Al di qua e al di la'
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L’ambiente, reale o fantastico, in cui si muovono i personaggi e il comportamento e i sentimenti dei protagonisti dei racconti, sono le variabili che ne definiscono caratteristiche e genere.
I nove racconti della prima parte, di genere fantastico, a volte trasportano il lettore in ambienti celestiali dove gli angeli sono vestiti di rosa e di azzurro, dove si narrano vicende meravigliose che emozionano per la loro lieve essenza poetica. Racconti dove i ricordi della vita terrena rinsaldano i rapporti tra il mondo dei più e noi, esseri ancora viventi. Emozioni e sogni che riscaldano e danno colore ai giorni dell’uomo.
Nei racconti,” Machina”, “Il gabbiano di Piero” e “Giacomo perdigiorno”, il protagonista è un animale che vive i sentimenti dell’uomo come l’amore, l’amicizia, i rapporti parentali e agisce di conseguenza con passione e determinazione. In “Un odore acre”, ne “ La diga” persone del tutto normali si trovano improvvisamente in luoghi o situazioni assurde, incredibili dove s’incontrano con le anime dei defunti e con le quali conversano e discutono. Anche nel racconto “Azzurra” l’inconsolabile dolore per la morte in culla di una bimba viene, se non superato, quantro meno alleviato, dalla incredibile richiesta di quell’anima pura. “Vita da tartaruga” ci porta in un al di là burocratizzato come il mondo dei vivi dove vige e viene usata una prassi riprovevole che ingiustamente colpisce il debole o meglio colui che non se ne avvale: la raccomandazione.
“Mio padre” è un racconto autobiografico che ci catapulta nell’esotico oriente e ci fa conoscere animismo e metempsicosi “peregrinazione dell’anima in una sorta di purificazione necessaria per affrancarsi dalla materia”. Della superstizione, ma anche dell’attaccamento alla propria terra e alle proprie tradizioni, si parla in “Rocca Gucciarda” e ne “L’amica”.
La seconda parte conta sei racconti che narrano fatti di normale quotidianietà.
I problemi di coppia, narrati nel loro progressivo evolvere fino alla drammatica conclusione sono trama e ordito nel tessuto del racconto “Luisa e Salvo”. Tempi remoti e povertà sono lo sfondo dove si muovono e recitano i personaggi del racconto “Ancora corre”.
La scuola di una volta emerge nel racconto “Questo dura cent’anni”, con i suoi suoni e i suoi odori, realtà obsoleta che si vorrebbe mantenere attuale ma che non può sopravvivere all’avanzare del progresso tecnologico.
“La stella di Maria” narra il percorso di un cuore che soffre in modo indicibile ma che, con il sostegno e l’azione taumaturgica del sentimento dell’amicizia, risana le proprie ferite.
Un adolescente che affronta la paura... tenendo testa a un lupo come in un rito d’iniziazione è l’argomento dell’ultimo racconto “Ice cream”.
Fascia di età: per tutti coloro che abbiano compiuto quattordici anni.
Si rivolge a un pubblico in grado di cogliere messaggi positivi anche in contesti scabrosi.
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Anteprima del libro
Al di qua e al di la' - Patrizia Chini
Patrizia Chini
Al di qua e al di là
Cavinato Editore International
© Copyright 2016 Cavinato Editore International
ISBN: 978-88-6982-488-3
I edizione 2016
Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
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info@cavinatoeditore.com
www.cavinatoeditore.com
Indice
Prima parte
Al di là
La diga
Vita da tartaruga
Machina
Il gabbiano di Piero
Un odore acre
Giacomo perdigiorno
Azzurra
Mio padre
L’amica
Seconda parte
e… al di qua
Luisa e Salvo
Ancora corre
La Stella di Maria
Questo dura cent’anni
Rocca Gucciarda
Ice cream
Prima parte
Al di là
La diga
Le campane suonano a distesa, hanno ritmo cupo e angoscioso.
È il segnale dell’evacuazione forzata. Dobbiamo prendere la borsa preparata per questa evenienza, lasciare qualsiasi attività iniziata o da iniziare e, senza perdere tempo, uscire di casa o dall’ufficio o da qualsiasi altro benedetto luogo ci si trovi per incamminarsi al punto di raccolta più vicino.
Aspettare lì altri ordini.
Non ricordo bene quanto tempo sia passato dall’ultima volta che le ho sentite suonare così ma deve essere stata per l’ennesima esercitazione.
La nostra città è costruita, tra montagne alte, in fondo a una valle chiusa, a monte, nel punto più stretto, da uno sbarramento che blocca le acque del fiume che vi scorre.
