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Manuale di Kriya Yoga integrale: Una scienza alchemica di trasformazione per il ricercatore dei nostri tempi
Manuale di Kriya Yoga integrale: Una scienza alchemica di trasformazione per il ricercatore dei nostri tempi
Manuale di Kriya Yoga integrale: Una scienza alchemica di trasformazione per il ricercatore dei nostri tempi
E-book448 pagine4 ore

Manuale di Kriya Yoga integrale: Una scienza alchemica di trasformazione per il ricercatore dei nostri tempi

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Info su questo ebook

Il Kriya Yoga è un dono magico offertoci dai Maestri indiani; se ne seguiamo i precetti, esso può aiutarci ad accelerare notevolmente la crescita spirituale ed eventualmente divenire Jivanmukta. Lo scopo è quello di fornire una visione d’insieme e un approccio pratico a tutti i ricercatori di quest’epoca, utile sia a coloro che vogliono prepararsi in modo consapevole per l’iniziazione ai Kriya superiori sia a chi è già iniziato e vuole approfondirne gli aspetti filosofici e pratici. Viene data una visione pratica degli insegnamenti filosofici di Patanjali e dei suoi Yoga sutra; vengono trattati l’anatomia sottile e il lavoro sui chakra, le asana fondamentali per mantenere il tempio corporeo sano e forte; i mudra e i bandha per lavorare con le energie sottili; i pranayama indispensabili e gli esercizi di ricarica energetica per aumentare il livello pranico del sistema biologico e le tecniche di meditazione fondamentali del Kriya Yoga, così come insegnate da Paramhansa Yogananda e dai suoi discepoli.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2022
ISBN9788863656480
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    Anteprima del libro

    Manuale di Kriya Yoga integrale - Giovanni Formisano

    PARTE PRIMA

    LO YOGA E IL KRIYA YOGA

    LO YOGA E I SUOI SENTIERI

    Prima di addentrarci nello studio del Kriya yoga, cerchiamo di capire qualcosa di più sullo yoga, sui suoi sentieri principali e su come possiamo collocare il Kriya nel contesto generale.

    Il fascino dello yoga consiste nel fatto che sia stato portato alla luce dagli antichi rishi (saggi) indiani dopo che gli stessi ne avevano sperimentato i benefici e i risultati direttamente sulla propria pelle. I rishi, infatti, decisero di sfrondare strato dopo strato tutto ciò che offusca la visione della nostra anima, elaborando un metodo scientifico, lo yoga appunto, e codificandolo per lasciarlo ai posteri, affinché tutti, seguendo le medesime procedure, potessero arrivare alla stessa realizzazione. Ci sono molti dibattiti su quando questa disciplina sia nata, ma pare che sia accertato che si possa far risalire ad almeno 5000 anni fa. Personalmente penso che lo yoga sia nato con l’uomo e che quindi sia antico quanto l’uomo stesso.

    Nello yoga l’esperienza diretta di ciò che si studia riveste un ruolo fondamentale e la meta è proprio la diretta esperienza della realizzazione del sé, della nostra vera natura.

    È importante anche capire che questa percezione diretta non può essere ottenuta dai libri, né tantomeno dagli sforzi dovuti alla pratica e a esercizi spirituali. Questi sono solo degli importanti strumenti per raffinare le nostre vibrazioni affinché siano in sintonia con quelle del Divino. La verità è già dentro di noi, è in realtà la nostra vera natura, e non possiamo crearla dall’esterno, ma solo creare i presupposti affinché essa venga riportata allo scoperto, ricordata. La verità è una ed eterna e, anche se può indossare i panni di differenti filosofie e religioni, alla fine la meta è la stessa per tutti: la realizzazione della nostra vera natura e l’esperienza del Divino. I maestri indiani hanno chiamato questo sentiero della via eterna semplicemente Sanatan Dharma, o eterna via della giustizia, della verità.

    Lo yoga è il metodo pratico attraverso il quale possiamo verificare direttamente i precetti del Sanatan Dharma.

    Yoga è una parola sanscrita che deriva dalla radice yuj che significa unire, aggiogare, congiungere, mescolare.

