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Mariposita… allungami la vita. Cronaca di un terremotato sepolto vivo
Mariposita… allungami la vita. Cronaca di un terremotato sepolto vivo
Mariposita… allungami la vita. Cronaca di un terremotato sepolto vivo
E-book209 pagine2 ore

Mariposita… allungami la vita. Cronaca di un terremotato sepolto vivo

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Info su questo ebook

Un disastroso quanto inaspettato terremoto colpisce alle tre del mattino la zona con violenza, devastandone il territorio. Marco Ferrari, imprenditore di Bolzano che si trovava lì per caso, resta sepolto sotto cumuli di macerie miracolosamente illeso.
Così inizia il romanzo Mariposita… allungami la vita che narra le ore e i giorni di angoscia del protagonista imprigionato sotto metri di detriti.
Come sopravvivere in questa situazione alla catastrofe naturale, in attesa di essere soccorso e salvato? Il ritrovamento in mezzo alle macerie di una bambola con le ali, che Marco chiama “Mariposita”, gli fornisce l’insperato spunto di crearsi una compagna di sventure con la quale parlare e far passare il tempo.
Questo stratagemma gli dà la forza di tenersi sveglio, di resistere alla rassegnazione e all’impazzimento in attesa degli agognati soccorsi. Così Marco parla alla bambola degli ultimi avvenimenti turbolenti della sua vita lavorativa inframezzando il racconto con riflessioni di carattere personale ed esistenziale.
In un linguaggio chiaro, a volte forte per caratterizzare la drammaticità dell’accaduto, il romanzo si snoda in questo modo su due piani temporali diversi, acquistando via via un ritmo crescente che accompagna il lettore fino all’epilogo.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2015
ISBN9788865378564
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    Anteprima del libro

    Mariposita… allungami la vita. Cronaca di un terremotato sepolto vivo - Clambagio

    arabo.

    Pro-logo

    Chiusa (BZ), venerdì 13 settembre 2013, ore 02.55

    Un sordo boato accompagnò il terremoto che arrivò all’improvviso, sorprendendo nel sonno gli abitanti della Val Isarco. Due scosse telluriche di pochi secondi, susseguitesi a breve distanza, la prima con una magnitudo di 6,6 sulla scala Richter e la seconda di forza 5,4, ambedue con un ipocentro a soli sei km di profondità e l’epicentro nel territorio della Val di Funes, in provincia di Bolzano, furono devastanti per le vicine cittadine di Bressanone e Chiusa.

    Quest’ultima, inserita nella lista dei borghi più belli d’Italia, fu praticamente cancellata. Case, capannoni, campanili, edifici pubblici e privati sbriciolati sotto il violento movimento tellurico, alberi e lampioni divelti, strade sollevate e lacerate da enormi profonde crepe si presentarono ai primi soccorritori alle luci dell’alba. Solo il castello di Branzollo con la sua massiccia torre parve non aver subito la distruttiva azione delle scosse. Scuro e tetro, sentinella silente della catastrofe, si ergeva maestoso sulle rovine ancora fumanti di polvere del sottostante borgo medioevale.

    Mai prima queste terre erano state investite da un terremoto e nessun segno premonitore, come i classici sciami sismici, aveva messo in allarme la popolazione. Dopo, certo, si sprecarono le testimonianze dei sopravvissuti che avevano intuito che stava per succedere qualcosa. Un contadino affermò che pochi giorni prima tutte le sue galline all’improvviso avevano smesso di fare le uova. Cosa mai successa prima. Un abitante scampato al terremoto, disse che nel laghetto del suo giardino le tartarughe il giorno prima erano scappate e che tutti i pesci erano morti; un altro ancora aveva osservato che il livello dell’acqua del suo pozzo in settimana si era alzato di almeno due metri e che era diventata scura.

    La struttura geologica del territorio limitò l’estensione delle onde sismiche, tuttavia il terremoto, a causa dell’orario notturno e della concentrazione su territori densamente popolati, ebbe delle conseguenze sconvolgenti in termini di vite umane: più di duemila furono le vittime della disastrosa catastrofe.

    Chiusa pagò il tributo maggiore di questa spaventosa calamità: ben 1.346 persone persero la vita in pochi secondi, quasi un terzo degli abitanti della cittadina. 3.225 furono i sopravvissuti, 182 dei quali estratti dai soccorritori dalle macerie.

    L’ultimo, un vero miracolo, un uomo di mezza età salvato dopo tre giorni da una squadra di soccorso dei Vigili del Fuoco di Trento.

    I

    Venerdì 13 settembre, ore 05.10

    Dove sono? Cos’è questo odore? Dio mio, dove sono?

