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Onde infrante
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E-book130 pagine1 ora

Onde infrante

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Info su questo ebook

In seguito a un episodio traumatico ha lasciato il lavoro di giornalista e ora esercita come fotografa part-time. È il tentativo di riprendere per mano la vita. Ripercorre i primi approcci della relazione con Raffaele, fino al momento che ha rappresentato lo spartiacque, quando lui le ha proposto di unirsi al suo gruppo per rubare delle opere d’arte. Lara sbatte le ali come una farfalla impaurita, ma non fugge. Nel gruppo si crea un incastro casuale ed efficace tra i personaggi dal quale emergono affetto, solidarietà, una fiammella inaspettata che placa il gelo dell’anima. Si lega a loro come un’ape all’alveare e l’elemento aggregante ha il sapore del miele.
Ma c’è un tempo per ogni cosa. Così, come un sasso che cadendo dalla rupe rotola e porta con sé altri sassi, fino a creare una valanga, nel tempo di un battito di ciglia, nulla sarà come prima.
LinguaItaliano
Data di uscita16 lug 2016
ISBN9788869630989
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    Anteprima del libro

    Onde infrante - Giada Montaruli

    Giada Montaruli

    ONDE INFRANTE

    Elison Publishing

    L’immagine di copertine è una foto di Francesco Girone

    Proprietà letteraria riservata

    © 2016 Elison Publishing

    www.elisonpublishing.com

    elisonpublishing@hotmail.com

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Elison Publishing

    Via Milano 44

    73051 Novoli (LE)

    ISBN 9788869630989

    "Siamo fatti della materia di cui sono intessuti i sogni

    E la nostra breve vita è circondata dal sonno"

    William Shakespeare

    UNO

    Era la terza volta che salivo quelle scale e le sensazioni che mi suscitavano erano ancora indefinite: non abitudine, certo no, ma neppure estraneità. Una sorta di familiarità in generandi, se così si può dire. Non gioivo in prossimità dell’appuntamento ma neanche detestavo presenziarvi. E di questo mi rallegravo. Conoscendomi da un numero di anni che iniziava ad essere significativo, sapevo che quando una cosa mi veniva a noia, i successivi, inevitabili passi erano nell’ordine: l’insopportabilità, intolleranza e fuga, peraltro tra loro vicini e non mercanteggiabili.

    Il campanello suonò, aspro come lo ricordavo, la porta si aprì e poco dopo ero nella stanza del dottore, seduta davanti alla scrivania a osservare i titoli dei libri dalla impeccabile libreria alle sue spalle.

    Allora, come va oggi? Meglio dell’ultima volta?

    Va meglio di ieri e decisamente meglio dell’ultima volta, che era settimana scorsa. Non tutti i giorni sono uguali e questi per fortuna vanno in crescendo. Lo slancio che misi nella risposta non fu naturale e subito dopo, per qualche istante, mi parve di aver esaurito la forze e non poter dire null’altro. Feci uno sforzo per liberare la mente e un respiro che non passò inosservato all’occhio attento dell’interlocutore, nonostante il tentativo di vestirlo con le sembianze di uno sbadiglio. Poi tornai a guardare il dottore, con aria indifferente che non ammetteva repliche.

    È vero, non tutti i giorni sono uguali. ripeté scandendo le parole.

    Si, è una frase che mi ha detto un giorno mio padre.

    Ha voglia di parlarne?