    Yoga, quindi, indica lo stato di unione e armonia del corpo con la mente, della mente con l’anima e dell’anima con lo Spirito universale. Questo è il raggiungimento massimo e la meta di tutti i nostri sforzi nelle pratiche yogiche, ma a livello più grossolano possiamo riferirci anche all’unione o armonizzazione del corpo con l’energia e con la mente, in modo da formare un tutt’uno olistico. La parola yoga si riferisce, però, anche ai metodi e al processo per arrivare a questo stato di unione. Possiamo quindi dire che yoga è sia la meta che il viaggio.

    Lo yoga potrebbe anche essere definito come la scienza della realizzazione del sé, della riscoperta della propria vera natura di essere spirituale, che abita momentaneamente in un veicolo fisico e lo utilizza come uno strumento che gli permette di rapportarsi con il mondo esterno e di fare esperienza. È un processo di purificazione del corpo, del sistema energetico e della mente, che porta al riconoscimento e alla realizzazione del fatto che noi siamo unità individualizzate di un’immensa ed eterna coscienza-intelligenza cosmica che avvolge il tutto, che siamo completamente immersi in essa come una goccia nell’oceano e ne condividiamo le medesime caratteristiche («Io e il Padre mio siamo Uno»).

    Diciamo, ancora, che yoga significa legare, riunire, e questo descrive bene l’intenzione di aiutare il sadhaka (colui che esegue la sadhana o pratica spirituale) a riconnettersi con la conoscenza e con l’esperienza della sua natura originale. Il termine riunire indica un ritorno a casa della propria coscienza. Ad altri livelli significa riunire e reintegrare l’essere umano in ogni suo aspetto: fisico, mentale, emozionale, spirituale; unire e reintegrare il sé egoico col sé spirituale, unire il sé individuale (anima) con il sé universale (Spirito).

    Yoga significa in un certo senso anche disciplina, una disciplina del più alto ordine, in cui si offrono le proprie pratiche e, soprattutto, il proprio ego all’infinito, in un processo di purificazione profondo che, come un fuoco lento, brucia tutto ciò che oscura la percezione del sé.

    La definizione migliore dello yoga ci è stata data dal grande rishi Patanjali nel secondo versetto del primo capitolo dei suoi Yoga Sutra: «Yogas chitta vritti nirodha», ossia lo stato di yoga si ottiene nel momento in cui si sospendono o si neutralizzano (nirodha) i movimenti simili a vortici (vritti) che accadono nel piano mentale ed emozionale (chitta). In quel momento il veggente, libero dai condizionamenti del piano mentale ed emozionale, dimora nella sua propria natura e riesce a vedere la realtà per quello che è, senza sovrapposizioni. La sospensione dell’identificazione, con i vortici causati dalle simpatie e antipatie, preferenze e avversioni, è una definizione ancora più accurata di questo verso. I condizionamenti più forti, infatti, sono quelli che hanno una forte carica emozionale e implicano il coinvolgimento di quella parte di chitta che è in relazione col cuore. Sono questi a creare dei semi karmici difficili da sciogliere, in quanto l’attaccamento e l’avversione indicano e implicano un intenso coinvolgimento dell’ego.

    Tutte le pratiche yoga dovrebbero mirare a questo raggiungimento e portare a uno stato di calma libertà interiore in cui l’ego viene trasceso per far posto a uno stato di coscienza espanso, cosmico, in armonia con il Divino.

    I diversi sentieri dello yoga, attraverso le specifiche pratiche e tecniche, perseguono questo obiettivo, aiutando il ricercatore a creare un ambiente di supporto per andare verso l’esperienza del risveglio.

    Con il tempo, infatti, si sono sviluppati molti tipi di pratiche yoga e differenti stili che non hanno altro scopo se non permettere agli individui di diverso temperamento di scegliere e seguire la strada più naturale per ognuno. In realtà, tutte le discipline dello yoga vanno, alla fine, a integrarsi una con l’altra, per permettere all’essere umano, quale essere olistico, di arrivare a uno sviluppo completo e non limitato di qualche tipo di caratteristica.