    Marco si regge a fatica nel buio. Le sue mani toccano sporgenze di muri e di calcinacci. Pochi attimi bastano per capire che non si tratta di un incubo, ma di una tragica realtà.

    Il boato! Il terremoto!

    Un urlo disumano squarcia il silenzio.

    Nooooo. Noooo. Dio mio, Dio mio. Non può essere, non può essere vero! No, no, no.

    Istintivamente si copre il viso con le mani come per esorcizzare l’evidenza. Non era un sogno, non era un incubo. Il sordo brontolio che aumentava d’intensità fino a scoppiare nelle orecchie, il letto che barcollava come un canotto in balia dei marosi, i mobili che giravano come impazziti, le urla di Helga, suoni e immagini che si tallonano come flash istantanei nella sua mente. Poi il pavimento che cede sotto i suoi piedi, il vuoto, il buio, il nulla. Cerca di riprendersi, respira profondamente guardandosi intorno, si tocca, avvolto in un buio profondo e silenzioso.

    Madonna santa, Dio mio. Un terremoto, un terremoto! E ora? Che faccio ora? No, no, no, non può essere.

    Annaspa, cerca di girarsi senza urtare la testa. Scivola. Cade. Si rialza. Si passa una mano fra i folti capelli impolverati. Stringe i pugni appoggiandoli alle tempie. Si accovaccia. Scoppia in singhiozzi. Si dispera. Infine si acquieta.

    Calma, cerchiamo di restare calmi. Sei sempre stato capace di affrontare le situazioni più difficili e scabrose, giusto? Un terremoto… sì, c’è stato un terremoto. Fra poco arriveranno i soccorsi, no? Da quanto tempo sono qui?

    Si porta l’orologio davanti agli occhi.

    Porca puttana, con questo buio non si vede un cazzo. Un terremoto! Maledizione, proprio qui mi doveva capitare… Helga che fine avrà fatto? E Simona che mi crede in viaggio verso Latina… Quanto esteso sarà stato questo terremoto? Ci sarà stato anche a Bolzano? O è ancora più grande? È spaventoso, spaventoso… non ci posso credere… Ma io sono vivo.

    Vivo. Sono vivo.

    Si gira su se stesso tendendo le mani. A tentoni cerca di misurare lo spazio intorno a sé, con cautela, facendo attenzione a non urtare spuntoni di muri con la testa. Si tocca nuovamente dappertutto. Un sospiro di soddisfazione.

    Nulla di rotto, solo qualche ammaccatura, è un miracolo. Quanto è alta la casa di Helga, tre o quattro piani? Lei stava al primo, quindi la logica mi dice che sto sotto ad almeno due, tre piani di macerie. Dopo questo volo sono ancora intatto, è un miracolo, sono un miracolato. Quanti metri saranno… sette, otto? A posto siamo. Ma non disperiamo, ho visto alla televisione salvataggi di gente sepolta sotto montagne di detriti tirata fuori anche dopo diversi giorni.

    Lì ad Haiti, se non sbaglio, hanno salvato una donna dopo una settimana. Bene, vuol dire che non tutto è perduto. Come si fa a stare una settimana senza bere, mangiare, andare in bagno? Se ce l’hanno fatta altri, vuol dire che è possibile. Sepolto vivo, ecco cosa sono, ma almeno sto bene, è già qualcosa. Non ho le gambe sfracellate, non ho la testa rotta, non avverto alcun dolore, solo un po’ di bruciore alle braccia, probabilmente delle escoriazioni. Meno male.

    È proprio vero che ogni situazione, anche la più drammatica, presenta a volte degli elementi che la rendono meno tragica. Fai un incidente e sfasci la macchina, ma sei contento di aver salvato la pelle. Già. No, no, Marco, dai. Tutto sommato, in questa situazione di merda stai ancora bene. Se penso che ho sempre avuto il terrore di essere sepolto vivo in una bara… Morte presunta. Da quando ho visto il film di quel tizio che si è svegliato in una bara, seppellito vivo sotto terra, ho deciso fermissimamente di essere cremato. Già da bambino, quando con i miei genitori andavo al cimitero, mi ripugnava il pensiero che i corpi dei nonni fossero stati divorati dai vermi. Che orrore. Gli scheletri poi mi hanno sempre fatto ribrezzo… Almeno qui mi posso muovere e so che ci sono speranze di essere estratto da questa cella naturale, da questa gattabuia. Gattabuia… che strana parola. Certo, al buio ci sto, …ma la gatta…? Che cazzo vado a pensare? Dio mio, Dio mio, …Cristo! Chissà quanti morti, quanti feriti. Magari sono centinaia, migliaia, non lo so. Ma io sono vivo. Importante è resistere e aspettare con fiducia.

