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"codice libellula"
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E-book261 pagine3 ore

"codice libellula"

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Info su questo ebook

Uno scheletro riemerge da una grotta subacquea. Un particolare notato nei poveri resti fa scattare gli accertamenti da parte del Ris e accende la curiosità dei giornalisti. Comincia così una storia drammatica. Notizie frammentarie coinvolgono decine di famiglie. Da un lato quelle che hanno subìto il rapimento di una persona cara, mai più tornata a casa, che sperano di poter piangere almeno su quel che rimane del suo corpo; dall’altro i parenti di due fedeli servitori dello Stato morti nell’adempimento del dovere in un misterioso episodio sul quale proprio lo Stato impone il Top Secret. Il libro racconta il forte bisogno di giustizia di tante famiglie, inappagato per decenni, che spesso si scontra contro un muro di imbarazzanti silenzi, inconfessate complicità, depistaggi, altri delitti.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2014
ISBN9788860253002
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    Anteprima del libro

    "codice libellula" - Ottavio Olita

    1935

    Al lettore

    Il romanzo trae spunto da una storia vera, ma nomi, personaggi, situazioni, sviluppi narrativi sono privi di qualunque collegamento con la realtà, creati in ogni loro parte dall’Autore.

    Codice Libellula

    La verità negata

    Romanzo

    Capitolo I

    ­­

    La loro presenza si percepiva debolmente sotto il pelo dell’acqua; poi, pian piano, la luminosità d’un verde fosforescente si faceva più intensa; quindi, raggiunta la superficie, al contatto con l’aria si dissolvevano.

    Lorenzo non smetteva di ammirare quello spettacolo magico che accompagnava il lento incedere della barca nella notte senza luna illuminata soltanto da miliardi di stelle infitte in un cielo splendidamente terso.

    Sono palle di plancton. Appena vengono smosse dalla chiglia o dalle pale del timone, si accendono. È come se mostrassero la vita del mare. Là dove l’acqua è più limpida e pulita, il loro numero è maggiore. Quasi spariscono dove è forte l’inquinamento.

    Andrea, lo skipper che lo aveva voluto con sé, a bordo, spiegò sottovoce a Lorenzo quel che appariva come un prodigio della natura: parlava a bassa voce sia per un’inconscia forma di rispetto per quella meraviglia, sia perché non voleva distrarre l’amico, né trarlo via dal suo stupore.

    Ed è ancor più sbalorditivo quando in scia si inseriscono i delfini: vengono come rivestiti da tanta fosforescenza e lo spettacolo è assolutamente indimenticabile.

    Lorenzo, che la vita quotidiana al giornale aveva reso sempre più grigio, quasi cupo, sorrideva incantato, senza più riuscire a distogliere lo sguardo, facendo mentalmente una sorta di conteggio del ripetersi di quel fenomeno di cui aveva sempre ignorato l’esistenza, fino a quella notte, la prima della circumnavigazione in barca a vela, senza scalo, della Sardegna.

    Amava il mare e il vento, appassionatamente e irrazionalmente, senza avere alcuna nozione dell’andare a vela. Ma le sfide non lo spaventavano mai, neppure quella che era stata proposta in un periodo dell’anno, a ridosso dell’inizio dell’inverno astronomico, che a suo giudizio – da assoluto profano – non si sarebbe mai dovuto scegliere. Nella sua ottimistica incoscienza aveva comunque accettato con entusiasmo la proposta di Andrea di seguirlo nell’impresa per poterla raccontare sul suo quotidiano.

    Temerario, in una misura che non si sarebbe potuta ipotizzare in un uomo con il suo fisico mingherlino, tutt’altro che atletico, il volto marcato da un naso aquilino, quasi adunco, e da occhi mobilissimi resi ancor più grandi dalle lenti che servivano a correggere la sua ipermetropia, Lorenzo era comunque consapevole dei propri limiti. Così, fin dall’inizio del viaggio, aveva scelto di starsene a poppa per non disturbare Andrea e il suo partner, Guido, impegnati a far volare la barca per marcare il tempo limite di quel periplo: impresa sportiva mai tentata prima.

    Si teneva ancorato ai tiranti, stava accanto ai timoni, sempre in piedi per non perder nulla di quella sua prima esperienza a pelo d’acqua, immerso nella forza dell’aria e nel silenzio della natura. Esperienza che aveva deciso di affrontare più come prova di umanità che come sfida professionale.

    L’unico sottofondo era dato dal monocorde canto del mare solcato dalla barca. Un fruscio che accompagnava il formarsi della scia; solco che poi spariva rapidamente.

