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L'Angelo Fantasma (Demon Wings Vol. 1)
L'Angelo Fantasma (Demon Wings Vol. 1)
L'Angelo Fantasma (Demon Wings Vol. 1)
E-book238 pagine3 ore

L'Angelo Fantasma (Demon Wings Vol. 1)

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Info su questo ebook

Primo libro della serie "Demon Wings".
"La verità è che non so chi sono. Mi chiamo Fabien ed ho un enorme vuoto impossibile da colmare, non ho passato. La mia vita, se così la possiamo definire, comincia all'età di quattordici anni. Sono solo, non ho amici né una famiglia degna di tale nome. Vengo continuamente preso di mira e maltrattato sia a scuola che a casa senza alcun motivo. Poi un giorno tutto cambia e accade qualcosa che mai mi sarei aspettato.
C'è qualcosa, qualcuno dentro di me che cerca di emergere ad ogni costo.
E' incredibilmente forte, soprannaturale, ma malvagio come non mai".
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2015
ISBN9786051762647
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    L'Angelo Fantasma (Demon Wings Vol. 1) - Matteo Tonti

    Matteo Tonti

    L'Angelo Fantasma

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    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    © 2015 Matteo Tonti

    Tutti i diritti riservati.

    La riproduzione e la diffusione dell'opera, anche parziale e con qualsiasi mezzo, senza autorizzazione scritta dell'autore è severamente vietata e perseguibile ai sensi di legge.

    Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    L'ANGELO FANTASMA

    Matteo Tonti

    CAPITOLO 1: LA MIA NASCITA

    10 Dicembre 1964

    Eccomi qua, sono nato, che bella la mia mamma!

    Ma che cosa succede? Perché mi portano via da lei? Piango, piango, ma nessuno mi ascolta; tutte quelle persone vestite di bianco e di verde sono raccolte intorno alla mia stupenda mamma e sussurrano parole a me incomprensibili: dottore, emorragia, MORTE.

    Proprio quest'ultimo termine, nonostante a quel tempo non ne conoscessi il significato, aveva suscitato in me un forte senso di smarrimento e di profonda solitudine come se una parte di me se ne fosse andata via per sempre.

    Questa fu l'ultima volta che vidi mia madre, i suoi lunghi e soffici capelli biondi e i suoi grandi occhi azzurri.

    Ho paura: dove sono? Ora tutta quella gente che prima era rivolta verso mia madre si era girata verso di me, mi toccavano di continuo e io non facevo altro che gridare più che potevo.

    D'improvviso venni portato in un luogo in cui vi erano tanti neonati come me che dormivano in ovattate culle bianche. Ognuno di questi lettini aveva una targhetta con un nome tranne il mio. Io ero ancora un numero, il 10, forse si riferiva al giorno della mia nascita o chissà, poteva avere moltissimi significati.

    Passarono cinque giorni tra pappe, nanne e pianti di gruppo. Tutti i bambini che avevo visto da quando ero arrivato non c'erano più, ma venivano continuamente rimpiazzati da altri appena nati. Solo io restavo in quel luogo a lungo.

    Iniziai a chiedermi quale fosse la causa di tanta attesa.

    Tutti gli altri infanti uscivano accompagnati dalla loro mamma e da un uomo, il papà, che io non avevo ancora mai incontrato.

    Che fine aveva fatto il mio papà? Questa era la domanda principale che mi frullava per la testa, forse era solo in ritardo e presto sarebbe venuto a prendermi per portarmi via con lui. Con questo pensiero mi addormentai.

    La mattina seguente venni svegliato da un gran fracasso simile ad un'oca che starnazzava all'impazzata. Una mano mi prese e io banalmente pensai:

    «Ecco, questo è mio padre, finalmente è arrivato! Non mi ha abbandonato!»

    Tutta questa eccitazione si spense subito dopo quando notai che quella mano che mi aveva preso con sé non era di un uomo, bensì di una donna.

    La mano era piuttosto tozza, le dita erano piene di anelli tempestati di pietre preziose e le unghie avevano uno smalto molto acceso di colore rosso.

    Quando mi sollevò, rimasi scioccato e scoppiai a piangere.

    Il viso era spaventoso, ricoperto di lentiggini, le labbra carnose, il naso grosso simile ad una patata, gli occhi piccoli e neri come la pece, due folte sopracciglia ed una fronte spaziosa su cui poggiava una frangetta di capelli rossi che si dilungavano fino alle spalle in modo frastagliato e del tutto irregolare.

