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2 Mo(n)di per concepire la vita
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2 Mo(n)di per concepire la vita
E-book561 pagine7 ore

2 Mo(n)di per concepire la vita

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Info su questo ebook

...vedevo la notte nella sua interezza, scorgevo le stelle tutte intorno a noi come se fossimo sospesi nello spazio. Potevo ammirare l'immensità della creazione, quel vuoto infinito pieno del "Tutto" e mi ritrovai parte del "Tutto". La sensazione infinita di pace ed armonia mi pervase completamente, non sentivo più un corpo ma soltanto vibrazioni, movimento, sensazione armoniche e melodie che non arrivavano come suoni alle orecchie ma dritte al cuore...
LinguaItaliano
Data di uscita15 mar 2012
ISBN9788866187486
2 Mo(n)di per concepire la vita

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    Anteprima del libro

    2 Mo(n)di per concepire la vita - Saia Pasquale

    luce.

    PROLOGO

    La stagione estiva stava per cominciare e, di conseguenza, cominciava­no le vacanze. Brian, per tutto l'inverno, aveva lavorato con passione. Era un ragazzo simpatico, atletico e gentile che viveva immerso nei co­lori. La grafica pubblicitaria era, infatti, tutta la sua vita; tuttavia gli co­minciarono a balenare in mente una serie di pensieri...

    Gli stessi pensieri che si materializzavano in me che mi trovavo ad una distanza enorme...

    – Fin dagli albori della storia, in tutto il mondo, si sono susseguite innumerevoli le indicazioni essenziali al corretto vivere. In tutte le epo­che, gli uomini e le religioni, hanno sempre parlato di giustizia e di vir­tù, ma non è mai successo, a memoria conosciuta, che queste siano sta­te raggiunte.

    L'uomo ha sempre cercato di vivere a modo suo e lo ha fatto nella maniera più istintiva e, spesso, sconveniente.

    Sin dai racconti storici più antichi il mito è sempre stato rappresentato con figure giuste e virtuose che salvavano il mondo dal cattivo di turno.

    Credo sia giunta l'ora, proprio all'inizio del secondo millennio, di comprendere e mettere in atto quelli che sono i meccanismi di giusti­zia e uguaglianza che devono caratterizzare una civiltà. La storia è fat­ta di corsi e ricorsi di curve che vanno a destra e poi a sinistra, che sal­gono e poi scendono, tutte rappresentazioni dell'alternativa, della pos­sibilità di scelta tra due eventualità.

    Frasi fatte conosciute e ormai inflazionate; un denominatore comu­ne: il due.

    Nel mondo, il significato del due è la vita: l'azione combinata di due esseri viventi che generano.

    Da tempi remoti della nostra storia si può comprendere come l'uomo abbia cominciato a vivere cercando di migliorarsi e progredire a disca­pito del suo prossimo.

    Nel libro della Genesi (Bibbia) il diluvio che risparmiò Noè e altre sette persone fu una severa punizione al mondo che sanciva l'amara collera del Divino di fronte all'uomo, misero e materiale.

    L'arco, depositato sulle nubi rappresenta, da allora, l'alleanza tra il Creatore e l'uomo in ricordo di quell'episodio a conferma del fatto che un orrore simile non sarebbe più successo per mano divina.

    Forse, la promessa fattaci implicava la consapevolezza (da parte del Divino) che non sarebbe stato necessario. Tutti, infatti, abbiamo sem­pre avuto una sensazione innata: abbiamo sempre avuto paura della fine del mondo che, mai come adesso, sembra così attuale.

    Molte culture, persino arcaiche, rappresentano questi anni come gli ultimi e, tornando alla Genesi e ripensando alla promessa, è quantomai attuale il concetto che probabilmente il Creatore non distruggerà più la Terra creata o la vita che vi è presente, quanto l'uomo stesso, con tutte le sue illusioni: Chi più dell'uomo sarebbe capace, oggi, di autodi­struggersi!

    Credo sia giunto il tempo di agire e di mettere da parte le illusioni; che sia giusto guardare la Terra, e i popoli tutti, con una visione ampia e muoverci secondo i canoni che, da sempre, dovrebbero caratterizzar­ci.

    Le risorse militari garantiscono la nostra prigionia all'interno delle nazioni, non la libertà. Le guerre esistono soltanto perché ognuno cerca di difendere il proprio (?) territorio.

    Civiltà: una bella parola che rappresentiamo come culmine del suc­cesso dato dal percorso storico che abbiamo alle spalle. Oggi l'essere civili, e quindi parte di una civiltà, sembra voler dire che siamo supe­riori; sembra un concetto stupendo: il grado di civiltà raggiunto è in­commensurabile, si sente dire. Poi, girando l'angolo delle nostre illu­sioni ci accorgiamo che non siamo stati capaci nemmeno di garantire a noi stessi un grado di uguaglianza che non ci mortifichi.

    Pace: bellissima parola, ormai nella bocca di tutti. In realtà, però il concetto derivato letteralmente dal termine significa: accordo tra due belligeranti. Se poi cerchiamo il significato della parola nelle di­verse lingue europee scopriamo che vuol dire pagare e, quindi, pa­cificare o soddisfare un debito. Credo che sia pacifico, scusate l'eufe­mismo, che il concetto di pace che abbiamo nelle nostre menti, mentre lo concettualizziamo, sia molto diverso. La parola dovrebbe significare equilibrio nel senso più pieno ed assoluto, perché esiste la pace soltan­to se non c'è disputa e non c'è disputa soltanto se nessuno ha qualcosa da recriminare. L'equilibrio rappresenta quindi la soluzione a tutto: è riposo, armonia, buonsenso, stabilità. E' proprio il giusto tra due gran­dezze.