    Resistere, resistere, resistere, come diceva quel magistrato. Certo che se anche dovessi uscirne vivo, sarà dura spiegare a Simona perché mi trovavo qui. Cosa le dico? Mi par già di sentirla: Perché invece di dirigerti verso sud, sei andato a nord? Che cazzo ci facevi a Chiusa, di notte? Mah, mi toccherà dirle la verità, e cos’altro posso fare? Mica posso far lo smemorato. Non importa. Non importa. Adesso devo concentrarmi sulla situazione. Sono intrappolato fra questi muri crollati e devo resistere aspettando i soccorsi. Come mi devo comportare?

    Calma, ragioniamo. Se voglio farcela, devo risparmiare le forze e cercar di star ben sveglio. Non so a che profondità sono, ma se sono sotto tre piani di macerie, saranno almeno sette-otto metri, forse qualcosa di più. Potrebbe anche darsi che palazzi vicini siano crollati addosso a questo. Helga abitava in pieno centro, in quel vicolo stretto. Il cumulo di macerie potrebbe essere anche più alto… Dio mio. Dio mio… Mi possono sentire se urlo forte chiedendo aiuto? Va bene, ma non subito. Aspettiamo ancora un po’, devo centellinare le energie. Urlerò forte solo due-tre volte, a intervalli. Mi sembra la cosa migliore. Importante è mantenere la calma, devo concentrarmi sulla situazione, capire come posso sopravvivere qui senza impazzire, aspettando dei soccorsi che dovranno pur arrivare, no? Al diavolo, se devo proprio morire, almeno non morirò per soffocamento, l’unica morte di cui ho sempre avuto paura.

    Questo spazio è abbastanza grande, forse c’è qualche apertura lì su in cima, forse da qualche parte l’aria entra. Non morirò neanche di freddo, il clima è ancora mite, meno male, visto che ho solo il pigiama addosso. Se non mi salvano morirò di stenti, probabilmente mi addormenterò per sempre, spossato di ogni energia. Farei la stessa fine di mio nonno, che la mattina in inverno andò a prendere il pane in bici, poi tornò a casa e stanco si sdraiò sul divano. Si addormentò e sereno è passato dalla vita alla morte, senza accorgersene. Il trapasso più ambito. La morte che ti coglie nel sonno mentre riposi, senza doverla affrontare, senza dolore.

    Ma non pensiamo alla morte, ora. Dai Marco, su, coraggio, anzi: calma e concentrazione. Non è del coraggio che hai bisogno ora, non hai nulla da fare, devi solo pazientare e ragionare, cercar di concentrarti, non andare in confusione.

    Allora, rifacciamo il punto della situazione. C’è stato un violento terremoto, di notte, non so quando esattamente, non so quanto esteso, ma è presumibile che i soccorsi siano già partiti. Io per miracolo sono illeso, non mi son fatto nulla. Non avverto nessun dolore e mi sento bene fisicamente. Ho intorno a me uno spazio abbastanza ampio che mi consente di accovacciarmi e anche di alzarmi quasi per intero. Non so quanta aria mi è concessa, ma ho l’impressione che non sia questo il problema. Devo quindi restar calmo e non farmi prendere dall’angoscia, non devo agitarmi. Devo solo stare in silenzio per sentire se percepisco qualche rumore dall’esterno, gridare aiuto di tanto in tanto sperando che qualcuno si accorga di me. Assoluta calma, nervi saldi, sangue freddo, Marco. Ti sentivi stressato ultimamente, dovevi fare ancora le vacanze? Bene, eccoti servito.

    Vacanze? La morte in vacanza, dead man walking, anzi: sitting. Dead man sitting. Che poi sono solo appollaiato, non riesco neanche a sedermi. Vediamo se riesco a sistemarmi un po’ meglio, mica posso sempre star così. Ecco, così, bene. Così va già molto meglio. E ora calma. Stiamo calmi, eh? Respira lentamente, stai immobile, aspetta. Qualcuno arriverà, prima o poi. Qualcuno arriverà.

    Devono arrivare.

    II

    Venerdì 13 settembre, ore 10.50

    Mmmhhh, …che è? Dove sono? Maledizione, il terremoto, il terremoto! Porca Eva, mi sono addormentato. Bah, forse è meglio così, mica posso star sveglio in continuazione. E… un momento! C’è della luce… Luce! Lassù in alto, quel piccolo spiraglio… un’apertura! Lassù, a sinistra. Che ore sono? Le dieci e cinquanta! Allora sono qui da poche ore. Ho spento la luce verso mezzanotte. Il terremoto è giunto più tardi, mentre dormivo.

    Si tocca la testa.