    La donna cercò di calmarmi dondolandomi un po', ma con la forza e la grazia di un leone tanto che mi venne la nausea e rigurgitai.

    «Perché fai così piccolo mio!» esordì «Calmati, sono tua zia Annabelle, sono venuta a prenderti dalla Francia per portarti con me visto quello che è successo alla buon'anima di tua madre, mia sorella Marlene! Io le avevo detto che sarebbe andata a finire male, non ha voluto ascoltarmi quando è scappata di casa con quel ragazzo di cui non ricordo neanche il nome. A proposito di nome... Come ti chiami scricciolino?»

    La signora vestita di verde che si era presa cura di me in questi primi giorni di vita sussurrò:

    «La madre non ce l'ha fatta, ci ha abbandonato prima di riuscire ad assegnargli un nome».

    «Ecco, lo sapevo, neanche questo è riuscita a fare, che donna screanzata! Sta tranquillo, adesso ci penso io a te, fammi riflettere un attimo...»

    «Ah, ecco, ti chiamerò Fabien».

    A me però quel nome non piaceva e provai a farglielo capire mettendomi a piangere e ad urlare più forte che potevo, ma lei aggiunse rivolgendosi all'altra donna:

    «Lo vede che gli piace! Guardi quanto si agita, è felice!»

    Il mio pianto aveva avuto purtroppo l'effetto opposto di quello che avrei voluto e così mi venne conferito questo orribile nome.

    Ad un tratto mia zia si girò verso un uomo vestito di nero e gli chiese se, prendendomi in affidamento, avrebbe potuto usufruire dei beni posseduti da mia madre.

    L'uomo le rispose:

    «Certamente, ma fino a quando il bambino non avrà raggiunto la maggiore età; da quel momento egli erediterà ogni cosa».

    Io ovviamente non capii il significato della frase, però mia zia sembrò annuire e fece una smorfia simile ad un sogghigno malefico.

    Nel frattempo erano arrivati in ospedale tanti altri miei parenti, zii, prozii, cugini della mamma, anche semplici amici e conoscenti.

    Ognuno di loro voleva prendermi in custodia e così per tutto il giorno venni sbattuto di qua e di là come un vecchio straccio da tutte queste persone che, solo in seguito compresi, non erano realmente interessate a me, ma soltanto al lascito della mia povera, ma benestante madre.

    Soltanto uno di loro era realmente interessato al mio benessere tanto che si offrì di adottarmi senza attingere dall'eredità di mia madre.

    Il suo nome era Andrea, aveva circa la stessa età di mia madre e affermava di essere il suo migliore amico. Egli era un giovane ragazzo italiano e sicuramente l'unico che si sarebbe preso cura di me nel migliore dei modi, tuttavia non avendo un legame di sangue con Marlene, venne immediatamente messo da parte.

    Alla fine, dopo varie dispute e scontri verbali molto duri, io come un oggetto di un negozio venni venduto al miglior offerente, ovvero alla persona più prossima a mia madre: mia zia Annabelle.

    Per me fu un vero e proprio shock, mentre lei esultava soddisfatta, io privo di voce in capitolo scoppiai in un pianto ossessivo e disperato che come era successo precedentemente non venne minimamente preso in considerazione.

    Così, firmate alcune carte, mia zia mi prese in braccio e disse:

    «Vedrai che ci divertiremo insieme».

    Subito dopo mi lasciò nella culla e se ne andò.

    Io, ancora scosso e stremato, mi addormentai in un sonno profondo.

    La mattina seguente mi svegliò un fischio assordante che non avevo mai sentito prima. Quando aprii gli occhi, vidi una grande folla intorno a me e di fronte un grande mostro di ferro che tutti chiamavano treno.

    Annabelle allora si voltò verso di me e mi disse qualcosa che io non riuscii a comprendere a pieno a causa del grande frastuono. L'unica parola che percepii fu Francia.

    CAPITOLO 2: IL VIAGGIO IN FRANCIA

    Il treno fischiò ancora e noi insieme a tanta altra gente salimmo a bordo.

    Il nostro vagone era abbastanza fatiscente, ma soprattutto faceva freddissimo. Ad un certo punto il treno si mise in moto e partimmo alla volta della Francia. Io mi raggomitolai per ottenere il massimo calore e mi addormentai.

    Al mio risveglio eravamo ancora sulla locomotiva, ma guardando dalla finestra il paesaggio era cambiato completamente.