    Genesi (11) 6 - Il Signore disse: Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile..

    Non fu Gesù a dire: Dov'è la fine, là è il principio.? –

    1

    -Finalmente sono arrivate le vacanze!- Pensai.

    Sinceramente avevo lavorato molto, cominciavo presto e finivo in orario soltanto a volte. Avevo aspettato le ferie e, ora che erano arrivate, passeggia­vo su questa spiaggia.

    Il mare era calmo, notai. Si scorgevano tutti i dettagli nell'acqua: si vedeva la sabbia, le conchiglie, e qualche pesciolino minuscolo che arrivava sin quasi alla riva. Faceva caldo e decisi di stendermi sul telo che avevo portato con me. Non c'era una nuvola in cielo.

    -Avrei voluto giocare a decifrare le varie forme che prendevano.-

    Quel cielo azzurro mi rilassava, con il suo infinito, e mi avvolgeva al pun­to da non scorgere altro. Pian piano sentii le membra distendersi ed il vicino canto del mare contribuì al resto: mi addormentai.

    Ero completamente sereno, come il cielo, non faceva più troppo caldo, sentivo il dolce suono dell'acqua del mare, delle piccolissime onde che si ri­versavano sulla sabbia ad intervalli regolari; nonostante gli occhi chiusi notai una luce impetuosa che voleva attraversare le mie palpebre, divennero sem­pre più rosa, sentivo il calore sempre più forte. Cominciai a sudare. Pensai che il calore del sole si fosse accumulato in me facendo salire di molto la temperatura; decisi di alzarmi per fare il bagno.

    Ebbi una sensazione strana che mi balenò in mente, non capii bene cosa fosse; pensai che il caldo mi avesse fatto abbassare la pressione. Mi alzai e mi sentii diverso, sentivo nell'aria un forte odore che non riconoscevo e, avvi­cinandomi all'acqua, mi accorsi che non era familiare. Sembrava molto inso­lito, notavo delle macchie bianche in acqua, era come se ci fosse della carta o della plastica. Guardai quell'acqua per molto tempo, come se mi fossi incan­tato, mi sembrò di essere tornato indietro di almeno cento anni.

    Ricordai che mio padre mi raccontava di come, molto tempo fa, la gente gettasse i rifiuti dovunque: prima della grande riconciliazione, degli anni sab­batici, della presa di responsabilità e della coscienza collettiva.

    -Non è possibile!-

    Mi voltai verso la spiaggia e notai dei rifiuti sparsi. Avevo appoggiato il telo proprio accanto a fazzolettini di carta, bicchieri di plastica e cicche di si­garette.

    Dovevo essere stanco, pensandoci non andavo in spiaggia da almeno una settimana, non riconoscevo nessuno tra le facce presenti: dovevano essere tutti turisti.

    Quell'anno avevo lavorato sodo, avevo aspettato e sognato a lungo le va­canze e adesso mi sentivo un po' nervoso e deluso. Di solito, anzi, sempre, era stata perfetta la spiaggia. Guardai in alto e notai diverse nuvole che macu­lavano il cielo, pensai che dovevo essermi addormentato: prima non c'era nessuna nuvola, nemmeno all'orizzonte!

    Non avevo nessuna voglia di farmi il bagno. Mi era passata alla vista di quelle cose.

    Cercai una doccia e la trovai molto lontana da dove la ricordavo. Comin­ciai a pensare che avevano cambiato tutto. Mi lavai, mi asciugai e tornai sul lungomare; avrei fatto una passeggiata rilassante. Tornando verso casa notai molti negozi diversi da come li ricordavo. Risi tra me e me ed una commessa mi guardò stranamente. Dovevo essere buffo.

    I nomi delle strade erano identici, i negozi corrispondevano, ma i nego­zianti sembravano stranieri dandomi l'impressione di trovarmi in un altro po­sto!

    Rabbrividii quando arrivai a casa mia. La facciata era rosa, e le persiane di un grigio scuro metallizzato. Era una casa molto carina, intonata e ben fatta, ma non poteva trattarsi di casa mia! Non potevo aver dimenticato pure i colo­re della facciata!

    Cercai le chiavi, ma esitai, non sapevo se aprire la porta oppure suonare.

    -E' un sogno?-

    Non credevo ai miei occhi. Tempo prima avevo visto un film dove ad un certo punto il protagonista perdeva tutte le sue certezze ed i luoghi comuni. Ma questo non poteva essere nemmeno uno scherzo: in un pomeriggio non si poteva cambiare tutto quanto!

    Mi girai sulla strada e notai un grande contenitore pieno di rifiuti. Sentii una forte nausea e decisi di sedermi sullo scalino di casa.

    Doveva essere successo qualcosa. Non esistevano più quei contenitori, non c'era più immondizia da decenni, i negozi utilizzavano pannelli luminosi e non la carta per adornare le vetrine. Era un grande scherzo. Nello spazio di una dormita sulla spiaggia avevo perso tutte le mie certezze.

    Pensai di andare a fare una passeggiata in centro. Lì non avrebbero potuto cambiare nulla, non avrebbero mai avuto l'autorizzazione ad effettuare modi­fiche e lo scherzo sarebbe finito. Mi sentivo strano e stanco. Avrei voluto mangiare qualcosa.

    -Chi mi avrebbe potuto fare uno scherzo simile?-

    Camminando non vedevo nulla di strano tranne che i negozi, i cassonetti e la gente: non conoscevo nessuno.