    Netta la differenza, quasi una contrapposizione di valore simbolico, con quel che accade alla terra preparata per la semina. Lì la lama dell’aratro apre una ferita che poi viene richiusa dallo stesso uomo che la procura; qui c’è il netto rifiuto di quell’altro fondamentale elemento naturale, l’acqua, ad accettare passivamente l’imposizione di qualunque forma.

    L’Acqua come l’Aria: forse nient’altro poteva dare la stessa idea di libertà.

    Lorenzo, del tutto dimentico del tempo, si era abbandonato alla formidabile sensazione di mancanza di costrizioni che ricavava dal vivere immerso nel vento e a contatto con il mare.

    Fin dalla partenza dal porto di Cagliari, aveva deciso di far funzionare la mente come una pellicola su cui imprimere in modo indelebile le immagini di quell’esperienza.

    La mente e gli occhi adoperati come macchina fotografica, con modalità di funzionamento del tutto diverse dai modernissimi attrezzi digitali portati a bordo dal suo amico Giuseppe, il fotografo del giornale, al quale era stato affidato il compito di raccontare per fotogrammi quell’impresa.

    Il suo cervello, i suoi occhi, la sua immaginazione erano come le pellicole d’un tempo: una volta impressionate, non avevano possibilità di sovrapposizione o sostituzione, se non con un delicato lavoro di laboratorio.

    Cosa del tutto diversa dal sistema digitale, capace di migliaia di scatti, con la finalità di mettere a disposizione solo il meglio, annullando l’errore. Un po’ l’ossessione del tempo: il rifiuto dell’imperfezione.

    Non riusciva ad abbandonarsi all’estatica osservazione del bello senza porsi domande. Anche in quella situazione unica sentiva la necessità di ragionare su quanto l’uomo fosse parte dell’immensità e della straordinarietà dell’universo. E tra il firmamento con miliardi di stelle, le fosforescenti palle di plancton, i tiranti ai quali era aggrappato non rinunciava a farsi ritornare alla mente quei filosofi, studiati a scuola, che tra seicento e settecento cominciarono ad affrontare il tema dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo – Leibnitz o Spinoza? Galileo o Bacone? si chiedeva –.

    Vedeva la grandezza spirituale dell’uomo, capace di costruire un cammino sempre più complesso verso la conoscenza; contemporaneamente ne constatava l’infinitesimale dimensione fisica.

    Le luci intermittenti e colorate di un aereo in volo lassù, a migliaia di metri di distanza, gli riportarono alla mente la sensazione di paura che aveva provato quando per la prima volta la sua figlia maggiore, Giada, era partita per un viaggio insieme con i compagni di classe e due insegnanti. Era rimasto ad osservare il decollo, poi la progressiva scomparsa nel cielo di quell’aereo in cui si trovava una parte fondamentale della sua esistenza insieme con un altro centinaio di vite. Tutti loro continuavano a pensare, scherzare, riflettere, progettare, vivere, anche quando ormai l’apparecchio non era più percepibile in cielo.

    Ogni tentativo di razionalizzazione di quel quesito inesorabilmente falliva e allo stesso tempo lo rendeva ancor più intrigante: Com’è possibile che la dimensione fisica, assolutamente delimitata, dia l’impressione di ingabbiare e quindi limitare nello spazio e nel tempo intelletto e spirito dell’uomo, che comunque continuano a conseguire grandi risultati sulla strada del sapere?.

    Hai visto che spettacolo quella stella cadente? La voce di Andrea, che stava timonando la barca, lo scosse dalle sue riflessioni.

    No, non ho fatto in tempo, guardavo da un’altra parte.

    L’assenza della luna ci farà assistere ad uno spettacolo unico.

    Lorenzo accettò di buon grado di seguire il suggerimento perché così poteva uscire dal vicolo cieco in cui si era cacciato con i suoi ricordi e le sue riflessioni. Scelse di fissare nella volta celeste il punto che gli sembrava più buio, sul mare aperto, in direzione opposta alla costa, e rimase in attesa.

    Trascorsero minuti che gli sembrarono interminabili. Tante le tracce argentate o infocate che solcarono rapidissimamente il cielo, ma sempre in luoghi diversi rispetto a quello su cui aveva deciso di fermare l’attenzione. Ogni volta faceva in tempo ad assistere solo allo spegnimento di quei fuochi. Volgeva lo sguardo il più rapidamente possibile, poi ritornava sul punto prescelto. Finalmente la sua perseveranza fu premiata.