    Case, alberi, prati erano ricoperti da una coltre soffice e bianca da cui subito rimasi affascinato. In lontananza si stagliavano verso il cielo delle magnifiche e monumentali montagne il cui nome era Alpi.

    Rimasi a guardare meravigliato dal finestrino per diverso tempo, ma poi, all'improvviso, tutto si spense. Cos'era successo? Non riuscivo a capire. Poco dopo l'oscurità iniziò a schiarirsi e tutto tornò come prima.

    Ora però faceva molto più freddo, si gelava e io piccolo e debole com'ero mi misi a piangere per cercare un po' di calore.

    Mia zia, non appena mi sentì piangere, cercò di farmi smettere, ma non riusciva a capire cosa volessi.

    Ad un certo punto, infuriata, iniziò a sbraitare contro di me.

    «Zitto stupido moccioso! Ora devi fare quello che dico io. Basta! Smettila immediatamente! Sei proprio come tua madre viziato e dispettoso, ma ora vedrai come ti sistemo, vedrai...»

    Io, all'udire quelle terribili parole, mi lamentai ancora più forte, ero terrorizzato.

    Annabelle, di risposta, si voltò da un'altra parte e mi lasciò piangere fino a che, stremato dalle mie stesse lacrime, mi appisolai.

    Poco dopo però venni svegliato dal caos che la gente provocava parlando contemporaneamente. Il treno si era fermato e tutti chiedevano ad un uomo con il berretto blu il motivo di questa sosta.

    Egli molto educatamente spiegò che le rotaie da quel punto in avanti erano ghiacciate ed era troppo pericoloso proseguire, bisognava rimanere fermi fino alla mattina seguente quando il Sole probabilmente sarebbe riuscito a scongelare del tutto o almeno in parte le rotaie.

    Il Sole? Perché, dov'era finito?

    Io guardai nuovamente dalla finestra e la palla di fuoco rovente che prima spiccava alta nel cielo ora giocava a nascondino con le montagne. Qualche minuto dopo scomparve e tutto venne ricoperto dall'oscurità della notte.

    Al posto del Sole però vi era la Luna piena che riusciva con la sua luce candida a rischiarare appena il paesaggio. Il cielo ora era di un blu chiaro e col passare del tempo diventò sempre più scuro e si riempì di tanti puntini bianchi e brillanti, alcuni piccoli, altri più grandi.

    Più il cielo si inondava di stelle e più faceva freddo e pensare che erano appena passate le diciotto! La notte sarebbe stata lunga, ma soprattutto gelida e paurosa. Ben presto infatti il tempo cambiò, le stelle e la Luna scomparvero come inghiottite da soffici, ma minacciose nuvole grigie. Un forte ululato scosse l'aria e mosse gli alberi circostanti. Uno dei passeggeri del treno gridò:

    «E' in arrivo una bufera!»

    Tutto d'un tratto da quelle nuvole grigie iniziarono a scendere dei fiocchetti bianchi, inizialmente erano piccoli e radi, ma poi questi granelli aumentarono di numero e dimensione. Essi si muovevano come in un ballo caotico, spinti dal vento forte e teso che li faceva ricadere a terra creando pian piano una spessa coltre bianca che si adagiò sopra quella già esistente.

    Per me questo fu uno spettacolo nuovo e meraviglioso, ma allo stesso tempo pauroso. Io infatti avevo il terrore del vento e del rumore che provocava attraversando quei poveri alberi che venivano sbattuti di qua e di là senza alcun motivo.

    Etchù! Ecco ho starnutito, lo sapevo, fa troppo freddo.

    Lo starnuto però ebbe un effetto positivo su mia zia perché finalmente capì il mio urgente bisogno di calore e mise un'altra coperta sul mio lettino.

    Nonostante ciò io provavo ancora freddo ed inoltre avevo una gran fame.

    Etchù! Starnutii di nuovo.

    Annabelle, infastidita, mi portò in una cabina in cui vi era uno strano oggetto metallico da cui fuoriusciva una fiamma incandescente.

    In questo luogo vi erano inoltre molti tavolini a cui sedevano le persone del treno per mangiare. Nell'aria infatti vi era un forte odore di arrosto e di brodo caldo. La zia si sedette ad un tavolo e un uomo le portò del cibo.

    Anch'io avevo fame, tuttavia nessuno si curava di me.

    Provai nuovamente a piangere, ma mia zia mi zittì dicendomi di fare silenzio perché nella sala vi erano tante persone e non voleva vergognarsi di me.

