a giocare sui campi ghiacciati. Segue tutta la trafila giovanile con buonissimi risultati ma finiti gli studi molla tutto e prova l’esperienza di lavorare in miniera.

    Dopo circa un anno la passione per l’hockey lo fa uscire dalle profondità e inizia a girovagare. Gioca a Hamilton come semiprofessionista, a New Liskeard e con il Windsor, fino a essere richiesto da una squadra professionistica. Occasione sfumata per la morte della madre un dolore che lo spinge, nuovamente, a mollare tutto.

    Passa un anno fuori dal ghiaccio e poi torna a giocare negli Stati Uniti, guadagnando 150 dollari a settimana. In dubbio se accettare il prolungamento del contratto o andarsene in Europa, decide di partire nel 1953 con degli amici per vedere l’incoronazione della regina Elisabetta. A Londra incontra un dirigente del Brighton che gli offre un contratto. Bragagnolo accetta, ma solo a una condizione: vuole un posto in prima fila per la cerimonia!

    In Gran Bretagna resta fino a quando il Torino non lo cerca, non tantissimo ma giusto il tempo di dare spettacolo con l’amico Schooley, di sposarsi e di arrotondare facendo lo spaccalegna e il muratore.

    Guardando questa squadra, viene da chiedersi come sarebbe finito il campionato, vista l’aggiunta di questi campioni e la conferma dei protagonisti della scorsa stagione.

    Questo dream team incanta un numeroso pubblico nelle tante amichevoli disputate a Torino Esposizioni. Soffermarsi su tutte sarebbe una cosa lunghissima, parliamo quindi di quelle più strane, tanto il copione è sempre lo stesso in tutte le gare: vittoria con largo punteggio, spettacolo dei due canadesi e di Agazzi con aggiunta di tribune per soddisfare la grande richiesta del pubblico.

    La pista riapre il 25 ottobre e dieci giorni dopo iniziano le partite, contro il Blue-Star di Losanna (17-1), Chamonix (12-5), Chateau D’Oex, (15-9), Servette (10-5), Gotteron (12-5), Lione (10-6), Ambrì Piotta (11-6, formazione della quale anni dopo Bragagnolo diventerà allenatore e con la quale il Torino supera quota 100 reti nella stagione) e si chiude l’anno in casa contro il St. Moritz con la sconfitta, la prima, per 9-11.

    Tra queste squadre il 14 novembre arriva il Canada navy, una squadra di marinai di una nave da guerra attraccata a Genova, il cui luogotenente Ron

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