    Una fiammata dorata, una luce vivida, s’accese nella parte del cielo che stava osservando. Velocissima la stella cadente percorse la volta e si spense in mare, proprio sull’orizzonte, dando a Lorenzo la sensazione che fosse finita in acqua.

    Guarda!, urlò sorpreso ed entusiasta, ma né Andrea, né Giuseppe fecero in tempo ad osservare lo spettacolo. Mai vista una cosa del genere!

    Son riuscito soltanto a intravedere il bagliore disse Giuseppe, che poi aggiunse:

    Non è perché voglio sottrarti a quest’incanto, né mi va di passare per guastafeste, ma devo ricordarti che hai ancora un’ora di tempo per dettare il pezzo. Io ora comincio ad inviare le foto. Ti avverto quando finisco.

    Grazie, ma credo proprio che in redazione aspetteranno, visti gli stand-by che mi hanno imposto tante volte – in attesa di riuscire a dettare il pezzo – perché prima dovevano terminare di fare i loro comodi. E uno spettacolo così, quando mai mi ricapiterà di poterlo gustare?....

    Lorenzo parlò senza voltarsi, proteso com’era nell’attesa di una ripetizione del fenomeno. Era stato invaso dall’emozione, lo sguardo rivolto al cielo, concentratissimo.

    Pensò al Natale imminente, alla Cometa, alla propria infanzia.

    Immerso nell’universo poteva fantasticare tanto da riportare al presente l’impareggiabile felicità della fanciullezza. I ricordi si inseguivano, la volta del cielo su cui continuava a mantenere costante l’attenzione divenne uno schermo sconfinato sul quale proiettare le immagini in bianco e nero della memoria; perse del tutto la dimensione del tempo e dello spazio; presente e passato si saldarono.

    Ultimo di sette figli, Lorenzo era inconsciamente l’anello terminale di una catena di tradizioni attraverso la quale erano passati fratelli e sorelle. A Natale erano i più giovani della famiglia a pretendere, come un obbligo, il rispetto di una ritualità che rappresentava la fonte battesimale per chi entrava a far parte del nucleo.

    Un ruolo decisivo nel rispetto delle varie forme del rito era affidato, il giorno di Natale, al ritrovamento a sorpresa, sotto il piatto del padre, di una letterina d’auguri, piena di dichiarazioni d’affetto e di buoni intenti. La regola voleva che, ogni volta, il padre mostrasse grande sorpresa nello scoprire la letterina ma anche che, dimostrando una formidabile preveggenza, fosse immediatamente in grado di provvedere a soddisfare almeno una parte delle richieste in essa contenute.

    Lorenzo! Lorenzo! Il telefono…. Oltre a chiamarlo a gran voce, Giuseppe lo scosse energicamente per un braccio.

    Giusé, te l’ho già detto. Al giornale possono benissimo aspettare....

    ...e anche il direttore può aspettare?.

    Come, il direttore!? Ma se non gliene è mai importato niente di queste storie....

    E io che ne so? So solo che è la sua segretaria e dice che lui ti deve parlare urgentemente.

    Va bene, passami il telefono... Pronto! Ciao Gabriella, non mi dire che improvvisamente il capo si interessa a qualcosa di diverso dalla politica, dall’economia e dalla cronaca nera...!.

    Ciao Lorenzo. Non so perché ti sta cercando – disse sussurrando –. So solo che ha insistito molto perché ti rintracciassi al più presto. Te lo passo.

    Pronto Pitzus, sei ancora a galla? Neppure il mare ti vuole tutto per sé?.

    Lorenzo fece tutti gli scongiuri di sua conoscenza e mentalmente mandò a quel paese il direttore che aveva concluso ridendo la frase evidentemente ritenuta divertente. Costretto ad abbozzare, rispose con una risatina.

    Troppo alto, troppo metropolitano, troppo snob a causa di un’eccessiva frequentazione di salotti romani, Roberto Bilancia, 45 anni, mandato dal gruppo editoriale nazionale che aveva acquisito il quotidiano ‘La Voce della Sardegna’ a modernizzarne le tecnologie e a ‘sprovincializzarlo’, era riuscito in pochi mesi a dividere in due la sua redazione che pure lo aveva accolto con curiosità e speranza. Lorenzo, suo grande sostenitore all’inizio, se ne era progressivamente allontanato soprattutto per scelte editoriali che non condivideva. E la cosa che gli dava più fastidio era che lo chiamasse per cognome, perché gli ricordava il periodo nero vissuto da recluta, in caserma, quando veniva vessato dal graduato di turno.