    Non avrei mai pensato ad un evento simile, al fatto che di colpo la mia realtà sarebbe scomparsa. Era tutto reale! Guardai le mie braccia come per vedere se fossi in un sogno, provai a darmi un pizzicotto e sentii dolore, mi specchiai in una vetrina riconoscendomi... Anche in centro il negozio nel quale avevo comprato, la sera prima, delle radici di liquirizia era diverso: c'e­ra una ragazza che non avevo mai visto, la vetrina era completamente diffe­rente.

    Entrai. Fui preso dall'euforia; non potevo trattenere il mio viso dall'espri­mere un gran sorriso che si sarebbe presto trasformato in risata se non fosse per la ragazza che di colpo mi risvegliò.

    «E' un negozio molto divertente, ne sono convinta pure io.»

    Esitai un attimo, era molto carina e mostrava un sorriso compiaciuto. Ave­va un accento strano, mai sentito prima.

    «Pensavo ad una storiella prima di entrare e.. Mi si leggeva in viso, vero?»

    Lei notò il mio accento. Sorrise accennando un sì.

    Sul bancone c'erano carte da gioco di ogni tipo, souvenir, cartoline. Dove­vo trovarmi in un'altra epoca.

    -Certamente sto vivendo un sogno!-

    Non poteva essere uno scherzo e non ero pazzo, doveva essere un sogno; stavo rivivendo nei pensieri di un mio avo. Ho sempre pensato che le espe­rienze dei nostri avi rimanessero nel nostro Dna e quindi era possibile che stessi rivivendo un pomeriggio di una persona vissuta prima di me.

    Salutai la commessa con un sorriso e tornai sconfitto verso casa; control­lare tutto il centro sarebbe stato inutile, era tutto diverso e non sarebbe stato matematicamente possibile fare uno scherzo simile. Mi ritrovai fra due vie, e notai l'enorme differenza costruttiva tra l'edificio che si trovava dinnanzi a me e quello che ricordavo. Non avevo mai fatto un sogno così dettagliato, non riuscivo a capire.

    Decisi di intraprendere l'altra strada. Non sarei tornato a casa, volevo capi­re che significato potesse avere per me quell'esperienza.

    Notai un cantiere edile che dava sulla strada, era strano: dovrebbe essere tutto transennato, invece dalla carreggiata era possibile guardare all'interno del cantiere. Potevo vedere benissimo chi vi si trovava e sarei potuto persino entrare se non avessi temuto di essere fermato da qualcuno.

    Dei camion molto rumorosi stavano pompando del cemento.

    Notai i casseri. Erano di legno: pannelli di legno inchiodati tra loro e in­cravattati da piastre di ferro. Era il mio mestiere e forse stavo cominciando a capire perché vivevo quel sogno: dovevo trovarmi nel passato e, ricordando come presenti le parole di mio padre, cercai di studiare la situazione. In pratica desiderava che capissi l'evoluzione dell'edilizia negli ultimi cento anni per collaborare proficuamente alla programmazione futura.

    Noi non formavamo più i pilastri degli edifici con casseri di legno incra­vattati. Noi applicavamo delle forme di lamiera o plastica che venivano incer­nierate tra loro con sistemi a vite, semplici e resistenti. I nostri materiali non assorbivano come il legno e trattenevano tutto all'interno, senza sgocciolature.

    Ricordavo mio padre che mi illustrava l'evoluzione delle costruzioni: mi spiegava che le tavole erano state soppresse dopo la prima presa di coscienza nella quale il mondo riconobbe il legno come di vitale importanza per la no­stra sopravvivenza sul pianeta. Le tavole avevano tanti difetti che non per­mettevano alle costruzioni di passare gli attuali e severi test normativi.

    In origine, i casseri di tavola formavano una scatola vuota che avrebbe dato forma al cemento. All'interno della scatola i muratori formavano una vera e propria gabbia di ferro, legato da fili sottili di ferro dolce e malleabile, che costituiva lo scheletro della struttura che si sarebbe prodotta. La controin­dicazione più grande riguardo l'uso delle tavole era l'intercapedine, inevita­bile, che si formava tra una tavola e l'altra. Quando il cassero era pronto, il cemento liquido veniva gettato all'interno e vibrato; si sarebbe così solidifica­to ed avrebbe preso la forma della scatola.

    Attraverso le fessure delle tavole, però, il cemento, che è la parte più fine dell'impasto, colava verso l'esterno della forma e quindi l'impasto che rima­neva all'interno perdeva la sua parte più importante.

    La miscela cementizia, o impasto, è costituita da sabbia, cemento, ghiaia e acqua; il cemento è il vero e proprio legante; un dosaggio basso, in rapporto alle altre componenti, avrebbe prodotto un risultato fragile e soggetto a sgre­tolarsi in poco tempo.

    Notai come il cemento colava in mezzo a quelle tavole. Sotto ogni pilastro si formavano pozzanghere molto grandi e scure.

    Se fosse stato il cantiere dove lavoravo non ci avrebbero mai firmato i con­sensi e saremmo stati costretti a demolire e rifare tutto.

    Guardavo sbigottito: vedevo un autista che comandava il pompaggio dal proprio camion, un altro autista che colava cemento dalla propria betoniera e un paio di operai che infilavano e tenevano i tubi che portavano il cemento li­quido nei casseri. Non c'era nessuno a vibrare i pilastri. Ripensai a quando mio padre mi insegnò a vibrare: il vibratore è un piccolo tubo metallico che vibra nel vero senso della parola. Quando si getta il cemento in un cassero, si inserisce l'ago vibrante nell'impasto e questi comincia a distendersi, riem­pie ogni spazio all'interno della forma e espelle tutte le bolle d'aria. La vibra­zione dell'impasto è fondamentale per la buona riuscita della struttura.

    Probabilmente in quell'epoca la vibrazione non veniva ancora usata.

