101 motivi per odiare la Lazio e tifare la Roma
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Patrizio Cacciari
è nato a Roma nel 1977. Laureato in antropologia culturale, è giornalista professionista. Ha lavorato in diverse radio e TV locali occupandosi anche di sport. Per quattro anni caposervizio presso l’agenzia web «Goalcity», ha scritto diversi libri sul calcio e sulla cultura del tifo. Per la Newton Compton ha già pubblicato i bestseller 101 motivi per odiare la Lazio e tifare la Roma e 101 storie su Roma che non ti hanno mai raccontato. Oggi si occupa di cronaca e politica per il giornale radio di Teleradiostereo, ma il pallone resta una delle sue grandi passioni.
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101 motivi per odiare la Lazio e tifare la Roma - Patrizio Cacciari
1. Perché poteva scegliere di chiamarsi Roma e non lo ha fatto
Partiamo dalle origini della rivalità per capire l’astio che divide due modi di vivere e di pensare il calcio, due tifoserie agli antipodi, due modi di sorridere e soffrire. Lazio, Società Podistica 1900. Ma il calcio, la sezione calcio, arriverà solo due anni dopo, 1902. Smontiamo subito dunque il loro vanto maggiore, quello dell’anzianità. Non è una questione di date a fare la differenza quanto l’intelligenza. Ho una sorella minore che ha due lauree. Io sono nato prima, e allora? Sono per caso migliore di lei? È questo che il laziale si ostina a non capire. Non è l’età, ma la qualità a rendere una persona migliore. E poi, come perdonare il loro peccato originale? Si poteva scegliere di chiamare la squadra con il nome della città e invece non venne fatto. Le giustificazioni si perdono nella notte dei tempi. C’è chi racconta che il nome Lazio
fu una scelta obbligata da parte dei fondatori, in quanto il nome Roma
non poteva essere utilizzato perché all’epoca era già in uso da un’altra polisportiva, la Società Ginnastica Roma (fondata nel 1890). Altri dicono che si preferì scegliere un nome generico per coinvolgere anche i territori di tutta la regione. Fatto sta che l’errore fu commesso. Divertente uno striscione della curva sud durante un derby: «1900: pensa che gaggio, potevi chiamatte Roma e hai scelto Lazio». Troppo fantasiose le loro spiegazioni su un blasone inesistente risalente all’età della pietra. I laziali non considerano infatti un particolare molto semplice ed efficace che risolve tutte le polemiche relative alla squadra che avrebbe portato il calcio a Roma, e che, tuttavia, secondo diversi storici del calcio non è la Lazio: il campionato italiano di calcio a girone unico, cioè l’attuale serie A, è iniziato nel 1929, basta dare un’occhiata all’albo d’oro e alla storia della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Prima di allora si disputavano gironi e gironcini, finali e finalette. Fortuna che quando i giochi si sono fatti seri c’era qualcuno che portava in alto il nome della capitale. A proposito di origine e squadre che contano. Sapete che al primo campionato di serie A, quello del 1929-30, il primo a girone unico voluto dalla FIGC, la Lazio rischiò di non partecipare? Fu solo grazie alla clemenza della federazione stessa che Lazio e Napoli vennero ammesse dopo uno spareggio nullo (Milano, 23 giugno 1929: Lazio-Napoli 2-2). Chissà, forse se avessero accettato l’invito a far parte della gloriosa fusione del 1927 per far sorgere l’unica vera squadra della capitale che porta il nome della città, probabilmente si sarebbero risparmiati tutti i salti mortali fatti finora per costruirsi una credibilità storica degna del nome di Roma. A tal proposito è bello leggere i giornali dell’epoca. Così «La Gazzetta dello Sport» del 9 giugno 1927: «Il nuovo club prende il nome di Associazione Sportiva Roma e assume i colori dell’Urbe, giallo-rosso, col fascio littorio e la lupa romana in campo verde». Nome, colori e tradizioni, ci sarebbe ancora tanto da scrivere. E non ci risparmieremo, perché c’è anche chi ha scelto i colori dell’Urbe, appunto, e chi i colori della Grecia. Il motivo? Sono laziali.