    Ma quello era pur sempre il suo direttore e con lui doveva fare i conti.

    Beh, io preferisco starci sopra, al mare, non dentro, visto anche il freddo che fa. Ma dimmi... non credo di essere troppo in ritardo per mandarvi pezzo e foto.

    "No, non ti chiamo per quello che stai facendo, ma per quello che vorrei facessi una volta che terminerai l’impresa con i tuoi amici velisti.

    "Grazie alle mie entrature romane sono venuto a sapere che al comando generale dei Carabinieri è giunta una segnalazione riservatissima su un ritrovamento fatto dal nucleo subacquei dell’Arma sulla costa tra Orosei e Dorgali. In una nicchia all’interno di una grotta a pelo d’acqua è stato trovato uno scheletro umano.

    "I sommozzatori stavano operando alla ricerca di antichi reperti che erano stati segnalati sul fondo. Si sono addentrati nella grotta – che viene parzialmente sommersa quando arriva l’alta marea – e su una sorta di ampia mensola esistente su una parete hanno fatto la macabra scoperta. Ovviamente si pensa che possano essere i resti di una delle tante vittime del mare, ma non viene esclusa l’ipotesi che si possa essere di fronte a quel che rimane di una delle decine di persone rapite in Sardegna negli ultimi 30-40 anni e mai tornate a casa.

    "Per questo la notizia è stata secretata. Lo scheletro e tutto l’altro materiale trovato vengono sottoposti ad accurate analisi.

    Non credo ci sia bisogno di spiegarti perché ne sto parlando con te. Se si dovesse accertare che si tratta della tragica conclusione di uno dei tanti sequestri mai risolti, te ne dovrai occupare tu che custodisci una solidissima memoria storica di quei terribili fatti.

    Lorenzo non sapeva che dire. Quell’uomo riusciva a diventare odioso anche quando faceva dichiarazioni di stima. Che bisogno c’era di dirglielo lì, mentre fantasticava e sognava tra ricordi e meraviglie della natura? Non poteva aspettare che rientrasse?

    Pitzus, che succede? Hai perso la parola? Che ne pensi? Bella storia eh?.

    Preferisco essere prudente, direttore. E aspettare che si conoscano gli esiti degli esami.

    Io invece spero che potremo fare paginate e paginate di ricostruzioni dei più drammatici rapimenti commessi dal banditismo sardo. Ora ti lascio al tuo mare. Buon vento! Così si dice, vero, ai velisti?.

    Sì, si dice così. Buona notte, direttore.

    Pigiò sul pulsante rosso di chiusura della comunicazione e con un gesto di stizza restituì il telefono a Giuseppe.

    Questo ha la capacità di rovinarmi anche i momenti più belli. Ora, però, aspetteranno ancora un altro po’ prima di avere il pezzo. Giuseppe, tu, per favore, continua ad inviare le foto, così nel frattempo io cerco di trovare la concentrazione giusta.

    Riprese il suo posto a poppa, afferrò di nuovo i cavi scelti come solido sostegno fin dalla partenza e si rimise a contemplare il cielo. Quasi per ripagarlo della sofferenza inflittagli dalla telefonata del direttore, un’altra stella cadente, molto meno luminosa della precedente, solcò la volta e Lorenzo ritrovò il filo dei ricordi legati al Natale.

    Capitolo II

    Sentì le braccia e le gambe farsi sempre più pesanti, ma con un ultimo sforzo completò la quindicesima vasca. Nel programma di recupero che i medici riabilitativi gli avevano preparato, avrebbe dovuto dedicare al nuoto 90 minuti tutti i pomeriggi; mentre per il mattino gli erano state prescritte lunghe camminate alternate a corsa leggera.

    Per ritrovare la piena efficienza fisica, dopo essere uscito a pezzi, ma vivo, dall’agguato subito tre mesi prima, in cui la sua ragazza, Francesca, aveva perso la vita, il capitano Gino Murgia, su consiglio del Comando dell’Arma, aveva scelto un residence – l’Ambiez – nello splendido scenario del Grosté a Madonna di Campiglio.

    Volle mettersi ulteriormente alla prova e decise di non utilizzare la scaletta per uscire dall’acqua; piantò i palmi delle mani sul bordo della vasca e si issò a forza di braccia. Poi prese l’accappatoio che aveva lasciato su una panca in legno, vi si strinse dentro e si avvicinò ad una delle grandi vetrate che costituivano due delle pareti del locale che ospitava la piscina.

