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1001 storie e curiosità sulla grande Fiorentina che dovresti conoscere
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E-book2.119 pagine12 ore

1001 storie e curiosità sulla grande Fiorentina che dovresti conoscere

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Info su questo ebook

Firenze e la Fiorentina: un rapporto viscerale, che affonda le sue radici nella storia, perché la città medicea ha dato i natali, nel Rinascimento, a un gioco molto simile al calcio moderno. Questo libro ripercorre novant’anni di Fiorentina partendo dai semi-sconosciuti club degli albori del Novecento, dalla maglia biancorossa per approdare a quella viola, dal Campo di via Bellini all’Artemio Franchi, con una serie di curiosità, aneddoti e personaggi che hanno reso celebre la squadra con il giglio sul petto. Da Petrone a Batistuta, da Hamrin a Chiarugi, passando per Baggio, Rui Costa e Edmundo, senza dimenticare i campioni degli anni Cinquanta come Julinho e Montuori; dall’epopea degli allenatori ungheresi del marchese Ridolfi , fondatore e primo presidente della Fiorentina, a quella di mister e dirigenti dei nostri giorni.

Stefano Prizio

Nato a Firenze nel 1974, giornalista, è stato tra i fondatori della testata on-line www.fiorentina.it. Ha collaborato con le emittenti televisive «Canale 10» e «Rete 37», con quelle radiofoniche «Radio Fiesole», «Lady Radio», «Radio Blu» e «Radio Toscana» e con le testate giornalistiche «l’Unità» e «Il Tirreno». È autore, assieme a Marco Bucciantini di La partita di Cesare, biografia ufficiale di Cesare Prandelli.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2015
ISBN9788854186910
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    Anteprima del libro

    1001 storie e curiosità sulla grande Fiorentina che dovresti conoscere - Stefano Prizio

    341

    Prima edizione ebook: ottobre 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-8691-0

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Copertina: Grafica di Sebastiano Barcaroli

    Stefano Prizio

    1001 storie e curiosità sulla grande Fiorentina che dovresti conoscere

    Introduzione di Mario Sconcerti

    Illustrazioni di

    Fabio Piacentini

    Thomas Bires

    Dedico questo libro a mia madre Maria, ai miei figli Adriano e Giorgio, ringrazio Leonardo Signoria, Giuseppe Calabrese, Niccolò, Federico e Ugo.

    Introduzione

    1001_Calcio_GEN_IC17.tif

    Prizio ha scritto qualcosa che per me era quasi misterioso: la storia della Fiorentina. Sperduti nel tifo, quasi tutti noi viviamo profondamente la cronaca della squadra, quasi mai il ricordo. Ci sono nuovissime generazioni che non hanno mai visto Baggio, ed accadeva appena ieri. Non sanno chi sia stato Hamrin, perché lo chiamassero Uccellino, che vive ancora in mezzo a noi in una strada elegante nella zona di Coverciano. Che sentono inutile il nome di Petrone, forse il primo fuoriclasse della squadra, geniale e inquieto come quando il calcio era ancora soltanto sentimento. È strano come la gente consideri importante solo quello che vive, chiede solo tutto e subito, si annoia alle storie che non la riguardano. Specie in epoca di social network dove tutti diventano protagonisti, quindi conta solo quello che sappiamo, dove entriamo anche noi. Questa è l’epoca non degli storici ma dei testimoni. Ma la storia in fondo è proprio questo, la storia non parte da Cesare, ma dai soldati di Cesare, dagli oppressi di Cesare. La vera storia parte dal basso, altrimenti è forte il rischio diventi solo propaganda.

    Prizio ha fatto questo passo indietro, è partito dal basso, dai racconti dei particolari, ha tenuto la Fiorentina sempre sospesa alle varie epoche di Firenze fino a farla diventare il filo rosso della grande trasformazione della città. Se per molti secoli Firenze è stata la città che ha rimesso l’uomo al centro del mondo togliendolo al dominio di Dio e costringendolo a pensare finalmente con la sua testa, Prizio ci dice e ci dimostra che da almeno cento anni Firenze è soprattutto il pretesto migliore per vivere laicamente la Fiorentina. Ma anche viceversa. La Fiorentina ci riporta la città in casa, unisce i fiorentini, da sempre mescolati e contraddittori, in un unico grande innamoramento. Questo si sente soprattutto nella scrittura di Prizio, nel suo punto di vista: la comunione totale, ingombrante della città con la sua squadra. Quasi una religione dell’altrove che rende la città guelfa per eccellenza, ghibellina nel calcio. Alla ricerca della sua temporalità, del bisogno del presente, della necessità di affermarsi, capendo che oggi il calcio è questa vera unica strada per vivere il mondo accanto al mondo.

    Prizio racconta storie piccole, grandi e sconosciute. Racconta di noi come nemmeno noi sappiamo di essere stati. Il risultato non è soltanto amore. È anche il racconto di quanto abbiamo perso amando male, persone e giocatori alla fine sbagliati. Di quanto il nostro vaia vaia abbia fatto tante vittime innocenti. Il fiorentino, dice Prizio, ha bisogno di credere che l’errore è sempre negli altri, altrimenti dove starebbe la nostra storica arroganza. Ma questa mescolanza di amori ha prodotto episodi, incidenti, lodi, che hanno costruito pietra su pietra il carattere moderno della città. Questo è il vero merito di Prizio storico. Ci offre i mezzi per amare anche di più l’unico amore che abbiamo, l’unico modo serio rimastoci per non restare aggrappati solo ai fiorentini più bravi di noi, quelli che ci hanno lasciato una città bellissima da cui è partita la modernità. La Fiorentina è l’ultima arma in una città distratta che lega l’orgoglio vecchio con il nuovo. Un fondamentalismo che Prizio blandisce e bacchetta perché non di una sola virtù può vivere una capitale del tempo. Ma tocca alla Fiorentina raccontare adesso il nostro tempo, la nostra civiltà, la dimensione, il sentimento. I nuovi fiorentini escono dalle pagine quasi avendo un nome per principio. Siamo tutti consapevoli che Firenze non è solo la Fiorentina. Ma è Lei la nostra madre crudele, bisogna conoscerla bene per capirla e aiutarla. Merita almeno conoscere bene questa eccezione che adesso ci rappresenta e sotto la cui cupola ci illudiamo ogni anno fino a quando un giorno, indubitabilmente, arriverà quello giusto. C’è didattica in Prizio, ma soprattutto speranza. E tantissime storie da cui imparare. Prizio, con molto amore e un po’di acido, ci aiuta a sua volta a trovare la strada dell’oggi. Direi che soprattutto per questo vale leggere il racconto e ringraziare l’autore.

    E alla fine gridare ancora Forza Fiorentina!

    MARIO SCONCERTI

    Prima parte

    1898-1935

    Dalla nascita del calcio a Firenze all’affermazione nazionale della squadra

    1001_Calcio_GEN_IC02.tif1001_Calcio_GEN_IC18.tif

    1.

    Dalla bicicletta al pallone

    Calcio e ciclismo: sono queste le due discipline che da sempre si contendono il cuore degli sportivi italiani. E come poteva essere altrimenti nella città di Gino Bartali? Non a caso il seme di quella che diventerà la principale passione di Firenze germoglia nell’humus delle due ruote e del pallone. Nel 1884, nel celeberrimo parco reale delle Cascine, nasce il Club Fiorentino dei Velocipedisti; il 9 giugno 1898 ventidue soci del club, guidati dalla passione dei fratelli William ed Edward Dunn, esponenti di spicco della nutrita e culturalmente attiva comunità anglofona fiorentina, giocano la prima partita del gioco del calcio come lo conosciamo noi. A differenza degli sportivi inglesi, equamente divisi tra il rugby e il football, fin dagli albori gli italiani si orientano verso quest’ultimo; il calcio arriva in Toscana, così come era arrivato in Italia, dal mare: i marinai inglesi di Livorno sono infatti i pionieri del gioco già da decenni praticato Oltremanica.

    1001_Calcio_GEN_IC26.tif

    2.