2. Perché la Roma è la squadra dei giocatori romani
Roma e la Roma sono una cosa sola. Lo cantano gli stornellatori romani, lo raccontano gli anziani dei rioni storici, lo rappresentano oggi i bambini che corrono nei prati verdi delle ville romane indossando la maglia di Francesco Totti o di Daniele De Rossi, simboli di una romanità che racchiude spirito sportivo e appartenenza cittadina. Ormai di maglie biancocelesti se ne vedono sempre di meno. La tradizione di giocatori romani e romanisti fa parte del DNA della Roma da Fuffo Bernardini fino al grande Agostino Di Bartolomei. C’è sempre stato un filo a legare i grandi campioni che hanno indossato la maglia giallorossa ai tifosi, alla gente della città. Sono molti i giocatori romani che hanno vestito la casacca giallorossa, alcuni di questi hanno anche vestito la fascia di capitano. Il primo esempio è quello di Attilio Ferraris IV, grande mediano della Roma testaccina, capitano in campo e fuori, capace di coinvolgere la squadra a livello emotivo con motti che hanno fatto epoca. Nato a Borgo Pio, incarnava perfettamente lo spirito cittadino dell’epoca, almeno fino al grande tradimento
, ma questo è un altro motivo per odiare la Lazio. Più tardi fu la volta di Sergio Andreoli, romano e capitano, che giocò in giallorosso dal ’41 al ’50 e divenne anche rigorista della squadra. La tradizione dei capitani romani si rinnovò qualche anno più tardi con l’indimenticato Agostino Di Bartolomei. Cresciuto calcisticamente per le strade del quartiere Tor Marancia passò in seguito dall’oratorio San Filippo Neri alla Garbatella all’OMI, una realtà del calcio romano, fino alle giovanili della Roma dove esordì in prima squadra nella stagione 1972/73. Gli anni Ottanta sono stati quelli del Principe
Giuseppe Giannini, nato a Roma e cresciuto nell’ALMAS. Dopo la trafila nel vivaio, l’esordio in serie A avviene nel 1982. Dopo Giannini la fascia di capitano finì sul braccio sinistro di Francesco Totti, stella calcistica di Porta Metronia, già baby fenomeno della Lodigiani, esordiente in serie A a soli 16 anni con la Roma. Su Totti, sul suo attaccamento alla squadra e alla città non c’è niente da aggiungere. Dopo la vittoria dello scudetto nel 2001 il Real Madrid lo tentò con un contratto faraonico, ma lui scelse Roma e la Roma. E se pensate che, nonostante il capitano attuale della Roma abbia davanti a sé ancora diversi anni di carriera, ci sia già il suo sostituto ideale significa che siamo a posto. Daniele De Rossi, classe 1983 (ottima annata), nato a Ostia e romanista fino al midollo, non a caso si è meritato l’appellativo di Capitan Futuro
. Nella squadra di oggi non figurano solo Totti e De Rossi, anche Aquilani e tanti altri giovani ora in prestito sono nati nella capitale. Proprio per questo alcuni di loro nel 2006 sono stati coinvolti dal cantautore romano Marco Conidi nell’interpretazione del brano La Roma che conosco. Bellissima la strofa cantata da Totti:
E sono tutte mie le facce della gente
le nonne sul balcone, il ricco, il mendicante
posteggiatori, tassinari, barbieri, benzinai
la Roma che conosco non la conosci mai.
Il capitano della Lazio? L’informazione da voi cercata non è al momento disponibile.