    BHAKTI YOGA

    Il Bhakti è lo yoga dell’amore e della devozione. Nel Bhakti yoga si cerca di sperimentare lo stato di samadhi attraverso il canto, la preghiera, la meditazione su un’immagine del Divino, le offerte rituali, e vedendo Dio, amandolo in ogni manifestazione della natura e in ogni essere. Si può adorare Dio in un’immagine sacra, in un grande avatar (incarnazione divina) o santo, o nel proprio guru, allo scopo di arrivare, attraverso l’amore per l’altro, a riscoprire la divina presenza nel proprio cuore, nella propria natura, e come essenza di tutto ciò che esiste nell’universo manifesto. Tanti anni fa confessai a uno swami che non riuscivo ad amare un Dio trascendente e senza forma perché non potevo amare qualcuno che non conoscevo. Lui mi chiese se c’era qualche santo o maestro verso cui sentivo devozione: gli risposi che provavo un grande amore per il mio guru, Yogananda. A quel punto i suoi occhi si illuminarono e mi rispose: «Ecco, allora ama Dio trascendente attraverso l’amore per il tuo guru, vedi in lui la manifestazione di Brahman».

    Paramahansa Yogananda (a sinistra) e Ananda May Ma (a destra).

    Nei suoi Yoga Sutra Patanjali ripete quattro volte la frase «Isvara Pranidhana» (1:23; 2:1; 2:32; 2:45) e per due volte sottolinea che la resa a Dio (Isvara Pranidhana) è un mezzo potentissimo per arrivare al samadhi e alla liberazione della coscienza.

    Grandi Bhakti sono stati, tra gli altri, San Francesco, Yogananda, Ramakrishna e Ananda May Ma.

    KARMA YOGA

    Il Karma yoga è la via del servizio descritta nella Bhagavad Gita. In questa scrittura, Krishna insegna che non è possibile in questa vita rifuggire l’azione: infatti, anche per respirare bisogna agire, anche i pensieri sono azione e creano karma. Bisogna quindi agire nel modo giusto per arrivare al risveglio, in quanto pensare di poter trovare Dio nell’inazione è, per la maggior parte degli individui, un’illusione che può portare alla pigrizia spirituale. In questa pratica si serve Dio attraverso il lavoro fatto senza coinvolgimento egoico e offrendo i frutti delle proprie azioni a lui, rimettendo i risultati nelle sue mani. Il Karma yogi agisce in modo molto intenso, sentendo di essere nient’altro che uno strumento di Dio, che, in un certo senso, agisce attraverso di lui. In questo modo non c’è desiderio di guadagno personale per il lavoro svolto e si arriva all’azione perfetta, l’unica che non crea legami karmici: l’azione fatta con completa resa allo Spirito. La chiave di questo sentiero è lavorare con l’atteggiamento descritto nella Bhagavad Gita e cioè Niskama karma, ovvero azione fatta senza desiderio per i frutti: in questo modo lo yogi impara a vivere nell’eterno presente e non nel passato o nel futuro. Il Karma yoga non prescrive cosa fare specificamente, ma indica di compiere ogni azione, ogni gesto, con un senso di libertà interiore, agendo come uno strumento del Divino e non per fini egoistici. In questo modo il Karma yoga si fonde col Bhakti, mostrando l’unità di fondo di ogni percorso.

    Mahatma Gandhi.

    Esempi di Karma yogi sono stati e sono Ghandi, il Dalai Lama, Madre Teresa di Calcutta.