    Dal calcio storico a quello contemporaneo

    A Firenze, per le annuali celebrazioni del santo patrono Giovanni Battista, nel mese di giugno, si gioca un torneo tra i quattro quartieri del centro storico, divisi per colore: Azzurri, Bianchi, Verdi e Rossi. Il torneo rievoca il beffardo disinteresse che i fiorentini contrapposero all’assedio della città da parte delle truppe imperiali di Carlo

    V

    : il 17 febbraio 1530 una cinquantina di nobiluomini in livrea si affrontarono in una partita del cosiddetto calcio in costume. Questa competizione vedeva sfidarsi due squadre di 27 giocatori, a contendersi una palla, usando liberamente piedi e mani, con l’obiettivo di scagliarla nella rete avversaria (tesa nel lato corto del campo rettangolare). Si ha notizia dell’ultima rievocazione di tale partita nel 1739, poi il lungo oblio dell’usanza fino al 1898, quando uno storico fiorentino, Pietro Gori, pubblica un opuscolo intitolato Il giuoco del calcio, che descrive con dovizia di particolari le regole di questo antico gioco con la palla, praticato, a suo dire, fin dai tempi dell’età classica greco-romana.

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    3.

    Birmingham rinvia, Firenze stoppa

    Per giocare a calcio… serve il pallone! E per giocare la loro prima partita di calcio, i fiorentini vanno laddove il calcio lo insegnano, dall’alto della cattedra del più antico club inglese, l’Aston Villa di Birmingham, campione nazionale 1897 e membro cofondatore della Football Association, la federazione calcistica che stabilisce le regole base del gioco. I fratelli Dunn, appassionati praticanti del nuovo sport, richiedono lo strumento principe del gioco, per nobilitare la loro prima vera partita, proprio ai maestri inglesi. Da Birmingham rispondono con un rinvio lungo 1800 chilometri, i Dunn stoppano la sfera di cuoio tra i profumi tardo primaverili del parco più bello di Firenze: è il pomeriggio del 9 giugno 1898, il primo calcio d’inizio della prima vera partita a Firenze è stato battuto. Il campo di gioco ha misure già regolari, e così le porte; oltre ai ventidue giocatori equamente divisi tra Rossi e Azzurri è presente anche un arbitro, deputato a fischiare come unica infrazione il tocco di mano del pallone, consentito soltanto ai due portieri. Il punteggio però è ancora sperimentale: tre punti per chi centra la porta, uno per chi lancia il pallone oltre la linea di fondo avversaria.

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    4.

    Al Campo di Marte nasce… la Juventus

    Dopo la partita d’esordio il calcio a Firenze ha un percorso a canguro. Nel decennio successivo si giocano poche partite, tra le Cascine, ricche tuttora di prati pianeggianti atti all’uopo, la tenuta di San Donato, a nord del centro storico, e nell’area del Campo di Marte, dove sorge oggi lo stadio Artemio Franchi. Ed è proprio al Campo di Marte che si allena, nei primi anni del

    XX

    secolo, un gruppo di sportivi che si fa chiamare Juventus, come la squadra di Torino che diventerà, anni dopo, l’acerrima rivale della Fiorentina. Nessuno si sorprenda per un accostamento del genere: agli albori del calcio era pratica comune, nelle località ancora prive di realtà calcistiche affermate, trarre ispirazione, financo per il nome, da squadre già note in ambito nazionale. Ed è proprio questo il caso della Juventus fiorentina; del resto a Livorno già da qualche anno scendeva in campo la Juventus labronica, mentre a Lucca la squadra locale indossava una divisa rossonera in onore del Milan.

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    5.

    Sboccia il giglio

    A cavallo degli anni terribili della Grande Guerra, le maggiori città italiane vantano già tutte almeno un club calcistico di riferimento; la frammentazione di squadre dalla vita effimera impedisce la formazione di un nucleo stabile del calcio in Italia. Perciò i dirigenti della

    FIGC

    (nata nel 1898) favoriscono l’accorpamento delle varie realtà cittadine sotto un’unica bandiera, su modello del campionato inglese. A Firenze le due più interessanti e affermate compagini sono la rossa Ginnastica Libertas e il bianco Club Sportivo, che nel primo ventennio del Novecento assorbono, un po’ l’una un po’ l’altra, le tante squadre minori. Una di quest’ultime, il Firenze Football Club, coi ranghi decimati sui campi di battaglia, si scioglie nel 1919 fondendosi col Club Sportivo, donando a questo il caratteristico giglio, emblema cittadino, che compariva sulle divise di gioco. Dal Club Sportivo gigliato e dalla Libertas, come vedremo, nascerà, la gigliata Fiorentina.

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    6.

    Il grande marchese Ridolfi, sportivo e paciere

    «Una passione è il totale di due malintesi», dice Gesualdo Bufalino, con l’aggiunta dell’opera di un grande uomo. Il marchese Luigi Ridolfi è un grande uomo: soprannominato il federale per la sua autorevolezza di nobiluomo e per la sua influenza politica di soggetto profondamente legato al regime fascista, si accolla l’onere di dare a Firenze un’unica grande squadra che possa competere con le già affermate realtà del Nord, seguendo peraltro le direttive del governo nazionale. Ridolfi, già presidente della società di atletica Giglio Rosso e plenipotenziario della Libertas, spinge per la fusione con i rivali del Club Sportivo, impegnando il suo sodalizio ad accollarsi i debiti di quest’ultimo, persino con la volontà di sanare il solco politico tra le due squadre (fascisti ortodossi quelli della Libertas, simpatizzanti socialisti gli altri), che nei turbolenti anni del biennio rosso 1919-20 avevano causato aspri scontri a margine delle partite.

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    7.

    Lei è del ’26

    Il marchese Ridolfi tenta già nel 1924, forte della sua autorità, di lanciare in volo il nuovo soggetto sportivo che ha in mente da tempo: tuttavia il clima politico di quell’anno, con il regime indebolito dall’omicidio Matteotti, non ne favorisce il buon esito. La svolta si ha finalmente due anni dopo, nel maggio del 1926, quando la decisiva proposta del marchese trova un risicato consenso nell’assemblea delle due società: la nuova si squadra si chiama Associazione Calcio Fiorentina, e scende in campo con una maglia metà rossa e metà bianca, dove campeggia, all’altezza del cuore, il giglio fiorentino; il consiglio direttivo della società, presieduto dallo stesso Ridolfi, autoproclamatosi presidente, è composto da dieci soci, divisi equamente tra i due club di provenienza; il campo di gioco è quello storico della Libertas: il Campo di Via Bellini. Occorrono quasi quattro mesi per la prima assemblea della nuova struttura societaria: il 26 agosto 1926 è ufficiale, nasce la Fiorentina!

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    8.

    Esordio (in nero): la disfida dell’Arno

    «Ahi Pisa, vituperio delle genti! / Del Belpaese la dove ’l si suona, / poi che i vicini a te unir son lenti, / muoversi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch’elli annieghi in te ogne persona!». L’odio atavico di Firenze verso Pisa lo certifica anche Dante Alighieri; eppure, paradosso, la neonata Fiorentina gioca la sua prima partita ufficiale contro i nerazzurri della città della torre pendente. Il campionato italiano è ancora diviso in gironi, la Fiorentina viene ammessa al girone

    C

    della Prima Divisione dell’edizione 1926/27; il 3 ottobre 1926 sul campo di casa, davanti alle massime autorità cittadine, scende la prima storica formazione: Serravalli, Posteiner, Benassi; Barigozzi, Segoni, Focosi; Baldini, Salvatorini, Volk, Baccilieri, Bandini. In panchina, a guidare i ragazzi, siede l’ungherese Carlo Capskay. Nonostante l’iniziale svantaggio, i padroni di casa riescono a rimontare, sorpassando i rivali e imponendosi con il risultato di 3 a 1, grazie al gol di Baldini e a una doppietta di Volk. La curiosità principale è comunque la livrea di gioco, per l’occasione in completo nero in segno di reverenza al regime.

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    9.

    Quel campo multiuso di via Bellini

    «Là dove c’era l’erba ora c’è una città!». Proprio all’ingresso del Campo di via Bellini, nel quartiere di San Jacopino, sorge adesso un bar frequentato da accesi tifosi, il Bar l’Angolino, e prima o poi il Comune si deciderà a mettere una targa commemorativa. Infatti il primo stadio dell’

    AC

    Fiorentina sorge nel bel mezzo di una vasta area residenziale; a metà degli anni Venti invece sul lato dell’attuale strada sorgeva la tribuna principale, in cemento e dotata di copertura; l’altra tribuna invece, pure coperta da una tettoia, confinava con una fabbrica. Il Campo ospita le gare interne della Fiorentina per soli cinque anni, dopodiché viene utilizzato dalla prima squadra per gli allenamenti, e per le partite delle giovanili; con lo sviluppo urbanistico della città, l’area dove sorge il campo è destinata però a uso di edilizia residenziale (uso che permane tuttora). Durante gli anni del secondo conflitto mondiale il fertile ex campo di gioco viene seminato a grano, mentre la tribuna di cemento funge, al piano terra, come rifugio antiaereo; dagli anni Settanta un parte dell’ex campo di gioco è occupata da una scuola media.