3. Per la tribuna di legno giallorossa del vecchio Campo Testaccio
Può un campo diventare leggenda? In effetti potevano riuscirci solo i tifosi della Roma a renderlo tale. Il 3 novembre del 1929 i giallorossi affrontano il Brescia e per l’occasione viene inaugurato con tanto di benedizione Campo Testaccio, quella che resterà la tana romanista
fino al 1941. L’impianto venne costruito nell’estate del 1928 dall’ingegner Silvio Sensi, padre di Franco Sensi, progettato secondo il modello dello stadio dell’Everton, con quattro tribune di legno dipinte di giallo e rosso. Il terreno di gioco fu costruito in modo da essere allargato o ristretto a seconda dell’avversario di turno: particolare che sarà uno dei punti di forza della Roma. Campo Testaccio costò alla Roma 1.383.816 lire (parte della somma venne versata in otto rate annuali di 153.094 lire). Il debito sarà saldato nel 1939. Solo un piccolo imprevisto nel 1938, il crollo di una tettoia di copertura dei distinti, rappresenterà una spesa ulteriore per il club. A quel campo non sono legati solo i grandi giocatori del passato come Bernardini, Volk, o Masetti che dirà in seguito: «L’affetto della folla romanista è stato per me il maggior conforto della mia carriera». Anche personaggi mitici come Zì Checco e la sora Angelica, i due anziani guardiani del campo, sono ancora oggi ricordati da tutti i romanisti. Roma, Testaccio ti guarda
, era l’imperativo che campeggiava a bordo campo, la mitica Canzone di Testaccio, il coro che si alzava dalle tribune. Dall’antico legame tra giocatori e tifosi dell’epoca nacque quel soprannome di Testaccina
tuttora utilizzato quando la Roma sfoggia prestazioni d’orgoglio. Pensate che in quegli anni la Roma riuscì a battere per 5-0 l’invincibile Juve anni Trenta, per cinque volte consecutive Campione d’Italia. Lo stadio venne abbattuto il 21 ottobre 1940, ma è come se ogni tifoso della Roma ci sia stato almeno una volta. Nel 2000 dopo la vittoria del terzo scudetto, il presidente Franco Sensi, fece costruire nella stessa area su cui sorgeva il vecchio Campo Testaccio, un nuovo campo da gioco offerto alla gente del quartiere. In una delle vie del rione sorge inoltre uno storico Roma Club sempre in prima linea nelle iniziative legate alla tradizione. Proprio a Testaccio nel 2001 ci fu una delle feste più belle per lo scudetto. I laziali? Da quelle parti è difficile incontrarne. I pochi che c’erano saranno emigrati, e di motivi ne avevano diversi.
4. Perché fino al 1925 si chiamava Società Podistica con tanto di stemma
Torniamo ancora una volta alla paternità del calcio nella capitale. Perché al di là di tutte le stranezze relative alla scelta del nome, del simbolo e del colore, esiste un altro particolare che i laziali dimenticano sempre di raccontare quando parlano della loro storia sportiva. Lo sapevate che la Lazio fino al 1925 ha mantenuto la dicitura di Società Podistica? Leggete questo passo tratto da un vecchio articolo del 1962 pubblicato su «Lo Sport Illustrato»: «Affacciatasi così imperiosamente alla scena del calcio nazionale, la Lazio, eretta in ente morale nel 1921, abbandonò la denominazione di Società Podistica solo nel 1925, ossia un anno prima del suo ritorno in serie A e assunse quella di Società Sportiva, via via aggiungendo sempre nuove sezioni a quelle tradizionali».
C’è da fare una precisazione: per serie A ovviamente non si intende l’attuale girone unico, bensì una divisione precedente. Il vero campionato di calcio di serie A inizierà solamente dalla stagione 1929-30, a cui la Lazio riuscì a partecipare solamente perché venne esentata d’ufficio dallo spareggio per la salvezza con il Napoli, nella stagione precedente. Che tutto quello accaduto in precedenza nella storia della Società Podistica Lazio abbia un valore minore è confermato anche sul sito ufficiale del club di Formello dove, nella sezione dedicata alle statistiche, non c’è traccia delle partite di calcio giocate prima dell’avvento del girone unico. E poi quelle tre lettere incrociate sul petto, SPL
, fino ai primi anni Venti erano davvero suggestive, molto più dell’aquila.