    Mi vennero in mente tutta una serie di spiegazioni che mi venivano date nei momenti liberi. Ricordai in particolare un episodio: una forma di plastica si era bucata e stava uscendo del cemento liquido. Mio padre mi spiegò che, anche con un dosaggio ottimo il risultato sarebbe stato scarso per via della quantità di cemento che stava uscendo. Lo tappammo con un sacco di carta bagnata.

    Pensavo a tutte quelle case costruite in quel modo.

    Mi rincuorai di vivere un semplice sogno.

    Passarono delle persone e avrei voluto domandare loro la data, avevo una voglia matta di capire dove mi trovavo, o meglio quando mi trovavo. Non ne ebbi il coraggio: cosa mi avrebbero risposto?

    Tornai indietro e ripensai alla mia vacanza.

    Non potevo certo lamentarmi: mi trovavo all'estero!

    Camminando per strada guardavo quelle scatole d'immondizia: erano dei veri e propri cassonetti di metallo, sporchi e ammaccati. Nessuno me ne ave­va mai parlato, ma potevo sentirne l'odore; non avrei mai dimenticato quell'e­sperienza! Mi passò accanto un motorino ed un odore acre mi invase le nari­ci, non credevo ai miei occhi, quel motorino faceva fumo! Doveva bruciare olio dall'odore che faceva. Andai verso la via principale (in quel punto il traf­fico non era consentito), volevo vedere le macchine antiche, e ne rimasi stu­pito, anche se sapevo a cosa andavo incontro. Nei film storici avevo notato quelle automobili rumorose, quelle fumarole, ma adesso potevo sentirne l'o­dore!

    -Mi trovo in un film-

    Le targhe erano colorate e riportavano sequenze di numeri e lettere, questa cosa mi colpì molto. Nelle targhe non avevo mai visto simili sequenze. Ero sicuro che si fosse usato sempre il codice identificativo; ognuno di noi ne aveva uno che serviva a tutto, a contrassegnare il veicolo che si guidava, la propria documentazione, il quadro clinico, persino la tessera per la palestra!

    Non ricordavo un'epoca nella quale vigessero altri codici.

    -L'affare si complica-

    Nessuno usava i cicli, qualcuno i pattini, c'erano molti motorini fumanti e sentivo una miriade di odori che si confondevano, persino la gente che passa­va usava profumi sconosciuti.

    Cominciavo ad essere stanco, ma non potevo rincasare.

    Quando sarebbe finito il sogno? E se non finisse? Cosa avrei potuto fare?

    Ero stanco, avevo fame e sete.

    Tornai sul lungomare.

    Optai per un gelato e mi avvicinai ad un chiosco. Ero sicuro che ci fosse un prato libero, invece c'era una capanna usata come rivendita di gelati e be­vande.

    I gelati, che erano raffigurati su una lamiera colorata, mi erano sconosciuti: avevano nomi strani e mai sentiti. Mi fermai a guardare, mi meravigliai anche di questo.

    Mi assalì un dubbio: ma i soldi erano uguali? Esitai e frugai in tasca: ave­vo dei pantaloncini. Tirai fuori una moneta, non portavo mai al mare le varie carte ed i codici. Avevo addosso una moneta che non conoscevo! La presi e vidi un grande 2 in rilievo; pagai un gelato racchiuso da due biscotti: non cre­detti al gusto che percepivano le mie papille gustative. Era miele! Era un ge­lato fatto d'acqua e zucchero mischiato a qualcosa che assomigliava al latte in polvere.

    Rimpiansi la mia vita normale. Questo non poteva essere un sogno. Non terminava mai, potevo sentire gli odori ed i sapori, ed era tutto maledettamen­te reale!

    -Come potevo mangiare quel gelato? Sarei diventato immediatamente dia­betico mangiandolo-

    Certo, in fin dei conti nell'impasto del gelato le materie che costano meno sono l'acqua e lo zucchero per cui tutto tornava al passato, quel passato prima della riconciliazione, prima di tutti quei processi internazionali che ci fecero passare tra la vecchia e la nuova coscienza.

    Lo avevamo studiato bene: cercavano il guadagno del singolo convinti che la propria ricchezza venisse prima di tutto; era l'epoca in cui si inquinava e si produceva senza alcun controllo. L'epoca delle improvvisazioni dove chi ave­va più visibilità faceva legge. Mi sembrava di mangiare quella condizione, di vivere in un posto dove si può improvvisare un mestiere e mettere a repenta­glio le altrui vite senza pensare che in realtà la responsabilità di quei compor­tamenti sarebbe ricaduta addosso agli autori. Avrei dovuto studiare la civiltà del passato per poter capire di più in che epoca mi trovavo.

    Ma perché mi trovavo in quel posto? Mi chiedevo cosa mai avessi dovuto fare per tornare alla mia realtà.

    Ripensai ad un vecchio libro che raccontava di avvenimenti che comin­ciano e finiscono ciclicamente. Tornai alla spiaggia. A malincuore gettai il gelato in una pattumiera e tornai nel posto dove era iniziato tutto, proprio lì dove avevo appoggiato il telo qualche ora prima.

    Non c'era più molta gente e rimasi davvero sconvolto, rabbrividii. Cosa avrei fatto in un posto del genere, rinchiuso nel passato?

    Mi distesi sul telo, che era rimasto al suo posto, e guardai il cielo cercando di rilassarmi. Ero sicuro che, se mi fossi riaddormentato, tutto sarebbe tornato come prima. Mi accorsi di una cosa sconvolgente: su di me, molto chiara, c'e­ra una Luna molto grande. Si vedeva poco perché c'era ancora molta luce, ma non la ricordavo così grande! La maggiore delle nostre lune era più piccola di questa e ne aveva, sempre attorno, un'altra. Non potevo trovarmi nel passato; cominciai a non capirci più nulla. Mi prese un crampo allo stomaco, non so se fosse fame o sete, stanchezza o il caldo.