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    10.

    Il bomber abusivo

    Il primo campionato della squadra è tutto sommato mediocre: al termine del proprio girone la Fiorentina coglie un modesto ma dignitoso sesto posto (su dieci); a tenere a galla i gigliati provvedono le marcature di un giocatore abusivo, il fiumano Rodolfo Volk. Volk, centrattacco della Fiumana, si trova in quel momento a Firenze per il servizio militare, in qualità di radiotelegrafista; probabilmente i dirigenti della Fiorentina si accorgono delle sue capacità sportive in modo casuale, ma ne approfittano subito per tesserarlo. Per aggirare gli obblighi di leva del giovane, Volk, già conosciuto con il nome italianizzato Folchi, viene ribattezzato Rodolfo Bolteni; certamente Ridolfi, esponente di spicco del

    PNF

    , intendeva rispettare formalmente le disposizioni federali. Bolteni-Volk parte alla grande, segnando cinque reti nelle prime cinque giornate, e mettendo in mostra un particolare furore agonistico contro le toscane (marca infatti anche contro la Pistoiese e il Prato). La carriera in maglia gigliata dura solo lo spazio di 14 partite condite da 11 goal, dopodiché, al termine del campionato e della leva, torna a Fiume; lì diventa protagonista di una delle prime bagarre del calciomercato, conteso da Fiumana, Napoli e Roma, che alla fine se lo aggiudica.

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    11.

    La Fiorentina a strisce va in divisione nazionale

    Per la stagione 1927/28 l’obiettivo è arrivare nelle prime due posizioni: in palio c’è l’ammissione alla Divisione Nazionale, 32 squadre suddivise a livello nazionale in due gironi da 16. La Fiorentina centra in pieno la meta, piazzandosi seconda dietro al Bari; a guidare i biancorossi gigliati, per l’occasione a strisce verticali, c’è il nuovo attaccante Miconi. È paradossale che il primo successo sportivo della Fiorentina arrivi indossando una maglia a strisce simile, nel taglio, a quelle strisce tanto odiate, in tempi più recenti, delle tre più famose squadre del Nord: Inter, Juventus e Milan. La carriera in riva all’Arno di Miconi è assai breve, probabilmente per problemi a un ginocchio: gioca infatti solamente undici partite, sufficienti però per insaccare 14 gol. Grazie a questa media reti l’attaccante fissa un primo record per i campionati nazionali, ma non è l’unico; il suo compagno di squadra Edgardo Bassi, che esordisce il 6 novembre 1927 a Tivoli, diventa, con i suoi 17 anni di età, il più giovane giocatore dei gigliati a giocare in prima squadra.

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    12.

    Vizi e vizietti senza tempo

    Il campionato 1927/28, oltre alla promozione, lascia ben poco alla memoria degli annali; ben poco tranne un brutto episodio di tentata corruzione da parte del Savoia Calcio nei confronti della Fiorentina. È la quart’ultima giornata quando i campani, in lotta per evitare la retrocessione, devono affrontare in casa la Fiorentina, in corsa per la promozione; la proposta indecente consiste in un’offerta ai dirigenti gigliati in denaro in cambio dei due punti. La squadra rifiuta la proposta, anzi, scende in campo e travolge gli avversari per 4 a 1; tuttavia la tentata combine viene comunque fuori, e la punizione è estremamente severa: alla Fiorentina vengono tolti i due punti della vittoria; la società è multata con una sanzione di 2000 lire, e i dirigenti, compreso Ridolfi, vengono squalificati.

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    13.

    La depressione del ’29

    Quasi ad anticipare il tonfo della Borsa di New York di ottobre, nel mese di giugno a Firenze la squadra certifica il suo primo fallimento sportivo, con la retrocessione nella neonata serie

    B

    . Il campionato di transizione 1928/29, che serve per definire finalmente la serie

    A

    a girone unico, diventa per la Fiorentina una terribile collezione di sconfitte umilianti: 28 ottobre 1928, Napoli-Fiorentina 7-2; 1 novembre, Fiorentina-Lazio 0-4; 13 gennaio 1929, Brescia-Fiorentina 5-0; 27 gennaio, Pro Vercelli-Fiorentina 5-0; 10 marzo, Genoa-Fiorentina 7-0; 26 maggio, Cremonese-Fiorentina 6-0. Queste sono solo le più clamorose delle 23 sconfitte, su 30 giornate, rimediate dai gigliati, finiti all’ultimo posto con addirittura 96 gol subiti e capaci di sconfiggere in un intero campionato solamente quattro squadre. L’unico giocatore che si salva dal naufragio è l’attaccante Meucci, capace di segnare otto reti. Talmente cocente è la delusione per i risultati sotto le aspettative che i dieci soci di Ridolfi chiedono, senza successo, di sciogliere la società e di ricostituire Libertas e Club Sportivo.

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    14.

    La madre di tutte le sconfitte

    La più fragorosa débâcle della Fiorentina, contro quella che sarebbe diventata, nel corso degli anni, la più acerrima rivale, avviene alla seconda giornata del terribile campionato 1928/29: il 7 ottobre 1928, a Torino, la Juventus annienta i gigliati con un incredibile 11 a 0! Forse non è un caso che la sconfitta più pesante della squadra fiorentina venga incassata sul campo dei futuri rivali bianconeri; tuttavia rimane a oggi un record negativo imbattuto. Che non si additi l’autore di crudeltà se indica i valorosi undici carneadi ricordati solo per questa gloriosa impresa: agli ordini, si fa per dire, di Carlo Capskay in campo vanno Pieri, Borgato, Giacomelli; Staccione, Segni, De Santis; Paniati, Bernetti, Meucci, Pilati, Rivolo. Di ben altro tasso tecnico, e di valore storico, gli undici nomi bianconeri che scrivono tal pagina di sport: Combi, Rosetta, Calligaris; Della Valle, Varglien, Bigatto; Munerati, Voyak, Galluzzi, Testa, Cevenini. Le marcature sono così divise: triplette per Munerati, Testa e Galluzzi, e doppietta per Voyak.

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    15.

    22 settembre 1929: da quel giorno è viola

    La divisa della Fiorentina da biancorossa si trasforma in viola; l’esordio della nuova livrea avviene in occasione dell’amichevole Fiorentina-Roma, giocata al Campo di via Bellini il 22 settembre 1929. Dell’ori­gine di questo cambiamento cromatico c’è chi ne ha fatto materia di vero studio storiografico: si tratta di Andrea Claudio Galluzzo. La versione più popolare, ma anche meno affidabile, è quella dell’errore: pare che un lavaggio approssimativo abbia mischiato i colori facendo comparire sulle maglie da gioco quel viola che conquista subito il favore dei dirigenti; la tesi però è improbabile, perché da bianco e rosso viene fuori il colore rosa. Più probabile è invece un cambiamento deciso dal marchese Ridolfi in persona: la scelta del colore deriverebbe o da un omaggio alla famiglia fiorentina degli Oricellari, famosi lanieri che proprio grazie al colore viola dei loro tessuti avevano fatto la fortuna dell’industria tessile fiorentina già dal 1300, oppure da un omaggio al bisnonno scienziato, che pare avesse inventato un particolare tipo di camelia di colore appunto viola.

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    16.

    In Italia Viola come nessuna

    Il colore, nel calcio, è tutt’altro che elemento esclusivo: ci sono i bianconeri di Torino, di Udine, di Siena, di Cesena, di Ascoli; ci sono i rossoneri di Milano, Lucca e Foggia; i nerazzurri dell’Inter, dell’Atalanta e del Pisa; i giallorossi di Roma, Lecce e Messina, senza dimenticare la più antica squadra italiana, il Genoa, rossoblù come il Bologna e il Cagliari, oppure le varie squadre biancorosse, gialloblù, azzurre ecc. Di viola, in Italia, non esiste che la Fiorentina. La particolare scelta di Ridolfi sposa alla perfezione il carattere ribelle ed esclusivista dei fiorentini: il viola infatti, almeno dal medioevo in Italia, è il colore ecclesiastico della quaresima, simbolo di privazione e sacrificio. Una così radicata simbiosi con questo aspetto negativo lo identifica come un segno di malaugurio; inoltre, dato il divieto di rappresentazioni teatrali durante il periodo di quaresima nel medioevo, il viola è tuttora considerato portatore di sfortuna nel mondo dello spettacolo. Insomma, se per il resto d’Italia il viola significa ciò, a Firenze vale tutto il contrario; il sostantivo Viola diventa, dai discorsi del bar alle cronache giornalistiche, sinonimo tout-court di Fiorentina: la Viola ha vinto… i Viola hanno acquistato… per i Viola ha segnato… e così via.