    JNANA YOGA

    Il Jnana yoga è la via della saggezza o del discernimento intellettuale, Viveka, che significa discernimento tra ciò che è vero e ciò che è illusorio, ovvero cercare e vedere il cuore della realtà in ogni cosa, la natura spirituale celata in ogni essere. Lungo questo sentiero si usa la facoltà dell’intelligenza risvegliata per fare l’esperienza della verità. Studio, contemplazione e ricerca sono alcuni degli strumenti che risvegliano la facoltà del discernimento. L’obiettivo è arrivare a una conoscenza intuitiva della propria natura e della natura di Dio, diversa dalla conoscenza meramente intellettuale che si può ottenere dallo studio delle cose secolari. Il Jnana yogi cerca, quindi, di mantenere in ogni momento la consapevolezza della differenza tra ciò che è reale (pura coscienza, immutabile) e ciò che è mutevole, soggetto al cambiamento e perciò non reale, tra colui che osserva e ciò che è osservato, tra Spirito (Purusha) e natura (Prakriti). Uno Jnani può adottare la via inquisitiva in cui si chiede continuamente «chi sono io?» e, osservando dal punto fermo del testimone la natura mutevole del corpo, dei pensieri e delle emozioni, egli comincia a comprendere, in modo intuitivo e non intellettuale, che la sua vera natura non è quella. Altro strumento del Jnana yogi è la forma di discernimento per l’eliminazione neti neti, questo non quello. In questo modo si discerne la verità prendendo consapevolezza di tutto ciò che verità non è, proprio come quando si sbuccia una cipolla, strato dopo strato, e si arriva al centro della stessa, scoprendo che è vuota, proprio com’è vuota la struttura dell’ego e dei suoi strumenti. C’è, quindi, la via affermativa con la quale si asserisce la verità della nostra natura, ricordando a se stessi chi siamo: «Io sono quello, io sono Spirito, io sono uno Spirito immortale che dimora in un corpo fisico» (Aham Brahmasmi).

    Swami Sri Yukteswar (a sinistra) e Ramana Maharshi (a destra).

    Grandi Jnana yogi sono stati, tra gli altri, Swami Sri Yukteswar, Ramana Maharshi, Nisagardatta Maharaja e Meister Ekhart.

    RAJA YOGA

    Il Raja yoga (yoga regale) è lo yoga classico della meditazione, la cui nascita si perde nella notte dei tempi e a cui faremo rifermento molto spesso. Esso fu codificato dal grande saggio Patanjali in un periodo compreso tra il 200 a.C. e il 200 d.C. e, pur essendo basato soprattutto sulla pratica della meditazione supercosciente, mette in risalto un approccio integrale allo yoga che combina Bhakti, Karma, Jnana e tecniche per arrivare alla liberazione della coscienza. La particolarità di questo sentiero è quella di offrire un sistema preciso che prende il sadhaka per mano guidandolo attraverso un processo progressivo e scientifico, fino a portarlo allo stato di kaivalya (liberazione).

    Patanjali ha descritto questo processo nei suoi Yoga Sutra (sutra significa filo, corda), un trattato di 195 versetti (sutra), suddiviso in quattro capitoli o sentieri (pada):

    Samadhi pada, il sentiero degli stati supercoscienti. In questo capitolo viene, anzitutto, analizzata e spiegata la natura della mente e come riuscire ad acquietarne le turbolenze e a trascenderla. Vengono, in particolare, indicate tecniche e suggerimenti per superare gli ostacoli che si frappongono tra noi e il raggiungimento del samadhi.

    Sadhana pada, il sentiero della pratica e del Kriya yoga. Nel secondo capitolo Patanjali descrive la via del Kriya yoga, la via pratica per superare gli ostacoli e le cause di afflizione che oscurano la percezione e arrivare così al samadhi. In questo pada viene delineato e descritto il sentiero dell’ashtanga yoga (yoga dagli otto rami o membra) formato da:

    Yama (le cinque restrizioni, i non fare): ahimsa (non violenza); satya (verità, non mentire); asteya (non rubare); brahmacharya (non dissipare le energie, moderazione nel loro uso); aparigraha (non attaccamento, non avidità);

    Niyama (le cinque osservanze, i fare): saucha (pulizia, purezza); samtosha (contentamento in ogni circostanza); tapas (intensa pratica di autodisciplina per purificare il sistema, austerità); swadhyaya (lo studio del sé e delle scritture); isvara pranidhana (resa totale, abbandono al Signore);

    Asana: la pratica di posture designate per purificare il sistema, allo scopo di renderlo capace di rimanere stabile in una postura da meditazione, in modo che il corpo non rappresenti un ostacolo durante la meditazione stessa;

    Pranayama: controllo e espansione del prana (energia vitale) attraverso appropriati esercizi di respirazione;

    Pratyahara: interiorizzazione dell’attenzione, distacco dei sensi dall’esterno che si raggiunge attraverso il pranayama e altre tecniche;

    Dharana: concentrazione, flusso focalizzato dell’attenzione verso un punto;

    Dhyana: meditazione, concentrazione ferma e prolungata;

    Samadhi: assorbimento cognitivo, supercoscienza.