    Cercai di rilassarmi. Quella condizione o sogno mi aveva agitato: forse era una punizione per gli studi che non avevo voluto fare!

    Disteso al sole ricominciai a sentire caldo, le palpebre si illuminarono, da scure diventarono sempre più rosa. Non volevo aprire gli occhi, avevo paura.

    2

    Sentii un profumo familiare. Ero contento! Sapevo con esattezza chi fosse. Quel profumo proveniva da una crema abbronzante che usava una mia amica. Sentivo qualcuno muoversi molto vicino a me e, sapendo che Isa era una per­sona molto educata e rispettosa, sapevo che aveva appoggiato il telo accanto al mio senza distrarmi o disturbarmi dal mio sogno. Mi sentivo già meglio!

    Con lei, negli ultimi tempi, passavo molto del mio tempo libero; l'avevo conosciuta qualche anno prima durante l'estate e, la sua simpatia, mi coinvol­se subito. Aveva un magnetismo particolare ed esercitava su di me una legge­ra attrazione. Tuttavia eravamo rimasti a distanza di sicurezza, forse per stu­diarci oppure per conoscerci senza implicazioni.

    Dopo le scuole avevo avuto diverse storie con un paio di ragazze, ma con lei non mi ero lasciato andare, mi piaceva la sua compagnìa e, ne sono sicuro, la cosa era reciproca. Da quelle piccole sfumature avevo cominciato a capire il grande impero dei sensi e l'importanza dell'atmosfera giusta che si instaura­va tra due persone.

    Aprii gli occhi e mi voltai verso di lei.

    «Ciao.» mi disse.

    «Ciao.» risposi. Ma stranamente non riuscii a mostrare entusiasmo.

    «Non credo tu sia di buon umore, guardandoti sembra quasi che le vacanze stiano per terminare.»

    «No, sai che non è così, ma ogni tanto succedono cose che non capisco.» Mi alzai a sedere sul telo a guardare il mare. Poi andai verso l'acqua. Ero su­dato. Il mare era tranquillo, pulito.

    Guardai la spiaggia, non c'era nulla. Era tornato tutto al suo posto, così guardai in cielo: non c'erano nuvole e non c'erano le lune e nemmeno quella Luna grande che mi aveva sconvolto.

    Isa mi guardava stupita; non mi ero comportato bene, ma non sapevo nem­meno cosa dire. Avevo sognato, e su questo non avevo dubbi, ma era troppo reale per essere un sogno così decisi di raccontarglielo.

    Dopo che trovai le parole lei si alzò a sedere e mi ascoltò con attenzione. Non capiva, cercava di decifrare qualcosa, ma non disse nulla.

    «Non credo sia un sogno comune o normale, ma è come se avessi viaggia­to, ero qui ed adesso sono ancora qui. Isa credimi, era troppo reale!» esitai. Poi ripresi a parlare: «Mi ha colpito la luna molto grande, e la civiltà diversa.» lei mi guardava incuriosita. «Era come se avessi visto un film, ma facevo parte del set; potevo sentire gli odori ed i gusti, sentivo la fatica, la fame, la sete.» ero ancora agitato.

    «E' stato un sogno, goditi le vacanze!» disse alzandosi, «Dai, andiamo in acqua!»

    La seguivo esitante, mi guardavo attorno, guardavo la spiaggia e le case intorno. Avevo molte certezze. Cercai di tornare in me, di fare un buon ba­gno, una bella nuotata. Gli amici di sempre ci raggiunsero, giocammo in ac­qua.

    Il sole era invadente, giocavamo a rimbalzarci la palla contando le battute e penalizzando chi non riusciva a rimandarla al gruppo. Era possibile rimbal­zare la palla con le mani, la testa o i piedi. L'obiettivo: non farla cadere in ac­qua. A dire il vero una specie di pallavolo acrobatica. Un gioco molto diver­tente che faceva diventare goffo e spassoso anche il più serio del gruppo.

    Dopo un po', decisi di tornare sul telo ad asciugarmi. Guardavo gli alberi che segnavano il viale del lungomare, i colori erano accesi, intensi, e vidi le lune sullo sfondo, appena sopra il tetto di una casa. Erano due sfere chiare che vegliavano sul pianeta che ci ospitava. Una piccola ed una grande il dop­pio, due satelliti sempre uniti tra loro. Ero sicuro che il satellite che avevo vi­sto in sogno fosse più grande e... Solo! Non potevo averne la certezza assoluta perché la piccolina poteva essersi eclissata, ma l'eclissi durava poco. Sapevo che niente succedeva per caso, così decisi di ricaricarmi d'energia.

    Seduto sul telo fissai l'orizzonte tra cielo e mare, l'immagine si sfocò subi­to. Mi ero rilassato guardando le lune. Vidi subito un'energia scintillante che si trovava ovunque. Come sempre, quando mi rilassavo mi venivano in mente dei flash e delle immagini come fossero ricordi. Un brivido mi assalì. Quello che avevo fatto non era un sogno, ma un viaggio incomprensibile, non un in­canto, una fantasia, ma un vero e proprio spostamento. E se, riaddormentan­domi, fossi tornato in quel posto? Sicuramente era una circostanza necessaria, se avveniva c'era un motivo. Dovevo scoprire quale!

    Isa si sedette accanto a me fissandomi. Sapeva che mi stavo rilassando cer­cando di capire.