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    17.

    Al secondo tentativo arriva finalmente la serie A

    La Fiorentina, ormai stabilmente in viola, ha bisogno di due campionati di serie

    B

    per poter raggiungere l’élite del calcio nazionale. Nella stagione 1929/30 arrivano in riva all’Arno alcuni giocatori importanti per il rilancio dei gigliati, quali Renzo Magli, Mario Pizziolo e quel Giuseppe Galluzzi che, l’anno prima nella Juventus, aveva segnato tre volte alla Fiorentina nel famoso 11-0. Il campionato non riserva grandi soddisfazioni: la posizione finale è un quarto posto non sufficiente per la promozione. Nel 1930/31 viene finalmente conquistata la serie

    A

    , grazie a un andamento regolare: le 18 vittorie e i 10 pareggi, a fronte di sole 6 sconfitte, consentono ai viola di arrivare alla prima posizione, con 46 punti. In panchina siede l’ungherese Julius Feldmann, che aveva già sostituito il connazionale Capskay l’anno precedente; grazie anche al suo acume tattico la difesa incassa solo 27 reti, laureandosi come migliore del campionato. La sfacciata maglia viola può finalmente esibirsi sul palcoscenico della massima serie.

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    18.

    Firenze e Bari per il balzo

    La grande attesa del popolo viola per la conquista della ribalta nazionale termina finalmente il 14 giugno 1931, in occasione della trentaduesima giornata: a Firenze arriva il Bari, diretta concorrente nella lotta per il primo posto. Ad accogliere la squadra antagonista si riversa in via Bellini il pubblico delle grandi occasioni: le cronache parlano di 10.000 spettatori stipati sui gradoni delle tribune, mai così piene di tifosi. Per i viola vincere l’incontro significa approdare matematicamente in massima serie con due giornate di anticipo; all’andata la partita era terminata con un pareggio per 2 a 2. Sotto il caldo cocente di un’estate incipiente, per la sfida cruciale Mister Feldmann manda in campo: Ballanti, Vignolini, Corbyons; Pizziolo, Neri, Gregar; Lucchetti, Staffetta, Baldinotti, Galluzzi, Rivolo. La voglia di raggiungere la meta fa condurre ai viola una gara d’attacco; la partita è a senso unico, i biancorossi pugliesi non riescono ad arginare gli assalti della Fiorentina, che li travolge per 4 a 0. Alla goleada danno il contributo Lucchetti e Staffetta, autori di due reti a testa; la sconfitta però non condanna le aspirazioni del Bari, che due settimane dopo raggiunge i viola in serie

    A

    .

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    19.

    I primi ultras: l’ordine del Marzocco

    Al fischio finale dell’arbitro Gama di Milano, esplode la festa dei tifosi; tra i più accesi sostenitori non manca quello che da ormai qualche settimana si è autoeletto il gruppo di riferimento nell’organizzare il sostegno alla maglia viola: l’Ordine del Marzocco. Il nome prende spunto dall’omonimo stemma araldico risalente alla Repubblica Fiorentina, raffigurante un leone che sorregge il giglio cittadino, e che tanta fortuna avrà nell’immaginario collettivo del tifo viola fino ai giorni nostri. Per tutto il campionato l’Ordine guida la claque più entusiasta; questi tifosi sono addirittura i primi, nei nascenti stadi italiani, a creare bandiere e cartelloni che inneggiano alla squadra o scherniscono gli avversari. Per la partita con il Bari l’Ordine prepara un’invasione di campo pacifica, e a vittoria assicurata sfotte gli avversari baresi con un celeberrimo cartello a colori raffigurante il Marzocco che tira il collo al galletto simbolo del Bari. Tutto accade senza incidenti, nonostante i timori della vigilia; lo stesso Ridolfi, preventivamente, fa distribuire agli spettatori un volantino che avvisa: «Non sarà permesso l’accesso a persone armate; saranno ritirati i bastoni».

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    20.

    Dal Bar Grappolini allo streaming

    Il tifoso ha alcune necessità imprescindibili: conoscere il risultato della propria squadra è ovviamente una di queste. Per farlo, quando la Fiorentina gioca in casa, c’è il Campo di Via Bellini (poi lo stadio Franchi); ma quando la viola è in trasferta bisogna arrangiarsi: le radio private e le pay

    TV

    hanno offerto questo servizio ai tifosi a partire dagli anni Settanta del ventesimo secolo. Nel calcio 2.0 dei tempi moderni ci pensano decine di siti web ad aggiornare in tempo reale. All’alba del 1931 i tifosi che non seguono la squadra in trasferta possono rimediare andando al Bar Grappolini: in questo locale della centralissima piazza Vittorio Emanuele, poi ribattezzata della Repubblica, i gestori offrono un servizio unico. Fuori dal bar c’è una lavagna, dove si possono seguire i risultati del campionato (in rigorosa contemporaneità), aggiornati grazie a un eroico collegamento telefonico; ci sono gli inconvenienti dettati o da errori dei cronisti, oppure dalle burle di questi improvvisati commentatori. Su un segnale non si transige: dopo le partite al bar si espone la bandiera viola, e significa che la Fiorentina ha vinto; in caso contrario la bandiera sparisce.

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    21.

    L’inno della Fiorentina

    È tra i tavolini del Bar Grappolini che i ragazzi del Marzocco coniano l’idea di fermare in strofe e rime la passione per la squadra. Da una sorta di bando a tema viene scelta la versione edita da Marcello Manni, che il 22 novembre 1931, grazie all’aiuto di Enzo Marcacci e Marco Vinicio, presenta l’inno che col tempo diverrà famoso come Inno Viola, e che da allora viene fatto risuonare all’ingresso in campo della Fiorentina. Il testo originale è il seguente: «Garrisca al vento il labaro viola, sui campi della sfida e del valore; una speranza viva ci consola! Abbiamo undici atleti e un suolo cuore! Oh Fiorentina di ogni squadra ti vogliam regina! Oh Fiorentina, combatti ovunque ardita e con valor! Nell’ora di sconforto e di vittoria, ricorda che del calcio hai tu la storia! Ci infiamma chiusa in cuor una passione, di forza, di coraggio e di ardimento, non conosciam tristezze e delusione, e sempre pronti siamo a ogni cimento… Maglia viola, lotta con vigore, per esser di Firenze e vanto e gloria, sul tuo vessillo scrivi: forza e cuore, e nostra sarà sempre la vittoria!». Il testo viene poi ripreso per l’incisione musicale ufficiale, eseguita dal famoso cantante fiorentino e tifoso viola Narciso Parigi, quando nel 1957 questi ritrova l’antico testo grazie al poeta Mariotti, e lo registra a Milano presso la

    EMI

    con un complesso di musicisti suoi amici; il coro d’eccezione è formato da alcuni giocatori dell’Inter: Skoglund, Dorigo, Giacomazzi, Invernizzi e Ghezzi, reclutati per l’occasione dall’ex viola Pandolfini. La canzone viene poi regalata alla Fiorentina del presidente Enrico Befani.

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    22.

    A ridosso delle protagoniste

    Il campionato 1931/32 vede impegnate le squadre più importanti che già si sono affermate a livello nazionale, e che nel corso del tempo diventeranno le maggiori protagoniste della serie

    A

    . Ad attendere i viola c’è anzitutto la Juventus campione in carica, forte dei suoi assi Combi, Rosetta, Monti, Cesarini (proprio quello dell’omonima Zona: il suo marchio di fabbrica è la rete agli ultimi minuti della partita) e Mumo Orsi. C’è il Bologna del cannoniere Angelo Schiavio; ci sono l’Ambrosiana e il Genova 1893, che poi sarebbero l’Inter e il Genoa dei nove scudetti: con l’affermazione del regime fascista i nomi stranieri o inopportuni (vedi Internazionale…) vanno a cozzare con l’ideologia mussoliniana. Ci sono infine la Lazio, detta Brasilazio per via dei sette giocatori auriverde, e la giovane Roma, nata nel 1927 da una fusione molto simile a quella che fa nascere i viola. Il girone è a 18 squadre, che si affrontano due volte l’anno, per quello che diventa un formato così affermato da essere da allora conosciuto nel mondo come girone all’italiana. Una curiosità: divisi sulle 18 panchine di

    A

    siedono ben 12 allenatori danubiani, esponenti del modo di fare calcio più in voga degli anni Trenta; sette provengono dall’Ungheria e cinque dall’Austria, tra cui il neo allenatore viola Hermann Felsner.

