Il Moliere
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"Il Moliere" è un'opera di cui Goldoni andava fiero e che i contemporanei seppero apprezzare. Eppure essa non è né priva di interesse, né marginale nella produzione dell'autore. È infatti documento di un momento molto critico nell'itinerario professionale e artistico di Carlo Goldoni: attesta il suo dover confrontarsi con un pubblico - quello torinese del 1751 - che non lo misura con la Commedia dell'Arte in declino, ma con Molière, l'indiscusso maestro della commedia nell'Europa del tempo. Un confronto grazie al quale l'autore seppe riflettere sul suo rapporto con il commediografo francese e sul valore della sua riforma in un contesto europeo.
Carlo Goldoni
Carlo Goldoni was born in Venice in 1707. While studying Law in Pavia he was expelled from his College for having written a satirical tract about the people of Pavia. He continued his legal studies in Modena and finally graduated in Law in Padova. After practising this profession for a short while, he abandoned it in favour of the theatre. An extremely prolific theatrical career followed spanning over sixty years. Goldoni was a prolific playwright, widely regarded as the Italian Molière. He died in Paris in 1793.
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Anteprima del libro
Il Moliere - Carlo Goldoni
Il Moliere
Commedia in cinque atti in versi.
La presente Commedia fu rappresentata per la prima volta in Torino l’anno 1751.
Carlo Goldoni
Il Moliere
1751
Carlo Goldoni
Tutti i diritti di riproduzione, con qualsiasi mezzo, sono riservati.
In copertina: �Molière�, Charles-Antoine Coypel, 1730
Prima edizione 2012
Edita da guidaebook.com, servizio di editing digitale
Lettera dell’autore
ALL’ILLUSTRISSIMO E SAPIENTISSIMO
SIGNOR MARCHESE
SCIPIONE MAFFEI
NOBILE PATRIZIO VERONESE
Quando negli studi più ameni trattenevasi per diletto la fecondissima Vostra mente, Illustrissimo Signor Marchese, non isdegnaste rivolgerla anche al Teatro, credendolo oggetto degno dei Vostri pensieri e della Vostra mano. Voi rimarcaste la miserabile decadenza di questo nostro Teatro, e ne promoveste il risorgimento. Le Vostre più serie occupazioni, i gravissimi studi Vostri, coi quali rendeste glorioso Voi, non meno che la Vostra Patria e l’Italia tutta, non vi permisero donare all’altrui piacere que’ dì, quegli anni, che consacraste all’altrui erudizione; ma in brevissimo tempo fatto avete ciò che bastar poteva per animare gl’ingegni degl’Italiani a rendere l’onor primiero alle nostre Scene. Voi avete scritto elegantemente, e con verità, e con chiarezza, intorno al Teatro; avete dell’origine sua con erudizione trattato, e dimostrandolo utile non solamente, ma necessario alle più colte Nazioni; avete ad evidenza altresì dimostrato che le Commedie, principalmente di questo secolo, erano atte piuttosto a corrompere i buoni costumi, anzi che a correggerli o migliorarli. Voi sin d’allora, accordandovi co’ Teologi più discreti, che contro la scostumatezza dei Teatri parlavano, non vi accordaste già con que’ rigidi che avrebbono voluto e che vorrebbono tuttavia i Teatri in cenere, volendo che Teatro e Peccato sieno due sinonimi inseparabili fra di loro. Quella onestà che inculcaste nel Vostro Teatro Italiano, quella è necessaria nelle sceniche rappresentazioni: quella si osservi, quella si metta in pratica; si sferzi il vizio e non si solletichi; si pongano i difetti in ridicolo e non offendasi la virtù, e non saravvi allora Moralista zelante, che ecciti li Sovrani a demolire i Teatri, e indegne sostenga essere dei Misteri più sacri quelle persone che li frequentano.
Ma poco avreste Voi fatto, se di massime e di dottrine soltanto aveste i fogli vergati. Potrebbono con ragione opporre gli zelanti alla verità delle istruzioni Vostre la difficoltà dell’esecuzione, e con gravità sosterrebbono: il Teatro correggibile essere una chimera, l’onestà incompatibile colle Scene, lo scandalo certo, ed il pericolo manifesto. Voi avete dati gli esempi della correzione, della onestà, delle buone regole; della gravità del Coturno, dell’amenità del Secco, e contentandovi di dar un modello per ciascheduna sorta di Teatrale Componimento, faceste altrui comprendere che per riformare il Teatro mancavano soltanto gli Autori, che Voi e le Opere Vostre imitassero. Ma come, e da chi mai imitar potrebbesi la Vostra Merope, la quale lasciandosi indietro tutte le Tragedie antiche, sta qual maestosa Regina, mirandosi a piè del trono tutte quelle dei moderni Italiani? Io non intendo recar ingiuria ad alcuno, se la Tragedia Vostra sopra le altre ho collocata: in ogni genere di animate e inanimate cose, una dee avere sopra delle altre il primato, e se nell’ordine delle Tragedie italiane la Vostra Merope ha il primo luogo, si consolino i Tragici più valorosi, essere tant’alto di quella il grado, che posti luminosissimi rimangono per essi ancora. Coloro che contro la disonestà del Teatro non cessano di declamare, se questa perfetta opera Vostra avessero prima letta, o tacerebbono certamente, o rivolgerebbono le loro grida contro quelli che non si curano di imitarla. Essi per altro, che credono empio il Teatro senza conoscerlo (siccome noi barbari sogliamo chiamare que’ popoli, de’ quali siamo poco o nulla informati), scagliano il loro zelo contro la disonestà degli Attori, contro il comodo, l’occasione e il pericolo degli Spettatori. In quanto ai primi, vent’anni ormai sono, che portato dal genio mio teatrale, conversare ho dovuto con tutti quasi gli Attori nostri dell’uno e dell’altro sesso. Ho ritrovato fra questi delle donne lubriche, degli uomini scostumati, colle passioni istesse, coi medesimi vizi, come in altre brigate, in altri ordini di persone, in tante case, in tanti luoghi più rispettabili ho ravvisati. Ma vi ho trovato altresì uomini di tanta onestà, donne di tanta morigeratezza, che vergogna farebbono alle più ritirate. La giustizia ch’io rendo a tali discreti Attori, a tante oneste Attrici, non mi può essere imputata a passione. Informisi chi non lo crede, e troverà certamente che se il Teatro non è una scuola delle più austere virtù, troppo