    «Non credo che in seguito a stress uno faccia dei sogni particolari.» mi disse compiaciuta, ed aggiunse: «Magari hai rivissuto un'esperienza di un tuo avo, sai cosa dicono delle realtà parallele.»

    Avevo pensato a qualcosa di simile, poi pensai che, probabilmente, avrei avuto una risposta più avanti. Avevo vissuto un'esperienza che, ne sono sicu­ro, avrebbe avuto un seguito. Così rimasi a fissare l'orizzonte e non risposi. Pensai a lei, ero convinto che prima o poi sarebbe entrata nella mia vita. Se dovesse essere coinvolta ancora non lo sapevo.

    Isa era una ragazza molto dolce e comprensiva; mi sarebbe stata vicina sempre. Sentivo che mi stava accanto, prendeva il sole e avrebbe aspettato che io mi fossi ripreso, senza aggiungere nulla. Non eravamo mai stati insie­me e provai una sensazione particolare. Mi accorsi solo allora che tra noi c'e­ra qualcosa di più di una amicizia, c'era complicità e voglia di starsi vicino.

    Ripensai ai nostri momenti insieme. Ci si incontrava nel fine settimana, si girava in bici oppure andavamo a fare delle lunghe passeggiate parlando di tutto. Andavamo al cinema, a vedere qualche film in casa di amici, a fare fe­sticciole, ma non ci eravamo mai avvicinati oltre il punto di non ritorno, quel­lo oltre il quale scatta la scintilla che ti travolge. Pensandoci bene lei non si era avvicinata a nessuno ultimamente, e nemmeno io. Stavo pensando a que­ste cose dopo più di un anno che ci eravamo conosciuti; chissà, forse anche lei aveva pensato alle stesse cose.

    Ma certo! Era molto sveglia.

    Le ragazze sono molto avanti ai ragazzi per quel che riguarda queste si­tuazioni.

    Io ero molto preso dai cambiamenti degli ultimi anni, e lei conosceva la mia situazione e ne comprendeva gli aspetti. Probabilmente aveva aspettato questa vacanza per capire cosa provavo per lei. Adesso percepivo la sua pre­senza e probabilmente ne ero attratto. Mi voltai a guardarla, era distesa, mol­to bella. Un corpo longilineo e snello, ma non magro, una carnagione chiara e delicata, capelli lunghi e scuri con un viso dai tratti molto dolci e delicati. Era distesa su un telo bianco con delle righe colorate, aveva ancora un'abbronza­tura leggera; i lunghi capelli, color cioccolata, stavano raccolti appena sopra la spalla.

    Ripensai alla sera prima: ci eravamo incontrati per caso mentre passeggia­vo. Mi aveva guardato con aria sicura. Quello sguardo mi aveva fatto quasi rabbrividire, ricordo di aver provato una sensazione profonda, mi sembrò di conoscerla da sempre. Rivedevo il suo sguardo furbo e gentile, due occhi ca­stani molto profondi.

    Mi guardò facendomi risvegliare. Sapeva che l'avrei guardata e sentiva che lo stavo facendo adesso.

    -Il sesto senso femminile è infallibile-

    «E' la prima volta che stiamo al mare insieme, vero?» mi disse.

    «Sì.» risposi. Mi sentivo goffo ed impacciato. Mi aveva colto in flagrante mentre la osservavo e non sapevo cosa aggiungere.

    Ci pensò lei a togliermi d'impiccio: «Ho notato che eri assorto nei tuoi pensieri e questo sole pomeridiano è formidabile per un'abbronzatura che duri.»

    «E' il mio primo giorno e mi sento uno straniero. Mi riprenderò.»

    «Ne sono sicura.» disse mettendosi a sedere.

    Guardandomi aggiunse: «Ti va di fare una passeggiata? Sento caldo, e con i piedi in acqua staremo molto meglio.»

    Era già in piedi.

    Decisi di seguirla. Camminammo sulla riva del mare per un bel po' di tem­po. L'unica cosa che decisi di dirle riguardo la mia avventura fu che sapevo che si sarebbe ripetuta. Lei non commentò.

    Avevo notato i tetti delle case che stavano sul lungomare. Io ne avevo montati diversi, mio padre tantissimi, eppure solo adesso notavo alcuni parti­colari.

    Pensandoci mi ero trovato in un'epoca nella quale i tetti erano ancora rico­perti di tegole, o di pannelli che servivano a non far entrare la pioggia all'in­terno degli edifici. Solo negli ultimi decenni si era capito che i tetti erano in­dispensabili come le fondamenta. Costituivano approvvigionamento energeti­co ed idrico, mezzo di comunicazione ed isolamento. In pratica il tetto di una casa era come la testa del corpo umano. Forse quel viaggio era servito a farmi capire cosa era cambiato tra le epoche e quale era stato il percorso che aveva­mo fatto.

    Dovevo fare una ricerca. Avevo visto la moneta. Attraverso il conio sarei potuto arrivare all'anno.

    Arrivò la sera, osservammo il tramonto sul mare, il cielo era rosa. Isa era sempre più bella, non mi toccava, ma percepivo il suo essere accanto a me. Ci sfioravamo di continuo.

    -L'estate è un momento magico-

    Tornammo ai teli e li raccogliemmo, mettemmo le scarpe e, tolta la sabbia dai piedi sulla scalinata, ci salutammo. Le presi una mano, la avvicinai a me e le baciai la guancia. Ci guardammo. Quella sera l'avrei rivista.

    Appena fui davanti casa ebbi un brivido: il ricordo della casa rosa con le persiane scure era vivo e presente. Esitai prima di entrare. Non poteva essere un sogno, era troppo reale, non mi era mai successa una cosa simile.