Queste, impossibilitate a proseguire, riempiono lo spazio tra le montagne e lo sbarramento formando un grande lago artificiale, per poi riuscire dagli scarichi in caso di necessità. Può succedere che, per un motivo qualsiasi, il lago non riesca a contenere quella massa d’acqua, come è successo nel Vajont dove una frana ha fatto esondare la diga…
─Francesca non pensare… sbrigati! ─ mi dico già nel panico…
Afferro al volo la borsa appesa all’attaccapanni dell’ingresso, prendo le chiavi dal portaoggetti, esco di casa, chiudo la porta e mi porto in strada. Il caos! Gente che strilla, chi chiama i parenti, chi i genitori, chi piange disperato perché non vuole abbandonare la casa costruita con anni di sacrifici.
Faccio appena in tempo a rendermi conto di quel caos quando la vedo arrivare… ma è un milionesimo di secondo. Come uno tsumani l’onda mi schiaffeggia e mi travolge.
Sento di essere trasportata con violenza. Sbatto di qua e di là, il dolore è inenarrabile. Poi il buio, il freddo e il silenzio.
Non so quanto tempo sia passato quando mi giungono, dapprima lontanissimi, dei rumori ovattati, un po’ distorti che si fanno sempre più vicini e più chiari.
Poi lentamente ma in modo distinto capisco che qualcuno mi sta chiamando e sento il calore di una mano che mi accarezza il viso.
─Francesca! Dai apri gli occhi…
Cerco di sollevare le palpebre ma sono di piombo e dopo vari tentativi, desisto.
─Francesca! Forza… apri gli occhi─ un’altra voce mi parla e mi sembra di conoscere quel timbro un po’ da vecchio.
Faccio un ultimo sforzo e questa volta apro gli occhi.
Chinati su di me nonno Luigi e nonna Pina che ora mi sorridono mentre mi accarezzano. Mi guardo intorno e vedo i mobili, il camino e le immagini sacre appese alle pareti, e tanti altri oggetti della loro casa che ricordo perfettamente perché ci sono cresciuta!
─Non è possibile─ quasi grido ─ Ero piccola, sono passati venti anni da quando il fiume in piena vi ha travolti portandovi via con tutta la casa e distruggendovi la proprietà… Poi le acque si ritirarono ma di voi non abbiamo trovato traccia.
I miei nonni mi sorridono senza rispondere
─Nonna… nonno, ma non è possibile: voi siete morti!
─Vedo che stai meglio, hai fame? Ti preparo qualcosa? ─ mi dice nonna premurosa.
Non c’è verso. Non rispondono come non sentissero… e mi abbracciano e mi baciano.
Mi alzo, cammino e cerco la porta per uscire, ma non ci sono porte e alle pareti non vedo finestre. Mi giro per chiedere spiegazioni ma i miei nonni non ci sono più.
Di nuovo intorno a me si fa buio, sento freddo e cala il silenzio. All’improvviso ho delle fitte acute, un dolore intenso che sento provenire dalle mie gambe… apro gli occhi e mi vedo stesa in un lettino di ospedale, forse è una sala di rianimazione. Un infermiere mi toglie il lenzuolo che copre il mio corpo: orrore! Non ho più le gambe!
Mi si avvicina mio marito, sussurra il mio nome, mi accarezza.
Vorrei parlargli ma la voce non mi esce.
Ora sento di nuovo le voci dei miei nonni. Mi invitano a andare con loro:
─Alzati, vieni con noi… giochiamo.
─Come ti senti? ─ mi chiede mio marito─ il primario ha detto che ce la puoi fare. Tu sei forte. Lotta!
Non so a chi devo dare retta…
Decido.
Chiudo gli occhi.
─Nonna Pina, nonno Luigi… aspettatemi.
Vita da tartaruga
─La mia vita, ormai, aveva la particolare andatura della tartaruga. Dire lenta è dir poco, meglio sarebbe dire al rallentatore o, usando un’espressione presa in prestito dal gergo sportivo, alla moviola. Ogni spostamento mi costava, non solo fatica ma soprattutto tempo. Chi ha vissuto come me, malata di Parkinson, avrebbe diritto a un’altra vita con un recupero di anni... ─ e, pronunciate le ultime parole, Giulia si rilassò, cercò un appoggio, qualcosa dove sedersi, ma non trovò nulla che potesse servire a quel fine.
Era avvolta da una specie di nebbia, non le giungevano né suoni né rumori; si trovava in un luogo di cui non vedeva né inizio né fine. Intorno a lei né pareti né alcun elemento di arredamento.
Fermò lo sguardo sulle mani bianche e curate del funzionario, sorprendentemente giovane, a cui si era rivolta e la cui tunica rosa dichiarava il sesso che le era stato assegnato nella prima vita. Il funzionario, il supervisore colui che vagliava le richieste dei nuovi arrivati e decideva quali inoltrare all’Altissimo, rimase per alcuni lunghi secondi, in silenzio.
Il suo sguardo era sereno, non lasciava trapelare emozioni di sorta, osservava Giulia un po’ affaticata anche se avevano comunicato