L'ultimo uomo
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Anteprima del libro
L'ultimo uomo - Maurizio Caldini
mai
Parte prima
CAPITOLO I
Il silenzio. È difficile da sopportare.
Solitudine. Beh, alla solitudine ero già abituato. Ma non sono mai stato così solo.
Sono stato per un tempo interminabile seduto qui, su questo vecchio divano polveroso. Qui, con la testa tra le mani, gli occhi chiusi, senza pensieri.
La televisione: davanti i miei occhi arrossati, stanchi.
Non ci sono immagini. Solo strisce bianche e nere che si rincorrono a grande velocità e rotolano una sull'altra, all'infinito.
Suoni. L'unico suono è lo sfrigolio continuo, a intensità alternata, come le onde del mare.
Scrivo. Ma non so che cosa scrivere. Non so a chi sto scrivendo. Ho solo tanto tempo da impiegare come voglio.
La camicia che indosso è sudata, una sottile sensazione di freddo mi accarezza timidamente la schiena; sento le mani sporche, le dita indolenzite, la terra sotto le unghie, dolorosamente compatta.
I miei morti sono sepolti. L'orto, che mio padre aveva cresciuto come un figlio, è diventato un cimitero. Anche tenuto male, se posso dirlo. Sento ancora nelle mie mani la durezza del manico della pala, fredda come i corpi che ho trascinato, insensibile come la plastica dei sacchi che si tendevano allo spasimo nelle mie mani mentre cercavo di guadagnare qualche passo sofferto lungo il vialetto, spoglio percorso funebre senza corteo.
Ho fame e ho sete ma non ho voglia di alzarmi, di pensare a me. Mi lascio calpestare dal tempo che mi passa addosso.
È tutto inutile.
Muovo la lingua, ma è arida e gratta il palato. Non ricordo quando è stata l'ultima volta che ho parlato. Anche da solo. Non mi sento neanche di provarci.
Ho paura di sentire solo un lamento.
CAPITOLO II
Ho fatto un bagno caldo.
Togliere i vestiti è stato doloroso come strapparmi la pelle, ma ce l'ho fatta.
Sono stato a bagnomaria molto a lungo, a galleggiare nel benessere, nell'unico caloroso abbraccio che posso ricevere in questo momento. L'accappatoio che mi avvolge è morbido, sento i capelli bagnati adagiati sul collo a riposare.
La stanchezza lascia il posto al sonno. Ho una gran voglia di dormire, di dimenticare tutto per un attimo.
Vivere di sogni.
Fuggire dalla realtà.
Qualche ora. Solo qualche ora. Mi farà bene. Alla mia situazione penserò domani. Domani. Ecco un'altra parola che ormai non ha più alcun significato.
Sotto i piedi scalzi, il freddo delle piastrelle. Lo sento appena.
E pensare che l'ultima volta che mi sono lavato qui dentro, e tutte le volte precedenti, fin da quando ero bambino, mi ha sempre fatto correre verso il tepore della moquette, in corridoio.
Non ho il coraggio di guardarmi allo specchio, ho paura di vedere un cadavere, o un mostro, o i resti di tutt'e due le cose insieme.
Cammino lentamente, come un automa. Sono l'unica fonte di rumore di questa casa. Sento il peso del silenzio, aggrappato con le sue unghie affilate alla mia schiena indolenzita, rotta. Salgo le scale. Respiro affannoso e scricchiolii di legno. Nient'altro.
Appoggio le mie membra al letto. Mi abbandono. I miei occhi masticano ancora lentamente il pianto. Il mio corpo a ogni battito del cuore si lascia andare, sempre un po' di più.
Il dormiveglia si sta adagiando su di me come un'amante. Ma dietro quella sua apparenza sensuale, si nasconde un’insidia che non so più superare: i ricordi. Si avvicinano come la schiuma sottile e sorniona, sul bagnasciuga. Mi raccolgono. Mi tirano al largo, invitanti. Poi tutto si trasforma: mare forza nove di pensieri che mi travolge; momenti di felicità, di armonia familiare che mi catturano come un'onda impetuosa e mi scaraventano sugli scogli; volti