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    23.

    Il progetto del marchese

    Se c’è un sostantivo capace di accendere i sogni, ma anche i sospetti, del tifoso questo è: progetto. Vi si intende programma a medio-lungo termine della società; tuttavia è ben difficile che un progetto presentato alla piazza, a maggior ragione a Firenze, si tramuti poi in opere effettive; di solito tutto sfuma tra le difficoltà contingenti o le velleità in frase progettuale. Il marchese no! Il nobiluomo già il giorno della fondazione dell’

    AC

    Fiorentina vede molto lontano, e progetta il nascituro club con il suo nuovo stadio, la conquista della massima serie e, perché no, lo scudetto. Fatta la squadra, per la serie

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    c’è bisogno di uno stadio adeguato, ma prima va individuato il luogo migliore per realizzare un’opera che si preannuncia maestosa. La zona prescelta è l’area cittadina orientale del quartiere Campo di Marte, nome non casuale poiché è zona di addestramento militare sin dai tempi di Napoleone; grazie ai buoni uffici di Ridolfi, decorato nella Grande Guerra, viene concessa dal Comune una porzione della piazza d’armi, dove poi sorge il campo da gioco.

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    24.

    Lo stadio Giovanni Berta

    Lo stadio viene intitolato a un martire fascista fiorentino, Giovanni Berta, ri­masto vittima di un agguato di avversari politici; la prima pietra viene posta il 17 ottobre 1930. Alla testa del progetto c’è l’architetto Pierluigi Nervi, scelto da Ridolfi, con il quale aveva già lavorato in occasione della costruzione della tribuna del campo di atletica del Giglio Rosso. Caratteristica peculiare del nuovo impianto è la inconfondibile forma a

    D

    , palese omaggio, come molti edifici dell’epoca, al Duce Benito Mussolini; tuttavia le novità architettoniche principali, che rendono lo stadio di Firenze un’opera unica nel suo genere, sono anzitutto la copertura della tribuna centrale, realizzata senza sostegni, e per tale ragione divenuta subito celebre come l’ardita pensilina a sbalzo. Poi la torre di Maratona, simbolo propagandistico della resistenza degli atleti: costruita sulla tribuna opposta a quella coperta, accompagna i maratoneti nell’ultimo tratto della corsa cittadina, prima dell’ingresso nella pista dello stadio. Le innovative scale elicoidali, che ancora oggi sorprendono l’occhio di chi le guarda: si arrampicano a spirale fino alla parte più alta delle gradinate, e sembra si sostengano da sole in aria.

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    25.

    Ridolfi tiene al suo stadio, anche troppo

    Oggi uno come il marchese Ridolfi non correrebbe certo il rischio di essere accusato, come dicono a Firenze, di avere il braccino, né invero riceverebbe il plauso dei sostenitori della plusvalenza: se è vero che il Berta costa sei milioni e mezzo di lire, più o meno la metà di quanto costa il Littoriale di Bologna, l’esborso comunque è talmente impegnativo per le casse comunali che il marchese, pur di vedere l’opera completata, è costretto a mettere mano al proprio portafoglio. Avendo messo del suo, Ridolfi ha tutto l’interesse affinché i lavori dello stadio vadano avanti senza intoppi; pare questa la ragione che spinge il presidente a recarsi nottetempo, in compagnia di fidati dirigenti, al cantiere per spostare i picchetti che delimitano l’area edificabile concessa dal comune. Realizzato il primo lotto dei lavori, le due tribune, lo stadio viene inaugurato a tempi record: il 13 settembre 1931 dall’Austria scende l’Admira Vienna, ospite internazionale dell’evento; il pallone del match viene addirittura lanciato dal velivolo dell’aviatore fiorentino Vasco Magrini, che sorvola lo stadio all’ingresso in campo dei giocatori.

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    26.

    Addio via Bellini

    Con la serie

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    i viola salutano così il vecchio Campo di via Bellini, teatro delle prime epiche sfide sotto il nome di Fiorentina; per salutare degnamente l’impianto viene organizzata un’amichevole contro la nazionale italiana, e alcuni degli azzurri impegnati a Firenze saranno poi protagonisti al mondiale italiano del 1934. Oltre al gigliato Pizziolo, il commissario tecnico Vittorio Pozzo porta a Firenze: Giampiero Combi portiere della Juventus, tra i migliori al mondo negli anni Trenta insieme a Zamora e Plánicˇka; Eraldo Monzeglio, terzino del Bologna; Rosetta e Calligaris, terzini juventini; Giovanni Ferrari, altro elemento della squadra piemontese che insieme al Bologna domina il decennio, mezz’ala ritenuta dai critici come uno dei migliori della generazione; Raimundo Mumo Orsi, ala bianconera tra i primi, nel ruolo, a prendere licenza di attaccare la porta avversaria; infine Giuseppe Meazza, il celeberrimo Balilla, bandiera del calcio meneghino (passa una vita all’Inter, ma chiude la carriera al Milan) e ritenuto, da molti, il più forte calciatore italiano di tutti i tempi.

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    27.

    Con l’Artillero subito dietro le grandi

    L’attesa della serie

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    termina il 20 settembre 1931, quando i viola esordiscono a Milano contro i rossoneri, compagine tra le più antiche d’Italia. Esordio più che positivo, il pareggio in rimonta per 1 a 1 è il preludio di un campionato positivo, ben al di sopra delle aspettative; a fine anno infatti i viola raggiungono un prestigioso quarto posto, arrivando davanti alle milanesi e alla deludente Lazio, mentre l’altra squadra salita dalla

    B

    , il Bari, riesce a salvarsi solo all’ultima giornata. Principale artefice dell’exploit è il nuovo arrivato oriundo uruguaiano Petrone Artillero, capace in 27 gare di realizzare 25 reti, come il bolognese Schiavio, che però gioca tre partite in più. L’indimenticabile esordio casalingo risale al 27 settembre, quando al Campo di Marte arriva il Brescia: tanta è la foga di presentarsi alla nazione con il nuovo stadio di casa, che il pubblico è costretto ad assieparsi in tribuna coperta e in una parte di Maratona, ancora incompleta e senza la torre; le due curve arriveranno solo con il secondo lotto di lavori, un anno più tardi. I viola hanno la meglio sulle rondinelle lombarde, sconfitte 2 a 1; degne di nota sono anche le prove offerte al Berta contro le milanesi, entrambe rispedite sui Navigli con un inappellabile 3 a 0.

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    28.

    Il primo divo pallonaro

    «Se potessi avere mille lire al mese» cantava (e sognava) Umberto Melnati alla fine degli anni Trenta; ma gli idoli del pallone già le prendevano queste cifre: Pedro Petrone faceva ancora meglio, visto che per accettare l’offerta della Fiorentina di lire mensili ne ottiene ben 2000! Dopotutto Petrone è già Artillero, centrattacco del fenomenale Uruguay che domina tutte le competizioni mondiali. Come arriva a Firenze mette subito alla prova la pazienza dei dirigenti: le sue scarpe da gioco sono rimaste a Montevideo, e non esiste in città un negozio che riesca a soddisfare le sue richieste. La società è costretta a telegrafare in Uruguay, finché la soluzione non arriva dall’amico Sansone, che a quanto pare a Bologna riesce a trovare calzature degne di cotanto piede. Petrone fa rima con pigro, se è vero che cospicua parte della sua giornata la passa a letto nella casa di via Ponte alle Mosse, ascoltando dischi di tango struggenti di malinconia verso il paese natio. Si sente un divo e come tale vuol essere riconosciuto: calza sempre le ghette e viaggia in carrozza, tuttavia non disdegna gli agi dei trasporti moderni, tanto che dopo il gol della prima vittoria viola contro la Juventus ottiene, come regalo personale del presidente, una fiammante Fiat 508.

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    29.

    Le bombe del bomber

    Fin dallo sbarco in Italia le foto che ritraggono il neo attaccante della Fiorentina segnano nella mente dei tifosi la figura dell’Artillero: ben piazzato, 1,78 per 74 chili, sembra anche più imponente grazie all’aspetto fiero, la chioma corvina perennemente impomatata e l’abito di taglio sartoriale. Grazie alle doti atletiche e al suo tiro potente, fa le fortune delle squadre che lo schierano di punta; nel Nacional Montevideo in 108 partite va a segno 116 volte. Ma è con la nazionale dell’Uruguay che il suo nome diventa famoso in tutto il mondo: segna 10 gol in 9 partite nelle quattro edizioni della Coppa America a cui partecipa, e 11 gol in 8 partite alle Olimpiadi, aiutando così la Celeste a vincere la medaglia d’oro a Parigi 1924 e Amsterdam 1928, oltre che le coppe continentali nel 1923 e nel 1924; al mondiale di casa, vinto sempre dall’Uruguay, gioca solamente una volta, senza lasciare il segno. Con tre titoli di capocannoniere e uno di miglior giocatore della Coppa America, e con una media gol eccellente (sono 24 gol su 29 partite in nazionale), Petrone è una delle massime espressioni del calcio mondiale; nel suo ultimo campionato giocato, di ritorno al Nacional, mette il pallone in rete ben 30 volte in sole 20 partite.