    Mi collegai alla rete Sun-net e cercai i coni dei vari paesi prima della gran­de riconciliazione, ma non trovai nessuna moneta che rispecchiava quella che avevo vista nel sogno.

    Mi chiamarono a tavola.

    Durante la cena non parlavamo mai di cose spiacevoli, mai di avventure che potevano far discutere. Decisi di rivelare il sogno a mio padre. Ascoltò il sunto che avevo fatto. Anche mia madre ascoltava. Non dissero quasi nulla tranne la normale sorpresa per un sogno reale e strano come quello. Era quasi sopraggiunta l'ora di uscire quando mio padre mi disse di osservare bene il mondo che avrei visitato. Era sicuro pure lui che ci sarei tornato.

    Quella frase mi lasciò un po' stranito. Sembrava quasi che lui avesse avuto un'esperienza simile.

    Mentre mi facevo la doccia ripensai a cosa avevo visto, quale periodo ave­vo visitato, la moneta. Decisi di uscire senza pensare ad altro. Probabilmente era stato un semplice sogno e ci stavo riflettendo troppo. Qualunque cosa fos­se era necessaria per cui, se degna di nota, si sarebbe ripetuta e ne avrei sapu­to di più.

    Uscii di casa e mi ritrovai a fare lo stesso giro che avevo fatto nel sogno: le vetrine erano come le avevo sempre viste. Ogni negozio aveva diversi pan­nelli luminosi costruiti con le ultime tecnologie disponibili. I pannelli, sottili ed a basso consumo, erano delle vere e proprie televisioni che riportavano le offerte interne e varie pubblicità delle ditte che rifornivano i negozi. Alcuni erano trasparenti e lasciavano entrare la luce all'interno, altri erano dei veri e propri schermi, altri ancora delle televisioni. Mi sentivo a casa. Quando arri­vai al negozio delle liquirizie mi fermai, non avevo il coraggio di guardare l'interno, temevo di rivedere quella commessa. Mi sentii chiamare e proseguii senza voltarmi. Isa era seduta su una panchina, era veramente radiosa, mi tra­smetteva una positività senza confini. Decidemmo di camminare per il centro anche se faceva caldo; e proseguimmo per il lungomare.

    «Non camminavo tanto da mesi, nemmeno in bici faccio tanta strada.»

    Lei mi guardò teneramente, sapeva che avevamo camminato tanto perché avevamo tante cose da dirci e perché sentivamo tutti e due una gran voglia di stare insieme.

    «Ti va di sederti?» le dissi di fronte ad una panchina che si affacciava al mare.

    «Certo, oggi è stata una giornata faticosa, e quando si è in vacanza è come se ci si affaticasse di più.» e si accomodò sulla panchina.

    Avevamo parlato dell'ultimo periodo, di una amica comune che aveva viaggiato molto e dell'estate che era cominciata. Stavamo organizzando una paio di serate in compagnìa di amici.

    Passò Thomas, era esitante ed incerto sul fermarsi. Lui era stato da sempre un amico fidato, un compagno di viaggio allegro ed indimenticabile, sempre capace di far passare il tempo in ottima compagnìa. Mi sarebbe piaciuto con­tinuare la serata anche insieme a lui, ma avrei messo Isa in imbarazzo.

    Fui molto risoluto: «Allora ci vediamo sulla spiaggia domani? Ti devo rac­contare un paio di cose.»

    Mentre si allontanava, dopo averci salutato, guardai Isa, aveva due occhi magnifici che mi comunicavano sensazioni incredibili ed indescrivibili. Mi avvicinai e la baciai teneramente. Lei non si mosse, rimase immobile. Ero inebriato da lei, dal suo profumo, dalle sue labbra morbide. La guardai inten­samente e lei continuava a non dirmi niente, non voleva spezzare il momento, ed io avrei voluto baciarla e ribaciarla all'infinito. Le appoggiai un braccio in­torno al collo e la ribaciai.

    Poi mi avvicinai al suo orecchio. «Sei magnifica, unica ed irresistibile.» le sussurrai piano.

    Lei passò il braccio dietro la mia schiena e mi strinse forte. «Anche tu sei unico ed irresistibile.»

    Non volevo modificare nulla di quel momento. La stringevo forte a me. Guardammo le stelle seduti sulla panchina. Ne caddero diverse, ero felice.

    «Desideravo tanto baciarti, abbracciarti e stringerti.» mi disse ad un tratto.

    «Anch'io.» ed aggiunsi: «Questo momento è fantastico, come te! Voglio che tu mi stia accanto. Ti desidero da un po' di tempo ed oggi ho trovato il coraggio.»

    Lei mi guardò intensamente. «Ti starò accanto.» disse.

    Non scorderò mai quello sguardo.

    Ci alzammo dalla panchina e tornammo verso il centro, passeggiavamo mano nella mano. Mi sentivo pieno di soddisfazione. Lei, in fondo, mi stava accanto già da un po' di tempo: non stavamo insieme, però avevamo preso un impegno tacito. Né io né lei avevamo avuto né pensato nessuno negli ultimi mesi.

    Stranamente, sulla via del ritorno, parlammo molto meno. Erano le nostre anime a parlare, i nostri corpi che si toccavano attraverso le mani, erano i no­stri sguardi a comunicare.

    L'accompagnai a casa. La baciai sotto il portone e tornai a casa mia. Lei mi guardò ancora senza dire nulla.

    Certe volte uno sguardo comunica più di mille parole.

    Ero davvero stanco. Appena appoggiai la testa sul cuscino mi addormen­tai. Pensai per un attimo che mi sarebbe potuto succedere di nuovo quel so­gno, ma non riuscii a concludere il pensiero in tempo.