    Una descrizione più puntuale e completa degli otto rami dell’ashtanga si troverà nel capitolo successivo.

    Vibhuti pada, i poteri derivati dalla pratica. In questo capitolo vengono elencati i siddhi (poteri) che possono emergere e si possono raggiungere applicando il samyama (contemplazione che porta all’unione perfetta) su specifici aspetti o elementi.

    Kaivalya pada, la liberazione finale della coscienza. Nell’ultimo capitolo, vengono date le istruzioni finali per arrivare alla liberazione della coscienza.

    Il Rajayoga è un sistema che include tutti gli aspetti più importanti e utili delle altre forme di yoga, enfatizzando la pratica della meditazione e del distacco, e lavorando sulla padronanza degli stati supercoscienti. Possiamo dire che il Rajayoga rappresenta il sentiero più benefico in quanto facilita una rapida crescita spirituale attraverso un approccio integrato al benessere olistico e al vivere funzionale.

    LO YOGA DELLE TECNICHE (TANTRA YOGA)

    Il Tantra yoga è lo yoga delle tecniche specifiche che vengono utilizzate per aiutare il sadhaka a rimuovere tutto ciò che oscura la percezione limpida, senza macchia, del sé. Tantra significa letteralmente telaio, ordito, tessere, ma anche, tra l’altro, espandere attraverso l’utilizzo di tecniche.

    Tra le principali forme di Tantra yoga troviamo:

    l’Hatha yoga, che, attraverso una lunga serie di tecniche psicofisiche, si prefigge di ripulire gli involucri del sadhaka per portarlo al samadhi;

    il Laya yoga, che utilizza le tecniche di ascolto del suono interiore al fine di arrivare a contatto con Dio attraverso la sua espressione come suono cosmico (Aum);

    il Kundalini yoga, una scuola tantrica particolare che, attraverso le asana, specifici pranayama, il canto e la meditazione, si prefigge di risvegliare l’energia assopita nel nostro sistema e di portarla in alto verso il sahasrara chakra (settimo chakra);

    il Kriya yoga è una combinazione particolare e molto potente di Hatha, Laya e Raja yoga che agisce in modo diretto sulle energie sottili e sui chakra, col fine di ripulire gli involucri, di riequilibrare i soffi energetici, di sciogliere i nodi energetici e di preparare il sadhaka all’esperienza dei più alti stati di samadhi per sperimentare il risveglio spirituale.

    È importante capire che le tecniche sono praticate al solo scopo di facilitare e accompagnare il risveglio spirituale ma non rappresentano il risveglio spirituale stesso. L’esecuzione delle tecniche come fine a se stessa non è in armonia con lo scopo dello yoga. L’esperienza del Divino, infatti, è oltre il campo della natura, del corpo e della mente e non può essere creata attraverso l’utilizzo di tecniche. Le tecniche sono praticate con il solo scopo di ripulire le porte della percezione. Esse possono essere considerate come l’allenamento che esegue l’atleta per prepararsi alla gara o al campionato, che nel sentiero spirituale sono rappresentati dalla vita stessa. Quindi, praticare meccanicamente le tecniche senza portare lo yoga e i suoi precetti nella vita di tutti i giorni è come continuare ad allenarsi per una gara o un campionato senza poi prendervi parte.

    Krishnamacharya in Mulabandhasana.

    Grandi esempi di questo ramo dello yoga sono stati Lahiri Mahasaya, Swami Sivananda, Paramhansa Yogananda, Krishnamacharya.

    Il Kriya yoga, come inteso da Yogananda, è uno yoga integrale, che comprende tutti gli altri stili in sé e li integra armoniosamente. Ognuno poi enfatizzerà e favorirà maggiormente quegli aspetti che sono più vicini alle proprie inclinazioni naturali.