5. Per il tradimento del grande Attilio Ferraris IV
Un grande campione e un grande dolore, causato da quel tradimento che non permette di inserire Attilio Ferraris IV tra le bandiere giallorosse. Il tradimento consumato, dopo 210 partite e due gol con la maglia della Roma, fu proprio con la Lazio. E la storia ha veramente il sapore di un calcio che non c’è più. Classe 1904, iniziò a giocare a calcio sul campo dell’Istituto Pio X, a Castel Sant’Angelo, nella squadra della Fortitudo. Aveva due grandi vizi, le sigarette e le donne, ma quando scendeva in campo non ce n’era per nessuno. Era un giocatore grintoso e leggendario capace di strigliare i compagni a forza di frasi come: «Dateve da fà, fiji de ’na mignotta», e di meritarsi l’appellativo di Leone di Highbury con la maglia della Nazionale. Non a caso nella celebre canzone di Testaccio è inserita la strofa: «Poi ce sta Ferraris a mediano, bravo nazionale e capitano…». Già, capitano della Roma. Verso la fine della carriera venne ingaggiato dalla Lazio, dopo che il club giallorosso lo aveva ceduto al Bari perché mal digeriva la sua vita sregolata fuori dal campo. Il 19 novembre del 1934 giocò il suo primo derby da avversario e all’inizio della partita si trovò a stringere la mano del capitano giallorosso, suo amico fraterno Fulvio Bernardini. Quando Ferraris finì alla Lazio venne pagato 150 mila lire. Nel contratto però c’era una clausola secondo la quale non sarebbe potuto scendere in campo contro la Roma, pena un’ammenda di 25 mila lire. Durante la partita i tifosi della Roma iniziarono a cantare: «Venduto, venduto», e i tifosi della Lazio risposero con un simpatico «Comprato, comprato». Dopo due stagioni con la maglia biancoceleste, Ferraris ne giocò altre due a Bari per fare ritorno a Roma nell’ultima stagione della sua carriera (1938-39). Con la maglia giallorossa disputò altre dodici partite prima di lasciare il calcio professionistico. L’8 maggio del ’47, durante un incontro tra vecchie glorie, Ferraris morì in campo a causa di un infarto. Si narra che prima della gara Ferraris con la sua solita ironia esclamò: «Nun me fate fà la fine de Caligaris» (Umberto Caligaris, ex terzino di Juventus e Nazionale, morì a 39 anni nel 1940 in una partita tra vecchie glorie). Si spense a soli 43 anni, fu il primo capitano della Roma. Aveva doti fisiche straordinarie e si esaltava nel catino di Testaccio. Prima di ogni partita riuniva i suoi compagni per una sorta di giuramento: «Chi dà ’a lotta desiste fà ’na fine triste, chi desiste dà ’a lotta è ’n gran fijo de ’na mignotta». Fece un grande errore, è vero, ma la sua generosità e il suo grande cuore restano nella mente di tutti. Morì da romanista. E in fondo questa è la cosa che conta di più.
6. Perché a Campo Testaccio sono passati una volta sola
Giocare nel mitico Campo Testaccio non era facile per nessuno, figuriamoci per la Lazio, che riuscì a imporsi solamente in una occasione per 2-0, il 15 gennaio del 1939. Per il resto per i biancocelesti si registrano solamente sonore sconfitte e qualche pareggio. Il primo derby giocato a Testaccio è datato 4 maggio 1930: finì 3-1 per la Magica
con i gol di Bernardini, Volk e Chini dopo il vantaggio laziale di Pastore. La stracittadina successiva si giocò sempre a Testaccio e questa volta, era il 7 dicembre dello stesso anno, la Lazio strappò un 1-1; di Foni e ancora Volk le reti. Passa un anno esatto e il 6 dicembre del 1931 ancora un gol di Volk e il raddoppio di Eusebio stendono i biancocelesti. Ventisei marzo 1933: questa volta finisce 3-1 con reti di Costantino, Fasanelli ed Eusebio. Di De Maria la rete laziale. Dopo qualche mese si gioca il derby più importante della storia, quello del 1° novembre del 1933, ancora oggi il risultato più pesante mai inflitto alla Lazio dalla Roma: 5-0, con tre gol di Tomasi e due di Bernardini. Così «Il Littoriale» del giorno successivo: «Abbiamo visto oggi una Roma in stato di grazia. Tanto in stato di grazia da farci trovare in imbarazzo a elencare gli uomini migliori. Col ritorno di Tomasi al centro, la Roma ha dato esempio di splendida efficienza. Sarà bene quindi elogiare la squadra in blocco». Noi, invece, non abbiamo nessun imbarazzo a elencare gli eroi di allora. Ecco la formazione titolare della Magica, che nell’occasione, è proprio il caso di dirlo, ha fracassato la Lazio: Masetti, Pasolini, Bodini, Callegari, Ferraris IV, Dugoni, Tomasi, Scopelli, Guaita, Bernardini, Eusebio. Grazie vecchi pionieri del calcio. Le scoppole biancocelesti a Testaccio tuttavia non erano ancora finite. Il 18 novembre del 1934 si gioca ancora un derby, è quello della prima volta con la maglia del nemico
di Ferraris IV: finirà 1-1 (Guaita e Piola). Sedici febbraio 1936, Roma-Lazio 1-0, a