    Ero in un momento di difficoltà, non credo particolarmente arduo, non ricordo esattamente la situazione, poteva essere negli anni dell’università, uno sconforto generalizzato, come quelli che ogni tanto ti prendono e ti trascinano, appesantendo le gambe e rallentandoti i passi… ecco mio padre mi disse è normale, non ti devi preoccupare, non tutti i giorni sono uguali. Domani piove e quando piove ti bagni. Dopodomani potrà grandinare, ma il sole tornerà, così come le nubi a offuscarlo. Le situazioni si alternano, il corpo alcuni giorni è più forte altri meno, l’importante è prendere il meglio di quello che viene, accettandolo e impegnandosi per migliorare. Ogni tanto questa frase mi torna in mente e mi tiene compagnia. Era vero, nella natura come nella vita i fenomeni si susseguono, in tutte le loro manifestazioni, da quelle impetuose e tragiche a quelle serene e contemplative. Sentirla però espressa ad alta voce acquistava un significato diverso, lontano, pragmatico e impersonale. Pronunciandola aveva smesso di appartenermi.

    Alcune cose prendendo forma nell’etere ribadiscono la loro esistenza, altre diluiscono i proprio confini, sino quasi a sparire."

    Lei come sente i suoi confini oggi, sono tratteggiati o ben definiti? chiese il dottore.

    "Diciamo che sto iniziando ad avere consapevolezza di uno spazio all’interno del quale ruotano le mie emozioni e i miei pensieri e che questo territorio corrisponde alla mia persona. In alcuni momenti sento sovrapposizione tra la parte mentale e quella fisica, in altri vago in dimensioni dai

    diversi piani di gravità. Comunque ho ripreso a dormire, di solito tutta la notte, senza interruzioni, e questo mi aiuta molto. Sono passata da un sonno metallico e totale a uno più dolce nel quale riesco a ricordare vari episodi onirici e come effetto ho più controllo e presenza nella fase diurna, noto dettagli che prima mi era impossibile avvertire, la mia sensibilità agli odori è tornata, mi basta passare di fianco a un forno in fase di panificazione per saltare con la memoria a molteplici episodi ove il pane caldo e profumato era presente e croccante.

    Le va di raccontarmene uno?

    La prima immagine che mi raggiunge viene dai vicoli di Genova. L’odore cosmopolita confonde ogni fragranza e spezia, negozi latino americani si affiancano a macellerie arabe…il profumo della focaccia è particolarmente pregnante e quando giunge alle papille olfattive ti rapisce. Per qualche istante tutto il corpo ne è soggiogato…l’aria è densa, quasi palpabile e la salivazione si risveglia prolifica, tentata dai piaceri della materia. Forse ero in via Prà, ricordo che mi sono fermata per assaporare tutto il contesto della situazione, in mezzo al passaggio di persone di ogni colore della pelle fissavo un muricciolo dal quale si scorgeva il mare. Di fianco a me un’ombra, era il mio fidanzato. Lo vedo sempre come un’ombra quando frequento i ricordi del passato: non c’è mai stato veramente, non abbiamo mai condiviso nulla che implicasse più di un episodio formale o di rappresentanza.

    Mi sta parlando del periodo che precede i fatti attuali esatto?

    Sì. E può essere che questa relazione durata un lustro e mai arrivata a incatenarsi nei ventricoli del cuore abbia inciso nelle mie scelte successive. Nei miei passi a venire lui è rimasto un’ombra sempre più distante mentre io mi sono fatta strada in un’altra ipotesi di realtà. Ma ancora oggi, quando lo vedo o lo abbraccio sento il ricordo di quello che è stato il mio slancio sentimentale nei suoi confronti. Guardandogli la fronte mi ricordo che si scotta al sole e bisogna dirgli di mettere la crema protettiva. Le sue mani un po’ cicciottelle, che ricordano quelle dei bambini, mi fanno tenerezza e la sua pancia generosa nell’accogliere pietanze mi parla delle sue debolezze e mi suscita affetto. Di fatto l’immagine che da di sé è la peggiore, la parte migliore la tiene ben nascosta, come per mettere alla prova la nostra abilità nello scoprire i suoi pregi. Quando si concentra nel fare qualcosa di materiale riesce a muovere con abilità e precisione le possenti mani e nonostante appaia sempre superficiale e scostante, in quelle circostanze rivela una capacità di entrare in contatto con gli elementi che pare svelare diversi e lucenti aspetti della sua anima introversa.