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    30.

    Dall’oceano arrivano gli oriundi

    Anche a Firenze Pedro Petrone tiene fede alla sua nomea di goleador: nella sua breve carriera viola, 44 partite di campionato, va a segno per 37 volte, e vince ex aequo con Schiavio la classifica marcatori del 1931/32. Questo non è solo il primo campionato di A della Fiorentina: è anche il primo dove sono presenti i calciatori cosiddetti oriundi, stranieri di nascita ma di dimostrabili origini italiane. Petrone, per esempio, è figlio di migranti lucani, e non è il solo a sbarcare in Italia nell’estate del 1931; il 6 agosto di quell’anno, da un piroscafo che attracca al porto di Genova scendono, insieme all’Artillero, Guido Laino, terzino di origini calabresi destinato anch’esso alla Viola (e che invece non viene tesserato); Luisito Monti, possente mediano argentino, tra i pochi ad aver raggiunto il podio mondiale con due nazionali diverse. È destinato alla Juve, dove poi lo raggiunge un altro compagno di viaggio, il minuscolo Pietro Sernagiotto dal Brasile; in direzione di Milano vanno invece Attilio Demarìa, mezz’ala argentina poi azzurra, e l’uruguaiano Héctor Scarone, attaccante, entrambi tesserati dall’Ambrosiana-Inter.

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    31.

    Vittoria sulla Juve e poco altro

    Le ambizioni del popolo viola dopo l’ottimo esordio in serie

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    sono tante, ma la seconda stagione nel massimo campionato delude un po’ le attese; se è vero che la Juventus campione d’Italia appare troppo forte per poter puntare alla vetta, le altre compagini maggiori sembrano partire sullo stesso piano della Fiorentina. Invece i gigliati non vanno oltre un sesto posto, figlio di risultati altalenanti, e le emozioni maggiori provengono dagli addii anticipati di mister Felsner e di Petrone; alle prestigiose vittorie contro la Juve e il Milan, schiantato al Berta per 5 a 1, fanno riscontro rovinose cadute, ed è proprio la squadra bianconera a punire con il risultato più pesante dell’anno i gigliati, un 5 a 0 che non ammette repliche. Sono però le avversarie ritenute più abbordabili a castigare la Fiorentina, basti pensare che il Bari retrocesso o il Casale la battono in casa, e che la Triestina riesce a fare punteggio pieno in Friuli e al Campo di Marte; alla fine della stagione 1932/33 le sedici vittorie sono livellate dalle sconfitte, ben undici.

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    32.

    Prima storica vittoria contro una storica Juve

    Il 1933 si apre con una grande soddisfazione per la Fiorentina di Felsner; l’8 gennaio arriva la prima storica vittoria (storica, perché non saranno molte nel corso di quasi novant’anni…) contro una delle Juventus più gloriose di sempre, capace di vincere cinque scudetti consecutivi dal 1931 al 1935, record tuttora imbattuto in serie

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    . In una bella giornata di sole invernale, davanti al pubblico delle grandi occasioni, con i gradoni dello stadio Berta gremiti in ogni ordine di posti, le due squadre danno vita a un incontro equilibrato; dopo settantacinque minuti di gioco ci pensa però Petrone, con un insolito, per le sue caratteristiche, gol di rapina in anticipo sul suo marcatore Bertolini. La curva Ferrovia, sotto la quale il bomber uruguaiano segna, può finalmente esultare; il mitico portiere Combi nulla può sul tiro dell’Artillero, la grande Juve di Monti, Orsi e Ferrari non riesce a recuperare e la partita termina dunque per 1 a 0. Agli onori delle cronache viola rimangono questi undici: Ballanti, Gazzari, Vignolini; Neri, Bigogno, Pitto; Prendato, Sarni, Petrone, Busini, Rivolo.

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    33.

    Maledetta nostalgia: l’Artillero con un pretesto scappa via

    Un divo non è tale se non è primadonna: dei capricci di Pedro Petrone si sa già, della sua nostalgia di casa si scopre il 26 marzo 1933. Una Fiorentina svagata perde in casa contro la Triestina, e durante il gioco Felsner ordina a Petrone di spostarsi all’ala, ma questi rifiuta. Al termine della partita Ridolfi fa recapitare al giocatore una missiva che gli comunica la sospensione a tempo indeterminato e una multa di 2000 lire. La notte non porta consiglio all’uruguaiano, che, anzi, decide per la fuga: dalla stazione raggiunge Genova, e da lì si imbarca sul piroscafo Giulio Cesare, alla volta di Montevideo. Ma dopo aver ceduto alla tentazione di lasciare la carriera italiana, Petrone viene preso da una nostalgia al contrario, verso quella Firenze ove tanti cuori sportivi ha infranto: ne è prova il nome che dà alla sua scuderia di cavalli da corsa, la Fiorentina. Come in tutte le storie romantiche senza lieto fine, Pedro Petrone muore solo e povero, ma rimane sempre vivo nella letteratura sportiva e nel cuore degli appassionati viola che ne leggono le gesta.

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    34.

    La grande tradizione dei portieri inizia con Ballanti

    La Fiorentina ha sempre avuto una tradizione importante di numeri uno; il ruolo più delicato tra gli undici in campo, il portiere, vede passare in maglia viola una grande serie di fuoriclasse. Il primo di questi è il laziale Bruno Ballanti, acquistato dal marchese Ridolfi nel 1930 dalla Roma, di cui difende per primo i pali; le qualità che colpiscono i dirigenti gigliati sono la personalità che gli permette di avventurarsi in uscite coraggiose; il colpo d’occhio che gli consente di gettarsi in anticipo sui tiri avversari; la presa del pallone sicura. Stando ai commenti della critica, il portiere ha forse un unico grande difetto: tanto è sicuro finché la partita è nei giusti canali, quanto perde di concentrazione una volta che subisce una rete. Le cifre della sua carriera in maglia viola parlano da sole: nei tre campionati di serie

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    che Ballanti gioca con i gigliati, il portiere subisce 113 gol in 91 partite, eppure critica e tifosi sono concordi nel ritenerlo uno dei migliori del campionato. Nel 1934 le strade della Fiorentina e di Ballanti si separano; il portiere di Tivoli non lascia però la Toscana, accasandosi al Pisa in serie

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    , dove gioca fino al 1937, per poi ritirarsi a soli trentuno anni.

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    35.

    Pizziolo, un destino segnato dall’azzurro

    31 maggio 1934, mondiali di calcio: a Firenze si giocano i quarti di finale della seconda edizione della Coppa Rimet; i padroni di casa italiani hanno come ostacolo sulla strada della semifinale le Furie Rosse spagnole. A centrocampo il commissario tecnico Pozzo conferma il viola Mario Pizziolo; un destino beffardo vuole che proprio davanti al suo pubblico si scriva, di fatto, la parola fine alla promettente carriera dell’abruzzese a causa di un infortunio (rottura dei legamenti al ginocchio sinistro; nei successivi tre campionati giocherà solo 56 partite, poi getterà la spugna, cambiando vita e laureandosi due volte). Non solo, ma, beffa della sorte, al termine del vittorioso torneo le autorità sportive, al momento della premiazione ufficiale, si dimenticano di lui, come se non avesse partecipato alla spedizione (solo nel 1990 viene posto rimedio alla ingiusta esclusione). E dire che si presenta a quei mondiali con ottime credenziali; sino a quel momento ha già disputato 141 partite con i viola, ed è da tempo il leader della squadra. La ribalta mondiale sembra il salto di qualità, invece è la svolta negativa della carriera; il pescarese rientra dall’infortunio al ginocchio senza più possedere il dinamismo che lo ha lanciato, e a soli ventisette anni decide di ritirarsi.

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    36.