    I MAESTRI DEL KRIYA YOGA: DALLE ORIGINI AL KRIYA YOGA MODERNO

    LE ORIGINI: BABAJI E LAHIRI MAHASAYA

    L’origine del Kriya yoga, che affonda le sue radici nell’India dei Veda, è probabilmente non databile, in quanto antica quanto l’umanità stessa.

    La conoscenza del Kriya yoga nel mondo moderno si deve a Mahavatar Babaji, un avatar della nostra epoca, che Paramhansa Yogananda nella sua autobiografia descrive come uno yogi immortale che ha vissuto per secoli sull’Himalaya, guidando a distanza molti insegnanti spirituali e rivelandosi solo in rare occasioni a poche anime elette. Babaji è stato un grande siddha, che ha superato i limiti propri degli esseri umani e ha dedicato il suo lavoro silenzioso all’evoluzione spirituale di tutta l’umanità.

    Babaji scelse, verso la metà del 1800, Lahiri Mahasaya (1828-1895) per diffondere il Kriya nel mondo moderno, dandogli l’iniziazione alle sacre tecniche del Kriya e spiegandogli che quest’ultima, in quanto scienza yogica basata sul controllo dell’energia, è la pratica specifica per il dwapara yuga (età del bronzo, in cui attualmente ci troviamo) – la teoria degli yuga sarà spiegata nel prosieguo del manuale. È proprio nell’epoca del dwapara yuga, infatti, che l’uomo diviene sempre più in grado di comprendere l’energia e il fatto che tutto sia energia intelligente che si esprime e vibra a diversi livelli.

    Babaji istruì, in un memorabile incontro descritto da Paramhansa Yogananda in Autobiografia di uno yogi, Lahiri Mahasaya alle tecniche del Kriya durante una specie di retreat intensivo nella sua grotta. Lahiri uscì trasformato da questo incontro e chiese al maestro di non tornare più al mondo e di poter rimanere per sempre con lui in quello stato di estasi supercosciente. Babaji non acconsentì a questa richiesta e chiese invece al discepolo di ritornare nel mondo secolare e di continuare la sua vita da capofamiglia, con il lavoro e gli obblighi che questo comportava, così da essere da esempio per i discepoli a venire che, a loro volta, vivevano nel mondo e avrebbero trovato in lui una grande fonte d’spirazione. Gli diede, quindi, il permesso di insegnare il Kriya a tutti i sinceri ricercatori, anche a coloro che vivevano come lui i propri obblighi nel mondo secolare. Quest’apertura fu una rivoluzione incredibile poiché fino ad allora il Kriya era dato solo ai sadhu e a coloro che vivevano come eremiti, senza avere coinvolgimenti con il mondo esterno. Per assolvere al compito impartito da Babaji, Lahiri tornò nella frenetica Benares, dove condusse una normale vita di famiglia con la moglie, santa a sua volta, anche se a volte brontolona, con i cinque figli e con un lavoro modesto da contabile.

    Disse, poi, che adempiere alle proprie responsabilità terrene è il sentiero più elevato, a condizione che lo yogi, restando esente da ogni coinvolgimento mentale in desideri egoistici, svolga la propria parte come strumento di Dio.

    Lahiri Mahasaya compì un’ulteriore rivoluzione sociale cercando di superare il bigottismo di casta e il fanatismo religioso dell’epoca dando il Kriya a indù, mussulmani, cristiani, ebrei, atei, monisti e dualisti e a brahmani e sudra: l’unico elemento per lui importante era la sincerità del ricercatore nel voler divenire discepolo di questo sentiero.

    Oltre a compiere il suo lavoro e a badare alla famiglia, Lahiri compiva la sua sadhana quotidiana e offriva satsang, commentava le scritture e donava gli insegnamenti del Kriya tutte le sere in una sala della sua casa a Benares. Scrisse inoltre diversi commentari alle scritture e un diario accurato nel quale riportava la sua sadhana e le esperienze mistiche avute. Ebbe inoltre una fitta corrispondenza con i suoi discepoli di tutta l’India.