    Feci per continuare ma cambiai idea, così era sufficiente. Aggiungere altro sarebbe stato incartarsi da soli nei moti aggrovigliati del non senso. Rimasi in silenzio osservando i dettagli della stanza, come facevo in quelle situazioni. Il dottore lasciò passare qualche minuto poi mi disse che poteva bastare.

    Ci vediamo giovedì prossimo.

    Lo guardai aspettando che aggiungesse qualcosa, ma non lo fece. Ripercorsi a ritroso il corridoio e poi le scale, uscendo dallo studio con un vago senso di frustrazione al qual però si univa un principio, o una speranza di sollievo.

    §§§

    L’allagamento. Erano giorni che non si parlava di altro. Televisioni, discorsi nei tavoli dei bar, perfino le pagine dei giornali sembravano intrise d’acqua. Le strade erano bloccate, gli stadi impraticabili e le persone accusavano crisi reumatiche.

    Quella notte sognai pioggia, tanta pioggia, quelle gocce grosse che ti rimbalzano sulla testa, l’odore di acqua piovana giovane e aggressiva, il cielo basso, impegnato solo a trasportare nubi. Ero su una nave, sotto coperta, da un portellone parzialmente aperto vedevo la pioggia tagliente che cadeva obliqua ed entrava nel mare, diventandone parte e agitandone la superficie, che ribolliva, alzava onde, schizzava e sputava spuma.

    In fondo al corridoio, verso poppa la vidi, aveva i vestiti bagnati, i capelli arruffati da pioggia e acqua di mare, indossava un vestito panna e celeste che non sembrava sufficiente a riscaldarla. Doveva avere freddo. Cercai i suoi occhi, lo sguardo diceva che era spaventata e che non si rendeva conto di quanto stesse avvenendo, si sentiva …in balia delle onde.

    Poi la persi di vista. Il borsone addossato alla parete doveva essere suo, lo aveva lasciato lì e penso si fosse portata avanti per cercare un riparo più comodo e qualche risposta.

    La pioggia continuava a battere incessante, appoggiai la testa e mi lasciai cullare dall’ascolto: quel tamburellare ritmico, umido e denso mi eccitava, raggiungeva il mio corpo con scosse vibranti, contenevano sia il freddo che il caldo. Fermai l’attenzione sul caldo, cercai di sentirlo con tutto il corpo e con quella sensazione appoggiai lo sguardo sulle gocce che frustavano il mare.

    Quando mi girai vidi la ragazza seduta sopra al borsone addossato alla parete.

    Qui vous êtes? si rivolgeva a me, con voce bassa e diretta.

    La guardavo e tra e me e me mi ripetevo la domanda, chi ero, chi ero io… e chi era lei…

    Mi svegliai bagnata di sudore, con le lenzuola arrotolate addosso e la coda dell’immagine del sogno, la mente si riproponeva la stessa domanda, ancora e ancora… poi il picchiettio musicale delle gocce sulla grondaia mi riportò alla pioggia e alla realtà.

    Un altro giorno. Un altro giorno di pioggia. Il cielo era cupo e qualcosa di immanente sembrava preannunciarsi a suon di tromba, avvicinarsi a velocità del vento. Se la pioggia lava, purifica e rigenera di certo ci stavamo levando di dosso un bel po’ di marciume. Ma sembrava non fosse affatto sufficiente.

    Accesi la radio. Bevendo il caffè ascoltavo le notizie non confortanti che provenivano da Genova, frane e smottamenti; le nuvole continuavano ad assediare la città come un nuovo Fort Alamo. Che fosse una riproposizione fuori tema dei corsi e ricorsi storici? Mah, lasciai cadere l’interrogativo insieme alla camicia da notte, dovevo prepararmi.

    Tutta la città era sottosopra per l’evento

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