    Calcio autarchico a Firenze

    Il marchese Ridolfi, dopo anni di spese generose nel pagare lauti stipendi a divi stranieri, introduce, tra i primi nel calcio, la direttiva del regime di svoltare verso l’autarchia; scottato dalla vicenda Petrone, d’ora in avanti i viola guardano alle serie minori nella speranza di trovare potenziali fuoriclasse. La scelta non sembra pesare troppo sui risultati della squadra: i viola confermano il sesto posto nel campionato 1933/34, vinto per la quarta volta consecutiva dalla Juventus. Come l’anno prima, a ottimi risultati, vedi la doppia vittoria contro l’Ambrosiana del Balilla Meazza, fanno seguito rovesci clamorosi (in Piemonte, su un totale di cinque trasferte, la Fiorentina incassa qualcosa come 21 gol!); non è un caso che l’alternanza di picchi e tremende cadute costi il posto all’allenatore Rady, sostituito dall’ottava giornata con un altro ungherese, Ferenc Ging. Le curiosità maggiori riguardano lo stadio Berta, completato e pronto per la Coppa Rimet che l’Italia ospita a partire dal maggio ’34, e la maglia: per la prima volta i gigliati possono fregiarsi definitivamente di tale denominazione, poiché per tutte e 34 le giornate del torneo compare sulla divisa da gioco il simbolo cittadino.

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    37.

    Il record del recordman

    390 gol totali; 290 in massima serie (274 in serie

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    , 16 in divisione nazionale); 6 reti in una sola partita; 30 reti in 34 partite con l’Italia, secondo cannoniere di sempre ma primo per media realizzativa: queste sono le cifre più importanti di Silvio Piola. Il suo record riguardo alle reti segnate in una singola partita coinvolge la Fiorentina. Il 28 ottobre 1933, settima giornata di campionato, i viola salgono a Vercelli per affrontare i padroni di casa della Pro; il cammino dei toscani sino a quel momento è fatto di alti e bassi: tre vittorie e tre sconfitte. La Pro Vercelli è un’onesta squadra di metà classifica, ben lontana dai fasti del tempo degli scudetti; in attacco i piemontesi schierano l’allora ventenne centrattacco lombardo, già titolare a sedici anni. Con i bianchi della Pro, Piola ha già giocato 98 partite, condite da 36 reti: è lui quindi il pericolo maggiore; e infatti segna al primo minuto. Poi si ripete, la Fiorentina è assente, segna ancora, fino a farne sei al povero Ballanti; alla fine la Pro ne mette in rete sette (a due), Piola entra nella storia: nessuno ha mai fatto tutti questi gol in una sola partita. La débâcle costa la panchina a Rady, e getta nell’incubo i viola (la trasferta successiva è in casa della imbattibile Juve); il record dell’attaccante resiste per quasi trent’anni, finché lo juventino Omar Sívori non riesce a eguagliarlo nel 1961.

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    38.

    Solo con il Casale non si perde

    La caratteristica più curiosa del campionato 1933/34 è quella sorta di allergia che la Fiorentina ha ogni volta che entra in Piemonte: mai infatti, nella storia del club gigliato, si riscontra un’influenza regionale così negativa. Si inizia con il Torino, e finisce 4 a 1 per i granata; a Vercelli il famoso tracollo sotto i colpi di Piola. Sette giorni dopo, contro i campioni d’Italia della Juventus altra agonia: 5 a 0 per i bianconeri. Chiude il salatissimo conto piemontese l’1-3 ad Alessandria nella trasferta prenatalizia; prima della gara al Littorio-Moccagatta c’è l’unica parentesi non negativa: pareggio 2 a 2 a Casale Monferrato. Il Casale è una delle grandi squadre del calcio degli albori, che però risentono del passaggio al calcio moderno e del dominio delle grandi città; i nerostellati hanno un’esclusività in Europa: è l’unico club continentale a indossare una livrea totalmente nera, voluta per segnare la totale opposizione ai rivali bianchi di Vercelli, e lo stemma è una caratteristica stella bianca all’altezza del cuore; i piemontesi vantano pure uno scudetto, risalente al 1914. La Fiorentina gioca a Casale il 19 novembre 1933 e, pur facendosi rimontare, riesce a portarsi a casa un punto, con gol di Viani e Gringa.

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    39.

    Fiorentina fatale ai nerazzurri

    Gran parte delle possibilità dell’Ambrosiana-Inter di contendere fino all’ultimo lo scudetto 1934 alla Juve evaporano nel doppio confronto con la Fiorentina. A fine campionato la distanza che separa i meneghini dai bianconeri è di quattro punti, proprio quelli che i gigliati si aggiudicano nelle due sfide. All’andata, il 26 novembre 1933, i viola danno addirittura spettacolo: dopo un quarto d’ora sono sotto di due reti, tutti si aspettano un nuovo tracollo, e invece si scatena Viani, che davanti al grande Meazza trafigge il portiere Ceresoli tre volte nei successivi quindici minuti; nella ripresa la Fiorentina controlla e affonda il colpo del

    KO

    con Nekadoma. Un girone dopo, il 15 aprile 1934, la squadra di Ging si regala un’altra prova da ricordare: al ventitreesimo minuto ancora Viani, autentica bestia nera della formazione milanese, porta in vantaggio i viola, che poi controllano la reazione avversaria con efficacia. Per l’Ambrosiana è il colpo fatale: la Juventus, a due giornate dal termine, opera il sorpasso e vince le restanti partite; per la Fiorentina è la gemma di un campionato comunque non negativo; per Viani è l’ultima rete di una stagione al di sopra delle aspettative.

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    40.

    Gazzari, lo stakanovista che viene dall’Est

    Nella Fiorentina 1933/34 l’unico sempre presente nell’arco del campionato è il terzino Lorenzo Gazzari; difficile etichettarlo come terzino destro o sinistro, poiché in materia Renzo è un precursore: il suo piede preferito è il sinistro, ma la duttilità nel passare da una fascia all’altra consente ai suoi allenatori di schierarlo dove necessità impone. Ma Gazzari è un pioniere anche in un altro campo: insieme al fratello è tra i primi calciatori italiani a giocare per una squadra straniera. Il motivo è presto detto: la famiglia Gazzari è di Lesina, un piccolo centro abitato dell’omonima isola della Dalmazia; quando il ragazzo inizia la carriera di calciatore la Dalmazia fa parte della Croazia, ed è proprio in quel campionato che esordisce, nelle file dell’Hajduk Spalato, una delle formazioni più gloriose del calcio locale. Con l’Hajduk disputa più di 150 partite e vince un campionato nazionale nel 1927; da italiano dalmata è quasi naturale, dopo l’interesse di alcuni club di serie

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    , esordire nel campionato italiano con la Triestina. Nel 1930 l’approdo a Firenze; il 20 settembre 1931 lo vede esordire in massima serie. In maglia gigliata gioca un totale di 212 partite.

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    41.

    Dall’Uruguay alla Versilia: Vinicio Viani

    Dopo lo scotto pagato per le bizze di Petrone, i dirigenti della Fiorentina cambiano decisamente rotta e così invece di cercare il sostituto dell’Artillero dall’altra parte dell’oceano, gli uomini di Ridolfi vanno a far compere nella più vicina Versilia. È viareggino, e gioca nel Viareggio, il giovane sostituto di Petrone, il ventenne Vinicio Viani, che ha già stupito la platea calcistica nazionale segnando, in Prima Divisione, 26 gol in 34 partite. Viani esordisce in serie

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    con i viola il 24 settembre 1933 (sconfitta 1-3 con la Roma), ma appena sette giorni dopo gonfia la rete per tre volte, nel 4-1 contro il Palermo. Nonostante la giovane età trova spesso la via del gol; il suo exploit è comunque contro l’Ambrosiana: davanti al già affermato goleador Giuseppe Meazza mette a segno una fantastica tripletta, nel 4-2 con cui i viola espugnano Milano; punisce i nerazzuri anche al ritorno, siglando il gol partita. Chiude il campionato con un’ottima media, 16 gol in 26 gare, poi non si conferma l’anno successivo e lascia Firenze per Lucca; altra esperienza viola e di nuovo via, stavolta con destinazione Livorno. In maglia amaranto realizza un record tuttora imbattuto: le 35 segnature del campionato 1939/40 sono, a oggi, il primato di reti della serie

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    Da Budapest a Firenze via New York: la ricerca di un’identità

    Per sostituire un Petrone forse non basta un giovane talento, meglio affiancargli, nell’estate del 1933, un esperto bucaniere dell’area di rigore: ecco allora, da Livorno, l’esperto Giovanni Necadoma, reduce da 26 gol in serie

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    , e già bomber della Pistoiese alcune stagioni prima. Ma i dirigenti viola sono consapevoli che dietro l’autarchica identità del trentaduenne centravanti c’è un ungherese ebreo, János Nekadoma (questo il suo vero nome) che nel 1927 ha lasciato l’Italia per New York, dove si è legato ai Brooklyn Wanderers. Brooklyn, il più popoloso distretto newyorkese, che vanta una numerosa comunità ebraica. Ed è per questo motivo che là sbarca l’austriaca Hakoah Vienna, polisportiva composta da atleti di origine ebraica e prima compagine ad affrontare tournée promozionali in giro per l’Europa (tra i sostenitori più celebri del club viennese figura anche un certo Franz Kafka…). Nel 1926 i neo campioni d’Austria arrivano a New York, dove affrontano proprio gli Wanderers di Nekadoma; alcuni degli atleti, che scelgono di rimanere in America, decidono di creare una filiale statunitense, i Brooklyn Hakoah, e Nekadoma ne fa parte fino al 1930. Decide allora di tornare a Pistoia, poi si trasferisce a Livorno, finché non arriva la chiamata della Fiorentina nel 1933.