    Cos’è questo cerchio alla testa? Beh, poco male, non pensiamoci. Piuttosto, quello spiraglio, a che distanza sarà? Difficile dirlo. Direi una decina di metri, a occhio e croce. Bene, bene. Così almeno mi regolo col tempo. Anche questo è positivo. I soccorsi dovrebbero essere già qui, a meno che il terremoto non abbia avuto un’estensione così ampia da convogliare i soccorsi su altre zone. Dovesse aver colpito anche Bolzano o città ancor più grandi, chi arriva in questo posto? Ma no, ma no, i terremoti non sono mica così vasti, no…? O sì? Quello del 1976 in Friuli fu molto esteso, centinaia di chilometri, se non sbaglio. Centinaia di chilometri… Dio mio! Da qui a Bressanone ce ne sono dieci, a Bolzano solo trenta! Hai voglia. Speriamo di no, altrimenti i soccorsi qui non arrivano più, o solo col contagocce. O, peggio ancora, troppo tardi.

    Calma. Niente panico. Non lasciarti andare, Marco. Sei qui in questo posto solo da poche ore. Chissà per quanto tempo i miei occhi, le mie orecchie, tutti i miei sensi non riceveranno il minimo cibo. Occorre aver pazienza. Pazienza. Il valore della pazienza, in un mondo frenetico come il nostro. Non sono mai stato un tipo molto paziente, tenace sì, ma è un’altra cosa.

    Devo trovare un diversivo, devo assolutamente evitare che mille pensieri mi ruotino disordinatamente nella testa come mulinelli che ti risucchiano nell’orbita della pazzia. Ho bisogno di tenere la mente allenata con un sostegno, altrimenti vado fuori di testa. Su dai, pensiamo a qualcosa di concreto. Funziona, lo sai. Dunque, vediamo… Quando vado dal dentista a curarmi i denti mi concentro sul Mundial degli azzurri del 1982. La mitica partita contro il Brasile, l’esplosione di Paolo Rossi. Penso alla sequenza dei gol, alla loro dinamica, così non sento il fastidio e il dolore del maledetto trapano che mi rovista in bocca.

    No, no. Non funziona.

    Funziona solo per un tempo breve, e poi, dai, ormai questa partita la so a memoria, dal primo al novantesimo minuto. Pensiamo ad altro… ecco, vediamo: chi ha vinto i mondiali di calcio nelle varie edizioni? Nel 1930 fu l’Uruguay, nel 1934 e 1938 l’Italia. Poi… 1950? Chi vinse nel dopoguerra? Fu il 1950? Non ricordo… No, no, non importa.

    Non funziona.

    Non posso neanche concentrarmi sul mio hobby preferito, gli scacchi. Questo meraviglioso gioco nato non si sa quando, non si sa dove, giocato da tutti i popoli della Terra. Non potrò mai emulare il protagonista della Schachnovelle di Stefan Zweig, quello che nella cella si salvò grazie al gioco mentale degli scacchi. Lui era un genio, io sono una schiappa. Solitamente non riesco a ricordarmi le ultime cinque mosse, figurarsi ricostruire una partita. Non ho mai capito come fanno. Anche al circolo un giorno è stato invitato un gran maestro. Si è seduto al suo tavolo e ha giocato contro di noi in contemporanea, alla cieca, senza vedere le scacchiere. Eravamo in dodici, me compreso. Le ha vinte tutte. Me mi ha distrutto nel giro di venti mosse. Come faccia certa gente non lo so. Anche nel nostro club ce n’era uno che ti ricostruiva la partita dalla prima all’ultima mossa. Ci sono delle doti umane e mentali che sono incomprensibili.

    Però, a pensarci bene, nel mio piccolo succede anche a me. Anch’io ho una dote particolare: memorizzo i numeri, così, d’acchito, senza neanche volerlo. Non mi ricordo i nomi, spesso pure quelli più semplici di gente che vedo con una certa frequenza, ma ricordo di colpo i loro numeri di telefono. Mi capita di dover telefonare a qualcuno che non sento da parecchio tempo e come d’incanto formo il suo numero. E il bello è che non faccio nessuno sforzo, non ho alcun merito. Mi vengono spontanei, non si tratta di concentrazione. Ho presente tutti i numeri di targa delle mie macchine da quando guido, a mente penso di conoscere oltre un centinaio di numeri telefonici, e non sono solo quelli usuali. Ricordo esattamente i fatturati mensili della mia ditta a ritroso di almeno cinque anni, li potrei citare a memoria. Bah, …misteri. Misteri della mente umana.

    Che fare? Su cosa mi concentro? Come faccio a resistere?

    Potrei richiamare alla mente

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