    3

    La mattina seguente mi svegliai molto riposato. Mi sentivo tremendamente bene e pensai ad Isa. Presi il telefonino e le mandai un messaggio: Mi sono appena svegliato, ti penso. Rivedo i tuoi occhi e rivoglio le tue labbra. Erano le nove. Lei dormiva ancora.

    Non riuscivo a dormire fino a tardi. Mi sarebbe piaciuto passare una va­canza facendo tardi la sera e dormendo fino a mezzogiorno. Ripensai subito a mio padre, la sera prima fu misterioso, sono sicuro che avrebbe voluto dirmi qualcosa. Chissà che esperienze aveva provato.

    Mi alzai e scesi a fare colazione. C'era del caffè sulla cucina, i miei erano usciti. Accesi il pannello sulla parete. Era uno schermo che fungeva da TV e permetteva accesso alle reti.

    La cucina che mio padre aveva preparato era ben fatta, c'era una parete at­trezzata che conteneva tutte le parti della cucina, elettrodomestici, fornelli, la­vastoviglie e lavabi. Al centro c'era un bel tavolo rettangolare con l'isola por­ta tutto che avevo inventato io, e sulla parete opposta a quella attrezzata c'era un pannello luminoso che ci permetteva di vedere la TV via cavo e di colle­garci a tutte le reti. Mi soffermai su un programma di quiz matematici e ri­guardai l'isola sul tavolo. Ripensai a quando l'avevo costruita, a quando la portai a tavola, allo stupore ed alle discussioni sull'effettiva utilità. Come al solito le mie idee rivoluzionarie avevano diviso tutti: avevo, infatti, rifatto il tavolo ritagliando la parte centrale.

    In pratica ne avevo fatto un foro che riprendeva la forma del tavolo e che era largo un po' più di una bottiglia. Nel foro avevo introdotto una mensola che si trovava sotto il livello del tavolo in modo che inserendo le bottiglie su di essa queste uscissero dal piano del tavolo per metà. Sopra alla stessa avevo posizionato un'altra mensola che permetteva di posizionare tutto quello che sulla tavola non trova mai spazio. In questo modo sul ripiano c'erano sempre la bottiglia d'acqua, dell'olio e dell'aceto in basso ed il pane, la frutta le spezie e le posate sull'isola. Ero soddisfatto, anche perché avevo ricevuto compli­menti da tutti quelli che l'avevano vista e usata.

    Avevo bevuto del latte freddo con un po' di caffè accompagnato dal pane, che inzuppavo, come ogni giorno. Non mi andava di collegarmi alla rete, avrei trovato decine di messaggi di amici e pubblicitari. Volevo staccare.

    Isa non aveva ancora risposto quindi decisi di andare a fare un giro in bici. Arrivai in periferia, il paese non era grande, era una piccola località di villeg­giatura che veniva invasa dai turisti nei mesi estivi. Guardandola dalla colli­netta che sovrastava i tetti delle case era possibile ammirare il paese longili­neo che era costeggiato dalla spiaggia su un lato, e da un boschetto verde sul­l'altro. Se avessi voluto dipingerlo avrei disegnato una striscia che sfumava dal blu all'azzurro, poi una striscia gialla, una scura ed una verde; tutte unite, l'una accanto all'altra.

    Ammiravo i tetti ricoperti di vetro scuro-brunito. Ripensai a come li co­struivamo. La maggior parte era costituita da uno scheletro di cemento arma­to coperto da un reticolato di legno ed alluminio. Una superficie di pannelli di vetro rifiniva la struttura qualche giorno prima della consegna dei lavori. I pannelli fornivano energia elettrica e calore. Le case, infatti, erano collegate tra loro da reti elettriche che fornivano e prendevano energia dalle centrali di smistamento. Ogni quartiere era completamente indipendente e forniva cor­rente alle strade. Mi resi conto che avevamo raggiunto un equilibrio energeti­co sufficiente. Ripensai al sogno. Decisi così di tornare a casa a fare una ri­cerca sull'evoluzione delle costruzioni. L'aria cominciava a diventare calda.

    Tornato a casa andai nella mia stanza e cominciai a cercare come si era evoluto il mondo delle costruzioni. Con una certa sorpresa capii che l'evolu­zione vera e propria ed i grandi cambiamenti si erano avuti soltanto dopo la grande riconciliazione. Io non ero molto informato su quello che realmente accadde e i documenti da consultare erano migliaia se non di più. Dovevo trovare una soluzione facile e veloce. Ripensai a mio padre, ma la logica mi portò a mio nonno. I miei tornarono, sentivo rumoreggiare; così scesi in cuci­na.

    «Buongiorno! Ma ti sei alzato adesso?» disse mia madre che stava siste­mando la spesa.

    «No, ho appena fatto un giro in bici.»

    Mio padre mi guardò come se sapesse che gli stavo per chiedere una cosa. Mi arrivò un messaggio.

    «Papà, ho fatto qualche ricerca, ma ho pensato che dovrei ripassare meglio la storia.»

    «Sto andando dal nonno, ti va di venire?» La sua risposta mi spiegò tante cose. Lo seguii.

    «Quando mi hai detto del sogno ho ripensato ad un'esperienza simile che mi raccontò tuo nonno molti anni fa.» Non proseguì oltre, probabilmente vo­leva scoprissi tutto da solo, o forse non era chiaro nemmeno a lui cosa avevo provato.

    Lessi il messaggio: Le labbra sono mie! Ma alle tre sarò al mare, felice di donartele. Mi intrigava. Ero felice.

    Camminammo un pochino fino a casa dei nonni. Mia nonna non c'era più, ci aveva lasciati qualche anno prima. La sua assenza si sentiva, ma mio

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