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    Perazzolo, ed è subito gol

    10 settembre 1933, prima giornata di campionato, si affrontano Fiorentina e Milan; al Berta tutto esaurito per il saluto alla nuova avventura dei gigliati. Ci si aspettano gol e spettacolo da parte dei nuovi attaccanti in campo, da ambo le parti, invece la sfida la decide sì uno degli ultimi arrivati, ma è un mediano: Mario Perazzolo, patavino proveniente dal Padova. Degli acquisti estivi del club di Ridolfi, il Pera è forse il meno altisonante, e invece si rivela un buon colpo: tre stagioni nelle quali scende in campo 85 volte, dove segna sette reti, non male per un mediano. Tornando a quel Fiorentina-Milan, Perazzolo, come gli altri neo-gigliati, sarà rimasto sicuramente colpito dall’ambiente caloroso e appassionato che accoglie lui e i suoi compagni di squadra; come recita un estratto della Domenica Sportiva, settimanale dell’epoca dedicato al Giuoco del pallone, il tifo di Campo di Marte è di alto livello emozionale: «Bianca fiorita di fogli al centro della città, e lungo le candide scale dello stadio che è tutto un inno di grazia e armonia! Sotto la torre di Maratona enorme grappolo umano in subbuglio, tutto uno sventolio di violetto sugli spalti, che al gol diventerà incontenibile!».

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    Scagliotti, una vita per i giovani

    Più per le performance sportive, comunque apprezzabili, Cinzio Scagliotti è ben noto nel microcosmo pallonaro fiorentino per la sua lunga militanza nel settore giovanile delle squadre dilettantistiche locali. Come molti suoi colleghi, prima e dopo di lui, una volta appese le fatidiche scarpette al chiodo Scagliotti sceglie di vivere a Firenze, e si dedica alla cura delle giovani speranze calcistiche; alla sua morte, avvenuta nel 1985, una delle società per le quali ha lavorato, l’Audace Galluzzo, gli dedica un torneo di carattere regionale, riservato alla categoria esordienti. Da giocatore, jolly d’attacco prevalentemente schierato come mezz’ala sinistra, calca i campi più prestigiosi, passando da Firenze a Torino sponda Juventus, e da lì al Milan; in viola resta tre stagioni. La prima rete con la maglia della Fiorentina è decisiva per la vittoria del derby regionale contro il Livorno, nell’1-0 del 18 febbraio 1934.

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    Firenze da incubo per Zamora

    31 maggio 1934, mondiali di calcio: quarti di finale, in programma al Berta di Firenze, di fronte Italia e Spagna. In porta iberica c’è Ricardo Zamora, il leggendario portiere unanimemente considerato il più grande giocatore di tutti i tempi delle Furie Rosse, e tra i più forti a livello globale. Tutti sanno che il destino dell’Italia passa dall’efficacia del reparto offensivo nell’affrontare la difesa di ferro spagnola, soprattutto per la forza dell’estremo difensore; i tifosi fiorentini, allora, provano una vera e propria azione di… disturbo: passano la notte precedente la partita sotto le finestre dell’albergo che accoglie gli spagnoli a fare rumori di ogni genere, per togliere ore di sonno soprattutto al gigante in maglia nera. Tutto inutile, dopo i supplementari il risultato è 1-1, e Zamora è baluardo insuperabile; cosa accade di preciso non si sa, ma un infuriato Benito Mussolini pretende la semifinale: si vocifera che nella notte chiami l’ambasciatore spagnolo per far intendere le sue volontà. È certo che nella ripetizione del giorno seguente tra i pali Zamora non c’è: forse è rimasto in albergo, forse si è preso una giornata da turista, di fatto l’ostacolo più temibile non è in campo, e grazie anche a un arbitraggio casalingo, l’Italia, al termine di una battaglia violentissima, passa il turno.

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    Quasi scudetto nel campionato delle stelle

    Dopo il titolo mondiale degli azzurri, il campionato italiano vive un periodo di splendore: a livello nazionale il calcio è lo sport del momento, gli assi sudamericani sbarcano a frotte per accaparrarsi i lauti stipendi che i presidenti mecenati elargiscono senza risparmio. Dalla stagione 1934/35 la serie

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    passa a sedici squadre, nella convinzione che diminuendo la quantità delle partite, migliori decisamente la qualità. La Fiorentina, a differenza del solito, fa un solo nuovo innesto, il portiere Amoretti, oltre al nuovo allenatore Ara; il cambio di strategia funziona alla grande: terzo posto finale, con la possibilità di lottare per il titolo fino alla penultima giornata; seppur platonico, primo titolo d’inverno, con ben 24 punti conquistati nel girone d’andata. Resta un po’ di amaro in bocca a fine campionato, per i punti persi con il Torino, salvo per un solo punto, e la Pro Vercelli, caduta in disgrazia dopo l’addio di Silvio Piola. Al termine delle 30 giornate la Fiorentina dunque raccoglie 39 punti, concludendo il torneo a cinque punti dalla Juventus e a tre dall’Ambrosiana; per quanto riguarda il passivo dei gol i viola sono addirittura secondi, con solamente una rete subita in più rispetto ai bianconeri campioni.

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    Il buongiorno si vede dal mattino

    30 settembre 1934: all’esordio in campionato, avversaria al Berta la Roma, i viola ne fanno quattro. Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, un avvio così spumeggiante non può che solleticare pensieri positivi per la stagione. Bastano appena quattro minuti a Perazzolo per sbloccare il risultato: il Pera bissa così il successo personale della stagione precedente, dimostrando una preparazione atletica già ottimale dall’inizio. Il vero protagonista dell’incontro è l’uruguaiano Carlos Gringa, che realizza una doppietta; la prima segnatura è degna di nota: Gringa si trova a tu per tu con il portiere ospite, Masetti, e lo mette a sedere con una pregevole finta. Sul 2-0 per i gigliati il terzino ospite Stagnaro si fa male ed è costretto a uscire, indirizzando a questo modo l’incontro a favore della Fiorentina. Nonostante la veemente reazione della Roma, che riesce ad accorciare con Guaita, i viola segnano altre due reti con, appunto, Guaita e Scagliotti. Come riporta la stampa dell’epoca, davanti a un pubblico non molto numeroso (circa 15.000 spettatori paganti), il fischio d’inizio è osservato dalla figlia del Duce, Edda; il nuovo allenatore Ara schiera la sua prima formazione: Amoretto, Gazzari, Magli; Morselli, Bigogno, Neri; Prendato, Perazzolo, Viani, Scagliotti, Gringa.

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    48.

    Piedi per terra dopo Bologna

    Nel gennaio 1935 la Fiorentina vola: dopo dodici giornate è in testa alla classifica, un risultato notevole considerato che l’esordio in massima serie risale a solo tre anni prima. Nove vittorie, tre pari, e il primo posto a +4 sulla Juve; per la trasferta del 20 gennaio 1935, al Littoriale di Bologna sono previsti circa diecimila spettatori provenienti da Firenze, ma ne vanno molti di più; diciamo che nel corso della sua storia, quando le cose vanno bene la Fiorentina viene accompagnata da maree di tifosi la cui passione si tramuta, purtroppo, in pianto collettivo, ed è ciò che accade contro il Bologna. Lo stadio è stracolmo di gente che sfida le intemperie e le difficoltà per raggiungere la città felsinea: si gioca in un clima polare e il bordo campo è ricoperto dalla neve. Quando al ventitreesimo minuto Gringa anticipa tutti e segna l’1-0, lo stadio esplode in un boato che pare di essere al Berta; per circa un’ora di gioco la Fiorentina controlla senza affanni, ma quando i rossoblù agguantano il pari, i

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