    La grande differenza di temperatura fra l’interno, ben riscaldato, e l’esterno dove già si toccavano gli zero gradi, aveva trasformato il vapore della sala in una fitta patina di condensa che si era depositata sui vetri. Con la manica dell’accappatoio, tirata fino a coprire la mano, ripulì la vetrata e le restituì la trasparenza. Nella fioca luce del sole che tramontava vide cadere i primi fiocchi di una nevicata che rapidamente divenne fitta. Avvicinò una sedia alla vetrata, si rannicchiò per gustare il caldo del proprio corpo e si abbandonò all’affascinante spettacolo.

    Nella serenità di quei momenti si inserì, senza alcun preavviso, a tradimento, un dolore lancinante. Il volto divenne una maschera d’angoscia. Lo assalì il ricordo di quel tragico volo con la moto in cui non aveva potuto far niente per salvare la sua donna; e si sentì in colpa per non aver saputo preservarla dai terribili rischi ai quali l’aveva inconsapevolmente esposta coinvolgendola nella pericolosa inchiesta che stava conducendo.

    Lì, in quello scenario incantato, ricordò Francesca in tutta la sua splendente bellezza, il sorriso tenero, ironico, pieno di intelligenza. Quando le lacrime cominciarono a solcargli le gote si alzò di scatto, si passò le mani sugli occhi ed andò ad infilarsi sotto la doccia bollente.

    Ritrovò la calma. Si asciugò lentamente e, infilatosi di nuovo l’accappatoio, ritornò in camera. Aveva deciso che avrebbe percorso a piedi la distanza – circa un chilometro e mezzo – che separava il residence dal centro del villaggio. Quella camminata sotto la neve gli sarebbe servita per distendersi. Avrebbe cenato a Madonna di Campiglio e poi avrebbe fatto a ritroso, in salita, la strada per rientrare in albergo.

    Si coprì bene per paura del freddo, ma prima di indossare gli ultimi capi d’abbigliamento decise di fare una telefonata. Voleva parlare con il suo capo. Lo chiamò sul cellulare.

    Colonnello Vismara, buona sera, sono Gino Murgia. Avevo desiderio di sentirla. Come sta? E come va il lavoro?.

    Gino! Che gioia sentirti. Voce decisa e sicura, ti stai riprendendo bene, mi pare. Io sto da dio. Quanto al lavoro, le solite cose. Ma a te cosa importa? Ora devi pensare soltanto a riprenderti completamente, anche perché qui, quando tornerai, ci servirai in piena, completa efficienza.

    La verità, colonnello, è che non ne posso più di questo esilio forzato, anche se dorato. E visto che ossa e muscoli sono recuperati, per ottenere lo stesso risultato per la mia testa l’unica cosa che può davvero aiutarmi è il ritorno al lavoro. Ho deciso quindi di telefonarle per chiederle se mi autorizza a farlo.

    Gino, ti capisco. Ma come faccio a prendere una decisione del genere senza esser certo di poterti aiutare sul serio? Dammi qualche giorno per parlarne con i medici che ti stanno seguendo e poi deciderò. Forse avranno bisogno di controllarti. Ma perché farti fare un viaggio così lungo, se poi dovessero decidere che devi continuare il recupero secondo le modalità indicate?.

    Beh, se fossero disponibili, potrebbero farmi fare un controllo approfondito in un centro specialistico convenzionato con la Scuola Italiana di Sci che c’è qui a Campiglio; oppure disporre una visita accurata nell’ospedale di Trento. La prego, gliene parli spiegando qual è la mia condizione psicologica.

    Ti prometto che lo farò, ma tu non farti prendere dalla fregola di rientrare. Anche perché non è che qui ci sia chissà quale attività. È il solito tran-tran quotidiano di una città di provincia particolarmente tranquilla qual è Cagliari.

    Mi sta dicendo che non succede nulla? Neppure una bella indagine sotto copertura, di quelle che mi piacciono tanto?.

    Macché! E poi, se vogliamo essere sinceri, quelle che tu chiami ‘indagini sotto copertura’ sono in realtà iniziative individuali che spesso svolgi a margine della tua attività ufficiale....

    Non mi rimproveri, colonnello. Non ho mai fatto nulla che potesse danneggiare o escludere l’Arma. E poi, con la burocrazia che rallenta l’avvio delle inchieste, spesso muoversi con anticipo serve a trovare delle soluzioni che altrimenti non si farebbe in tempo ad individuare.

    Su questo c’è molto da discutere e non lo voglio fare al telefono.

    "Ma per come la conosco, non credo proprio che lei si rassegni

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