    In Autobiografia di uno yogi Paramahansa Yogananda ha scritto:

    Come non si può impedire ai fiori di diffondere la loro fragranza, così Lahiri Mahasaya, pur conducendo la vita tranquilla di un capofamiglia ideale, non poteva nascondere la propria radiosa bellezza interiore. I devoti cominciarono ad affluire da ogni parte dell’India come api in cerca del divino nettare elargito dal Maestro liberato. […] la vita armoniosamente equilibrata del grande guru-capofamiglia è stata di ispirazione per migliaia di uomini e di donne.

    Lahiri Mahasaya entrò in mahasamadhi, lasciando il corpo, il 26 settembre 1895, a Benares.

    SWAMI SRI YUKTESWAR

    Lahiri Mahasaya ebbe migliaia di discepoli e tra questi ve ne furono molti che raggiunsero vette spirituali altissime. La vita e le gesta di alcuni di questi supereroi spirituali sono descritte in Autobiografia di uno yogi. Tra questi il più importante per la diffusione del Kriya fu sicuramente Swami Sri Yukteswar, al quale fu dato il compito di istruire e preparare personalmente Yogananda per la divulgazione del Kriya yoga in Occidente. Sri Yukteswar fu chiamato dai suoi discepoli il «leone di Dio» e anche il «leone del Bengala» per la sua personalità che ne faceva un santo indomito e potente, ma anche per il suo aspetto maestoso e imponente.

    Sri Yukteswar fu un perfetto esempio di Jnana yogi ed è per questo che viene descritto da Yogananda come un Jnanavatar o incarnazione di saggezza. Era un grande esperto delle scritture vediche e della Bibbia cristiana. La disciplina che impartiva ai discepoli nel suo ashram di Puri era veramente dura e spartana, non veniva dato spazio a facili sentimentalismi e per questa ragione, come si può facilmente immaginare, non ebbe un gran seguito. Solo i pochi che riuscivano a cogliere la sua grandezza e ad andare oltre il bisogno di gratificazione dell’ego potevano rimanere con lui. Tra questi pochi eletti ci fu Yogananda, che attraverso la dura disciplina del suo amato guru fu preparato a portare il Kriya al di fuori dei ristretti confini del nord-est indiano.

    Sri Yukteswar fu un santo visionario e su richiesta di Babaji scrisse Kaivalya Darshanam, tradotto poi come La scienza sacra, un trattato che doveva mostrare i punti di contatto tra le scritture orientali e quelle occidentali, in particolare tra la Baghavad Gita e i Vangeli.

    Sri Yukteswar raccontò:

    Nella quiete della notte, con tutto me stesso mi impegnai a mettere a confronto la Bibbia e le scritture del Sanatan Dharma. Citando le parole del beato Signore Gesù, mostrai che i suoi insegnamenti sono essenzialmente tutt’uno con le rivelazioni dei Veda. Per grazia del mio paramguru, il mio libro, La scienza sacra, fu ultimato in breve tempo.

    Egli ebbe il coraggio di mettere in discussione, come vedremo in seguito, la teoria corrente sugli yuga e ciò fu visto (e probabilmente ancora oggi) come un vero e proprio oltraggio dagli induisti ortodossi. Fondò, poi, la Sadhu Sabha, o Società dei Santi, con l’intenzione di promuovere lo spirito scientifico della religione e una collaborazione tra i leader di diverse tradizioni.

    Swami Sri Yukteswar entrò in mahasamadhi, lasciando il corpo, il 9 marzo 1936, durante la visita che Paramahansa Yogananda gli fece in India dopo una permanenza di quindici anni negli Stati Uniti.

    IL KRIYA SI ESPANDE: PARAMHANSA YOGANANDA

    Mukunda Lal Ghosh nacque in un’agiata famiglia del Bengala il 5 gennaio del 1893, da genitori che erano discepoli di Lahiri Mahasaya. La sua nascita cambierà completamente i destini di questa antica scienza e delle vite di moltissime persone e determinerà quella che può esser chiamata "la seconda onda del Kriya". Come disse Lahiri Mahasaya toccando la fronte di questo bimbo, portatogli da sua madre per una benedizione, Mukunda era un predestinato e, come una locomotiva spirituale, avrebbe condotto moltissime anime a Dio.

    Fin dall’infanzia, infatti, Mukunda

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