    Fortunatamente un cameriere si intromise affermando:

    «Forse il bambino ha solo fame. Aspetti che le porto qualcosa». Io allora sorrisi soddisfatto, però mia zia non fu del tutto contenta e sbuffò contrariata.

    Quando l'uomo tornò, ero felicissimo e dopo tanto tempo bevvi voracemente il mio biberon di latte.

    Finito il pasto ero talmente sazio che non riuscivo più a muovermi e mi addormentai.

    Al mio risveglio, mi guardai intorno e capii che eravamo tornati nella nostra cabina, era ancora notte e Annabelle stava dormendo profondamente emettendo degli strani grugniti simili a quelli di un maiale.

    Non mi sentivo molto bene, avevo un forte mal di testa e lo stomaco ogni tanto brontolava, probabilmente avevo mangiato troppo.

    La cena infatti, nonostante mi impegnai, mi tornò su e rigurgitai sulla coperta della culla.

    Un riluttante odore di latte andato a male pervase l'ambiente circostante e riuscì addirittura a svegliare quel tenore di Annabelle.

    Capì subito di cosa si trattava, prese la coperta e la gettò dal finestrino.

    Io però stavo ancora male, le cose intorno a me giravano all'impazzata e il dolore alla testa era sempre più insopportabile.

    Annabelle si accorse di me, mi mise una mano sopra la fronte e preoccupata disse:

    «Ma scotti! Hai la febbre!»

    Immediatamente mi sollevò e corse all'impazzata in ogni cabina del treno gridando:

    «Un dottore presto!»

    Dopo aver svegliato ogni singolo passeggero del treno, trovammo finalmente un medico che guardandomi dichiarò serenamente:

    «Stai tranquillo piccolino non hai niente, hai preso soltanto freddo, vedrai che domani starai meglio».

    «Per fortuna i miei guadagni sono salvi» sogghignò mia zia felice.

    Il mattino seguente, dopo aver sofferto tutta la notte, mi sentivo meglio, ma ancora non ero completamente guarito.

    Il Sole era finalmente tornato a dominare il cielo ed il treno era pronto a ripartire a tutta velocità.

    Io riuscii a sentire soltanto un forte fischio e mi addormentai di nuovo provato dalla febbre.

    Voi vi starete chiedendo come faccio a ricordare tutte queste cose di quando ero neonato... beh, la risposta è semplice, non lo so neanche io!

    Ma la cosa ancora più strana è ciò che viene dopo, ovvero il nulla.

    Da quel momento in poi non ho più un ricordo del mio passato e questo mi spaventa a morte. Ho provato di tutto per cercare nei meandri più nascosti del mio subconscio anche il più piccolo segno di ciò che era stato di me in quegli anni bui, ho persino chiesto aiuto ad una sedicente strega, senza però riuscire ad ottenere il ben che minimo indizio.

    CAPITOLO 3: L'ADOLESCENZA

    Oggi sono un giovane ragazzo di quattordici anni, un po' impacciato, con una grande passione per la natura in tutte le sue forme. Rimango per ore ad osservare la neve attecchire al suolo, non posso farne a meno, è come se quei soffici fiocchi bianchi avessero la capacità di ipnotizzarmi con il loro valzer sofisticato.

    Durante la notte mi piace ascoltare il sibilo del vento, mi aiuta ad addormentarmi. La natura probabilmente è per me un dolce rifugio che mi protegge dalla profonda tristezza della vita di tutti i giorni.

    Annabelle infatti non si è mai comportata come una madre, anzi a dir la verità nemmeno come una zia. Io per lei ero solo un oggetto, un portamonete. Di me le interessava solo l'eredità lasciata dai miei genitori che aveva già provveduto a sperperare quasi tutta tra gioielli, abiti tanto costosi quanto inutili, e gioco d'azzardo.

    Io proprio non la sopporto, ma purtroppo c'è di peggio, i suoi figli, i miei fratellastri per così dire. Per fortuna sono soltanto due Antoine e Dominic.

    Antoine ha 18 anni ed è un giovane molto prestante, alto, massiccio, con due grandi occhi neri ed una folta capigliatura color castano. Egli però ha un terribile passatempo ovvero quello di tormentarmi in ogni modo possibile e immaginabile. E' il classico bullo con un carattere forte e deciso che non puoi assolutamente contraddire o ne avresti pagato le conseguenze.

    Dominic invece d'aspetto è l'opposto del fratello, basso un po' grassottello, ma ciò che lo distingue particolarmente da chiunque altro è la sua voce roboante e decisa.

    Egli a differenza di Antoine preferisce prendere in giro

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